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Servizio Informazione Religiosa
Aggiornato: 4 mesi 1 settimana fa

La seconda rilevazione sulle attività dei Servizi territoriali di tutela minori e adulti vulnerabili

Gio, 16/11/2023 - 13:00

È stata presentata oggi, 16 novembre, nel corso dell’Assemblea straordinaria Cei ad Assisi, la seconda rilevazione sulle attività dei Servizi territoriali di tutela minori e adulti vulnerabili promossa dalla Conferenza episcopale italiana attraverso il Servizio Nazionale per la tutela dei minori, La rilevazione, affidata anche quest’anno agli esperti dell’Università cattolica del Sacro Cuore, sede di Piacenza, Paolo Rizzi e Barbara Barabaschi, e riferita al 2022, ha coinvolto i Servizi regionali, diocesani e interdiocesani e i Centri di ascolto diffusi su tutto il territorio nazionale.

Il primo elemento evidente è l’ampia partecipazione delle diocesi italiane: da 166 sono passate a 186, che corrispondono a 190 diocesi su 206 (escludendo le diocesi accorpate e quelle abbaziali), portando la rappresentatività statistica del campione di indagine al 92,2%. Un dato che conferma la crescente sensibilizzazione sul tema e che si realizza in una raccolta di dati “sinodale”, in cui ogni elemento registrato è frutto del diretto coinvolgimento delle centinaia di persone coinvolte nelle strutture pastorali.

Scendendo nel dettaglio geografico, l’indagine ha visto la partecipazione di 82 diocesi (pari al 45,1% del campione) dell’Italia meridionale, di 60 diocesi (pari al 32,3% del campione) dell’Italia settentrionale e di 44 diocesi (pari al 23,6% del campione) collocate nel Centro Italia. In termini dimensionali, oltre la metà delle diocesi coinvolte sono di media scala, tra 100 e 250 mila abitanti (104) e solo 29 di piccole entità, al di sotto dei 100 mila abitanti.

La prima parte del documento è dedicata alle attività dei Servizi diocesani e interdiocesani, i cui referenti, nella maggior parte dei casi sono sacerdoti (46,2%), poi laici o laiche (39,7%) e solo raramente religiosi o religiose (6,5%). Inoltre, delle 186 diocesi indagate, l’82,8% ha un’équipe di esperti a sostegno del servizio. Per le attività specifiche, si nota un incremento significativo rispetto al 2020: è più che triplicato il numero degli incontri proposti (da 272 a 901) e il numero delle persone coinvolte (da 7706 a 23188). Si conferma così una tendenza positiva dove centrale diventa la formazione dei sacerdoti e degli operatori pastorali, tassello di fondamentale importanza per una strategia di prevenzione e lotta agli abusi. Raddoppiano le iniziative e collaborazioni con altri enti non ecclesiali: da 25 nel biennio 2020-2021 diventano 51 nel solo 2022. In deciso aumento, soprattutto nelle regioni del Sud, la partecipazione a tavoli istituzionali civili. Di contro, restano ancora molto basse le iniziative che vedono coinvolti anche gli Istituti religiosi.

Quando si parla di Centri di ascolto si parte dall’aumento del loro numero che ne presenza capillare sul territorio di questo importante presidio. Sono stati rilevati dati relativi ai 108 Centri di ascolto attivati dai Servizi Diocesani o Inter-diocesani per la tutela dei minori, che fanno riferimento a 160 diocesi (pari al 77,7% delle 206 diocesi italiane).

La maggior parte dei centri è attiva nel Nord (46), con una incidenza relativa molto superiore a quella delle diocesi che hanno attivato il servizio di tutela minori, seguono i 35 del Sud e i 27 del Centro Italia (le diocesi della Sardegna sono considerate del Sud nonostante come regione ecclesiastica siano Centro). L’attivazione dei centri di ascolto è strettamente correlata alla dimensione delle diocesi, con 40 centri costituiti in diocesi di grandi dimensioni o diocesi che si sono aggregate per questo servizio, 54 centri fanno riferimento a diocesi medie e i rimanenti 14 a diocesi di minori dimensioni.

Generalmente collocati in altra sede rispetto alla curia diocesana (78% dei casi), sono affidati alla responsabilità, nella maggioranza dei casi, di un laico/a (76%), per lo più con competenze in campo psicologico o educativo. Tra i laici prevalgono nettamente le donne, che rappresentano complessivamente i due terzi dei responsabili dei Centri di ascolto.

Quasi tutti i centri di ascolto fanno riferimento ad un’équipe di esperti costituita da laici, con competenze in campo psicologico, giuridico, educativo.

Crescono in modo esponenziale i contatti rilevati dai Centri di ascolto passando dai 38 del 2020 ai 374 del 2022, nella gran parte dei casi telefonici (84,4%) da parte di non vittime (87,7%). Il motivo prevalente dei contatti (81,9%) è per chiedere informazioni, mentre nel 18,1% dei casi per segnalare abusi all’Autorità ecclesiastica. La richiesta di informazioni rende ragione anche del fatto che diversi centri di ascolto si sono messi in rete con enti pubblici e i servizi sociali per fornire informazioni utili ai richiedenti che vengono intercettati e che magari vogliono segnalare un abuso in ambito famigliare, ma non sanno a chi rivolgersi e con quale modalità.

Sono stati 32 i casi di presunti abusi segnalati: la maggior parte si riferisce al passato (18, pari al 56,8%) rispetto ai casi attuali (14, pari al 43,8%). Prendendo in considerazione la modalità del presunto abuso, emerge che la maggior parte delle segnalazioni fa riferimento a casi reali (29 in valore assoluto, pari al 90,6%), molto meno a casi relativi ad episodi via web (3 casi pari al 9,4%). Dall’analisi del luogo in cui è avvenuto il presunto abuso reale, emerge che nella maggior parte dei casi si tratta della parrocchia (17 su 29, pari al 58,6%).

Analizzando i casi segnalati per tipologia di abuso, si nota la prevalenza di “comportamenti e linguaggi inappropriati (offese, ricatti affettivi e psicologici, molestie verbali, manipolazioni psicologiche, comportamenti seduttivi, dipendenze affettive, …)”, pari a 20 casi in totale su 74.

Il numero di vittime di presunti abusi nel 2022 è risultato pari a 54.

Conferenza Episcopale Italiana

L’età delle presunte vittime all’epoca dei fatti si concentra nella fascia 15-18 anni (25 su 54). Il secondo gruppo rappresentato tra le vittime è quello composto da chi ha più di 18 anni (19 su 54). Il focus sul genere delle presunte vittime rivela una netta prevalenza di femmine (44) rispetto ai maschi (10).

Il numero di presunti autori dell’abuso è risultato nel 2022 pari a 32.

L’analisi del profilo dei presunti autori di reato porta a soggetti di età compresa tra i 40 e i 60 anni, in oltre la metà dei casi, con una media di 43 anni. Si tratta per la quasi totalità di maschi (31 su 32), chierici per un terzo, religiosi per un terzo e laici (37%). Con riferimento ai laici, il dettaglio relativo al servizio pastorale svolto indica che i presunti autori di reato, al momento della segnalazione, svolgevano i seguenti ruoli: educatore (5 casi), catechista (1 caso), fondatore di associazione ecclesiale, insegnante di religione, seminarista. Per lo più celibi ma anche 2 sposati.

Per le opzioni offerte dai Centri di ascolto nei confronti delle presunte vittime nel 2022 prevale l’accompagnamento psicoterapeutico (10 casi) e in seconda battuta la fornitura di informazioni e aggiornamento sull’iter della pratica (9 casi). È stata data la possibilità di incontrare l’Ordinario o ancora un percorso di accompagnamento spirituale. Altre opzioni sono la consulenza ai genitori, l’incontro con il vicario episcopale, il supporto nell’incontro con le autorità civili e il supporto al sacerdote dell’oratorio L’offerta dei servizi è stata definita sulla base dei bisogni espressi dalle presunte vittime, sentito il parere degli esperti dell’équipe a supporto dei servizi diocesani per la tutela dei minori.

Sono anche attivate azioni di accompagnamento agli autori dei presunti reati di abuso, a partire da percorsi di “accompagnamento psicoterapeutico” (6 casi).

Si conferma la strutturazione in ogni regione ecclesiastica di un Servizio regionale con un proprio coordinatore, di solito un sacerdote con competenze psicologiche, un Vescovo delegato e un’équipe di specialisti. Le attività del Servizio sono perlopiù formative. Il numero degli incontri proposti è quasi raddoppiato dal 2020 (anno di avvio del SRTM, in concomitanza con la pandemia da Covid19), passando da 36 incontri nel 2020 a 69 nel 2022. Particolarmente rilevante appare il numero dei partecipanti alle iniziative attivate, più che raddoppiato passando dai 914 partecipanti nel 2020 a 3276 nel 2022.

Second survey on the activities of territorial services for the protection of minors and vulnerable adults

Gio, 16/11/2023 - 13:00

The second survey on the activities of territorial services for the protection of minors and vulnerable adults in Italy, promoted by the Italian Bishops’ Conference through the National Service for the Protection of Minors, was presented today, 16 November, during the Extraordinary Assembly of the Italian Bishops’ Conference in Assisi. The survey referring to data for the year 2022, commissioned to the experts Paolo Rizzi and Barbara Barabaschi of the Piacenza branch of the Catholic University of the Sacred Heart, involved regional, diocesan and interdiocesan services, as well as ‘Listening Centres’ throughout the country.

The first noticeable finding is the extensive participation of Italian dioceses, that went from 166 to 186, representing 190 out of a total of 206 dioceses (excluding merged dioceses and abbey dioceses), which brings the statistical relevance of the sample surveyed to 92.2%. This figure reflects the growing awareness of the issue, which has led to a “synodal” collection of data, in which each item recorded is the result of the direct involvement of hundreds of people working in pastoral care structures.

In terms of geographical distribution, the survey covered 82 dioceses (45.1% of the sample) in the south of Italy, 60 dioceses (32.3% of the sample) in the north and 44 dioceses (23.6% of the sample) in central Italy. In terms of size, more than half of the dioceses involved are medium-sized, with between 100 and 250 thousand inhabitants (104), and only 29 are small, with less than 100 thousand inhabitants.

The first part of the document is devoted to the activities of the diocesan and interdiocesan services, the majority of which are run by priests (46.2%), followed by lay people (39.7%) and only rarely by men and women religious (6.5%). In addition, 82.8% of the 186 dioceses surveyed have a team of experts supporting this service. In terms of specific activities, a significant increase was recorded compared to the year 2020: the number of proposed meetings more than tripled (from 272 to 901), as did the number of people involved (from 7706 to 23188). This confirms a positive trend in which the formation of priests and pastoral workers plays a key role in preventing and combating abuse. The number of initiatives and collaborations with other non-church bodies has doubled. There were 51 in 2022, up from 25 in the period 2020-2021. Participation in institutional civil forums has increased significantly, especially in the southern regions. On the other hand, the number of initiatives involving religious institutions remains very low.

The increase in the number of Listening Centres reflects the widespread presence of this important service throughout the country. Data were collected on the 108 Listening Centres set up by the diocesan or interdiocesan services for the protection of minors with 160 dioceses covered (amounting to 77.7% of Italy’s 206 dioceses).

The majority of the Centres are located in the north (46), with a relatively higher number of Centres compared to the dioceses that have set up the service for the protection of minors, followed by thirty-five Centres in the south and twenty-seven in central Italy (the dioceses of Sardinia are considered as south, although they are located in the central ecclesiastical region). The creation of the Centres is closely linked to the size of the diocese: 40 Centres were created in large dioceses or in dioceses which joined together for the purpose of providing this service, 54 Centres were created in medium dioceses and the remaining 14 in small dioceses.

They are generally located outside the diocesan curia (78% of the time) and in most cases (76%) under the direction of a lay person, most of whom have a background in psychology or education. Among the laity, women are the most numerous, accounting for two-thirds of those in charge of the Listening Centres.

Almost all Listening Centres are supported by a team of lay experts with psychological, legal and pedagogical expertise.

The number of people who contacted the Listening Centres rose sharply, from 38 in 2020 to 374 in 2022, mostly via telephone calls (84.4%) from non-victims (87.7%). The main reason for contacting the centres (81.9%) was to ask for information, while in 18.1% of cases it was to report abuse to the ecclesiastical authority. The request for information also explains the fact that several Listening Centres have set up a network with public authorities and social services in order to provide useful information to those who want to report abuse in the family environment but don’t know who to contact and how.

Thirty-two cases of alleged abuse were reported: the majority related to the past (18 or 56.8%) compared to recent cases (14 or 43.8%). Looking at the modality of the alleged abuse, it appears that most of the reports refer to actual cases (29 in absolute terms, i.e. 90.6%), and much less to cases related to web-based incidents (3 cases, i.e. 9.4%). Regarding the place where the alleged actual abuse took place, the parish is mentioned in most of the reports (17 out of 29 reports, i.e. 58.6%).

If we look at the reported cases according to the type of abuse, “inappropriate behaviour and language (insults, emotional and psychological blackmail, verbal harassment, psychological manipulation, seductive behaviour, emotional dependence, …)” is the most common, accounting for 20 out of 74 cases.

There were 54 victims of alleged abuse in the year 2002.

The age of the alleged victims at the time of the crime is in the 15-18 age group (25 out of 54). The second group of victims were over 18 years old (19 out of 54). A focus on the gender of the alleged victims shows a clear predominance of females (44) over males (10).

There were 32 alleged offenders in the year 2022.

An analysis of the profile of the alleged perpetrators shows that in more than 50% of cases they were between 40 and 60 years old, with an average age of 43. Almost all were male (31 out of 32), one third were clergy, one third religious and 37% lay. With regard to the laity, the analysis of the pastoral service carried out showed that at the time of the report, the alleged offenders held the following positions: educator (5 cases), catechist (1 case), founder of an ecclesiastical association, religion teacher, seminarian. Most were unmarried, but there were also 2 who were married.

With regard to the options offered by the Listening Centres to presumed victims in 2022, psychotherapeutic accompaniment (10 cases) was the most frequent, followed by the provision of information and an update on the progress of the complaint (9 cases). The possibility of a meeting with the Ordinary or spiritual accompaniment was also offered. The range of services was determined on the basis of the needs expressed by the alleged victims, after consulting the experts of the team supporting the diocesan services for the protection of minors.

Actions have also been taken to accompany the alleged abusers, starting with “psychotherapeutic accompaniment” (6 cases).

The creation of a regional Service in each ecclesiastical region with its own coordinator, usually a priest with psychological skills, a delegate bishop and a team of specialists, has been confirmed. The activities of the service are mainly formation oriented. The number of meetings offered has almost doubled since 2020 (the year in which the Regional Child Protection Services were launched, coinciding with the Covid19 pandemic), rising from 36 meetings in 2020 to 69 in 2022. Especially relevant is the increase in participants in activated initiatives, which more than doubled compared to the year 2020, from 914 participants in 2020 to 3276 in 2022.

Rilevazione Cei su tutela minori. Barabaschi (Univ. Cattolica): “Cresce la risposta delle diocesi, centrale il ruolo delle donne”

Gio, 16/11/2023 - 12:58

Oltre il 90% delle diocesi italiane ha risposto al questionario della seconda Rilevazione sulle attività dei Servizi territoriali di tutela minori e adulti vulnerabili, promossa dalla Cei attraverso il Servizio Nazionale per la tutela dei minori e affidata anche quest’anno agli esperti dell’Università cattolica del Sacro Cuore, sede di Piacenza. Il Sir ha intervistato Barbara Barabaschi, professore associato di Sociologia dei processi economici e del lavoro, che ha offerto il suo contributo insieme al collega Paolo Rizzi. La Rilevazione, riferita al 2022, ha coinvolto i Servizi regionali, diocesani e interdiocesani e i Centri di ascolto diffusi su tutto il territorio nazionale.

Come si è arrivati alla Rilevazione di quest’anno, e quali le novità salienti rispetto alla Rilevazione dell’anno scorso?
Il Servizio Nazionale per la prevenzione degli abusi sui minori e gli adulti vulnerabili della Cei ha avviato la prima indagine con l’idea di mantenere monitorato nel tempo lo stato di attività di tutti i servizi di tutela presenti nelle diocesi italiane. Oggi abbiamo concluso la seconda rilevazione che ha visto un incremento significativo del numero di diocesi e servizi che hanno risposto al questionario di rilevazione che noi ricercatori abbiamo contribuito a predisporre ed esaminare.

Il dato più evidente è l’aumento delle attività dei servizi, in particolare le attività formative (partecipanti passati da 7.706 nel 2020, a 12.211 nel 2021, infine a 23188 nel 2022). Prevalgono operatori pastorali e sacerdoti, ma anche aderenti alle associazioni il cui numero è quadruplicato nel triennio 20-22.

L’aumento delle attività è dimostrato anche dalla crescita dei contatti, ossia dal numero delle persone che si sono rivolte ai servizi, specie i Centri di ascolto. La motivazione è stata soprattutto quella relativa alla richiesta di informazioni (81,9%), che evidenzia come si sia diffusa la conoscenza dell’esistenza di tali strutture. I contatti per denuncia all’Autorità ecclesiastica sono invece il 18,1%. Nel 2021 prevalevano i contatti per denuncia, seguiti da quelli per ottenere informazioni.

La risposta delle diocesi è cresciuta. Segno di una crescita di sensibilità della comunità ecclesiale riguardo alla tutela dei minori?
Sì, noi l’abbiamo interpretata in tale senso. La Cei, negli ultimi due anni ha cercato di sensibilizzare tutti gli operatori coinvolti e quest’anno i risultati sono stati evidenti, tanto che

il tasso di risposta ai questionari inviati è stato oltre il 90%.

Tuttavia dalla valutazione delle attività realizzate sono stati evidenziati margini di miglioramento. Ad esempio, i responsabili diocesani indicano la necessità di migliorare attività di comunicazione e collaborazione tra enti ecclesiastici e non come ulteriore sforzo affinché la tutela dei minori divenga prioritaria nella vita della Chiesa ed in generale delle nostre comunità.

I casi di presunti abusi sono diminuiti rispetto al biennio precedente. Sono emersi più elementi riguardo all’identikit dei presunti autori?
L’analisi del profilo dei presunti autori di reato porta a soggetti di età compresa tra i 40 e i 60 anni, in oltre la metà dei casi, con una media di 43 anni. Si tratta per la quasi totalità di maschi (31 su 32), chierici per un terzo, religiosi per un terzo e laici per il rimanente terzo. Con riferimento ai laici, al momento della segnalazione, svolgevano i seguenti ruoli: educatore (5 casi), catechista (1 caso), fondatore di associazione ecclesiale, insegnante di religione, seminarista. Per lo più celibi ma anche 2 sposati. Il tipo di abuso prevalente è “comportamenti e linguaggi inappropriati (offese, ricatti affettivi e psicologici, molestie verbali, manipolazioni psicologiche, comportamenti seduttivi, dipendenze affettive, …)”.

Risulta sempre più centrale il ruolo svolto dai Centri di ascolto, diventati capillari sul territorio, e dell’équipe degli esperti. Cosa ha rivelato sotto questo aspetto la Rilevazione di quest’anno?
Il responsabile, in oltre due terzi dei casi, è un laico o una laica (76%), in misura ben inferiore un sacerdote (16%), o un/a religioso/a (8%).

Tra i laici prevalgono le donne, che rappresentano i due terzi dei responsabili dei Centri di ascolto.

Le principali competenze possedute sono soprattutto di carattere psicologico, oppure educativo. Nell’indagine precedente prevalevano responsabili con competenze giuridiche.

Ci sono novità, e quali, rispetto alla collaborazione tra i Servizi diocesani, i Centri regionali e altre realtà non ecclesiali presenti sul territorio?
L’aspetto della collaborazione tra enti religiosi e non rimane il più debole tra quelli indagati. Anche lo scorso anno, rispetto al quale sono emersi miglioramenti circoscritti. Anche nel 2022 gli operatori dei servizi individuano ampi margini di miglioramento nelle relazioni tra servizi e istituti e congregazioni religiose e soprattutto con enti non ecclesiastici, sia a livello regionale, sia a livello locale, suggerendo la necessità di rafforzare tali legami nella costruzione di un sistema integrato di tutela dei minori contro gli abusi di ogni tipo, anche attraverso il miglioramento dei flussi comunicativi.

L’intenzione della Cei è di rendere le Rilevazioni annuali. State già lavorando a quella del prossimo anno?
No, non ancora, ma abbiamo alcune idee volte a perfezionare gli strumenti di rilevazione, quindi di tipo metodologico, rispetto alla somministrazione dei questionari che si basano sull’esperienza maturata in questi primi due anni. L’obiettivo è arrivare ad avere la partecipazione di tutte le Diocesi italiane, quindi intercettare il 100% dei servizi.

Scuola e intelligenza artificiale per una didattica innovativa. A condizione che sia la componente umana a guidarla

Gio, 16/11/2023 - 10:10

Scuola tra digitale e ricerca di senso. “L’intelligenza artificiale è un argomento sul quale dobbiamo confrontarci, la scuola non può far finta di niente”. Così Antonello Giannelli, presidente all’Associazione nazionale dirigenti pubblici e alte professionalità della scuola (Anp), inaugurando il 15 novembre a Roma i lavori del convegno “Orientare e orientarsi. Come cambia la scuola nell’era dell’intelligenza artificiale”. “L’orientamento – ha spiegato il presidente Anp – è tra gli argomenti caldi del momento, soprattutto visto che quest’anno è stata introdotta la figura dell’orientatore a supporto dello studente, per aiutarlo ad orientarsi nell’ambito scolastico”. Sull’’importanza dell’innovazione culturale “per rispondere alla provocazione di senso generata dall’intelligenza artificiale” si è soffermato Cosimo Accoto, Tech Philosopher, Research Affiliate & Fellow del MIT. “Le trasformazioni profonde che stiamo attraversando mettono in discussione i nostri modelli culturali”, ha esordito invitando a guardare all’IA “non come ad un artefatto, ma come ad un’architettura che comprende algoritmi e persone che le usano. Quando usiamo il text predictor ChatGPT e pensiamo abbia capito il senso della nostra domanda, in realtà siamo noi che diamo intelligenza alla macchina, c’è sempre la componente umana a dare senso alle cose che la macchina sta facendo”.

IA e nuove forme del sapere. Professore associato di Editoria digitale, Digital Humanities e filosofia dell’informazione all’Università Roma Tre, Gino Roncaglia ha spiegato che il paradigma dell’IA “è logico-linguistico”; per questo interessa sia le discipline scientifiche, sia quelle umanistiche. Come scuola, ha avvertito, “abbiamo il compito di formare all’uso del digitale”. Di qui la proposta di ripensare la biblioteca scolastica “con graphic novel e materiali online” come “hub di competenze nuove e luogo per questo addestramento”. Per Angelo Fienga, Director Sustainable Solution di Cisco Emea, rispetto all’uso dell’IA

“dobbiamo aiutare gli studenti ad un approccio multidisciplinare, a valutare accuratezza dei dati, trasparenza e responsabilità”.

Importante integrare nell’apprendimento “la realtà aumentata per arricchire i contenuti ed ampliare l’orizzonte culturale dei giovanissimi”.

Pnrr e transizione digitale. “La Missione 4 del Pnrr ‘Istruzione e ricerca’ ha messo oltre 17 miliardi e mezzo sulla scuola; dobbiamo cogliere questo investimento garantendone efficacia e sostenibilità”. Così Simona Montesarchio, direttore generale ministero dell’Istruzione e del merito – Unità di missione per il Pnrr, che ha inoltre ricordato le risorse destinate al piano Scuola 4.0 per la trasformazione delle aule in ambienti innovativi di apprendimento e la realizzazione di laboratori digitali. Al di là delle tecnologie, ha tuttavia ammonito,

“è fondamentale investire in una didattica digitale integrata che coinvolga tutto il personale scolastico”.

Sulla stessa linea Alessandro Musumeci, capo segreteria tecnica del sottosegretario di Stato con delega alla transizione digitale: “Al 30 giugno abbiamo 19mila enti – incluse il 99% delle scuole – che hanno aderito a progetti di semplificazione e passaggio al cloud, ma per quanto riguarda le competenze digitali siamo al 15° posto in Europa”. Quindi rivolgendosi ai presenti: “Siamo a buon punto sull’infrastruttura, ma soprattutto voi dovrete lavorare per creare la necessaria consapevolezza tecnologica, altrimenti sarà come avere un’automobile senza benzina”.

IA e istruzione. “Una stretta di mano tra utente e tecnologia per una scuola migliore”. A definire così l’intelligenza artificiale è Elvira Carzaniga, direttore Divisione Education Microsoft Italia, che ha parlato di “acceleratori dell’apprendimento” ed ha indicato il progetto “co-pilot” come “nostra risposta alla domanda di formazione sul digitale”. Che cosa vi chiedono le scuole? “Di essere supportate – risponde – nella formazione dei docenti alle nuove tecnologie, nel data mining, nella sicurezza, e nell’ottimizzazione del tempo attraverso la semplificazione di task amministrativi”. “Ogni giorno milioni di utenti usano Google Classroom, il cuore della didattica innovativa”, ha reso noto Marco Berardinelli, direttore Google for Education Italia, spiegando che l’IA “può liberare il docente da attività di routine e permettergli di cambiare ruolo,

da docente tradizionale a tutor, mentore dei propri studenti”.

Berardinelli ha inoltre annunciato l’introduzione a breve, nelle piattaforme del Gruppo, di “nuove funzionalità che permetteranno di realizzare l’apprendimento personalizzato”. Tra queste un tutor virtuale “in grado di individuare eventuali lacune negli alunni e guidarli verso il loro superamento con tutorial ed esercizi”.

Riallineare scuola-lavoro. “Educare all’intelligenza artificiale e educare l’intelligenza artificiale” è il duplice monito di Claudia Donati, responsabile Area processi formativi del Censis. Per Francesco Baroni, presidente Assolavoro, la sfida posta dall’innovazione tecnologica è “una sempre migliore capacità di riallineamento delle competenze tra mondo della scuola e mondo del lavoro”.

Costruire un grande sistema scolastico. “Dobbiamo rimettere al centro della società le figure del dirigente scolastico, del docente e di tutte le figure che lavorano nel mondo della scuola”. Occorre “lavorare insieme per costruire un grande sistema scolastico”, ha detto Giuseppe Valditara, ministro dell’Istruzione e del merito, in videocollegamento da Milano, a conclusione dei lavori, spiegando che “i dirigenti scolastici sono inclusi nei rinnovi contrattuali finanziati dalla legge di bilancio 2024, i famosi cinque miliardi”. In vista del rinnovo per il triennio 2022 – 2024 “questi aumenti si estenderanno anche a loro”. Per molti lavoratori, ha concluso, “lo stanziamento previsto insieme con la riduzione del cuneo fiscale” potrà rappresentare “un passo avanti interessante”.

Campi Flegrei. De Vito: “L’allerta resta gialla, fenomeni sismici e velocità di deformazione del suolo in diminuzione”. La vicinanza della Chiesa di Pozzuoli alla popolazione

Gio, 16/11/2023 - 09:55

Da qualche mese, a causa di frequenti scosse, si sono riaccesi i riflettori sui Campi Flegrei, un’area vulcanica attiva situata ad ovest di Napoli, che include i comuni di Bacoli, Monte di Procida, Pozzuoli, Quarto, Giugliano in Campania e parte della città di Napoli. Il nome Campi Flegrei, dal greco letteralmente “campi ardenti”, denota la natura vulcanica dell’area e la presenza di numerose fumarole e acque termali, ben note e sfruttate nell’antichità. Allo stato attuale il livello di allerta dei Campi Flegrei è giallo, come stabilito dal Dipartimento della Protezione civile, sulla base dei risultati del monitoraggio e delle valutazioni espresse dalla Commissione Grandi Rischi. Tale livello, a differenza del livello di allerta “verde”, che corrisponde all’attività ordinaria del vulcano, è indice della variazione di alcuni dei parametri monitorati dall’Ingv. La caldera dei Campi Flegrei è soggetta a lenta deformazione del suolo nota con il nome locale di bradisismo. Nei periodi 1970-72 e 1982-84 l’area flegrea è stata interessata da crisi bradisismiche in cui il suolo, nell’abitato di Pozzuoli in particolare, ha subito un sollevamento totale massimo di circa 3.5 m. La prima crisi causò l’abbandono forzato dell’area fatiscente di Rione Terra; la seconda crisi in particolare fu caratterizzata da intensa sismicità con gravi danni agli edifici. Dopo le crisi si è avuto un periodo di generale subsidenza, interrotta a partire dal 2005 da un’inversione del fenomeno che ha portato ad un costante sollevamento del suolo, al momento ancora in atto.

(Foto: ANSA/SIR)

“Dal 2012 i Campi Flegrei sono a un livello giallo di attenzione e da allora è aumentata la nostra attività sul territorio proprio in funzione del livello di attenzione decretato dalla Protezione civile – dice al Sir Mauro Antonio Di Vito, direttore dell’Osservatorio vesuviano dell’Ingv -. Questo ha comportato che nel tempo è stata molto incrementata la nostra rete di monitoraggio e di controllo del territorio, è aumentata la frequenza delle nostre comunicazioni verso la Protezione civile. Già dal 2006 era iniziato il fenomeno di sollevamento, di sismicità, di emissione di gas dal sottosuolo, ma dall’anno scorso questo fenomeno ha subito un progressivo incremento. L’incremento ha riguardato la sismicità, la deformazione del suolo si è mantenuta a livelli alti, nell’area centrale di Pozzuoli costiera, che sarebbe l’area del Rione Terra, ed è progressivamente aumentata l’emissione di vari gas dal sottosuolo, tra i quali è prevalente l’anidride carbonica”. L’incremento della sismicità, prosegue Di Vito, ha comportato che “nei mesi di agosto e settembre siano avvenuti circa o più di mille terremoti in un mese, con alcuni eventi con scosse forti. C’è stato un sisma con magnitudo 4.2, una serie di eventi con magnitudo 4.0, 3.8, 3.6. Sono eventi sismici di media magnitudo, ma essendo molto superficiali vengono risentiti fortemente in superficie su aree non ampie, ma alcuni sono stati risentiti fino a Napoli, nella periferia dei Campi Flegrei, nella città di Napoli a Nord e fino a Monte di Procida, dall’altro lato, anche se sembra che non abbiano prodotto danni alle abitazioni”.

Durante il mese di ottobre nell’area dei Campi Flegrei sono stati registrati 553 terremoti con una magnitudo massima uguale a 4.0±0.3. Di questi, 511 eventi (circa il 92% del totale) hanno avuto una magnitudo minore di 1.0 o non determinabile a causa della bassa ampiezza del segnale non chiaramente distinguibile dal rumore di fondo, 31 eventi (circa il 6% del totale) hanno avuto una magnitudo compresa tra 1.0 e 1.9, 9 eventi (circa il 2% del totale) hanno avuto una magnitudo compresa tra 2.0 e 2.9, 2 eventi (0.4% del totale) hanno avuto una magnitudo compresa tra 3.0 e 4.0. In totale sono stati localizzati 411 eventi (circa il 74% di quelli registrati), ubicati prevalentemente tra Pozzuoli, Agnano, l’area Solfatara-Pisciarelli, Bagnoli e il Golfo di Pozzuoli, con profondità concentrate nei primi 3 km e profondità massima di circa 4 km. “Attualmente – racconta Di Vito – la deformazione del suolo è diminuita fortemente, quindi la velocità si è ridotta, si è quasi azzerata e il numero degli eventi sismici dell’ultimo periodo è diminuito enormemente, ma il livello di attenzione resta giallo”.Si può rassicurare la popolazione? “Siamo su un vulcano e questo dobbiamo saperlo. La rassicurazione che mi piace fare è che

si tratta di un vulcano monitorato da noi 24 ore su 24.

Segnaliamo ogni variazione che registriamo alla Protezione civile e alla Commissione Grandi Rischi. Ovviamente, i terremoti non si possono prevedere, ma nei Campi Flegrei c’è una forte connessione tra deformazione del suolo e terremoti, per cui quando aumenta la velocità di deformazione aumenta pure il numero di terremoti. Ma adesso la deformazione del suolo e la sismicità di pari passo sono diminuite”.

(Foto: ANSA/SIR)

C’è una zona rossa già individuata dal Piano di emergenza e ultimamente e, dietro la spinta dell’incremento di sismicità e di velocità di deformazione del suolo avvenuto negli ultimi mesi, è stato approvato il decreto-legge n. 140 del 12 ottobre 2023 “Misure urgenti di prevenzione del rischio sismico connesso al fenomeno bradisismico nell’area dei Campi Flegrei”. “Il decreto – ci spiega il direttore dell’Osservatorio vesuviano – mira a mitigare quelli che possono essere gli effetti sulla cittadina di Pozzuoli e su pezzi delle città limitrofe, Bacoli e Napoli, attraverso una serie di azioni: controlli sulle strutture, un piano di comunicazione, un piano di incremento delle reti di monitoraggio. Un’altra azione importante è la microzonazione del territorio, cioè la valutazione della risposta sismica locale: concretamente significa capire quali parti del territorio sono soggette a incremento degli effetti dei terremoti in superficie. Si chiama amplificazione sismica locale”. Esiste un piano anche di evacuazione della popolazione. “Nell’attuale decreto si spinge anche molto nella parte esercitativa per l’attuazione del piano e anche questo aspetto è molto importante. La comunicazione e le esercitazioni possono facilitare l’attuazione di questo piano.

Ben vengano tutte le attività che possano mitigare il rischio di questa area, che è elevato vista la densità urbanistica”.

Una fase dello stress test del pronto soccorso dell’ospedale di Giugliano (Foto: ANSA/SIR)

In questo momento “non ci sono cambiamenti significativi, ma ovviamente tutto quello che potrà accadere dobbiamo continuare a monitorarlo con la massima attenzione per quella che può essere l’evoluzione del fenomeno nell’area. Noi possiamo migliorare la nostra capacità di conoscenza di certi fenomeni ed è quello che stiamo facendo per la parte geochimica e per la parte sottomarina della caldera”.Il Rione Terra è stato per anni inagibile in conseguenza di scosse: erano state di maggiore intensità di quelle attuali? “Per il rione Terra no, ma il patrimonio edilizio era molto fatiscente e quindi anche terremoti piccoli creavano danni. Le parziali evacuazioni sono state legate al patrimonio edilizio”. C’è stato anche “un terremoto molto simile a quello che è avvenuto ora e anche nella stessa area, ma il livello di sismicità dell’82-84 è stato ben più forte, come pure il numero di eventi giornalieri; il livello di deformazione del suolo era arrivato a 15 centimetri al mese, ora siamo quasi fermi ma fino a metà ottobre la velocità di deformazione del suolo si attestava a 15 millimetri al mese”.

(Foto: diocesi di Pozzuoli)

Le frequentissime scosse che si sono registrate tra agosto e i primi di ottobre hanno accresciuto molto lo stress nella popolazione. Per questo la diocesi di Pozzuoli, insieme all’Associazione Emdr Italia, ha organizzato tre incontri di supporto psicologico, psico-educazione e prevenzione dello stress cronico, rivolti a tutti coloro che a causa del fenomeno sismico degli ultimi mesi sentono la necessità di essere sostenuti nella gestione dell’ansia, del panico e dello stress. I primi due incontri si sono tenuti venerdì 10 novembre nella parrocchia Immacolata e S. Raffaele di Agnano a Napoli e nell’Auditorium del Villaggio del fanciullo a Pozzuoli. L’ultimo incontro sarà venerdì 17 novembre nel teatro della parrocchia S. Artema in Monterusciello, a Pozzuoli. L’idea di questi incontri nasce dalla premura del vescovo di Pozzuoli e di Ischia, mons. Carlo Villano, il quale, dopo aver accolto da diverse persone richieste di aiuto, sfoghi e preoccupazioni circa il disagio psicologico causato dall’ansia legata al fenomeno del bradisismo, si è rivolto all’Associazione Emdr Italia – associazione scientifica di psicologi e psicoterapeuti da sempre impegnata sul fronte umanitario e sugli interventi di sostegno psicologico in situazioni emergenziali e traumatiche – la quale ha prontamente e generosamente risposto offrendo la propria disponibilità. Agli incontri, totalmente gratuiti, partecipa l’Ordine degli Psicologi della Campania. “L’iniziativa di coinvolgere un gruppo di psicologi – chiarisce mons. Carlo Villano – significa come Chiesa sempre più stare insieme con le persone, condividere le loro ansie e le loro preoccupazioni. Con le nostre parrocchie, con i nostri parroci accompagniamo nel cammino di fede. Accanto a questo cammino, cerchiamo di sostenere le persone anche in questo ambito particolare. Lo scopo è offrire un sostegno anche scientifico. Scienza e fede non si contrastano, anzi, in un certo senso s’illuminano a vicenda. Cercano di dialogare tra loro. È il grande cammino che attende la Chiesa di oggi”.

(Foto: pagina Facebook diocesi di Pozzuoli)

Già precedentemente il vescovo, per il tramite delle comunità parrocchiali, ha inviato una lettera agli abitanti del territorio flegreo, per esprimere la “personale vicinanza” in questo tempo difficile dovuto all’attività sismica, assicurando anche il sostegno di tutte le parrocchie: “La Chiesa puteolana vive e cammina insieme con voi; con voi condividiamo ansie e difficoltà. I parroci, i sacerdoti della nostra Chiesa sapranno accogliere il vostro grido di dolore e sostenervi nelle difficoltà quotidiane; tutti siamo chiamati ad essere testimoni di prossimità, tutti siamo chiamati ad essere esperti in umanità. Sentiamo, in questo tempo così fortemente caratterizzato dalla parola Sinodo, di dover dire che nessuno sarà lasciato da solo.

Le porte delle nostre chiese sono aperte per dire a tutti che la Chiesa è casa di tutti e per tutti: ciascuno si senta accolto, ascoltato ed accompagnato”.

Unione europea guarda a est. Von der Leyen: “Allargamento è una politica vitale”

Gio, 16/11/2023 - 08:52

L’Unione tiene aperta la porta (a tratti sembra spalancarla) all’Ucraina, ai Balcani occidentali e si spinge fino alla Georgia. Le urgenze politiche non mancano per l’Ue (conflitto mediorientale, risposta all’aggressione russa all’Ucraina, migrazioni, energia, inflazione… solo per nominarne alcune) eppure l’attenzione rimane alta verso quella parte del continente ancora ai margini dalla “casa comune”. Le ragioni sono molteplici: legate a economia, sicurezza, tenuta democratica, geopolitica.

Orizzonte naturale. “L’allargamento è una politica vitale per l’Unione europea. Completare la nostra Unione è il richiamo della storia, l’orizzonte naturale della nostra Unione”. Parole quasi “ispirate” quelle pronunciate dalla presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, presentando mercoledì 8 novembre a Bruxelles il pacchetto sull’allargamento. “Il completamento della nostra Unione ha anche una forte logica economica e geopolitica. Gli allargamenti passati hanno dimostrato gli enormi vantaggi sia per i Paesi candidati che per l’Unione nel suo insieme”. In particolare sull’Ucraina la presidente ha ricordato la guerra in corso, le difficoltà che il Paese sta affrontando, “eppure ha soddisfatto il 90% delle richieste” per giungere a ottenere l’avvio del processo di adesione, che comunque richiederà tempo.

Gli sforzi di Kiev. “In Ucraina, la decisione di concedere lo status di candidato all’Ue – si legge nel rapporto della Commissione – ha creato una potente dinamica di riforma, nonostante la guerra in corso, con il forte sostegno del popolo ucraino”. “Il governo e il Parlamento ucraini hanno dimostrato determinazione nel compiere progressi sostanziali” e attuare riforme ritenute necessarie. L’Ucraina “ha istituito un sistema di preselezione trasparente per i giudici della Corte costituzionale e ha riformato gli organi di governo giudiziario. Ha ulteriormente sviluppato” l’impegno contro la corruzione “e ha rafforzato il suo quadro istituzionale”. L’Ucraina “ha compiuto passi positivi con uno sforzo sistemico per affrontare l’influenza degli oligarchi”.

Adesione basata sul merito. Nel pacchetto per l’allargamento emerge la volontà esplicita di accelerare il processo d’integrazione e di sostenere il “cammino europeo”, oltre che di Kiev, per Moldova e Balcani occidentali. Esso fornisce elementi relativi ad Albania, Bosnia-Erzegovina, Kosovo, Montenegro, Macedonia del Nord, Serbia, Turchia e per la prima volta è appunto presente un focus su Ucraina, Repubblica di Moldova e Georgia. Il rapporto si concentra in particolare sulle riforme fondamentali richieste a questi Paesi. “L’adesione è e rimarrà un processo basato sul merito, interamente dipendente dai progressi oggettivi raggiunti da ciascun Paese”, la formula adottata.

“Avviare i negoziati”. Comunque Ursula von der Leyen in conferenza stampa ha annunciato i prossimi passi. “Alla luce dei risultati ottenuti da Ucraina e Moldavia e degli sforzi di riforma in corso, la Commissione ha raccomandato al Consiglio di avviare i negoziati di adesione con entrambi i Paesi”. Nel caso della Georgia, “alla luce dei risultati raggiunti, la Commissione raccomanda al Consiglio di concedere lo status di Paese candidato”. Per quanto riguarda la Bosnia-Erzegovina, la Commissione raccomanda l’apertura dei negoziati di adesione “una volta raggiunto il necessario grado di conformità ai criteri di adesione”. Si ritiene infatti che il Paese debba “compiere ulteriori sforzi per soddisfare le priorità chiave stabilite” per la sua richiesta di adesione all’Ue”.

La Turchia si allontana. La parte relativa ai Balcani occidentali nel rapporto sull’allargamento è in chiaroscuro. Note in genere positive per Albania, Macedonia del Nord e Montenegro, problemi confermati per Serbia e Kosovo (relazioni conflittuali), mentre sulla Turchia il giudizio è pesante: “i negoziati di adesione sono in fase di stallo dal 2018. Il Paese non ha invertito la tendenza negativa di allontanamento dall’Unione europea e ha perseguito in misura limitata le riforme legate all’adesione”. Infine la Commissione ha illustrato il nuovo “piano di crescita” per i Balcani occidentali da 6 miliardi di euro, inteso quale “catalizzatore per accelerare il reale sviluppo socioeconomico e l’integrazione all’interno della regione”.

Questione casa. Granata (Comitato Settimane sociali): “Non dobbiamo più costruire alloggi, impegniamoci per un’equa distribuzione e accessibilità”

Gio, 16/11/2023 - 08:05

“Quello che non dobbiamo più fare, l’abbiamo capito, è dare le case popolari alle famiglie povere, le comunità di minori ai minori, i dormitori per gli studenti… Le monofunzioni, soluzione adottata nel passato, oggi è veramente fuori tempo massimo. Oggi la risposta deve essere trasversale. E abbiamo mille esempi in Italia in cui si è resa concreta la convivenza tra esigenze abitative diverse”. Così Elena Granata, professore associato al Politecnico di Milano dove insegna Urbanistica e Analisi della città e del territorio e vicepresidente del Comitato scientifico e organizzatore delle Settimane sociali dei cattolici in Italia, commenta al Sir le parole sulla “questione casa” pronunciate lunedì 13 novembre dal card. Matteo Maria Zuppi ad Assisi nella prolusione dell’Assemblea generale straordinaria della Cei. Poche ore prima, a Napoli, il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, si era espresso sulla questione degli alloggi per studenti universitari fuori sede ricordando come già Federico II avesse provveduto a soluzioni a prezzi calmierati.

(Foto Settimane sociali)

Professoressa, sia il card. Zuppi sia Mattarella hanno riacceso il faro sul diritto all’abitare, un aspetto emergenziale della vita sociale del Paese…
Questa è una storia antica per l’Italia. Perché ricorsivamente il tema dell’emergenza abitativa ritorna. In questo momento, dopo la pandemia, con il risveglio del turismo in molte città – da Milano a Firenze ma persino anche Napoli – entrano in conflitto la domanda abitativa degli studenti o delle famiglie con quella temporanea dei turisti.

Non dobbiamo dimenticarci che l’Italia un Paese fondato sui piccoli proprietari. E l’attuale situazione nasce da quella avidità che fa prevalere la possibilità di chiedere qualunque prezzo per un appartamento.

In una città come Milano, oggi, una famiglia che è proprietaria di un piccolo alloggio può permettersi di chiedere qualunque cifra sia per la vendita che per l’affitto. La competizione, questo conflitto tra un turismo ricco e investitori ricchi e la domanda abitativa media, che è quella degli studenti e delle famiglie, vede i più fragili perdere la battaglia.

Come invertire la rotta?
È una questione che ha a che fare con la cultura abitativa e la cultura dei diritti. Ecco perché sono importanti i richiami sia dal presidente della Cei che dal presidente della Repubblica. Perché devono fare leva su una cultura civile che fa capire che

se l’abitare è soltanto una rendita, noi ci perdiamo il bello e il giusto delle città e quindi avremo città dove ci sono turisti d’affari e investitori stranieri e non avremo più le famiglie e gli studenti. E questo è un danno per le città, non solo per gli studenti o per le famiglie; è un danno per le città perché se le città perdono quest’anima viva, muoiono e ne risente persino l’economia.

Come va cambiata la politica abitativa, come disegnare le città per evitare questo rischio?
Non dobbiamo più costruire case, non dobbiamo più costruire alloggi per studenti, non dobbiamo più costruire grattacieli… Perché

non è un problema di quantità, è un problema di equa distribuzione e accessibilità,

è un problema di regole. Alla carenza di alloggi finora la risposta del mercato, delle imprese, degli architetti è stata costruiamone di nuovi.

Il 13 novembre la Cabina di regia per il Piano nazionale di ripresa e resilienza ha confermato le proposte di revisione già inviate alla Commissione Ue finalizzate a individuare soluzioni attuative necessarie ad assicurare il raggiungimento del target finale previsto per l’housing universitario…
Stiamo dando una risposta sbagliata ad una domanda giusta. La domanda di case è giusta e le case ci sarebbero.

L’Italia è il Paese che ha più vani vuoti di tutta Europa, quindi abbiamo case vuote ma costruiamo case nuove. Questo è folle, no? Perché entra in conflitto con la tutela del territorio, il consumo di suolo, provocando cambiamenti climatici e l’aumento dei prezzi.

Ad una domanda giusta la risposta giusta è come creare le condizioni per cui si temperano le ambizioni di guadagno di Airbnb, si pongono dei limiti, si facilita l’affitto, si facilita l’ingresso dei gruppi più fragili attraverso una mediazione – l’intermediazione politica o delle associazioni. Ma certo

la soluzione non è costruire nuove case,

perché l’Italia ha sempre dato questa risposta. Costruisce villette, case, dormitori e la domanda abitativa non cala di un’unità. Questo è folle!

Il card. Zuppi ha parlato delle città turistiche nelle quali si preferisce guadagnare trasformando gli appartamenti in B&B piuttosto che affittare a prezzi calmierati alle famiglie o a studenti fuori sede…
I proprietari preferiscono guadagnare di più con Airbnb e non fare una scelta etica, che è quella di privilegiare l’arrivo di una famiglia giovane o di un gruppo di studenti a prezzi equi. Su questo bisogna battere il chiodo, perché è un tema di etica civile, di responsabilità collettiva, di strategia di un Paese.

Bisogna decidere se preferiamo essere il Paese di Airbnb disponibile alle scorribande dei turisti di tutto il mondo o un Paese dove ancora si può vivere.

Purtroppo, città come Firenze e Venezia questa scelta un po’ l’hanno già fatta, perché da tempo hanno mandato fuori i cittadini dalla città. Quando invece la vocazione principale dovrebbe essere quella di trattenere.

È a conoscenza di qualche “buona pratica” che va controcorrente?
C’è un bellissimo esempio di possibilità di tenere insieme le cose, che è una cooperativa sociale di Padova, la Città So.la.re., che ha messo insieme accoglienza turistica, housing sociale e accoglienza dei poverissimi; tutti nella stessa struttura. A riprova del fatto che anche in una città molto turistica, che farebbe entrare questi gruppi in competizione, si può trovare una sintesi. Città So.la.re. nella stessa struttura accoglie il turista che passa a vedere le bellezze di Padova o il “piano freddo” per i senza dimora. E ci si trova a colazione in una sintesi anche architettonica, molto sportiva ma molto decorosa, che fa sì che le persone si possano incontrare, anche se hanno motivi diversi per abitare la città. Si può fare e dev’essere replicato. Su questo fronte, ad esempio,

la cooperazione sociale oggi può indicare delle vie diverse senza rinunciare al profitto, cioè alla sostenibilità economica, perché ovviamente non si tratta di opere di beneficenza, ma di un mercato ispirato all’economia civile, quindi che mette insieme le esigenze di sopravvivenza economica con quelle di giustizia sociale.

Messa per la pace. Card. Zuppi: “Facciamo nostro il grido di Rachele”

Mer, 15/11/2023 - 20:24

(da Assisi) Da Santa Chiara a San Francesco, nel cuore di Assisi, in processione con le fiaccole accese per implorare la pace in ogni angolo del mondo. È l’immagine-simbolo della 78ª Assemblea generale dei vescovi italiani, che ha conosciuto il suo momento culminante al termine della terza giornata di lavori. Prima i Vespri recitati nella basilica di Santa Chiara, poi la processione dei vescovi verso la Chiesa inferiore della basilica di San Francesco, per la celebrazione della Messa presieduta dal card. Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna e presidente della Cei, con la preghiera sulla tomba del santo. A guidare il Vespro e la processione è stato mons. Domenico Sorrentino, arcivescovo-vescovo di Assisi – Nocera Umbra – Gualdo Tadino e arcivescovo-vescovo di Foligno. “Il cuore di tutti noi – la preghiera prima della processione – è colmo di dolore per le guerre che lacerano il nostro tempo. Questa sera, unendoci all’anelito di pace che si innalza da tutti gli angoli della terra, ci mettiamo in cammino per sostare in preghiera presso la tomba di san Francesco, uomo di riconciliazione e fraternità. Affidandoci alla sua intercessione, supplichiamo Dio Padre, che in Cristo Gesù ha pacificato il cielo e la terra, di allontanare gli orrori della violenza e di donarci giorni di pace”. Un’invocazione, questa, che evoca la dichiarazione dei vescovi per la pace diffusa al termine della sessione mattutina di oggi, in cui i presuli riuniti in assemblea hanno espresso la loro

“preoccupazione per l’escalation di violenza e odio di questi giorni, che sta assumendo proporzioni sempre più tragiche”,

facendo proprio – come ha fatto poi in serata il cardinale presidente dalla basilica di San Francesco – l’appello al cessate il fuoco in Terra Santa rivolto dal Papa durante l’Angelus di domenica scorsa, insieme a quello per la liberazione degli ostaggi.

 “Insieme al Medio Oriente, il nostro pensiero va anche all’Ucraina, al Sud Sudan e ai tanti altri luoghi segnati da conflitti spesso dimenticati”,

la portata universale della dichiarazione di pace dei vescovi italiani: “non possiamo rassegnarci al silenzio. La costruzione della pace è responsabilità di tutti. Non vogliamo che la cultura dell’odio e del pregiudizio continui a seminare divisione, distruzione e morte”.

“Nella confusione e nell’incertezza della nostra vita il Signore ci chiede di non restare inerti davanti alla violenza, di non di farci mai irretire dalla sua logica, ma di essere con convinzione artigiani di pace”, l’invito del presidente della Cei davanti alla tomba di San Francesco. A “chi ha tra le mani il destino di interi popoli”, Zuppi ha ricordato che “niente è perduto con la pace”.

La guerra, invece, “è una lebbra terribile,

che consuma il corpo delle persone e dei popoli, ne fa perdere l’anima, tanto che non si è più capaci di amare, segnati dall’odio, dalle ferite della violenza”.

“Oggi facciamo nostro il grido di Rachele, di tutte le madri da cui viene un pianto e un lamento grande e non vogliono essere consolate perché ‘i suoi figli non sono più’”, ha assicurato il cardinale: “Sono le lacrime di tutte le Rachele, di intere città e popolazioni, della Terra Santa, dell’Ucraina, di milioni di persone. Sono le nostre lacrime, che diventano preghiera insistente e ispirano azioni e scelte”.

“San Francesco ci ricorda che l’impegno per la pace non è di qualcuno, non c’è mai la pace se il fratello è in guerra”, il monito di Zuppi, secondo il quale “ogni cristiano ha una straordinaria forza di pace. Anche quando la sua parola sembra non generare nulla. La pace e l’amore, il bene, producono sempre pace e bene, quando non lo vediamo. Ed è sempre umile e possibile a tutti”.

“Liberiamoci da pericolose polarizzazioni che nutrono lo scontro e scegliamo con convinzione, intelligenza e forza l’unica parte che è quella della pace”,

l’appello: “Non si resta a guardare”, perché “l’odio produce solo odio e non darà mai sicurezza e pace”, come non si stanca di ripetere Papa Francesco. Da Assisi, terra e spazio di pace, dove Giovanni Paolo II ha scelto di convocare lo storico incontro interreligioso del 27 ottobre 1986, il presidente della Cei ha scelto di concludere l’implorazione corale dei vescovi italiani per la pace citando integralmente la preghiera di “un grande vescovo italiano, don Tonino Bello, fino alla fine artigiano di pace e cantore dell’amore di Dio”: “Spirito Santo, dono del Cristo morente, fa’ che la Chiesa dimostri di averti ereditato davvero. Trattienila ai piedi di tutte le croci. Quelle dei singoli e quelle dei popoli. Ispirale parole e silenzi, perché sappia dare significato al dolore degli uomini. Così che ogni povero comprenda che non è vano il suo pianto, e ripeta con il salmo: ‘le mie lacrime, Signore, nell’otre tuo raccogli’. Rendila protagonista infaticabile di deposizione dal patibolo, perché i corpi schiodati dei sofferenti trovino pace sulle sue ginocchia di madre. In quei momenti poni sulle sue labbra canzoni di speranza. E donale di non arrossire mai della Croce, ma di guardare ad essa come all’antenna della sua nave, le cui vele tu gonfi di brezza e spingi con fiducia lontano”.

Voci dall’Ucraina: “Abbiamo l’impressione di essere dimenticati. Ci manca la pace, chiedete la pace”

Mer, 15/11/2023 - 20:23

“Gli ucraini hanno l’impressione di essere dimenticati. Per questo ogni parola, ma soprattutto ogni iniziativa di preghiera è per noi preziosa perché non permette al silenzio di coprire il dolore del nostro popolo. Se poi sono i vescovi ad unirsi per chiedere il dono della pace, e si uniscono nella città di San Francesco, allora la loro preghiera è ancora più importante”. Da Kyiv, è mons. Oleksandr Yazlovetskyi, vescovo ausiliare della diocesi, a commentare al Sir, la preghiera per la pace che dai vescovi italiani riuniti in assemblea plenaria, si alza da Assisi. “L’inverno si sta avvicinando e comincia a fare freddo”, racconta il vescovo. “Sono stati lanciati missili anche stanotte ma tutti qui parlano di un attacco molto forte che dovrebbe arrivare a breve. Viviamo così, nel freddo dell’inverno e in uno stato costante di paura per quello che da un momento all’altro può succedere”. Assisi è la città di Francesco, la città della pace e dei più poveri. “I poveri di guerra sono tantissimi”, commenta il vescovo ausiliare di Kyiv. “I primi sono sicuramente coloro che in guerra hanno perso un familiare. All’inizio del conflitto le persone raccontavano di amici e conoscenti morti. Oggi, non c’è nessuna famiglia qui in Ucraina che non sia stata direttamente toccata da un lutto. Si piangono mariti, fratelli, figli e queste perdite hanno lasciato ferite profonde. L’altro volto della povertà è anche quella di chi ha perso tutto in guerra. L’Ucraina non era un paese povero. La gente aveva una casa, un lavoro. Con la guerra ha perso tutto. Alcuni sono dovuti fuggire dalle proprie case portando con sé solo una piccola valigia. E poi ci sono gli sfollati. Si contano 8 milioni di ucraini fuggiti dal paese. Sono tantissimi e sono stati accolti da tanti paesi, dalle chiese in Europa, dall’Italia e di questo siamo grati”. Il futuro è però ancora incerto. “Abbiamo bisogno di essere aiutati”, dice il vescovo. “Senza la protezione di Europa e Stati Uniti siamo finiti”. Che nel concludere, aggiunge: “Ci manca la pace. Chiedete la pace”.

(Foto mons. Ryabukha)

E’ appena tornato da una missione tra le comunità e le parrocchie di Donetsk. Mentre ad Assisi, i vescovi italiani pregano per la pace, mons. Maksym Ryabukha, vescovo ausiliare dell’Esarcato greco-cattolico di Donetsk, nel Donbass, parla al Sir della situazione di guerra che la popolazione e le comunità cattoliche continuano a vivere in Ucraina. L’11 e il 12 novembre, mons. Maksym Ryabukha, ha visitato tre parrocchie nella regione di Donetsk. Si sono uniti a lui anche i seminaristi del Seminario teologico della Trinità di Kyiv. Raggiunto al telefono, il vescovo ricorda che “esattamente un anno fa, il 16 novembre 2022, due nostri sacerdoti religiosi redentoristi di Berdyansk, padre Ivan Levytskyi e padre Bohdan Geleta, sono stati catturati dai russi”. L’anniversario brucia. “Li hanno presi in ostaggio, portati via. Da allora non abbiamo nessuna notizia. Non sappiamo né dove sono né come stanno. Tra l’altro uno di loro ha una grave forma di diabete. Per loro preghiamo ogni giorno e per tutti coloro che sono prigionieri, chiediamo preghiere”. Il pensiero del vescovo va quindi a “tutti i civili catturati dai russi, torturati e maltrattati dei quali non abbiamo più notizie. Non riusciamo neanche a trattare per uno scambio visto che l’esercito ucraino non prende in ostaggio i civili russi. Pertanto non esiste un meccanismo per liberare i civili ucraini. E questo è uno dei tanti volti del dramma di questa guerra: l’ingiustizia. Preghiamo e affidiamo al Signore prima di tutto tutte queste persone che sono vittime di sofferenze e maltrattamenti senza motivo e di cui nessuno parla. E preghiamo anche per la conversione dei cuori di chi agisce per odio, insensato, immotivato”.

Papa Francesco: “preghiamo per la pace, vogliamo la pace”

Mer, 15/11/2023 - 11:00

“Preghiamo per la pace. Vogliamo la pace!”. È l’esortazione con cui Papa Francesco ha concluso l’udienza di oggi, dedicata alla gioia sulla scorta dell’Evangelii gaudium, che in questi giorni compie dieci anni. “Preghiamo fratelli e sorelle per la pace, in modo speciale per la martoriata Ucraina, soffre tanto”, le parole di Francesco: “E poi in Terra Santa, Palestina, Israele. E non dimentichiamo il Sudan che soffre tanto. E pensiamo: dovunque c’è la guerra, ci sono tante guerre, preghiamo per la pace. Ogni giorno qualcuna si prenda qualche tempo per pregare per la pace. Vogliamo la pace”.

“Gesù è la gioia. O annunciamo Gesù con gioia o non lo annunciamo,

perché un’altra via di annunciarlo non è capace di portare la era realtà di Gesù”, ha esordito a braccio il Papa.

“Un cristiano scontento, triste, insoddisfatto o, peggio ancora, risentito e rancoroso non è credibile”,

il monito di Francesco: “Parlerà di Gesù, ma nessuno gli crederà”. “Una volta mi diceva una persona di queste persone: ‘sono cristiani con faccia di baccalà’, cioè non esprimono niente”, ha proseguito a braccio: “E la gioia è essenziale. Il Vangelo non è un’ideologia, è un annuncio di gioia: le ideologie sono fredde, tutte, il Vangelo ha il calore della gioia. Le ideologie non sanno sorridere, il Vangelo è un sorriso, ti fa sorridere perché ti tocca l’anima con la buona notizia. La nascita di Gesù, nella storia come nella vita, è il principio della gioia”.

“L’incontro con Gesù sempre ti porta alla gioia, e se questo non succede, non è vero incontro con Gesù”,

il monito ancora fuori testo. “I primi a dover essere evangelizzati siamo noi cristiani, e questo è molto importante”, ha osservato il Papa: “Immersi nel clima veloce e confuso di oggi, pure noi, infatti, potremmo trovarci a vivere la fede con un sottile senso di rinuncia, persuasi che per il Vangelo non ci sia più ascolto e che non valga più la pena impegnarsi per annunciarlo. Potremmo addirittura esser tentati dall’idea di lasciare che gli altri” vadano per la loro strada”. “Invece proprio questo è il momento di ritornare al Vangelo per scoprire che Cristo è sempre giovane e fonte costante di novità”, la proposta di Francesco sulla scorta dell’Evangelii gaudium: “Così, come i due di Emmaus, si torna nella vita quotidiana con lo slancio di chi ha trovato un tesoro; erano gioiosi, perché avevano trovato Gesù e gli ha cambiato la vita. E si scopre che l’umanità abbonda di fratelli e sorelle che aspettano una parola di speranza”.

“Il Vangelo è atteso anche oggi”, la tesi del Papa: “l’uomo di oggi, come l’uomo di ogni tempo ne ha bisogno, anche la civiltà dell’incredulità programmata e della secolarità istituzionalizzata; anzi, soprattutto la società che lascia deserti gli spazi del senso religioso. Ha bisogno di Gesù”.

“Questo è il momento favorevole all’annuncio di Gesù”, l’invito: “La gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù. Coloro che si lasciano salvare da lui sono liberati dal peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore, dall’isolamento”. “Con Gesù Cristo sempre nasce e rinasce la gioia: non dimentichiamo questo”, ha concluso il Papa a braccio: “E se qualcuno di noi non percepisce questa gioia, si domandi se ha trovato Gesù. Una gioia interiore: il Vangelo va sulla strada della gioia, sempre”. Di qui l’invito ad ogni cristiano “a rinnovare oggi stesso il suo incontro personale con Gesù Cristo”: “Ognuno di noi oggi si prenda un po’ di tempo e pensi: Gesù, tu sei dentro di me, voglio incontrarti tutti i giorni. Tu sei una persona, non un’idea. Tu sei un compagno di cammino, non un programma. Tu sei amore, che risolve tanti problemi.  Tu sei l’inizio dell’evangelizzazione, la fonte della gioia!”.

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Pope Francis: “we pray for peace, we desire peace”

Mer, 15/11/2023 - 11:00

“Let us pray for peace. We desire peace”: with this exhortation, Pope Francis brought to a close the weekly general audience dedicated to joy, drawing on Evangelii gaudium, which marks its tenth anniversary this week. “Let us pray, brothers and sisters, for peace, and especially for the martyred Ukraine, which suffers so much.” The Holy Father also turned his thoughts “to the Holy Land, to Palestine, to Israel. And let us not forget Sudan, which suffers so much. And we should remember that wherever there is war, there is so much war, we should pray for peace. Let there be someone every day who takes the time to pray for peace. We desire peace.”

“Jesus is joy. Either we proclaim Jesus with joy, or we do not proclaim him,

because another way of proclaiming him is not capable of bringing the true reality of Jesus”, the Pope said in the opening lines of his catechesis.

“A sad Christian, a dissatisfied, or worse still, resentful or rancorous Christian, is not credible”,

Francis said to the faithful: “This person will talk about Jesus but no-one will believe him!” “Once someone said to me, talking about these Christians: ‘But these are po-faced Christians!’, that is, they express nothing,” the Pope continued in unscripted remarks: “Joy is essential. The Gospel is not an ideology. The Gospel is a proclamation of joy. Ideologies are cold, all of them. The Gospel has the warmth of joy. Ideologies do not know how to smile; the Gospel is a smile, it makes you smile because it touches the soul with the Good News. The birth of Jesus, in history as in life, is the source of joy.”

“An encounter with Jesus always brings you joy, and if this does not happen to you, it is not a true encounter with Jesus”,

Francis said, again departing from the written text. “The first who to need to be evangelized are us: we Christians. And this is very important”, the Pope said: “Immersed in today’s fast-pace and confused environment, we too indeed may find ourselves living our faith with a subtle sense of renunciation, persuaded that the Gospel is no longer heard and no longer worth striving to proclaim. We might even be tempted by the idea of letting ‘others’ go their own way.” “Instead, this is precisely the time to return to the Gospel to discover that Christ “is forever young, he is forever a constant source of newness”, is Francis’ proposal drawing on Evangelii gaudium: “Thus, like the two at Emmaus, one returns to daily life with the enthusiasm of one who has found treasure: they were joyful, those two, because they had found Jesus, and he changed their life. And one discovers that humanity abounds with brothers and sisters waiting for a word of hope.”

“The Gospel is awaited even today”, the Pope said: “People of today are like people of all times: they need it. Even the civilization of programmed unbelief and institutionalized secularity; indeed, especially the society that leaves the spaces of religious meaning deserted, needs Jesus.”

“This is the right moment for the proclamation of Jesus.” The Holy Father thus extended his invitation to everyone: “The joy of the Gospel fills the hearts and lives of all who encounter Jesus. Those who accept his offer of salvation are set free from sin, sorrow, inner emptiness and loneliness.” “With Christ joy is constantly born anew: do not forget this. And if anyone does not perceive this joy, they should ask themselves if they have found Jesus. An inner joy. The Gospel takes the path of joy, always, it is the great proclamation.” The Holy Father thus renewed the invitation to “all Christians, everywhere, at this very moment, to a renewed encounter with Jesus”: “Each one of you, take a little time and think: ‘Jesus, you are within me. I want to encounter you every day. You are a Person, you are not an idea; you are a travelling companion, you are not a programme. You, Jesus, are the source of joy. You are the beginning of evangelization. You, Jesus, are the source of joy!’

Israele e Hamas. P. Faltas (Vicario Custodia): “Sarebbe una grazia se questa guerra finisse dopo 40 giorni di morte”

Mer, 15/11/2023 - 10:00

Da oltre un mese la guerra sconvolge la Terra Santa e il mondo. Noi arabi ricordiamo i defunti nel quarantesimo giorno dopo la morte. Siamo al quarantesimo giorno di guerra e ogni giorno aumenta la lunga catena di violenza che provoca ancora altri morti e altra sofferenza. Per 40 anni gli Ebrei vissero nel deserto del Sinai, prima di arrivare alla Terra promessa. Gesù visse nel deserto della Giudea quaranta giorni di solitudine, di fame, di tentazioni. Per quaranta giorni la Basilica della Natività e Betlemme furono isolate per l’assedio con morti, limitazioni e paure. Quaranta giorni dopo la Santa Pasqua, Gesù Risorto salì alla destra del Padre per dare compimento alla promessa di salvezza.

Siamo sconvolti. Questa guerra sta ‘producendo’ numeri altissimi che aumentano ogni momento e che sembrano essere ancora più alti di quelli dichiarati, ma non si adottano soluzioni più ferme e giuste e non si mettono in campo soluzioni definitive. Si continua ad armare mani fratricide. Si discute sulla durata di brevi tregue umanitarie, due, tre, quattro ore mentre sappiamo che ogni dieci minuti muore un bambino. Sappiamo di calcoli, numeri, strategie, statistiche da una parte, sofferenze, dolori, distruzione, tristezza infinita dall’altra, ma al centro non vediamo la salvezza e la tutela della vita che è sacra come ripete sempre Papa Francesco.

Difendere la vita. Abbiamo visto in un mese quello che non avremmo mai immaginato e che purtroppo continua, nonostante il mondo sia sconvolto da tanta violenza. Ogni singola vita umana ha un valore alto e dovrebbe essere difesa con tutte le forze. Assistiamo a tanta disumanità senza poterla fermare, ascoltiamo parole che non impediscono la morte di tante persone, guardiamo case e costruzioni colpite senza poter fare nulla. Anche l’aria sporca di polvere e sangue sembra immobile in attesa che qualcosa di buono possa accadere.

Moltiplicare i doni. Sabato 11 novembre abbiamo ricordato a Tabga, in Galilea sul lago di Tiberiade, il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci. I miei confratelli e la gente sentono la guerra avvicinarsi al fronte nord mentre le sirene annunciano l’arrivo di razzi e di missili. Anche in Galilea soffrono per la mancanza di pellegrini nei luoghi Santi e la paura si è impadronita delle persone. Durante la Messa ho visto la generosa offerta del pane e ho chiesto a Gesù Misericordioso di moltiplicare ai bambini di Gaza i doni di cui ogni bambino ha bisogno: vita, salute, amore, sostentamento, istruzione, gioco e futuro!

(Foto AFP/SIR)

Esempi di odio. Abbiamo negato ai bambini ogni possibilità di crescere in serenità. A tutti i bambini, non solo israeliani e palestinesi, stiamo consegnando un mondo pieno di esempi di odio e di violenza. Abbiamo negato a tutti loro il diritto di sognare, di sperare, di aver fiducia nel prossimo, di vivere in Pace. Abbiamo negato a tutti loro il diritto a non avere paura! I bambini pregano e chiedono Pace. Chi li ascolta? Traggono forza dalla preghiera e confidano solo in Dio Onnipotente. Sarebbe una Grazia se questa guerra finisse dopo 40 giorni di morte, di sofferenza, di isolamento e si potesse tornare a vivere nella luce della Pace!

Israel and Hamas. Father Faltas (Vicar of the Custody): “It would be a grace if this war ended after forty days of death”

Mer, 15/11/2023 - 10:00

The war has been raging for more than a month in the Holy Land and throughout the world. We Arabs commemorate our deceased on the 40th day. We are now in the fortieth day of this war, and each day adds to the long chain of violence that is causing further suffering and death. The Jewish people wandered in the Sinai desert for 40 years before reaching the Promised Land. Jesus spent 40 days and nights of solitude, prayer, and fasting in the Judean wilderness. For forty days the Basilica of the Nativity and Bethlehem were besieged, with deaths, restrictions and fears. Forty days after Easter, the Risen Jesus ascended to the right hand of the Father to fulfil the promise of salvation.

We are devastated. This war is ‘giving rise’ to figures that are increasing by the minute and seem to be even higher than those reported, but no decisive and fair solutions are being adopted. Fratricidal hands are being armed. While we know that a child dies every ten minutes, discussions are held on the duration of short-term humanitarian ceasefires: two, three, four hours. We see figures, calculations, strategies, statistics being presented on one side, suffering, pain, destruction, infinite sadness on the other, but at the heart of it all we cannot see the salvation and protection of human life, which is sacred, as Pope Francis keeps repeating.

Defence of human life. In the past month, we have seen things that we would never have imagined and which, unfortunately, continue to happen regardless of the fact that the world is shocked by so much violence. Every human life is precious and should be defended with all our heart. We are witnesses to so much inhumanity without being able to stop it, we are hearing words that cannot prevent the death of so many people, we are seeing houses and buildings hit without being able to do anything about it. Even the air, which is stained with dust and blood, seems to stand still, waiting for something good to happen.

The multiplication of gifts. On Saturday 11 November, in Tabgha, on the shores of Lake Tiberias in Galilee, we celebrated the miracle of the multiplication of the loaves and fishes. My confreres and the local community can perceive that war is approaching on the northern front, as the sirens announce the incoming rockets and missiles. The people of Galilee are also suffering from the absence of pilgrims to the Holy Places. They are living in a state of fear. During Holy Mass, I saw the generous offering of bread and I asked the Merciful Jesus to multiply for the children of Gaza the gifts that every child needs: life, health, love, food, education, the opportunity to play and to have a future!

A world with so much hatred. We have deprived children of every opportunity to grow up in peace. We are leaving all children – not just Israelis and Palestinians – a world with so much hatred and violence. We have robbed them of their right to dream, to hope, to trust their neighbours, to live in peace. We have denied them the freedom from fear! Children pray and ask for peace. Is anyone listening to them? They draw their strength from prayer and trust only in the Almighty. It would be a grace if, after 40 days of death, suffering and isolation, this war ended and everyone returned to live in the light of peace!

Pace, sinodalità ed evangelizzazione alla sessione autunnale della Conferenza episcopale degli Stati Uniti

Mer, 15/11/2023 - 09:53

(da New York) Si è aperta all’insegna della pace, della sinodalità e dell’evangelizzazione, la sessione autunnale della Conferenza episcopale degli Stati Uniti, che si sta tenendo a Baltimora fino al 16 novembre.

L’arcivescovo Timothy P. Broglio, ordinario militare e presidente dei vescovi Usa, nella messa di inizio celebrata nella Basilica dell’Assunzione della Beata Vergine Maria di Baltimora, la prima cattedrale cattolica del Paese, ha chiesto di pregare per la pace e la riconciliazione, particolarmente in Medio Oriente ricordando che “la sofferenza e la morte di innocenti da entrambe le parti continua a inorridire tutte le persone di buona volontà”. Anche nel suo discorso di apertura Broglio è tornato sul Medio Oriente richiamando “il diritto di Israele ad esistere e a godere di un posto tra le Nazioni”, aggiungendo che anche i palestinesi “che rappresentano la maggioranza dei cristiani in Terra Santa, hanno diritto a una terra che sia loro”. Un diritto che i vescovi americani implorano come fa da tempo la Santa Sede. Il pensiero di Broglio va anche al Libano che “si è fatto carico da tempo del peso di milioni di rifugiati” e alla Siria “dimenticata nelle deliberazione dei potenti”. Il presidente dei vescovi americani valutando le sanzioni applicate dagli Usa, ne sottolinea l’inefficacia perchè la classe dirigente continua ad avere “ciò di cui ha bisogno e i poveri non riescono a trovare il carburante per cucinare un pasto o mettere in moto un veicolo”. Serve quindi una soluzione, non solo da pregare, ma da attuare. Ucraina, Nicaragua, Myanmar e Africa sono stati gli altri fronti citati da Broglio

Il tema della sinodalità è stato centrale nel discorso del cardinale Christophe Pierre, nunzio apostolico negli Stati Uniti, che ha incoraggiato la gerarchia statunitense ad abbracciare una Chiesa in ascolto anche se i risultati di questo processo sono incerti e modellati dalle storie di coloro le cui esperienze differiscono dalle loro. “Dobbiamo avere il coraggio di ascoltare il punto di vista delle persone, anche quando tali prospettive contengono errori e incomprensioni”, ha affermato Pierre, spiegando che “se rimaniamo in cammino con le persone, il momento dell’illuminazione arriverà come opera della grazia di Dio”. Il nunzio ha riconosciuto che il processo sinodale ha sollevato preoccupazioni tra alcuni leader della Chiesa. “Potremmo aver avuto paure o ansie riguardo a questo sinodo, soprattutto se ci fossimo concentrati su una particolare ‘agenda’ o ‘idea’, sia negativa che positiva”, ha continuato il nunzio, ribadendo che “ non è questo il significato della sinodalità”, che mira invece all’evangelizzazione del mondo di oggi, che ha un così disperato bisogno del Vangelo della speranza e della pace”.

Nel suo discorso di indirizzo l’arcivescovo Timothy Broglio, presidente della Conferenza episcopale degli Stati Uniti, che ha partecipato al Sinodo il mese scorso, ha dichiarato che la Chiesa negli Stati Uniti è già sinodale e ha citato le riunioni regolari dei vescovi, dei consigli pastorali diocesani e le commissioni della Conferenza episcopale. “Anche se è vero che solo i vescovi membri votano, lo fanno dopo un intenso scambio tra tutti i partecipanti” ha sottolineato l’arcivescovo citando anche diversi programmi che “contribuiscono alla nuova evangelizzazione”, tra cui Focus, Evangelical Catholic e Reach More, senza escludere che possano essere necessarie nuove strutture o modalità di consultazione dei fedeli laici. L’iniziativa di risveglio eucaristico attuata negli ultimi anni dalla Chiesa statunitense, pur criticata per i costi, ha fatto nascere vari incontri locali che hanno aiutato una nuova comprensione del sacramento.

L’unità è stato invece un tema trasversale della giornata. Il cardinale Pierre ha dichiarato che i cattolici hanno bisogno che i vescovi “siano uniti gli uni agli altri” Hanno bisogno di vedere come la nostra diversità, armonizzata, mostra la bellezza della Chiesa e della fede cattolica”. Anche Broglio ha parlato di unità nel suo intervento, pur riconoscendo che forse non esiste un unico approccio all’evangelizzazione. “Possiamo avvicinarci alla missione in modi diversi, ma siamo convinti che il nostro mandato è portare tutti a un’esperienza di Gesù Cristo, che non lasci nessuno indifferente o uguale”, ha detto il presidente dei vescovi.

Pesa sulla plenaria la decisione di papa Francesco, presa domenica scorsa, di sollevare dal governo pastorale della diocesi di Tyler, in Texas, il vescovo Joseph E. Strickland, dopo una visita apostolica di mesi a conclusione della quale era stata raccomandata al papa proprio la rimozione del presule. Strickland, particolarmente critico delle posizioni dottrinali di Papa Francesco non era presente alla plenaria, ma è stato intravisto a Baltimora da vari giornalisti, convinti che l’influenza del vescovo texano continuerà in una comunità più allargata, quella dei social, che non conosce confini e giurisdizioni. Oggi al centro dell’assemblea ci sarà la revisione della lettera pastoraleForming Consciences for Faithful Citizenship sull’impegno dei cattolici americani in vista delle elezioni del 2024.

Festival Dottrina sociale. Stizzoli (Fondazione Segni Nuovi): “Creare zone di vita dove favoriamo le relazioni, quelle vere e gratuite”

Mer, 15/11/2023 - 08:41

“Dobbiamo creare zone di vita dove favoriamo le relazioni. Questo non significa solo luoghi ma anche modi di essere che favoriscano la relazione, quella vera, non quella virtuale”. Così Alberto Stizzoli, presidente della Fondazione Segni Nuovi, presentando al Sir la XIII edizione del Festival della Dottrina sociale che si terrà al Palaexpo Verona Fiere dal 24 al 26 novembre.

Verona si prepara ad ospitare la XIII edizione del Festival della Dottrina sociale. Quest’anno il tema del confronto sarà “Socialmente liberi”. Da dove nasce questa scelta?

Dal fatto che ormai è chiaro che i social e tutto ciò che comporta lo sviluppo dell’intelligenza artificiale nei prossimi anni avranno un peso importante sulle relazioni. Già oggi i social incidono fortemente sui nostri comportamenti. E, a nostro parere, in qualche caso limitano, ci proteggono da coinvolgimenti, da vicinanze che magari dopo riteniamo pericolose.

Social e app fanno in modo che ormai non ci coinvolgiamo mai pienamente con gli altri.

Ecco, questa è una rivoluzione. Perché

l’uomo è sempre stato in relazione e fin dalla nascita ha bisogno degli altri, della mamma, della famiglia, della scuola, della formazione. Oggi corriamo il rischio, nel momento in cui crediamo di sviluppare queste relazioni, di porre invece un limite forte.

Se poi pensiamo al momento che si sta vivendo a livello internazionale, effettivamente anche questo, a nostro parere, mette in luce la mancanza delle buone relazioni che poi fa succedere tutto quello che vediamo quotidianamente.

Cinque anni fa al centro della riflessione del Festival c’era “Il rischio della libertà”. Rispetto ad allora, cosa pensa sia diventato più urgente nella nostra società?

Io penso che siamo tutti meno liberi. Non voglio essere pessimista, ma trovo che effettivamente

il nostro modo di stare nella società gode di meno libertà rispetto al passato.

Basta fare caso a ciò che succede nei confronti, nei talk show che tutte le sere vengono trasmessi in tv: o siamo con l’uno o siamo con l’altro, non esiste un’idea alternativa. E cos’è che manca di più? Secondo me c’è la mancanza di Dio. Mi spiego: abbiamo tanti punti di riferimento ma, purtroppo, in tanti non esiste più un legame con Dio. E così siamo tutti più controllabili.

La mancanza di libertà – la libertà che scaturisce dal riconoscere la presenza di Dio nell’uomo, nella società – mi sembra sia la cosa più urgente da affrontare.

Relazione, confronto, società sono parole e concetti che hanno sempre accompagnato la riflessione del Festival. E sono lo spazio nel quale possiamo esercitare la nostra libertà. I social media da una parte sembrano aver ristretto la frequentazione di questi spazi e dall’altra possono contribuire al venir meno della responsabilità individuale per via di un’idea distorta di libertà. Come evitare un ulteriore impoverimento culturale, affettivo e relazionale che mina la possibilità di creare e consolidare legami con ricadute positive per il bene comune?

Non so individuare una soluzione ad un problema così complesso. Però rilevo che ognuno guarda troppo dentro, troppo verso di noi; ognuno guarda al proprio interesse, al proprio benessere. C’è il primato dell’apparire più che quello dell’essere, come se il nostro scopo di vivere sia quello di farci vedere in un certo modo e non quello di essere. Secondo me il problema è proprio questo: pensiamo che questo modo di vivere aumenti la nostra comfort zone, facilitando il nostro modo di esistere. E invece l’atteggiamento vero è quello della relazione.

In che modo, secondo lei, gli insegnamenti della Dottrina sociale della Chiesa possono aiutarci ad essere “Socialmente liberi”?

Quello della Dottrina sociale è un discorso molto intenso, complesso, importante. Una volta ho detto ad un sacerdote: “Non sono mica capace di studiarla, la Dottrina sociale. Però bisogna soprattutto viverla…”. Ho chiaro un concetto: la Dottrina sociale della Chiesa è come una bussola. I quattro poli sono: il bene comune, ovviamente non considerato come multiproprietà; la persona, e non l’individualismo; la sussidiarietà, intesa come libera iniziativa e non come liberismo selvaggio; infine la solidarietà, non lo statalismo. È necessario avere chiari questi quattro concetti perché ognuno di noi possa applicarli dove è possibile, come è possibile, nelle modalità che vengono ritenute consone. E questo è il contributo forte della Dottrina sociale al nostro modo di operare.

“Assumerci il compito di educare al dono, facendo la fatica di mettere al mondo relazioni gratuite, e avendone cura: l’essere socialmente liberi passa anche per questa via”. Così si conclude il manifesto che spiega il tema scelto per questa edizione del Festival. Un impegno tutt’altro che semplice “in una società in cui tutto sembra disgregarsi”. Quale contributo pensa possa venire dal Festival?

Il Festival è una relazione gratuita. Ci sono persone che ci lavorano con un coinvolgimento di gratuità totale. Se guardiamo intorno a noi sperimentiamo ogni giorno come siamo tutti orientati ad avere relazioni che ci devono dare qualcosa, un ritorno. Invece,

la relazione con la persona dev’essere gratuita

e ha bisogno del nostro coinvolgimento, della nostra vicinanza. Il Festival è un luogo dove questo ce lo trasmettiamo e lo viviamo.

Per quanto riguarda il programma, c’è qualche evento o qualche protagonista che Le sta particolarmente a cuore segnalare?

La riflessione sul tema dell’intelligenza artificiale è importante, perché rappresenterà una novità ogni giorno nello scorrere del tempo. Chissà quali prospettive ci aprirà… Ma c’è un altro tema che mi sta molto a cuore: è quello della panchina, nella sua accezione sportiva.

Non pensiamo mai all’importanza che ha nella nostra vita passare dalla panchina: vorremmo essere sempre protagonisti, in mostra, sotto i riflettori… Ma sappiamo bene che esiste un periodo o un posto nella vita dove si deve passare dalla panchina. Dovremmo riflettere di più sul fatto che la squadra gioca bene anche perché ha una panchina che è cosciente di essere di supporto senza apparire.

Agnieszka Holland con “Green Border” inaugura il Tertio Millennio Film Fest

Mar, 14/11/2023 - 20:14

“Green Border” (“Zielona granica”) della regista polacca Agnieszka Holland è stato uno dei titoli più intensi e vibranti all’80a Mostra del Cinema della Biennale di Venezia, dove ha ottenuto il Premio speciale della giuria. Un racconto della condizione degli ultimi, dei migranti, ostaggio di violenze e disumanità sul confine tra Bielorussia e Polonia. Cinema di denuncia, di impegno civile, mosso dal desiderio di rendere giustizia a un’umanità disgraziata, dimenticata. Un’opera che lascia il segno nelle coscienze, oltre che una bruciante commozione. Ed è per questo che la Fondazione Ente dello Spettacolo ha voluto valorizzarla come titolo di apertura del XXVII Tertio Millennio Film Fest (14-18 novembre, Cinema Nuovo Olimpia, Roma), invitando la regista Holland a tenere una masterclass. “Green Border” ha avuto inoltre l’onore di una proiezione speciale presso la Filmoteca Vaticana. Il tema dell’edizione di quest’anno del Tertio Millennio è “L’armonia delle differenze”, nato dalle parole che papa Francesco ha rivolto all’Ente dello Spettacolo lo scorso 20 febbraio nell’Udienza per il 75° anno di attività. Un programma ricco e variegato, curato dal presidente FEdS mons. Davide Milani e dai direttori artistici Gianluca Arnone e Marina Sanna.

(Foto ASAC)

Agnieszka Holland e l’urgenza di dare voce ai dimenticati

“Una notizia eccezionale quando abbiamo saputo che volevate far vedere il nostro film in Vaticano e al Festival sul tema ‘L’armonia delle differenze’. È quello che abbiamo avuto in mente quando preparavamo il film; probabilmente le differenze sono una sfida, ma non sono la sorgente della paura. Sono una ricchezza”. Così la regista Agnieszka Holland, accompagnando la proiezione del suo film “Green Border” sia in Filmoteca Vaticana che al Cinema Nuovo Olimpia. La regista ha sottolineato come l’Europa si sia fatta cogliere impreparata quando nel 2015 è iniziata la prima ondata di profughi provenienti dalla Siria. “L’Europa non era preparata a tale sfida – ha indicato la Holland – ed è stata vittima della propria paura e dell’odio”. E ancora: “Abbiamo capito in quel momento che questo rappresentava il punto più debole dell’Europa e che sarebbe stata la sua sfida più importante. Ha deciso che doveva diventare una fortezza, ma non è possibile, perché la pressione della gente, dell’opinione pubblica, non lo permette”.
Entrando nelle maglie del film “Green Border”, sulle sofferenze dei migranti nella rotta tra Bielorussia e Polonia, la regista ha rimarcato: “Questo confine è fatto da un’enorme foresta, con fiumi e paludi pieni di animali selvatici; i rifugiati spesso non sapevano di tutto questo e si sono trovati in una trappola mortale. Il governo polacco ha deciso di usare le maniere forti, respingendoli verso la Bielorussia. I doganieri bielorussi li hanno torturati e poi rimandati oltreconfine. Molti profughi sono morti su suolo polacco, altri dentro la foresta”.
La Holland ha dichiarato: “Quando ho visto i volti di questi migranti ho deciso di voler raccontare le loro storie in un film, mostrando così la dimensione umana di tale tragedia, di tutte le persone coinvolte: rifugiati, polizia di confine e attivisti. Non si tratta di un documentario, ma è un film a soggetto, basato su una ricerca molto scrupolosa. Avevamo la speranza che questo film arrivasse anzitutto alle coscienze e ai cuori dei polacchi, ma siccome si tratta di un tema universale, abbiamo pensato il film per l’Europa tutta”.

(Foto SIR)

Un Festival che dà valore alle differenze

A intervenire insieme alla regista Agnieszka Holland è il presidente dell’Ente dello Spettacolo mons. Davide Milani, che partendo da una riflessione di papa Francesco sui migranti – nella conferenza stampa di ritorno dal viaggio apostolico a Marsiglia – ha dichiarato: “Quando ho sentito le parole del Papa, avevo nel cuore la visione del film ‘Green Border’. Avevo l’impressione che la visione del film continuasse nelle parole del Pontefice, nel ricordare come i migranti in molte frontiere del mondo siano trattati come palline da ping-pong. ‘Green Border’ è un film che ci interpella: ci chiede di prendere posizione davanti a queste persone. Vediamo un film, non un trattato sociologico, e siamo chiamati a lasciarlo parlare in noi. Questo è il migliore inizio per la XXVII edizione del Tertio Millennio Film Fest, voluto da un papa Santo, Giovanni Paolo II”.
Mons. Milani ha poi aggiunto: “Il tema scelto è ‘L’armonia delle differenze’. Siamo in un’epoca in cui le differenze non sono gradite. Invece questa visione è da superare. Vorremmo contribuire ad andare oltre tale idea della contrapposizione e lo facciamo attraverso l’armonia: come in musica, lasciando sentire tutte le note, i suoni tra loro differenti. E ancora, il concetto di differenze, che invita a radunare tutti intorno allo stesso tavolo, interpellando ciascuno a far emergere la propria originalità. Un lavoro che Tertio Millennio fa tutto l’anno anche attraverso il tavolo ecumenico e interreligioso”.
Tertio Millennio Film Fest (Tertiomillenniofilmfest.org) è organizzato dalla Fondazione Ente dello Spettacolo con il patrocinio del Dicastero per la cultura e l’educazione, del Dicastero per la Comunicazione della Santa Sede, dell’Ufficio comunicazioni sociali e dell’Ufficio nazionale per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso della Cei. Il festival punta a valorizzare una pluralità di sguardi cinematografici ma anche di riflessioni, grazie al lavoro condotto insieme alle altre principali comunità religiose presenti in Italia: Chiesa Valdese, Ucei, Ucoii, Coreis, Unione buddhista italiana e Unione induista italiana.

Il punto Cnvf-Sir sul film “Green Border”

Girato con un efficace bianco e nero, “Green Border” di Agnieszka Holland, elegante e angosciante, arriva come un’onda d’urto allo spettatore. Si rimane rapiti dal realismo e dall’immediatezza del suo racconto dai contorni documentaristici. “Green Border” è un film di denuncia che volge lo sguardo dove l’attenzione dei media sembra essere più stanca o distratta, al confine tra Polonia e Bielorussia, dove vengono ammassati migliaia di migranti bloccati in un braccio di ferro politico tra l’Unione Europea e il presidente Aljaksandr Lukašėnko.
La storia. Minsk, Bielorussia oggi, un aereo turco atterra con un gruppo di richiedenti asilo diretti in alcuni Paesi europei. In particolare, la storia segue una famiglia di profughi siriani cui si accoda una donna afgana in fuga dal regime dei Talebani. Dopo aver pagato generosamente un accompagnatore fino al confine, il gruppo è costretto a disperdersi nei campi appena toccato suolo polacco. Le forze militari polacche hanno l’ordine di rigettare ogni ingresso, e così avviene anche per loro. Seguiranno altri tentativi, intervallati da ripetute percosse, privazioni e situazioni dove la dignità umana viene meno. Uno scenario straziante, osservato anche attraverso la prospettiva di una giovane poliziotto polacco riluttante e di un gruppo di attivisti che prestano primo soccorso sul territorio.
La regista Holland vuole destare l’attenzione di tutti, politici e spettatori, verso un’emergenza dimenticata o meglio “declassata” su suolo europeo. Ci racconta l’odissea di questo gruppo di esuli che passano dagli sguardi fiduciosi nel momento in cui approdano a Minsk all’orrore più fosco lungo la linea di confine tra Polonia e Bielorussia, tratto definito “Confine verde”. Non si aspettano di trovare nel civilissimo e democratico Vecchio Continente un trattamento così disumano e degradante. La Holland firma un film di grande qualità e densità, in termini stilistici e tematico-valoriali. È molto efficace la divisione in capitoli, che si adatta ai diversi punti di vista narrativi: gli esuli, i militari polacchi, gli attivisti, la psicologa-volontaria Julia e nuovamente il giovane poliziotto. “Green Border” si rivela un’opera importante, convincente e necessaria, sottolineando il valore e l’impegno di una regista, la Holland, in prima linea per i diritti degli ultimi come altri grandi autori europei quali Ken Loach, i fratelli Dardenne e Gianfranco Rosi. Film consigliabile-complesso, problematico, adatto per dibattiti.

Noemi Di Segni (Ucei): “L’odio antisemita è radicato e mai sopito, bisogna combatterlo con la verità”

Mar, 14/11/2023 - 13:09

“La polarizzazione dipende da un odio antisemita radicato che non si è mai sopito. Emerge solo per gli ebrei e per nessun’altra tragedia al mondo. È dentro le nostre comunità. È frutto di un odio che esiste ed è radicato profondamente. Per vincerlo occorre individuare le responsabilità e avviare processi educativi. Occorre costruire processi di verità e di rispetto. Forse solo così usciranno persone che non odiano ma sanno guardare all’altro con rispetto”. Rispondendo alle parole sull’antisemitismo pronunciate ad Assisi dal card. Zuppi in apertura dell’assemblea plenaria della Cei, Noemi Di Segni, presidente dell’Unione delle Comunità ebraiche italiane (Ucei) – interpellata dal Sir – fa il “punto” sulla situazione vissuta anche qui in Italia dagli ebrei e sull’impatto che la guerra tra Israele e Hamas, scoppiata il 7 ottobre, sta avendo anche nel nostro Paese.

Il card. Zuppi nel suo intervento fatto riferimento al risorgere dell’antisemitismo. Come avete accolto queste parole?
Le parole di condanna dell’antisemitismo sono importanti ma sono anche un’affermazione ampia che è necessario esplicitare. L’antisemitismo parte dalla demonizzazione e dal disconoscimento di Israele e del suo diritto di difendersi e difendere la vita, prima ancora del territorio. Questo disconoscimento di Israele si esplicita come odio verso gli ebrei, ovunque siano, anche in Europa.

Quale situazione state vivendo nelle sinagoghe e nelle comunità ebraiche italiane?
Da un punto di vista organizzativo, c’è chiaramente un maggior rigore e un aumento di sicurezza, ma il desiderio di vita, e di vita ebraica, va avanti. Quindi non si interrompe nulla e si vuole dare un messaggio di fiducia anche nelle forze dell’ordine che consentono di poter svolgere l’attività regolare nelle scuole, nelle comunità, in sinagoga. Questo è quello che sta accadendo al nostro interno e che stiamo gestendo. Quello che invece preoccupa molto, perché è fuori dal nostro controllo, è la presenza di quelle persone che, senza la capacità di discernere, assorbono la propaganda che arriva dall’organizzazione terroristica di Hamas.

Perché parla di propaganda?
Ci sono un linguaggio ed una comunicazione di propaganda che distolgono dal vero problema, che è quello della difesa della vita. L’appello ai due Stati è molto giusto, ma non va rivolto solo a Israele. Va rivolto a chi l’ha sempre rifiutato, a chi continua a chiedere e volere l’annientamento e l’annullamento di un’altra realtà. E allora le parole di condanna dell’antisemitismo sono una dichiarazione di principio che tutti condividiamo, ma non c’è dubbio che siamo stati vittime di un attacco barbaro.

Le immagini che vengono da Gaza rendono crudele la guerra che sta conducendo Israele e possono ingenerare odio nelle persone che le guardano. Lei cosa pensa a questo proposito?
Le immagini dei bambini sono strazianti, ma sono le stesse immagini che riguardano altri conflitti nel mondo, sui quali nessuno si è mobilitato e di cui nessuno sa nulla.  Quel sabato mattina, la nostra gente in Israele stava facendo colazione, si stava svegliando nella propria casa. Perché non si parla piu di chi è arrivato a trucidare uomini, donne, anziani e bambini? Non è stato Israele a cercare questa guerra e se non ci fosse stata un’immediata reazione militare di difesa, quei massacri probabilmente sarebbero continuati. Riguardo a quanto sta accadendo a Gaza, ci sono persone e ci sono medici che lavorano lì, persone che credo sappiano anche molto bene di essere scudi umani, e forse, prima di essere vittime di Israele, rischiano di essere vittime di chi li tiene in ostaggio. Tra l’altro, so che continuano gli sforzi da parte dell’Idf per coordinare il trasferimento degli incubatori dall’ospedale israeliano all’ospedale Shifa a Gaza a dimostrazione dell’impegno a distinguere tra civili e terroristi di Hamas.

I soldati israeliani non entrano a trucidare né donne, né uomini né bambini, cercano di difendere la vita delle persone, compresi gli arabi, compresi i musulmani. 

Violenza chiama violenza.
C’è una guerra e c’è un ospedale circondato e attaccato. Gli appelli di disperazione che arrivano da lì, fanno male e tormentano. E’ davvero l’ultima cosa che qualsiasi israeliano vuole vedere. La morte a Gaza. Ed è il motivo per cui nessuno ha attaccato Gaza prima del 7 ottobre. Ma dal momento in cui siamo stati attaccati, che cosa pretende il mondo? Che Israele rimanga inerme e continui a far trucidare tutti i suoi cittadini? Davvero il mondo è disposto a chiudere gli occhi di fronte al massacro di uomini, donne anziani e bambini, trucidati, casa per casa, nello stile del pogrom, dei peggiori assassini, alla ricerca del dolore, della tortura? Davvero il mondo è disposto a non riconoscere il concetto di difesa. 

Come si costruisce la pace?
Insegnando il rispetto delle altre persone e della vita. Ma anche arginando la barbarie. Costruire la pace non vuol dire stare fermi e non fare nulla. Significa anche chiarire cosa è verità e cosa non lo è. Favorire percorsi e per processi educativi, di amore e di rispetto, lavorando ciascuno nella propria area e nella propria religione.

Nel suo discorso il card. Zuppi ha parlato anche di impegno educativo, religioso e civile della Chiesa italiana. Come si educa all’antisemitismo?
Si educa anzitutto alla convivenza trasmettendo al bambino, fin dalla nascita, la propria fede e la propria cultura ma allo stesso tempo educando al fatto che esistono altre persone al mondo che per ragioni storiche, geografiche e culturali seguono altre forme di riti, altre religioni ma che ciò non impedisce di vivere insieme. Questo deve essere fatto e questo non viene fatto a sufficienza.

Striscia di Gaza, la testimonianza di un medico: “Gli ospedali stanno diventando cimiteri”

Mar, 14/11/2023 - 13:06

“È una catastrofe umanitaria. Gli ospedali stanno diventando sempre più dei cimiteri”. Dall’Al-Ahli Arabi Baptist Hospital – gestito dalla Chiesa anglicana e situato nel quartiere Zeitoun di Gaza City – a parlare al Sir è uno dei medici del nosocomio dove lo scorso 18 ottobre è avvenuta una strage, con centinaia di morti e feriti, causata da un attacco le cui responsabilità vengono rimpallate da Israele e Hamas. “Molti ospedali della Striscia sono praticamente chiusi – spiega il medico che chiede di mantenere l’anonimato -. Il personale sanitario cerca di prestare le cure ovunque ci sia spazio a disposizione utilizzando quel che è rimasto di medicine e di presidi medico-sanitari. Manca praticamente tutto anche l’acqua da bere. Abbiamo bisogno di farmaci, antibiotici, anestetici per operare, siringhe, bende, carburante ed energia elettrica per mandare avanti le terapie intensive”.

“Morti e feriti non si contano più. È una catastrofe”

ripete al telefono. A complicare le cose la mancanza di energia elettrica e di carburante, necessari a far funzionare i macchinari che tengono in vita i pazienti più gravi. “Ci sono moltissimi malati, feriti, tanti sono bambini, che non possono essere trasportati o trasferiti perché sarebbe troppo pericoloso per la loro vita – aggiunge il dottore -. Hanno bisogno di cure, di ossigeno e quindi di essere trattati in ospedale. Gli israeliani dicono di evacuare e di spostarci verso sud. Dove dovremmo portare queste persone? Dove curarli?”

“Trasferire queste persone significa per loro morte certa. Per questo dico che bisogna che cessino le ostilità subito intorno agli ospedali che stanno diventando ogni giorno di più dei cimiteri”.

(Foto AFP/SIR)

L’assedio a Al-Shifa. La cronaca di guerra di questi ultimi giorni ruota in particolare intorno ad un altro ospedale, al-Shifa, il più grande dell’enclave palestinese dove, secondo quanto riferito al Sir da fonti locali, sarebbero morte 32 persone negli ultimi giorni, tra queste anche 3 neonati in incubatrice. Cifre confermate alla Bbc dal direttore del nosocomio Mohamed Abu Selmia che parla di 600 ricoverati e di 150 cadaveri che non si riesce a seppellire. Morte anche tre infermiere a causa dei bombardamenti e degli scontri armati intorno all’ospedale che Israele sta cingendo d’assedio perché ritiene nasconda basi operative di Hamas. Combattimenti si registrano anche intorno ad altri ospedali della Striscia come hanno denunciato i direttori regionali dell’Unfpa, dell’Unicef e dell’Oms che chiedono un’azione internazionale urgente per porre fine agli attacchi in corso contro i nosocomi. “Siamo inorriditi dalle ultime notizie di attacchi contro e nelle vicinanze dell’ospedale al-Shifa, dell’ospedale pediatrico Al-Rantissi Naser, dell’ospedale Al-Quds e di altri nella città di Gaza e nel nord della Striscia di Gaza, che hanno causato molte vittime, tra cui bambini. Le intense ostilità che circondano diversi ospedali nel nord di Gaza impediscono un accesso sicuro al personale sanitario, ai feriti e agli altri pazienti. Negli ultimi 36 giorni, l’Oms ha registrato almeno 137 attacchi all’assistenza sanitaria a Gaza, che hanno causato 521 morti e 686 feriti, tra cui 16 morti e 38 feriti tra gli operatori sanitari in servizio”.

Israele pronto ad aiutare. L’esercito israeliano, dal canto suo, afferma dai propri canali social, di “fare tutto il possibile per ridurre al minimo i danni ai civili, assistere nell’evacuazione e fornire forniture mediche e cibo. La nostra guerra non è contro il popolo di Gaza”. Parole accompagnate da immagini che mostrano le incubatrici per neonati destinate all’ospedale al-Shifa. “Il reparto pediatrico dell’ospedale Shifa di Gaza City ha bisogno di assistenza – spiega nel video una portavoce – Israele è pronto ad aiutare. Abbiamo fatto un’offerta formale ai funzionari sanitari di Gaza per trasferire le incubatrici nella Striscia di Gaza per assistere il reparto pediatrico dell’ospedale di Shifa. Sono in corso grandi sforzi per garantire che queste incubatrici possano raggiungere i bambini a Gaza senza indugio. La nostra guerra è contro Hamas e non contro il popolo di Gaza”.

 

Gaza Strip, a doctor’s testimony: “Hospitals are becoming cemeteries”

Mar, 14/11/2023 - 13:06

“It’s a humanitarian disaster. Hospitals are increasingly turning into cemeteries.” One of the doctors at the Al-Ahli Arabi Baptist Hospital – run by the Anglican Church and located in the Zeitoun district of Gaza City – spoke to SIR from the hospital where a massacre took place on 18 October, leaving hundreds dead and wounded in an attack for which Israeli and Hamas blame each other. “Many hospitals in the Strip are practically closed,” said the doctor, who spoke on condition of anonymity, “The medical staff are trying to provide care where there is room, with what is left of medicines and medical supplies. Everything is in short supply, including drinking water. We need drugs, antibiotics, anaesthetics for surgery, syringes, bandages, fuel and electricity to run the intensive care unit.”

“Countless dead and wounded. It’s a catastrophe”,

he repeats over the phone. To make matters worse, there is a shortage of the electricity and fuel needed to run the machines that keep the most critical patients alive. “There are many sick and injured people, many of them children, who cannot be transported or moved because it is too dangerous for them,” the doctor adds. “They need care, they need oxygen, and so they need to be treated in hospital. The Israelis are telling us to evacuate and go south. Where should we take these people? Where should we treat them?”

“Moving these people means certain death for them. That is why I say that the hostilities around the hospitals, which are turning into graveyards every day, must stop immediately.”

Al-Shifa Hospital siege. The latest reports of the war concern in particular Al-Shifa hospital, the largest in the Palestinian enclave, where, according to local sources quoted by SIR, 32 people have died in the last few days, including three newborn babies in incubators. These figures were confirmed to the BBC by the hospital’s director, Mohamed Abu Selmia, who said there were 600 hospitalised patients and 150 unburied corpses. Three nurses have also died as a result of bombings and armed clashes around the hospital, which Israel has besieged because it believes it is a Hamas hideout. Clashes have also been reported around other hospitals in the Strip, according to the regional directors of UNFPA, UNICEF and WHO, who are calling for urgent international action to end the ongoing attacks on hospitals. “We are appalled by the latest reports of attacks on and surrounding Al-Shifa Hospital, Al-Rantissi Naser Children’s Hospital, Al-Quds Hospital and others in Gaza City and the northern Gaza Strip, resulting in many casualties, including children. Safe access for medical staff, the wounded and other patients is being hampered by ongoing hostilities in the vicinity of several hospitals in northern Gaza. Over the past 36 days, the WHO has recorded at least 137 attacks on health workers in Gaza, resulting in 521 deaths and 686 people wounded, including 16 deaths and 38 wounded among health workers on duty.”

Israel ready to help. For its part, the Israeli army announced on its social media pages that it was “doing everything possible to minimise damage to civilians, to help with evacuations and to provide medical and food aid. Our war is not against the people of Gaza.” These words are illustrated by pictures of baby incubators destined for al-Shifa hospital. “The children’s ward at Shifa Hospital in Gaza City needs help,” a spokeswoman says in the video, “Israel is ready to help. We have made a formal offer to the Gaza health authorities to transfer incubators to the Gaza Strip in order to provide assistance to the children’s ward at Shifa Hospital. Major efforts are underway to ensure that these incubators reach the children of Gaza without delay. Our war is against Hamas, not against the people of Gaza.”

Medici con l’Africa Cuamm. Don Carraro: “Garantiamo parti sicuri e aiutiamo i giovani a essere protagonisti del loro futuro”

Mar, 14/11/2023 - 09:18

Energia, speranza e tanto impegno sono alla base del lavoro di Medici con l’Africa Cuamm che, sabato 4 novembre, a Milano ha raccontato ad amici, sostenitori, compagni di viaggio, un anno di intervento per la salute di mamme e bambini in Africa e per la formazione di giovani operatori sanitari locali, durante l’Annual Meeting, intitolato per il 2023 “In movimento. Con l’Africa tra emergenza e sviluppo”. Ogni anno, i dati del programma “Prima le mamme e i bambini” danno conto del lavoro svolto: 188.923 parti assistiti realizzati in due anni in dieci ospedali di otto Paesi africani; 8.102 bambini malnutriti trattati, 659 manager sanitari africani formati. E sono ben 211 i giovani specializzandi italiani che in questi due anni hanno svolto un tirocinio in uno degli ospedali in cui opera il Cuamm. Ne parliamo con il direttore di Medici con l’Africa Cuamm, don Dante Carraro.

(Foto: Medici con l’Africa Cuamm)

Come sta andando il programma “Prima le mamme e i bambini”?

Siamo all’interno di un quinquennio lanciato due anni fa. Gli obiettivi complessivi per tutto il periodo, per i quali ci siamo impegnati con la nostra comunità di donatori, pubblici e privati, sono raggiungere 500mila mamme assistite al parto con altrettanti neonati. Questo vuol dire garantire alle mamme, quando partoriscono e sono in difficoltà, un parto cesareo se ce n’è bisogno e una trasfusione di sangue, se per caso c’è nel momento del parto un’emorragia, e insieme la cura e l’accompagnamento del neonato. In due anni, su 500mila che è il target nel quinquennio, sono stati 188.923 i parti assistiti sicuri in dieci ospedali selezionati per il progetto, negli otto Paesi africani dove stiamo lavorando. Noi ne stiamo gestendo venti ospedali, ma sono dieci quelli dove garantiamo in maniera speciale questa assistenza. Insieme alle mamme sono stati curati e accompagnati anche 188.923 neonati. Ma il nostro impegno non si limita ai parti.

(Foto: Medici con l’Africa Cuamm)

Si riferisce ai bambini malnutriti?

Sì, ci siamo impegnati ad assistere in modo particolare i bambini malnutriti gravi, che vuol dire a rischio di morte, per una severa malnutrizione. In questi due anni sono stati 8.102 i bambini malnutriti gravi trattati e quindi salvati da una morte quasi certa. In più noi ci siamo impegnati anche a formare giovani africani sia dal punto di vista clinico – medici, infermieri, ostetriche, tecnici -, sia dal punto di vista manageriale, cioè dal punto di vista organizzativo, perché questi ospedali che noi gestiamo hanno bisogno anche di capacità organizzative e su questo l’Africa ha bisogno di formazione.

(Foto: Medici con l’Africa Cuamm)

Abbiamo formato 659 manager sanitari africani e più di tremila giovani che sono diventati infermieri, ostetriche, tecnici, medici. Sono grossi risultati: da un lato, abbiamo fatto un grande lavoro di assistenza sanitaria, con le mamme e i bambini assistiti; dall’altro, abbiamo svolto un grande lavoro formativo, investendo molto sui giovani africani. Questo va nella direzione di quello che chiede il Papa, quando dice che l’Africa non va sfruttata, come ancora a volte succede, ma va sviluppata, promossa, accompagnata per crescere. E l’abbiamo fatto proprio investendo moltissimo sul capitale umano, su questi giovani africani che chiedono di diventare bravi manager o bravi infermieri, medici, ostetriche e tecnici. Su questo fronte pensiamo di aver dato un contributo rilevante e prezioso, specie in questo periodo che ci troviamo a vivere.

(Foto: Medici con l’Africa Cuamm)

Avete intitolato l’Annual Meeting “In movimento. Con l’Africa tra emergenza e sviluppo”: perché?

Il motivo per cui il titolo dell’Annual Meeting organizzato a Milano, sabato 4 novembre, conteneva la locuzione “in movimento” è perché, a fronte della crisi gravissima internazionale che c’è stata e c’è, adesso la guerra in Palestina e nel territorio di Gaza aggrava ulteriormente il contesto africano. Per questa crisi la gente africana si sposta, si mette in movimento e vuol dire che aumenta la migrazione che vediamo nel Mediterraneo, ma soprattutto aumenta la migrazione interna. La gente cerca risposte e si muove. A fronte di questo, la nostra risposta è investire: nonostante le fatiche, nonostante sembri che tutto vada a rotoli, nonostante la sofferenza dell’Africa, la nostra determinazione, il nostro coraggio e la nostra tenacia ci fanno continuare a investire nei tanti giovani africani che vogliono crescere nel loro Paese, dando opportunità che non si traducano solo nella fuga. Poi quel movimento è anche quello che viene richiesto a ciascuno di noi: a fronte di quello che sta capitando, non possiamo rimanere seduti, impalati a lamentarci e basta, ma dobbiamo metterci in movimento, fare la nostra parte.

(Foto: Medici con l’Africa Cuamm)

In che modo?

È stato bello concludere l’Annual Meeting del Cuamm a Milano con l’interpretazione di Neri Marcorè che ha cantato l’affascinante opera d’arte di Fabrizio De André, “La guerra di Piero”, particolarmente attuale in questo momento storico. Anche noi sentiamo il dovere di vegliare i sepolti di tutte le guerre, ma ci portiamo nel cuore, in particolare, gli effetti che queste guerre stanno determinando in Africa. Vogliamo vegliare con il nostro impegno, con il nostro coraggio, con la nostra determinazione. Non ci interessa essere rose o tulipani. Ci interessa esserci. Saremo dei semplici, umili papaveri rossi che vegliano. E

faremo quello che dipende da noi, perché vogliamo davvero seminare questa speranza in Africa: che Italia e Africa insieme è davvero possibile.

(Foto: Medici con l’Africa Cuamm)

Che invito vuole lanciare, allora, don Dante?

Ciascuno di noi, oggi più che mai, è chiamato a fare la propria parte. Per quello che ci riguarda, per il prossimo anno la prospettiva di Medici con l’Africa Cuamm è continuare il lavoro quotidiano per dare assistenza alle mamme al parto e ai figli una volta nati, per raggiungere quelle 500mila mamme assistite al parto in cinque anni, come primo obiettivo del programma. Il secondo riguarda la formazione, quindi nello sviluppo delle capacità umane locali africane: se l’anno scorso siamo riusciti a formare e a dare opportunità a tremila giovani africani, l’impegno per il prossimo anno è di riuscire a raddoppiare o addirittura a triplicare quel numero, arrivare a diecimila giovani africani. Ecco allora che il nostro movimento diventa fondamentale. E su questo chiediamo a tutte le persone che possono aiutarci di essere al nostro fianco e di mettersi a loro volta in movimento. Perché se oggi non facciamo anche noi la nostra parte, è difficile che ci sia futuro. Allora,

a fronte delle guerre, la nostra risposta vuole essere un impegno ancora più tenace e più determinato a costruire futuri che partano dai giovani africani che ci chiedono di poter crescere e diventare protagonisti della loro storia.

Infine, voglio dire grazie ai tanti che ci sostengono e scelgono di essere al nostro fianco ricordando che il loro apporto è importante per quello che stiamo facendo.

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