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Aggiornato: 3 mesi 2 settimane fa

Messa per la riconciliazione della penisola coreana. Vescovo ausiliare Seul: “Lasciar cadere l’odio e diventare apostoli della pace”

Mer, 10/01/2024 - 10:33

Il sogno della riconciliazione non si è spento in Corea, nonostante le tensioni, le minacce, i colpi di artiglieria. È giunta al numero 1.400 la messa per la pace e la riconciliazione nella penisola coreana che si è celebrata ieri nella cattedrale di Myeongdong. A dare voce al “sogno” di pace del popolo cattolico in Corea è stato mons. Job Yobi Koo, vescovo ausiliare di Seul che nell’omelia, ha invitato i presenti a “diventare uno strumento di perdono e riconciliazione, attraverso i quali tutti gli uomini della terra possano unirsi con l’amore”. “Sia nella penisola coreana che nel mondo intero – ha detto il vescovo -, prevale un atteggiamento minacciante contro l’altro e si cerca la pace attraverso le armi, invece di costruirla attraverso la via dell’incontro e del dialogo. Per questo, il barlume della pace si sta affievolendo”. Mons. Koo ha ricordato il messaggio inviato da Papa Francesco lo scorso anno in occasione del 70° anniversario dell’Armistizio di Guerra coreana nel quale ha incoraggiato i cattolici della Corea – riuniti nella cattedrale di Seul – a “diventare profeti della pace”. Anche nel suo ultimo messaggio natalizio, Papa Francesco ha parlato della Corea auspicando che “si avvicini il giorno in cui si rinsalderanno i vincoli fraterni nella penisola coreana, aprendo percorsi di dialogo e riconciliazione che possano creare le condizioni per una pace duratura” (Messaggio Urbi et Orbi del Santo Padre, Natale 2023). “Adesso – ha aggiunto mons. Koo -, è il momento di lasciar cadere l’odio per percorrere il cammino mostrato da Gesù. Preghiamo insieme Preghiamo insieme affinché possiamo diventare apostoli della pace”.

Seul, messa nella cattedrale di Myeongdong per la pace e la riconciliazione

Era il 7 marzo 1995, quando il card. Stefano Sou-hwan Kim, allora arcivescovo di Seoul e amministratore apostolico di Pyongyang, ha presieduto la Prima Messa per la riconciliazione. Da allora, per 29 anni, ogni martedì alle 19, è stata celebrata una Messa con questa intenzione, anche se c’è stata una breve interruzione a causa del Covid-19. Dopo la Messa, si recita la preghiera per la Pace di San Francesco. Nell’agosto del 1995, si è concordato con l’associazione dei cattolici nordcoreani di utilizzare tale preghiera come preghiera per la riconciliazione. Dopo questo accordo, l’Arcidiocesi di Seul e l’associazione dei cattolici nordcoreani recitano questa preghiera ogni martedì nella cattedrale di Myongdong di Seul e nella Chiesa di Changchung di Pyongyang. Interpellato dal Sir, don Ignatius Soo Yong Jung, vice-presidente del Comitato nazionale per la riconciliazione dell’Arcidiocesi di Seoul, afferma di non sapere se anche oggi in Corea del Nord si è tenuta una Messa per la riconciliazione. E spiega: “In un incontro tra i “leader” delle Chiese delle due Coree svoltosi in agosto 1995, in un terzo paese, si era d’accordo di recitare la preghiera per la pace di san Francesco ogni martedì alle 19 sia a Seoul sia a Pyongyang. Seoul sta osservando questa promessa. Durante incontri successivi, Pyongyang rispondeva che anche loro stavano recitandola ogni martedì. Però, negli ultimi anni non c’è stata una riunione tra i “leader” cattolici delle due Coree. Quindi, non si può verificare se pregano ancora insieme con noi”.

Negli ultimi giorni, è salita la tensione tra la Corea del Sud e la Corea del nord. Pyongyang ha compiuto “esercitazioni” sparando ripetutamente sull’isola sudcoreana di Yeonpyeong e provocando la reazione di Seul, che ha a sua volta iniziato a sparare colpi d’artiglieria. Nord e sud si sono scambiati centinaia di colpi. “La tensione è aumentata recentemente”, ammette don Jung che aggiunge: “Ambedue i governi vogliono utilizzare questa tensione per la politica interna, per questo utilizzano parole e gesti aggressivi. C’è un bisogno di autocontrollo da tutte le due parti”.

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Chi sono i senza dimora a Roma? Persone come tutti, colpite da eventi che possono toccare molti

Mer, 10/01/2024 - 10:15

Tutte le aree urbane del mondo, sviluppate e no, sono sempre più caratterizzate dalla presenza di senza dimora. Per molti, soprattutto nei paesi in via di sviluppo, lo stato di indigenza deriva da situazioni che prescindono dalla storia del singolo individuo: si nasce poveri, magari in strada, nelle favelas, nelle bidonville. In alcuni paesi soprattutto nel Sud del mondo, ma anche nei paesi dell’Est europeo, sempre più consistente è il problema dei bambini spinti sulla strada dall’estrema povertà.
In altri casi lo stato di povertà e stenti fa seguito a eventi tragici come calamità naturali, guerre, eventi delittuosi.
Vi è poi la situazione dei paesi più ricchi, tra i quali ci siamo anche noi. Chi sono a Roma le persone senza dimora? Chiariamo subito che il valore più importante da cui partire è che si tratta di persone, ognuna delle quali ha un valore inestimabile agli occhi di Dio padre. Un valore che ognuno di noi dovrebbe salvaguardare e custodire gelosamente.

È un mondo complesso, non uniforme composto di persone di età, itinerari e situazioni molto diverse. Sempre più spesso i motivi che portano alla condizione di senza dimora non sono riconducibili ad eventi eccezionali o a storie di particolare emarginazione. Al contrario si tratta di avvenimenti che possono toccare molti: uno sfratto in una città in cui ve ne sono 18 ogni giorno, una tensione familiare che non si risolve, la perdita del lavoro, una malattia possono trasformare, laddove manca il sostegno necessario, persone che fino a quel momento conducevano una vita “normale” in persone sprovviste di tutto. Per questo si possono incontrare famiglie che hanno lasciato la casa in affitto per morosità “incolpevole”, adulti che dopo una separazione coniugale perdono ogni punto di riferimento, oppure giovani che hanno perso il lavoro.

“Un fiume di povertà attraversa le nostre città e diventa sempre più grande fino a straripare; quel fiume sembra travolgerci, tanto il grido dei fratelli e delle sorelle che chiedono aiuto, sostegno e solidarietà si alza sempre più forte” è quanto ci ricorda papa Francesco nel Messaggio per la Giornata mondiale dei poveri che abbiamo celebrato lo scorso 19 novembre.

Vedendo i dati ufficiali dell’Istat, in Italia ci sono 5,6 milioni di persone, il 9,7% della popolazione, in povertà assoluta. Basti pensare che quindici anni fa la povertà assoluta riguardava il 3,6% della popolazione italiana.
Conseguenza di questo impoverimento è stato l’aumento delle persone che vivono in strada: nel 2022 l’Istat ha censito oltre 96.000 persone “senza tetto e senza fissa dimora” in Italia; 23.420 solo nell’Area metropolitana di Roma, la maggior parte nella Capitale.

Purtroppo con la crescita del fenomeno non sono seguite strategie di intervento capaci di affrontare gli aspetti multidimensionali della povertà ma, al contrario, catalizzando riduttivamente le risposte in azioni di emergenza durante alcune stagioni dell’anno, tipiche sono le politiche per di “emergenza freddo” che rischiano però di produrre oblio nei periodi considerati meno critici e di perpetuare – e con il tempo accentuare – problematiche, tensioni e conflitti, depotenziando anche alcuni fattori di coesione sociale.
La criticità più evidente è l’assenza di politiche che sappiano mettere al centro i differenti bisogni delle persone in povertà estrema, prevedendo, oltre interventi per l’alloggio, anche azioni in ambito lavorativo, formativo, di riqualificazione professionale, di tutoraggio nella relazione con le istituzioni, di mediazione territoriale e di educativa di strada.
Accanto a questi investimenti straordinari, dei quali soprattutto a Roma ci sarebbe sempre più e immediata necessità, servirebbero interventi mirati per superare la solitudine e l’emarginazione.

A volte basterebbe poco per fa sentire chi vive in strada come parte della comunità: in più città si è sperimentato che l’abbonamento gratuito ai mezzi pubblici aiuterebbe l’integrazione e l’emancipazione di chi, altrimenti, sarebbe costretto a bivaccare nelle stazioni e sotto i portici.
Offrire la residenza, anche se “fittizia”, favorirebbe l’inclusione sanitaria, la prevenzione e anche la cura personale. Sappiamo tutti che senza residenza, in realtà si diventa un “invisibile” e ti è preclusa la possibilità di accesso ai servizi pubblici fondamentali.
Occorre inoltre prendere coscienza che vivere in strada, contrariamente a quanto molti pensano, non è mai una scelta. La vita in strada infatti è una vita durissima e pericolosa; è una lotta quotidiana per la sopravvivenza. Chi è senza casa vive una condizione di grande vulnerabilità perché è costretto a dipendere da tutti anche solo per i bisogni più elementari, ed è esposto alle aggressioni, al freddo, all’umiliazione di essere cacciato perché indesiderato. La strada rischia facilmente di abbattere il proprio livello di autostima, una condizione che, ad ogni età, è indispensabile per guardare al futuro coltivando la speranza e la capacità di cogliere elementi di gioia, pur nelle difficoltà o nelle emergenze in cui ci si può ritrovare.

La presenza di così tanti senza dimora, dovrebbe farci aprire gli occhi pure sull’urgenza di rinnovare i tradizionali servizi sociali dalle pubbliche amministrazioni. Di assistenti sociali e funzionari bravi e generosi abbiamo tanti esempi, pure a Roma. È da rivedere però il loro ambiente operativo che dovrebbe essere sempre di più costituito da strade; piazze; i dintorni di giardini, monumenti, chiese e centri commerciali, cioè i luoghi dove vivono, molto spesso senza averlo scelto, tante donne e molti uomini, di ogni provenienza e religione che scuotono la tua coscienza, solo ad incrociare i loro occhi.
Questi luoghi dovrebbero diventare le “università di strada”, le vere sedi di master e di scuole di specializzazione di coloro che desiderano operare nei servizi sociali che preferirei definire di nuova generazione. Gli insegnanti dei nuovi assistenti sociali e operatori sociali e il discorso non vale solo per la dimensione lavorativa pubblica ma pure per quella sociale, dovrebbero essere in parte proprio i senza dimora; coloro che vivono nella più profonda precarietà operativa, coloro per i quali servono progetti personalizzati per ripartire, per rialzarsi in piedi, per recuperare la propria dignità, l’autostima in sé stessi. È a partire da questo punto di vista che dovremmo osservare e ascoltare la realtà che spesso è ben diversa da quello che ci raccontano astratte teorie e gli stereotipi sulla povertà.
Non c’è alcuna possibilità di superare la decennale emergenza dei senza dimora, senza una triplice condizione. Un serio rilancio degli investimenti sul patrimonio pubblico, perché se stai per strada, la priorità è mettere a disposizione un tetto sicuro e un pasto caldo. La seconda è una riforma dei servizi sociali integrati sempre più con i servizi sanitari. La terza è una vera alleanza tra le istituzioni pubbliche e il variegato mondo del volontariato.

 

(*) direttore Caritas diocesana Roma

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Papa Francesco: “Dimmi come mangi e ti dirò che anima possiedi”

Mer, 10/01/2024 - 10:03

“Rinnoviamo la nostra vicinanza con preghiera alla cara popolazione Ucraina così provata e a quanti soffrono l’orrore della guerra in Palestina e Israele, come pure in altre parti del mondo. Preghiamo, preghiamo per questa gente che è sotto la guerra, e preghiamo il Signore perché semini nel cuore delle autorità dei Paesi il seme della pace”. E’ l’ennesimo appello di Papa Francesco per la pace, pronunciato al termine dell’udienza di oggi in Aula Paolo VI, durante il saluto ai fedeli di lingua italiana. “Dimmi come mangi, e ti dirò che anima possiedi”, ha detto il Papa durante la catechesi, dedicata al vizio della gola: “il problema non è il cibo, ma la nostra relazione con esso”.

 “In tutto il suo ministero Gesù appare come un profeta molto distinto dal Battista: se Giovanni è ricordato per la sua ascesi – mangiava quello che trovava nel deserto –, Gesù è invece il Messia che spesso vediamo a tavola”,

l’esordio di Francesco: “Guardiamo a Gesù. Il suo primo miracolo, alle nozze di Cana, rivela la sua simpatia nei confronti delle gioie umane: egli si preoccupa che la festa finisca bene e regala agli sposi una gran quantità di vino buonissimo”. “Il suo comportamento suscita scandalo, perché non solo egli è benevolo verso i peccatori, ma addirittura mangia con loro; e questo gesto dimostrava la sua volontà di comunione e vicinanza con tutti”, ha commentato il Papa: “Ma c’è anche dell’altro. Mentre l’atteggiamento di Gesù nei confronti dei precetti ebraici ci rivela la sua piena sottomissione alla legge, egli però si dimostra comprensivo con i suoi discepoli: quando questi vengono colti in fallo, perché avendo fame colgono delle spighe, lui li giustifica, ricordando che anche il re Davide e i suoi compagni avevano preso i pani sacri”. “Ma soprattutto Gesù, con una bella parabola, afferma un nuovo principio”, ha spiegato Francesco: ”gli invitati a nozze non possono digiunare quando lo sposo è con loro; digiuneranno quando lo sposo verrà loro tolto. Gesù vuole che siamo nella gioia in sua compagnia; ma vuole anche che partecipiamo alle sue sofferenze, che sono anche le sofferenze dei piccoli e dei poveri. Gesù è universale”.

“Gesù fa cadere la distinzione tra cibi puri e cibi impuri, che era una distinzione fatta dalla legge ebraica. E Gesù dice chiaramente che il problema non è il cibo, ma la nostra relazione con esso”,

l’argomentazione centrale dell’udienza odierna: “Quando qualcuno non ha una relazione ordinata con il cibo, guardate come mangia: di fretta, con la voglia di saziarsi, e mai si sazia”, l’esempio a braccio: “non ha un rapporto buono con il cibo, è schiavo del cibo”. “Gesù valorizza il cibo, il mangiare, anche nella società, dove si manifestano tanti squilibri e patologie”, la tesi di Francesco: “Si mangia troppo, oppure troppo poco. Spesso si mangia nella solitudine. Si diffondono i disturbi dell’alimentazione: anoressia, bulimia, obesità… E la medicina e la psicologia cercano di affrontare la cattiva relazione con il cibo”. “Una cattiva relazione col cibo produce tutte queste malattie”, ha proseguito il Papa a braccio: “Si tratta di malattie, spesso dolorosissime, che per lo più sono legate ai tormenti della psiche e dell’anima: c’è un collegamento tra lo squilibrio psichico e il modo di prendere cibo”. “Questa domanda è tanto importante: d

dimmi come mangi, e ti dirò che anima possiedi”.

“L’alimentazione è la manifestazione di qualcosa di interiore”, ha spiegato infatti Francesco: “la predisposizione all’equilibrio o la smodatezza; la capacità di ringraziare oppure l’arrogante pretesa di autonomia; l’empatia di chi sa condividere il cibo con il bisognoso, oppure l’egoismo di chi accumula tutto per sé”. “Nel modo di mangiare si rivela il nostro mondo interiore, le nostre abitudini, i nostri atteggiamenti psichici”, la tesi del Papa, che ha ricordato come “gli antichi Padri chiamavano il vizio della gola con il nome di ‘gastrimargia’, termine che si può tradurre con follia del ventre”.

“La gola è una follia del ventre”, ha ribadito Francesco, che poi ha proseguito a braccio: “C’è questo proverbio: noi dobbiamo mangiare per vivere, non vivere per mangiare. La follia del ventre è un vizio che si innesta proprio in una nostra necessità vitale, come l’alimentazione. Stiamo attenti a questo”.

“Se lo leggiamo da un punto di vista sociale, la gola è forse il vizio più pericoloso, che sta uccidendo il pianeta”, il monito: “Perché il peccato di chi cede davanti ad una fetta di torta, tutto sommato non provoca grandi mali, ma la voracità con cui ci siamo scatenati, da qualche secolo a questa parte, verso i beni del pianeta sta compromettendo il futuro di tutti”, ha denunciato il Papa. “Ci siamo avventati su tutto, per diventare padroni di ogni cosa, mentre ogni cosa era stata consegnata alla nostra custodia, no al nostro sfruttamento”. “Ecco dunque il grande peccato, la furia del ventre:

abbiamo abiurato il nome di uomini, per assumerne un altro, consumatori”,

il grido dall’arme: “E oggi si parla così nella vita sociale: i consumatori. Non ci siamo nemmeno accorti che qualcuno ha cominciato a chiamarci così”. “Siamo fatti per essere uomini e donne eucaristici, capaci di ringraziamento, discreti nell’uso della terra, e invece ci siamo trasformati in predatori, e adesso ci stiamo rendendo conto che questa forma di gola ha fatto molto male al mondo”, la denuncia finale: “Chiediamo al Signore che ci aiuti nella strada della sobrietà, che tutte le forme di gola non si impadroniscano della nostra vita”.

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Pope Francis: “Tell me how you eat, and I will tell you what kind of soul you possess”

Mer, 10/01/2024 - 10:03

“To the dear Ukrainian people who are so sorely tried, and to those who are suffering the horrors of war in Palestine and Israel and in other parts of the world, we renew our closeness in prayer. Let us pray, let us pray for these people in the grip of war, and let us pray to the Lord to sow the seeds of peace in the hearts of national leaders.” Pope Francis renewed his plea for peace at the end of the traditional Wednesday general audience in Paul VI Hall, in his greetings to Italian-speaking faithful. “Tell me how you eat, and I will tell you what kind of soul you possess”, the Pope said during the catechesis, focusing on the theme of gluttony: the problem is not “the food in itself, but the relationship we have with it.”

“In all His ministry, Jesus appears as a prophet who is very distinct from the Baptist: while John is remembered for his asceticism – he ate what he found in the desert – Jesus is instead the Messiah whom we often see at the table”,

Francis said: “Let us look at Jesus. His first miracle, at the wedding at Cana, reveals His sympathy towards human joys: He is concerned that the feast should end well and gives the bride and groom a large quantity of very good wine.” “His behaviour causes scandal in some quarters, because not only is He benevolent towards sinners, but He even eats with them; and this gesture demonstrated His readiness for communion and closeness with everyone”, the Pope remarked: “But there is even more. Although Jesus’ attitude towards the Jewish precepts reveals His full submission to the Law, He nonetheless shows Himself to be sympathetic towards His disciples: when they are found wanting, because they pluck grain out of hunger, He justifies them, recalling that even King David and his companions took the sacred bread.” “And Jesus affirms a new principle”, Francis explained: “the wedding guests cannot fast when the bridegroom is with them. Jesus wants us to be joyful in His company – He is like the bridegroom of the Church; but He also wants us to participate in His sufferings, which are also the sufferings of the small and the poor. Jesus is universal.”

“Jesus eliminates the distinction between pure and impure foods, which was a distinction made by the Jewish law. And on this, Jesus says clearly that the bad thing about food, is not the food in itself but the relationship we have with it”,

the main theme of Wednesday’s general audience: “And we see this, when a person has a disordered relationship with food; we see how they eat, they eat hastily, as though with the urge to be full but without ever being sated.” Francis added in unscripted remarks: “they do not have a good relationship with food, they are slaves to food.” “Jesus values food and eating, also within society, where many imbalances and many pathologies manifest themselves”, Francis remarked: “One eats too much, or too little. Often one eats in solitude. Eating disorders – anorexia, bulimia, obesity – are spreading. And medicine and psychology are trying to tackle our poor relationship with food.” “A poor relationship with food produces all these illnesses, all of them”, the Pope continued off text: “They are illnesses, often extremely painful, that are mostly linked to sufferings of the psyche and the soul. There is a connection between psychological imbalance and the way food is consumed.” “This question is so important.

Tell me how you eat, and I will tell you what kind of soul you possess.”

“The way we eat is the manifestation of something inner”, Francis explained: “a predisposition to balance or immoderation; the capacity to give thanks or the arrogant presumption of autonomy; the empathy of those who share food with the needy, or the selfishness of those who hoard everything for themselves.” “In the way we eat, we reveal our inner selves, our habits, our psychological attitudes”, the Pope said, pointing out that “the ancient Fathers gave the vice of gluttony the name ‘gastrimargia’ – gastrimargy, a term that can be translated as ‘folly of the belly’”, the Pope remarked.

“Gluttony is a ‘folly of the belly’”, the Pope reiterated. He added in unscripted remarks: “There is also this proverb, that we should eat to live, not live to eat – “a folly of the belly”. It is a vice that latches onto one of our vital needs, such as eating. Let us beware of this.”

“If we interpret it from a social point of view, gluttony is perhaps the most dangerous vice, which is killing the planet”, he said: “Because the sin of those who succumb before a piece of cake, all things considered, does not cause great damage, but the voracity with which we have been plundering the goods of the planet for some centuries now is compromising the future of all”, the Pope denounced. “We have grabbed everything, in order to become the masters of all things, whereas everything had been consigned to our custody, not for us to exploit.” “Here, then, is the great sin, the fury of the belly is a great sin:

we have abjured the name of men, to assume another, consumers”,

he cautioned: “Today we speak like this in social life, consumers. We did not even notice when someone had started to give us this name. We were made in order to be “Eucharistic” men and women, capable of giving thanks, discreet in the use of the land, and instead the danger is that we turn into predators; and now we are realizing that this form of ‘gluttony’ has done a great deal of harm to the world”, the final recommendation: “Let us ask the Lord to help us on the road to sobriety, so that the many forms of gluttony do not take over our life.”

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Israel and Hamas, 100 days after: Jerusalem, Ilia’s fear of losing her father

Mer, 10/01/2024 - 09:25

(from Jerusalem) Ilia snuggles up to Father Ibrahim’s habit and smiles, almost hiding herself from view. The unexpected visit of a small ‘Diomira Travel’ group from Italy – 9 priests from the diocese of Piacenza, Milan and Cremona – surprised everyone at the Terra Sancta School in Jerusalem.

(Foto Sir)

Since 7 October, the day of Hamas’ terror attack on Israel and the ensuing outbreak of war in Gaza, Ilia has been repeatedly asking her teacher if she could make a phone call to her father to find out where he is. She fears losing him to the bombs and rockets. Ilia’s fears are echoed by many other Palestinian children afflicted – like their Israeli counterparts – by the Gaza war. Father Ibrahim Faltas, Vicar of the Holy Land Custody, tells Ilia’s story as he greets the school’s 400 students who resumed classes on Monday 8 January after the Christmas break. “Returning to school,” he explains, “is a way of recovering a glimpse of normality, trust and serenity. Everything here is a reminder of the war, hatred, resentment and, above all, fear. Just before Christmas, we held a demonstration calling for an end to the war and a resumption of dialogue. We firmly believe that dialogue is the way out of this tragic situation.

While others wage war, we are builders of peace.

The Jews are afraid, the Israeli Arabs are afraid, the Palestinians are afraid. Everybody fears their fellow others. Arab and Israeli co-workers who used to be on good terms at the workplace are no longer on speaking terms. It will take years to heal Israeli society at its core. But it must be done.”

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Escalating crisis. Ilia’s fears extend to the many families who have lost their jobs. Tourism and pilgrimages, a major source of income, have virtually collapsed with the outbreak of war. As a result, there are no tourists or pilgrims to be seen in the holy places, and Jerusalem and Bethlehem are almost deserted. The only visitors to the Holy City are a few groups of Indonesians and groups from the Horn of Africa who travelled through Jordan and Egypt. In hotels across Israel, the tourists and pilgrims have been replaced by thousands of displaced Israelis who were living in areas along the borders with Gaza and Lebanon before the war, at the gunpoint of Hamas and Hezbollah. The situation is even worse for the over ninety Palestinian hotels in Bethlehem, all of which are virtually closed. The birthplace of Jesus is de facto sealed off. Checkpoints are only open for a few hours a day, allowing access only to holders of special permits issued by Israel. In the meantime, some 70,000 Palestinians who used to cross the Israeli checkpoints on a daily basis from the West Bank to enter Israel to work have seen their permits suspended or revoked. They are now unemployed. The economic crisis is increasingly intertwined with the military crisis, with tragic social consequences.

Empty shrines. From the Convent of the Palms of Bethphage, on the eastern slope of the Mount of Olives, past the Carmelite Convent of the Pater Noster, the Dominus Flevit shrine, all the way to Gethsemane, it is hard to meet anyone who is not a resident. Even to enter the shrines, you have to knock on the door to be let in.

“When I realised that someone had rung the bell, I was surprised!”, says Brother Silvio, the custodian of the shrine, with a smile. “No one has entered this place since 7 October.”

In spite of everything, the Franciscans remain committed to their mission of serving the poorest, not only Christians, because, as the friar explains, “this is the best way to respond to war and to violence.” The street below the Basilica of the Agony, also known as the Church of all Nations, is completely empty. The usual rows of buses waiting to pick up groups of pilgrims are gone, so the journey to the Holy Sepulchre in the heart of Jerusalem’s Old City is not a long one. There are no pilgrims, only workers and archaeologists from Rome’s La Sapienza University engaged in archaeological excavations inside the basilica, known to local Christians as the Church of the Resurrection. Almost all the shops near the Holy Sepulchre have their shutters down. “Those that are open,” says a souvenir shop owner on Saint Helena Road, a few dozen metres from the Basilica, “do so only to pass the time and in the hope of earning a living. We had bounced back after the Covid pandemic, but now it’s hard.”

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Israele e Hamas, 100 giorni dopo: Gerusalemme, la paura di Ilia che non vuol perdere il papà

Mer, 10/01/2024 - 09:25

(da Gerusalemme) Ilia si stringe al saio di padre Ibrahim e sorride, quasi nascondendosi alla vista. La visita inaspettata di un piccolo gruppo “Diòmira Travel” dall’Italia – 9 sacerdoti dalle diocesi Piacenza, Milano e Cremona – ha colto di sorpresa tutti nella Terra Sancta School di Gerusalemme.

(Foto Sir)

Dal 7 ottobre scorso, giorno dell’attacco terroristico di Hamas ad Israele e il conseguente scoppio della guerra a Gaza, Ilia non fa altro che chiedere il telefono alla sua maestra perché, dice, deve chiamare suo papà per sapere dov’è. La sua paura, infatti, è di perderlo a causa delle bombe e dei razzi. La paura di Ilia è la stessa di tanti altri bambini e bambine palestinesi, rimasti vittime, come i loro coetanei israeliani, della guerra di Gaza. Padre Ibrahim Faltas, vicario della Custodia di Terra Santa, racconta la storia di Ilia mentre saluta i 400 alunni della scuola, rientrati solo lunedì 8 gennaio, dopo il periodo di vacanza natalizia. “Tornare a scuola – spiega il frate – è un modo per riacquistare un po’ di normalità, di fiducia e di serenità. Tutto intorno qui parla di guerra, di odio, di rancore e soprattutto di paura. Prima di Natale abbiamo fatto una manifestazione per la fine della guerra e per il dialogo. Siamo convinti che sia questa la strada maestra per uscire dalla situazione drammatica in cui ci troviamo.

Mentre gli altri fanno la guerra noi costruiamo la pace.

Hanno paura gli ebrei, hanno paura gli arabi israeliani, hanno paura i palestinesi. Tutti hanno paura dell’altro. Nei luoghi di lavoro colleghi arabi e israeliani che prima andavano d’accordo adesso non si parlano più. Ci vorranno anni per ricucire la società israeliana al suo interno. Ma dobbiamo farlo”.

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Crisi crescente. La paura di Ilia è anche quella delle tante famiglie rimaste senza lavoro. Una delle principali fonti di reddito, il turismo e i pellegrinaggi, si è praticamente azzerata con lo scoppio della guerra. I luoghi santi si sono svuotati di turisti e di pellegrini, Gerusalemme e Betlemme sono praticamente deserte. Nella città santa si notano solo sparuti gruppi di indonesiani e dal Corno d’Africa, entrati dalla Giordania e dall’Egitto. In molti hotel israeliani i turisti e pellegrini sono stati rimpiazzati da migliaia di sfollati che prima della guerra abitavano al confine con Gaza e con il Libano e sotto tiro di Hamas e di Hezbollah. Peggio è andata ai circa 90 hotel palestinesi di Betlemme che sono praticamente tutti chiusi. La città natale di Gesù è di fatto sigillata. I check point sono aperti per pochissime ore e solo per consentire il passaggio a chi detiene un permesso speciale rilasciato da Israele. I 70mila palestinesi che ogni giorno, dalla Cisgiordania, varcavano i check point israeliani per recarsi in Israele per lavorare si sono visti i loro permessi sospesi o revocati. Oggi sono disoccupati. La crisi economica si avvita sempre di più a quella militare con esiti tragici a livello sociale.

Pellegrini a Gerusalemme (Foto Sir)

Santuari vuoti. Partendo da Betfage, il convento delle Palme, sul versante orientale del monte degli Ulivi, passando per il monastero delle carmelitane del Pater Noster, per il santuario del Dominus Flevit, fino al Getsemani, è difficile incontrare qualcuno che non sia un abitante del posto. Anche per entrare nei santuari bisogna bussare per farsi aprire.

“Quando ho sentito la campana sono rimasto sorpreso – dice sorridendo fra Silvio, il guardiano di Betfage – è dal 7 ottobre che da qui non passa nessuno”.

Nonostante tutto la fraternità francescana continua la sua missione al servizio dei più poveri, non solo cristiani, perché spiega il frate “è il modo migliore per rispondere alla guerra e alla violenza”. La strada sotto la basilica dell’Agonia, anche detta delle Nazioni, è vuota. Le file di bus parcheggiati in attesa di riprendere i gruppi dei pellegrini non ci sono e così anche spostarsi verso il Santo Sepolcro, nel cuore della città vecchia di Gerusalemme, non richiede molto tempo. Dentro la basilica, conosciuta dai cristiani locali come “chiesa della resurrezione” non si vedono pellegrini ma solo operai e archeologi dell’università La Sapienza di Roma impegnati in lavori di scavo. I negozi intorno al Santo Sepolcro hanno tutti o quasi le saracinesche abbassate. “Chi è aperto – racconta un negoziante di souvenir, vicino a St. Helena road, a poche decine di metri dalla basilica – lo fa solo per trascorrere il tempo e nella speranza di guadagnare la giornata e andare avanti. C’eravamo ripresi dopo il Covid, ma adesso è dura”.

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Agricoltori in strada contro i tagli dei sussidi. Mons. Bätzing (pres. Conf. ep. tedesca): “Non permettere a sfiducia e rabbia di prendere il sopravvento”

Mar, 09/01/2024 - 20:21

Decine di migliaia di agricoltori stanno protestando in tutta la Germania dall’inizio della settimana contro i tagli previsti ai sussidi federali al comparto agricolo previsti dal governo. Esperti e associazioni della società civile avevano già avvertito in anticipo che le proteste agricole sarebbero state prese in mano dalle forze radicali di destra. Su questo richiamano l’attenzione anche i vescovi tedeschi, mentre le associazioni degli agricoltori si difendono dall’accusa.

Fin dalle prime ore del mattino di lunedì 8 gennaio, gli agricoltori di tutta la Germania hanno manifestato contro la politica agricola del governo federale. In molte città e sulle autostrade si registrano ancora blocchi e notevoli rallentamenti del traffico dovuti ai convogli di trattori e mezzi pesanti. Secondo la polizia, i partecipanti alla protesta con più di trattori, camion, automobili, furgoni e rimorchi si sono radunati davanti alla Porta di Brandeburgo a Berlino per tutta la mattinata, ed alla protesta si sono uniti molti camionisti e autisti di autobus. A Monaco la polizia bavarese ha instaurato un dialogo coi manifestanti, riuscendo a regolare la marcia verso il centro città di circa 5.500 trattori giunti da tutto il Land Baviera.

Ci sono stati blocchi e notevoli disagi al traffico a causa dei convogli di trattori in numerose città e sulle autostrade in tutta la Germania. In alcune città, gruppi di destra hanno cercato di dirottare le manifestazioni. Joachim Rukwied, presidente dell’Associazione tedesca degli agricoltori, aveva sottolineato in anticipo che tali gruppi non erano i benvenuti alle proteste. Già dai giorni di preparazione della settimana nazionale di protesta, attualmente in atto, le stesse associazioni di agricoltori si erano espresse contro l’appropriazione politica delle proteste. L’Associazione per il lavoro rurale giovanile ha avvertito che “le preoccupazioni e le proteste dei contadini vengono in parte sostituite da agitazioni e slogan di estrema destra e antidemocratici”. Ciò non solo mette in pericolo la posizione degli agricoltori, ma distrae anche dai problemi reali. Allo stesso tempo, l’associazione mette in guardia dal dare per scontato che gli agricoltori abbiano opinioni di destra. I vescovi cattolici tedeschi hanno lanciato un avvertimento. Il presidente della Conferenza episcopale tedesca (Dbk), il vescovo del Limburgo, mons. Georg Bätzing, ha lanciato un appello all’unità e alla pace di fronte alle proteste nazionali dei contadini. “In tempi di sfide e cambiamenti, è fondamentale restare uniti e colmare le nostre differenze attraverso il dialogo e la comprensione reciproca”, ha affermato lunedì sulla piattaforma X. “È nostro dovere comune garantire un futuro giusto e sostenibile, respingendo risolutamente la violenza e il radicalismo”, ha detto Bätzing, che ha aggiunto che non si deve permettere “alla sfiducia e alla rabbia di prendere il sopravvento. Invece, forti della nostra fede, dovremmo seguire la via della pace e della cooperazione”.

Secondo il sociologo Matthias Quent, uno dei massimi studiosi del fenomeno della nuova estrema destra violenta della Germania, il problema dell’appropriazione delle rivendicazioni degli agricoltori da parte del radicalismo populista di estrema destra esiste da molto tempo: anche adesso un’ampia alleanza dello spettro estremista di destra sta cercando di imprimere la propria impronta sulle proteste. Al momento si tratta della “battaglia per le immagini e l’informazione”, ha detto Quent al Deutschlandfunk, invitando anche gli agricoltori a evitare che le loro proteste vengano sfruttate visivamente per secondi fini. In questo senso Quent richiama le associazioni degli agricoltori e delle popolazioni rurali a mantenere un atteggiamento vigile durante le manifestazioni, segnalando l’eventuale presenza di simboli e slogan esterni.

Il presidente dell’Associazione nazionale degli agricoltori, Joachim Rukwied ha invece voluto raffreddare l’allarmismo, spiegando in una intervista rilasciata al secondo canale della televisione, Zdf, di non essere preoccupato che le proteste vengano indirizzate verso azioni radicalizzate perché “gli agricoltori sono politicamente indipendenti”.

Il Movimento cattolico rurale (Klb) ha fatto dichiarazioni simili. “Questo pericolo non è solo presente nelle proteste di oggi e ha poco a che fare con gli aspetti agricoli, ma è un’espressione di insoddisfazione nella nostra società”, ha spiegato in un comunicato l’associazione: “Dobbiamo guardare più in profondità e abbiamo tutti il dovere di agire contro gli sforzi estremisti di destra, sia per strada che nella nostra vita privata”. Klb sostiene le proteste e afferma di esserne coinvolta, ma allo stesso tempo ha avvertito che ogni forma di protesta deve basarsi sullo stato di diritto.

Anche i giovani del Kljb, il Movimento cattolico dei giovani agricoltori si difendono da una possibile infiltrazione di gruppi estremisti di destra nelle attuali rivendicazioni e protese dei contadini: “Stiamo chiaramente lottando per un’agricoltura colorata e sostenibile in Germania”, ha detto la presidente federale Sarah Schulte-Döinghaus in un’intervista a “Domradio” (lunedì). Le associazioni giovanili agricole non si lasciano “imbrigliare sui carri della destra e dell’agitazione antidemocratica”, ma piuttosto si battono per la democrazia e la diversità. “Etichettare in generale gli agricoltori e le persone provenienti dalle zone rurali come di destra” è sbagliato. È quindi importante difendersi dai tentativi di appropriazione. Schulte-Döinghaus ha dichiarato di continuare a sostenere le proteste nonostante la revoca da parte del governo federale di alcuni tagli pianificati. “È importante evidenziare ciò che gli ultimi anni hanno significato per il comparto nazionale dell’agricoltura e per gli agricoltori.” Non si tratta solo della questione delle tasse sugli autoveicoli e del sussidio per il diesel agricolo, ma anche degli oneri che gravano sugli agricoltori da anni in aumento. “Ecco perché è importante parlare ancora una volta adesso e chiarire che tutti noi dobbiamo fare qualcosa per garantire che l’agricoltura sia ancora possibile in Germania anche in futuro”.

Da parte dell’associazionismo rurale cattolico è chiara la critica al tentativo del partito di estrema destra populista AfD – Alternativa per la Germania di cavalcare le proteste a proprio vantaggio, esprimendo una solidarietà non circonstanziata alle proteste dei contadini. Ciò non sostiene l’agricoltura per il Kljb: “Adesso affermano che vogliono l’agricoltura tedesca. Ma il programma del loro partito dice qualcosa di completamente diverso”, ricorda Schulte-Döinghaus stigmatizzando come, ad esempio, Alternativa per la Germania sia favorevole alla completa eliminazione dei sussidi agricoli.

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Il richiamo del Papa: le nostre azioni e scelte influenzano la pace e la percezione della dignità umana

Mar, 09/01/2024 - 13:30

In un’epoca di crescenti conflitti e sfide etiche, ancora una volta risuonano forti le parole di Papa Francesco (pronunciate ieri, 8 gennaio, nel suo discorso al Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede), richiamando tutti noi alla urgente e prioritaria responsabilità comune del costruire la pace, promuovendone i presupposti e proteggendola dalle tante minacce che quotidianamente ne minano le fondamenta. Un impegno che, alla luce della storia attuale, necessariamente comincia anzitutto dal ripudio radicale di ogni guerra e dei tanti orrori che ne derivano. Con dolore, infatti, Papa Francesco ha ancora una volta descritto un mondo frammentato da “un crescente numero di conflitti”, che di fatto configurano una sorta di “terza guerra mondiale a pezzi”. Questa pericolosa tendenza verso un conflitto globale rende indispensabile, ed insieme indifferibile, un lavoro concertato per la pace.

Allargando poi lo sguardo, Papa Francesco ha voluto sottolineare un’altra essenziale condizione per la pace autentica e duratura: “il rispetto della vita, di ogni vita umana, a partire da quella del nascituro nel grembo della madre, che non può essere soppressa, né diventare oggetto di mercimonio”. Ponendosi così nella prospettiva della riflessione bioetica, tra le tante problematiche attuali, Francesco ha voluto esprimere nuovamente la sua riprovazione morale per la pratica della maternità surrogata. “Essa – ha sottolineato il Papa – è fondata sullo sfruttamento di una situazione di necessità materiale della madre. Un bambino è sempre un dono e mai l’oggetto di un contratto”.Da qui, l’auspicio di “un impegno della Comunità internazionale per proibire a livello universale tale pratica”.

Più in generale, Papa Francesco ha voluto ribadire che “in ogni momento della sua esistenza, la vita umana dev’essere preservata e tutelata”, in particolare di fronte al “persistente diffondersi di una cultura della morte, che, in nome di una finta pietà, scarta bambini, anziani e malati”.

Il Papa, poi, ha voluto ricordare l’importanza dei diritti umani, così come sono riassunti nella semplice ed essenziale formulazione della Dichiarazione universale dei diritti umani. “Si tratta di principi razionalmente evidenti e comunemente accettati”.
Tuttavia, Francesco rileva come i tentativi compiuti negli ultimi decenni di introdurre nuovi diritti, “non pienamente consistenti rispetto a quelli originalmente definiti e non sempre accettabili”, abbiano dato adito a “colonizzazioni ideologiche”. Tra queste, il Papa ha voluto citare in particolare la cosiddetta “teoria del gender”, definendola “pericolosissima” per la sua tendenza ad eliminare le differenze naturali e fondamentali tra gli individui. “Tali colonizzazioni ideologiche – ammonisce Francesco – provocano ferite e divisioni tra gli Stati, anziché favorire l’edificazione della pace”.

Un altro passaggio del discorso del Papa ha poi avuto come oggetto la sfida educativa – soprattutto orientata ai giovani – che investe il nostro tempo, parte della quale riguarda un uso etico delle nuove tecnologie. “Esse possono facilmente diventare strumenti di divisione o di diffusione di menzogna, le cosiddette fake news, ma sono anche mezzo di incontro, di scambi reciproci e un importante veicolo di pace”.

In questo contesto, un focus specifico è stato dedicato dal Papa all’intelligenza artificiale. Per orientarne un uso che sia rispettoso dell’umano, Francesco ha ricordato che “è indispensabile che lo sviluppo tecnologico avvenga in modo etico e responsabile, preservando la centralità della persona umana, il cui apporto non può né potrà mai essere rimpiazzato da un algoritmo o da una macchina. La dignità intrinseca di ogni persona e la fraternità che ci lega come membri dell’unica famiglia umana devono stare alla base dello sviluppo di nuove tecnologie e servire come criteri indiscutibili per valutarle prima del loro impiego, in modo che il progresso digitale possa avvenire nel rispetto della giustizia e contribuire alla causa della pace”.

Papa Francesco, comunque, non si è limitato soltanto ad una denuncia dei problemi contemporanei, ma ha voluto anche rinnovare l’invito accorato a costruire la pace attraverso il dialogo, il rispetto reciproco e la comprensione, mantenendo un impegno attivo per il benessere comune e il rispetto della dignità umana.

In sintesi, le parole di Papa Francesco sono un richiamo a riconsiderare le nostre priorità e valori in un mondo in rapido cambiamento. Esse ci invitano a riflettere su come

le nostre azioni e scelte influenzino la pace e la percezione della dignità umana.

Dunque, rispetto, comprensione reciproca e amore universale devono rimanere i principi di riferimento che, tradotti in pratica col supporto della riflessione etica, devono guidarci nell’affrontare con speranza le grandi sfide del nostro tempo.

Nell’era della tecnologia e dell’innovazione, il cuore dell’umanità e il rispetto per la vita umana restano i pilastri fondamentali su cui costruire un futuro di pace e armonia per tutti.

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The Pope reminds us that the actions and choices of each have consequences for peace and the perception of human dignity

Mar, 09/01/2024 - 13:30

At a time of escalating conflicts and ethical challenges, the words of Pope Francis (delivered yesterday, 8 January, in his address to the Diplomatic Corps accredited to the Holy See) are a powerful reminder to us all of the urgency and overriding common responsibility of building peace, promoting its preconditions and defending it against the countless threats that continually undermine its very foundations. In the face of recent events, this commitment must necessarily be rooted in the firm rejection of all wars and of the multiple horrors that they entail. With sadness, the Pope reiterated his reflection on a world torn apart by “a growing number of conflicts that in fact constitute “a third world war fought piecemeal.” This dangerous drift in the direction of a global conflict calls for an urgent and concerted effort for peace.

extending his gaze, Pope Francis highlighted a further essential condition for genuine and lasting peace, namely,

“respect for life, for every human life, starting with the life of the unborn child in the mother’s womb, which cannot be suppressed or turned into an object of trafficking”

Placing bioethical reflection in the context of numerous current issues, Francis reiterated his moral disapproval of surrogacy practices. It is “based on the exploitation of situations of the mother’s material needs”, the Pope said.

“A child is always a gift and never the basis of a commercial contract.”

The Pope expressed his “hope for an effort by the international community to prohibit this practice universally.”

Pope Francis pointed out that “at every moment of its existence, human life must be preserved and defended”, especially before “the continued spread of a culture of death, which in the name of a false compassion discards children, the elderly and the sick.” The Pope thus highlighted the importance of human rights, laid down in the simple yet clear formulation contained in the Universal Declaration of Human Rights. “These principles are self-evident and commonly accepted.”

Moreover,

Francis notes that attempts in recent decades to introduce new rights, which are “not fully consistent with those originally defined nor always acceptable”, have led to instances of “ideological colonisation.”

Among these, the Pope specifically mentioned the so-called “gender theory”, describing it as “extremely dangerous” because of its tendency to cancel natural and fundamental differences between individuals. “These instances of ideological colonization – the Pope remarks – prove injurious and create divisions between states, rather than fostering peace.”

A passage of the Pope’s speech focused on the challenge of education – especially of the young – that we face today, including the ethical use of new technologies.

“They can easily become a means of spreading division or lies, fake news, yet they also serve as a source of encounter and mutual exchange, and an important vehicle for peace.”

In this context, the Pope placed particular emphasis on artificial intelligence. In order to ensure that its use is respectful of the human person, Francis recalled that “itt is essential that technological development take place in an ethical and responsible way, respecting the centrality of the human person, whose place can never be taken by an algorithm or a machine. The inherent dignity of each human being and the fraternity that binds us together as members of the one human family must undergird the development of new technologies and serve as indisputable criteria for evaluating them before they are employed, so that digital progress can occur with due respect for justice and contribute to the cause of peace.”

However, Pope Francis did not limit himself to denouncing the problems of our time. He also renewed a heartfelt call to build peace through dialogue, mutual respect and understanding, while actively working for mutual well-being and respect for human dignity.

In short, Pope Francis’ words are a reminder to rethink our priorities and values in a rapidly changing world. They invite us to reflect on how

our actions and choices affect peace and the perception of human dignity.

Respect, mutual understanding and universal love must therefore continue to be the guiding principles which, put into practice with the support of ethical reflection, must help us to face with confidence the great challenges of our time.

In this age of technology and innovation, respect for human life and humanity are the fundamental pillars for building a future of harmony and peace for all.

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Terremoto in Giappone, oltre 200 morti e più di 300 dispersi. Dalla diocesi una raccolta fondi per sostenere le famiglie delle vittime

Mar, 09/01/2024 - 09:57

(Tokyo) All’estero già non se ne parla più, ma in Giappone prosegue l’emergenza terremoto e di ora in ora i mass media continuano a fornire notizie e aggiornamenti sulla situazione nelle zone colpite dal sisma dell’1 gennaio che all’epicentro, nella penisola di Noto, ha raggiunto magnitudo 7,6. Lo sciame sismico ha prodotto la scorsa settimana oltre 1.200 scosse di assestamento e il bilancio delle vittime la sera dell’8 gennaio era salito a quota 202 mentre il numero dei dispersi aveva raggiunto nell’arco della giornata quota 323. Circa 28.000 persone sono raccolte in 390 centri di evacuazione nella prefettura di Ishikawa dove circa 20.000 famiglie sono ancora senza energia elettrica e 59.000 senza acqua.

La carenza idrica sta comportando conseguenze sulla situazione igienica provocando un’emergenza sanitaria specialmente nei luoghi di rifugio per gli sfollati con una crescita dei casi di influenza e di coronavirus, favorita anche dalle temperature sotto zero, con rischio epidemico. Le autorità hanno inoltre segnalato la possibilità di ulteriori crolli sotto il peso della neve di edifici e abitazioni già rese precarie dal terremoto in seguito alle forti nevicate nelle zone terremotate.

Le strade interrotte per i danni del sisma, per la neve e per il ghiaccio hanno messo a dura prova Vigili del fuoco, Polizia, Forze di Autodifesa impegnate nello strenuo tentativo di raggiungere le zone isolate con beni di prima necessità ma soprattutto nello sforzo di salvare la vita alle persone ancora intrappolate sotto le macerie, anche se la possibilità di sopravvivenza oltre le 72 ore sembra essere molto remota.
Tuttavia, come spesso accade in queste situazioni di grande buio, appare la piccola luce della solidarietà e dell’altruismo anche tra gli stessi residenti sopravvissuti come riportato da alcuni quotidiani. “È tutto quello che posso fare” sono le parole di un uomo sceso dalla propria auto porgendo due preziose bottiglie d’acqua ad un dipendente di un centro anziani che, nonostante la sua abitazione fosse stata distrutta, si era posto sul ciglio di una strada di Wajima con un cartello scritto a mano con il quale chiedeva aiuto per i residenti della struttura sopravvissuti al sisma.

“Desidero aiutare i clienti, per quanto poco possa essere” ha dichiarato invece ai giornalisti il responsabile di un supermercato che ha messo in vendita la maggior parte degli articoli ad un prezzo di 100 yen, 0,63 euro, aggiungendo che “pensare al profitto può venire dopo”.

La prefettura di Ishikawa, la più colpita dal terremoto, fa parte con le altre 4 prefetture di Aichi, Gifu, Fukui e Toyama, della diocesi di Nagoya che copre un’area di 28.419 km² con una popolazione di circa 12.454.582 abitanti di cui 17.645 cattolici secondo i dati 2022 riportati dal sito ufficiale della Conferenza episcopale giapponese. Il vescovo, mons. Goro Matsuura, il 4 gennaio ha pubblicato sul sito della diocesi

(Foto diocesi di Nagoya)

un rapporto sull’entità dei danni nelle 3 prefetture di Ishikawa, Toyama e Fukui. Le parrocchie di Wajima e di Nanao nella prefettura di Ishikava in particolare sono state gravemente danneggiate con crolli delle pareti esterne, di alcune parti del soffitto e della parte superiore dell’altare. Danni minori riportate dalle altre parrocchie della zona. Padre Yoshihiro Kataoka, parroco dell’area di Ishikawa, impossibilitato dalle condizioni delle strade a raggiungere la parrocchia di Wajima ha potuto tuttavia raccogliere informazioni tramite messaggi e foto della direttrice della scuola materna, anche lei, come altri due parrocchiani filippini, vittima del crollo della propria abitazione. Responsabili della diocesi di Nagoya, dell’Emergency Response Support Team (Erst), del Consiglio centrale cattolico e di Caritas Giappone hanno tenuto un incontro online il 3 gennaio per monitorare la situazione e discutere i piani futuri. La diocesi ha dato il via alla raccolta fondi per sostenere le famiglie delle vittime, i superstiti e avviare le lime opere di ristrutturazione.
“Apprezziamo sinceramente le espressioni di sostegno e le numerose preghiere che abbiamo già ricevuto. Preghiamo per il riposo eterno di coloro che hanno perso la vita, per il rapido salvataggio di coloro che sono ancora dispersi e per coloro che sono stati evacuati a causa di questa terribile tragedia”, il ringraziamento e l’auspicio di mons. Matsuura.

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Earthquake in Japan, 168 dead and over 300 missing. The diocese’s fundraising efforts to help the families of the victims

Mar, 09/01/2024 - 09:57

(Tokyo) While the earthquake emergency is no longer news overseas, in Japan the media continues to provide up-to-date coverage of the situation in the areas hit by the earthquake of 1 January, which measured a magnitude of 7.6 with its epicentre on the Noto peninsula. The earthquake swarm caused more than 1,200 aftershocks last week, bringing the death toll to 168 on the evening of 8 January, with a total of 323 people reported missing by the end of the day. More than 28,000 people are sheltering across 390 evacuation centres in Ishikawa Prefecture, with some 20,000 families reportedly without electricity and 59,000 without drinking water.

Water shortages are affecting sanitation, creating a health emergency, especially in shelters for displaced people, with an increase in cases of influenza and coronavirus, made worse by below-zero temperatures, raising the risk of an epidemic. Authorities have also warned of further collapse of quake-damaged buildings and homes due to heavy snowfall in the earthquake-affected areas.

Roads damaged by the earthquake, snow and ice pose a major challenge to firefighters, police and rescue teams as they try to reach isolated areas with basic supplies and, most importantly, to save the lives of those still trapped under the rubble, even though the chances of survival appear very slim more than 72 hours later.

Nevertheless, as is often the case in these situations of total darkness, the beacon of solidarity and altruism is shining brightly even among the surviving inhabitants, as reported by some news outlets. “This is all I can do,” said a man who got out of his car and handed two precious bottles of water to an employee of a nursing home. Despite the fact that his home had been destroyed, he was standing by the side of the road in Wajima with a handwritten appeal for help for the facility’s earthquake survivors.

“I want to help customers in any way I can,” a supermarket manager, who put most of the items on sale at 100 yen, or €0.63, told reporters, adding that “profit can wait.”

Ishikawa Prefecture, the one most affected by the earthquake, together with the other four prefectures of Aichi, Gifu, Fukui and Toyama, is part of the Diocese of Nagoya, which covers an area of 28,419 km² with a population of about 12,454,582 inhabitants, of whom 17,645 are Catholics, according to the official website of the Japanese Bishops’ Conference. The bishop, Msgr. Goro Matsuura, published a report on 4 January on the diocesan website concerning the extent of the damage in the three prefectures of Ishikawa, Toyama and Fukui. In particular, the parishes of Wajima and Nanao in Ishikawa Prefecture were severely damaged, having suffered collapsed external walls, ceilings and apse. Minor damage was

reported in other parishes in the area. Father Yoshihiro Kataoka, parish priest of the Ishikawa district, was unable to reach the parish of Wajima due to poor road conditions, but was able to gather information through messages and photos from the principal of the nursery school, who was also a victim of the collapse of her home, along with two other Filipino parishioners. On 3 January, representatives from the Diocese of Nagoya, the Emergency Response Support Team (ERST), the Central Catholic Council and Caritas Japan held an online meeting to monitor the situation and discuss future steps. The diocese has launched a fundraising campaign to help the families of the victims and survivors, and to begin initial reconstruction work.

“We are very grateful for the expressions of support and the outpouring of prayers that we have already received. Our prayers are for the repose of the soul of the deceased, for the speedy recovery of those who are still unaccounted for, and for all those who have been evacuated in the wake of this terrible tragedy,” said Monsignor Matsuura.

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Golden Globe, miglior film e regia a “Oppenheimer” di Nolan. Per la Tv, vincono “Succession” e “The Bear”

Lun, 08/01/2024 - 12:27

Non c’erano dubbi, lo andiamo dicendo dallo scorso agosto: “Oppenheimer” di Christopher Nolan è il film dell’anno e i Golden Globe lo hanno appena ratificato. I premi della stampa estera a Hollywood, considerati l’anticamera degli Oscar, incoronano il colossal sul fisico che ha guidato il “Progetto Manhattan” con cinque statuette di peso: film drammatico, regia, attore protagonista Cillian Murphy, non protagonista Robert Downey Jr. e la bellissima colonna sonora composta da Ludwig Göransson. “Oppenheimer” è stato tra i grandi dominatori al botteghino nel 2023 insieme all’altrettanto inarrestabile “Barbie” di Greta Gerwig. Nolan ha firmato probabilmente il suo film più imponente, stratificato, coinvolgente, e i riconoscimenti iniziano ad arrivare. Ora bisognerà attendere il 23 gennaio per capire l’orientamento degli Academy Awards.
È stato inserito nella categoria commedia – i Golden Globe, a differenza degli Oscar, separano i film tra drama e comedy, assegnando così più riconoscimenti – “Povere creature”, il visionario film di Yorgos Lanthimos, Leone d’oro a Venezia80, che nella notte dei Golden Globe ha conquistato due statuette pesanti, miglior film e attrice protagonista Emma Stone, in una performance davvero superlativa, che sembra già ipotecare il suo secondo Oscar dopo quello per “La La Land” nel 2017.

Sfuma il sogno di “Io capitano” davanti alla vittoria di Justine Triet

Una delle categorie molto attese per l’Italia era quella per il miglior film in lingua straniera: eravamo in corsa con “Io capitano” di Matteo Garrone, già Leone d’argento a Venezia80. Il Golden Globe è andato al favorito “Anatomia di una caduta” di Justine Triet (Francia), vincitore della Palma d’oro a Cannes76. Negli Stati Uniti l’opera della Triet è stata molto apprezzata, al punto da competere ai Golden Globe con quattro candidature forti; tra i riconoscimenti che porta a casa c’è anche la miglior sceneggiatura. Va detto, però, che ai prossimi Oscar l’opera della Triet non rappresenterà la Francia, che concorrerà con “The Taste of Things”, e questo offre più possibilità all’opera di Garrone. Certo, gli “avversari” sono agguerritissimi: “Perfect Days” (Giappone, di W. Wenders), “Fallen Leaves” (Finlandia, di A. Kaurismäki) e “The Zone of Interest” (Regno Unito, di J. Glazer). La fatidica cinquina sarà svelata il 23 gennaio.

La rivelazione “The Holdovers” e il magro bottino di “Barbie”

Nella categoria Comedy, due titoli in evidenza. Anzitutto la rivelazione “The Holdovers. Lezioni di vita” di Alexander Payne, di cui abbiamo parlato di recente richiamando il racconto di formazione sul tracciato de “L’attimo fuggente” (1989), che ha conquistato a mani basse due premi importanti: attore protagonista Paul Giamatti e attrice non protagonista Da’Vine Joy Randolph. Il film vede così la strada sempre più spianata verso la partita dei prossimi Oscar. E poi c’è il fenomeno “Barbie” della regista Greta Gerwig, che il Festival di Cannes ha già scelto come prossima presidente di giuria. “Barbie” vince ai Golden Globe, ma non sbanca: conquista “solo” la statuetta per la nuova categoria miglior incasso al botteghino e per l’ottima canzone “What Was I Made For?” di Billie Eilish.
Tra i restanti riconoscimenti, da ricordare la miglior attrice drammatica per Lily Gladstone (“Killers of the Flower Moon”), che entra nella storia come prima nativa americana a ottenere il premio, e la miglior animazione “Il ragazzo e l’airone” del regista giapponese Hayao Miyazaki.

Serie Tv, sbancano “Succession” e “The Bear”

A Los Angeles non è andata in scena solo la notte dei premi del cinema, ma anche delle produzioni Tv tra serie e miniserie. E a uscire vincitrici sono due serie apprezzatissime dalla critica e dal pubblico: “Succession” (Hbo, Sky) e “The Bear” (FX, DisneyPlus). La prima, categoria drama, si è imposta senza rivali con il suo gran finale, la quarta e ultima stagione; creata da Jesse Armstrong, “Succession” ha ottenuto il titolo di miglior serie dell’anno e per gli interpreti Kieran Culkin (attore protagonista), Sarah Snook (attrice protagonista) e Matthew Macfadyen (non protagonista). Un po’ a sorpresa è rimasta a mani vuote la rivelazione del 2023 “The Last of Us” (Hbo, Sky), come pure “The Diplomat” e “The Crown” (targate Netflix). A ben vedere, “The Crown” incassa il premio per l’attrice non protagonista, Elizabeth Debicki, per l’intenso ritratto di Lady Diana Spencer.
Nella sezione comedy, nessun ostacolo per la seconda stagione di “The Bear” di Christopher Storer: ha portato a casa il titolo di miglior serie e per i protagonisti Jeremy Allen White e Ayo Edebiri. Riconoscimenti meritatissimi per una serie scritta, diretta e interpretata magnificamente. Ancora, per le miniserie vince tutto un po’ a sorpresa “Lo scontro” (“Beef”) prodotta da Netflix, che conquista le statuette per miglior miniserie e gli attori Steven Yeun e Ali Wong. Ci dispiace, e non poco, che siano state totalmente ignorare le valide “Lezioni di chimica” (Apple TV+) e “Daisy Jones & The Six” (Prime Video). Infine, è stato premiato anche il miglior show stand-up comedy andato al geniale britannico Ricky Gervais, all’umorismo irriverente e corrosivo messo in campo in “Armageddon” (Netflix).

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Golden Globes 2024, Nolan’s ‘Oppenheimer’ wins Best Picture, Director. ‘Succession’ and ‘The Bear’ win top TV honours

Lun, 08/01/2024 - 12:27

We had no doubts, we’ve been saying it since last August: Christopher Nolan’s ‘Oppenheimer’ is the best film of the year, and the Golden Globes have just confirmed it. The Hollywood Foreign Press Association awards, considered the prelude to the Academy Awards, honoured the epic about the physicist who masterminded the ‘Manhattan Project’ with five major awards: Best Drama, Best Director for Nolan, Best Actor in a Drama for Cillian Murphy, Best Actor in a Supporting Role for Robert Downey Jr. and for Ludwig Göransson’s score. Oppenheimer’ was one of the biggest blockbusters of 2023, along with Greta Gerwig’s blockbuster ‘Barbie’. Nolan has made what is arguably his most impressive, multi-layered and gripping film to date, and the accolades are starting to roll in. As for the Academy Awards’ orientations, we will have to wait until 23 January.

‘Poor Things’, the bold vision of director Yorgos Lanthimos, winner of the 80th edition of the Venice Film Festival, won two prestigious awards at the Golden Globes, including Best Comedy – unlike the Oscars, the Golden Globes divide films into “drama” and “musical or comedy”, thereby awarding more prizes – and Best Actress for Emma Stone, who gave a truly outstanding performance that would seem to promise her a second Oscar after the one for La La Land in 2017.

‘Me Captain’’s dream gives way to Justine Triet’s victory

One of the most eagerly awaited categories for Italy was Best Foreign Language Film. Matteo Garrone’s ‘Me Captain’ (winner of the Silver Lion at the 80th Venice International Film Festival) was chosen as Italy’s entry. Justine Triet’s ‘Anatomy Of A Fall’, winner of the Palme d’Or at Cannes76, won Best Foreign Language Film and Best Screenplay at the Golden Globes. Triet’s film was highly praised in the United States, where it competed with four other major nominees at the Golden Globes. It should be noted, however, that Triet’s film won’t be representing France at the forthcoming Oscars. In fact, France will be competing with ‘The Taste of Things’, which gives more chances to Garrone’s film. Needless to say, the “opponents” are formidable: ‘Perfect Days’ (Japan, by W. Wenders), ‘Fallen Leaves’ (Finland, by A. Kaurismäki) and ‘The Zone of Interest’ (UK, by J. Glazer). The fateful five will be announced on 23 January.

‘The Holdovers’ success and ‘Barbie’’s slim rewards

In the Comedy category, two films stood out. Firstly, Alexander Payne’s ‘The Holdovers. Lessons of Life’, recently reviewed, which recalls the coming-of-age drama along the lines of ‘The Dead Poet’s Society’ (1989), won two prestigious awards, for Best Actor Paul Giamatti and Supporting Actress Da’Vine Joy Randolph. The movie’s progress towards the next Oscar nominations is thus increasingly solid. Next up is the Barbie phenomenon by director Greta Gerwig, who has already been chosen as the next president of the Cannes jury. “Barbie” did win at the Golden Globes, but it only won 2 of the 9 awards for which it was nominated, namely the inaugural award for Cinematic and Box Office Achievement, and Billie Eilish’s hit “What Was I Made For?” for Best Original Song.

Other awards included Best Performance by an Actress in a Motion Picture, Drama, won by Lily Gladstone (‘Killers of the Flower Moon’) who became the first Native American to win the award. Hayao Miyazaki’s ‘The Boy and the Heron’ won the Golden Globe for Best Animated Feature Film.

‘Succession’ and ‘The Bear’ win top TV honours

Los Angeles was not only the venue for cinema awards, but also for TV shows and television limited series. Critically acclaimed and well-received series Succession (HBO, Sky) and The Bear ( FX, DisneyPlus) took the top prizes. The former, in the drama category, was unrivalled with its grand finale, the fourth and final season. Jesse Armstrong’s “Succession” was crowned Best Drama, with Kieran Culkin winning Best Actor, Sarah Snook Best Actress in a TV Drama and Matthew Macfadyen Best Supporting Actor. Somewhat surprisingly, the 2023 hit ‘The Last of Us’ (HBO, Sky) went home empty-handed, as did ‘The Diplomat’ and ‘The Crown’ (Netflix). On closer inspection, ‘The Crown”s Elisabeth Debicki won Best Supporting Actress for her powerful performance as Lady Diana Spencer.

In the comedy category, the second season of Christopher Storer’s ‘The Bear’ took home three awards at the Globes: Best Comedy Series, with Ayo Edebiri and Jeremy Allen White also taking home acting honours. Well-deserved awards for a beautifully written, directed and acted show.  The surprise winner was Netflix’s ‘Beef’, which won Best Limited Television Series and Best Actor for Steven Yeun and Ali Wong. Regrettably, the equally deserving ‘Chemistry Lessons’ (Apple TV+) and ‘Daisy Jones & The Six’ (Prime Video) were completely ignored. Finally, Best Stand-Up Comedy Show went to British genius Ricky Gervais for his irreverent and caustic humour in ‘Armageddon’ (Netflix).

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Pope Francis: “The present third world war fought piecemeal is turning into a global conflict”

Lun, 08/01/2024 - 12:15

“Our world is witnessing a growing number of conflicts that are slowly turning what I have often called a third world war fought piecemeal into a genuine global conflict,” is the snapshot shared by Pope Francis in his traditional New Year’s address to the Diplomatic Corps, delivered in the Benediction Hall and devoted to peace, “at the beginning of a year that we hope to be one of peace, but has instead dawned amid conflicts and divisions.” A total of 184 states currently maintain full diplomatic relations with the Holy See, in addition to the European Union and the Sovereign Military Order of Malta.

“I cannot fail to reiterate my deep concern regarding the events taking place in taking place in Palestine and Israel”,

the Pope’s first appeal: “All of us remain shocked by the October 7 attack on the Israeli people. I renew To all the parties involved I renew my appeal for

a cease-fire on every front, including Lebanon,

and the immediate liberation of all the hostages held in Gaza. I ask that the Palestinian people receive humanitarian aid, and that hospitals, schools and places of worship receive all necessary protection. It is my hope that the international community will pursue with determination the solution of two states, one Israeli and one Palestinian, as well as an internationally guaranteed special status for the City of Jerusalem, so that Israelis and Palestinians may finally live in peace and security.” “Sadly, after nearly two years of large-scale war waged by the Russian Federation against Ukraine, the greatly desired peace has not yet managed to take root in minds and hearts, despite the great numbers of victims and the massive destruction”, the Pope denounced with regard to other hot spots of the war front: “One cannot allow the persistence of a conflict that continues to metastasize, to the detriment of millions of persons; it is necessary to put an end to the present tragedy through negotiations, in respect for international law”, is the Pope’s appeal.

“Civilian victims are not ‘collateral damage’”,

Francis said with regard to the situation in Ukraine and Gaza: “even when it comes to exercising the right to self-defence, it is essential to maintain a proportional use of force.”

“Wars are able to continue thanks to the enormous stock of available weapons”, the Pope said, calling to “pursue a policy of disarmament.” He reiterated the “immorality of manufacturing and stockpiling of nuclear weapons” and renewed the proposal to set up a global fund to eradicate hunger and foster global sustainable development. “The climate crisis” demands an increasingly urgent response and full involvement on the part of all”, Francis said. He pointed out that COP28 final declaration “is an encouraging step”, with the hope that it will lead to “a decisive acceleration of the ecological transition.”

in the last ten years the Mediterranean “has turned into a great cemetery”, the Pope denounced with regard to one of the consequences of the conflicts. “Let us not forget – Francis remarked –  that the great number of victims include many unaccompanied minors.”

The Mediterranean should instead be “a laboratory of peace.” “This does not detract from the fact that migration should be regulated, in order to accept, promote, accompany and integrate migrants, while at the same time respecting the culture, sensitivities and security of the peoples that accept responsibility for such acceptance and integration”, the Pope pointed out, who asked to “create the conditions” for the effective exercise of the right to remain in one’s homeland. “In confronting this challenge, no country should be left alone, nor can any country think of addressing the issue in isolation, through more restrictive and repressive legislation adopted at times under pressure of fear or in pursuit of electoral consensus”, the Pope said, welcoming “the commitment of the European Union to seek a common solution through the adoption of the new Pact on Migration and Asylum, while at the same time noting some of its limitations, especially concerning the recognition of the right to asylum and the danger of arbitrary detention.”

Moreover, the path to peace “calls for respect for life, for every human life, starting with the life of the unborn child in the mother’s womb, which cannot be suppressed or turned into an object of trafficking.”

In particular, Francis deems “deplorable the practice of so-called surrogate motherhood”, calling on the international community “to prohibit this practice universally.” Likewise, he deems “gender theory” to be “extremely dangerous”, since “it cancels differences in its claim to make everyone equal.” At international level, Francis highlighted “the weakening of structures of multilateral diplomacy”, which splitting into ‘clubs’ that only admit states deemed ideologically compatible”, and “even agencies which have thus far proved effective, risk paralysis due to ideological polarization and exploitation by individual states.” The year 2024 will witness elections being held in many nations, the Pope noted. “It is important, then, that citizens, especially young people, consider it one of their primary duties to contribute to the advancement of the common good through a free and informed participation in elections.” Furthermore, peace is threatened by the persecution and discrimination against Christians – more than 360 million Christians around the world– and by the rise in acts of anti-Semitism, a “scourge” that “must be eliminated from society. Finally, peace can be undermined by “fake news” or by the misuse of artificial intelligence, which, just like any other technological development, “remains at the service of the human person, “whose place can never be taken by an algorithm or a machine.” “Today, perhaps more than ever, we need a Holy Year”, Francis said in the concluding remarks referring to the Jubilee due to begin next Christmas. “For everyone – Christians and non-Christians – the Jubilee can be a time when swords are beaten into ploughshares, a time when one nation will no longer lift up sword against another, nor learn war any more.”

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Papa Francesco: “La terza guerra mondiale a pezzi è un conflitto globale”

Lun, 08/01/2024 - 12:15

“Il mondo è attraversato da un crescente numero di conflitti che lentamente trasformano quella che ho più volte definito terza guerra mondiale a pezzi in un vero e proprio conflitto globale”. È la fotografia scattata da Papa Francesco, nel tradizionale discorso di inizio anno al Corpo diplomatico, pronunciato nell’Aula della Benedizione e dedicato alla pace, “all’inizio di un anno che vorremmo di pace e che invece si apre all’insegna di conflitti e divisioni”. Sono 184 gli Stati che attualmente intrattengono relazioni diplomatiche piene con la Santa
Sede, a cui vanno aggiunti l’Unione Europea e il Sovrano Militare Ordine di Malta.

“Non posso in questa sede non ribadire la mia preoccupazione per quanto sta avvenendo in Israele e Palestina”,

il primo appello del Papa: “Tutti siamo rimasti scioccati dall’attacco terroristico del 7 ottobre scorso contro la popolazione in Israele. Ribadisco il mio appello a tutte le parti coinvolte per

un cessate-il-fuoco su tutti i fronti, incluso il Libano,

e per l’immediata liberazione di tutti gli ostaggi a Gaza. Chiedo che la popolazione palestinese riceva gli aiuti umanitari e che gli ospedali, le scuole e i luoghi di culto abbiano tutta la protezione necessaria. Auspico che la comunità internazionale percorra con determinazione la soluzione di due Stati, uno israeliano e uno palestinese, come pure di uno statuto speciale internazionalmente garantito per la Città di Gerusalemme, affinché israeliani e palestinesi possano finalmente vivere in pace e sicurezza”. “Purtroppo, dopo quasi due anni di guerra su larga scala della Federazione Russa contro l’Ucraina, la tanto desiderata pace non è ancora riuscita a trovare posto nelle menti e nei cuori, nonostante le numerosissime vittime e l’enorme distruzione”, la denuncia sull’altro fronte caldo del mondo: “Non si può lasciare protrarre un conflitto che va incancrenendosi sempre di più, a detrimento di milioni di persone, ma occorre che si ponga fine alla tragedia in atto attraverso il negoziato, nel rispetto del diritto internazionale”, l’appello.

“Le vittime civili non sono danni collaterali”,

l’altro riferimento alla situazione in Ucraina e a Gaza: “anche quando si tratta di esercitare il diritto alla legittima difesa, è indispensabile attenersi ad un uso proporzionato della forza”.

“Le guerre possono proseguire grazie all’enorme disponibilità di armi”, argomenta il Papa esortando a “perseguire una politica di disarmo”, ribadendo “l’immoralità di fabbricare e detenere armi nucleari” e rinnovando la proposta di costituire un Fondo mondiale per eliminare la fame e per promuovere uno sviluppo sostenibile del pianeta. “La crisi climatica esige una risposta sempre più urgente e richiede il pieno coinvolgimento di tutti , afferma ancora una volta Francesco, secondo il quale il documento finale della Cop28 “rappresenta un passo incoraggiante”: l’auspicio è che “porti a una decisa accelerazione della transizione ecologica”.

 Il Mediterraneo “è diventato nell’ultimo decennio un grande cimitero”, la denuncia a proposito di una delle conseguenze dei conflitti: “tra le tante vittime ci sono molti minori non accompagnati”.

Il Mediterraneo non dovrebbe essere una tomba, ma “un laboratorio di pace”. “Ciò non toglie che la migrazione debba essere regolamentata per accogliere, promuovere, accompagnare e integrare i migranti, nel rispetto della cultura, della sensibilità e della sicurezza delle popolazioni che si fanno carico dell’accoglienza e dell’integrazione”, puntualizza il Papa, che nello stesso tempo chiede di “creare le condizioni” per esercitare il diritto di rimanere nella propria patria. “Dinanzi a questa sfida nessun Paese può essere lasciato solo, né alcuno può pensare di affrontare isolatamente la questione attraverso legislazioni più restrittive e repressive, approvate talvolta sotto la pressione della paura o per accrescere il consenso elettorale”, la tesi di Francesco, che accoglie “con soddisfazione l’impegno dell’Unione Europea a ricercare una soluzione comune mediante l’adozione del nuovo Patto sulla Migrazione e l’Asilo, pur rilevandone alcuni limiti, specialmente per ciò che concerne il riconoscimento del diritto d’asilo e per il pericolo di detenzioni arbitrarie”.

La via della pace, inoltre, “esige il rispetto della vita, di ogni vita umana, a partire da quella del nascituro nel grembo della madre, che non può essere soppressa, né diventare oggetto di mercimonio”.

In particolare, Francesco definisce “deprecabile la pratica della cosiddetta maternità surrogata”, chiedendo un impegno della comunità internazionale per proibirla a livello universale, e “pericolosissima” la teoria del gender, “perché cancella le differenze nella pretesa di rendere tutti uguali”. A livello internazionale, Francesco segnala l’indebolimento delle “strutture di diplomazia  multilaterale”, che rischiano di frammentarsi “in club che lasciano entrare solo Stati ritenuti ideologicamente affini”: “anche quegli organismi finora efficienti rischiano una paralisi a causa di polarizzazioni ideologiche, venendo strumentalizzati da singoli Stati”. Il 2024 vedrà la convocazione di elezioni in molti Stati, rileva il Papa, secondo il quale “è importante che i cittadini, specialmente le giovani generazioni, avvertano come loro precipua responsabilità quella di contribuire all’edificazione del bene comune, attraverso una partecipazione libera e consapevole alle votazioni”. La pace è inoltre minacciata dalla persecuzione dei cristiani nel mondo – oltre 360 milioni – e dall’aumento degli atti di antisemitismo, “piaga” che “va sradicata dalla società”. La pace, infine, può essere messa in pericolo dalle “fake news” o da un uso improprio dell’intelligenza artificiale, che come ogni tecnologia deve mantenersi “al servizio dell’uomo, il cui apporto non può né potrà mai essere rimpiazzato da un algoritmo o da una macchina”. “Forse oggi più che mai abbiamo bisogno dell’anno giubilare”, la conclusione del discorso riferita al Giubileo che inizierà il prossimo Natale: “può essere per tutti – cristiani e non – il tempo in cui spezzare le spade e farne aratri; il tempo in cui una nazione non alzerà più la spada contro un’altra nazione, né si imparerà più l’arte della guerra”.

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Epifania: luce attesa, sospirata e invocata

Sab, 06/01/2024 - 09:29

Il fulgore della luce divina risplende in questo giorno, perché la gloria di Dio si è manifestata, Isaia aveva detto: “In quel giorno la luce di Dio sarà più luminosa del sole” (60,19), nella celebrazione misterica ad un tempo della piena manifestazione di Gesù quale Unigenito del Padre e, in Lui, della teofania della divina Trinità.
Il giorno è venuto: la gloria dell’Altissimo apparsa a Mosè nel fuoco del Roveto Ardente, sul monte Sinai nella grande nube e nel fuoco, quella che Ezechiele intravvedeva con “il centro del fuoco sembrava metallo incandescente” (Ez 1,4. 27).
Il Signore, giunto in potenza risplendente, domina su tutta la terra.
Tutto brilla, ci dice la Scrittura, come il sole che al mattino irrompe nelle tenebre notturne.
La teofania tutta risplende e non si può contenere proprio come il sole che al mattino sorge.
Luce attesa, sospirata, invocata.
Tutto il grande progetto dell’Altissimo, da sempre pensato ed amato, stava per esplodere nel tempo e nella storia, giungeva al suo compimento: oggi.

Come possiamo vedere e gustare questa risplendente teofania in un neonato accolto non in un palazzo reale ma deposto in una mangiatoia?

Eppure ci fu chi scorse questa luce, chi ne fu attratto e se ne lasciò compenetrare.
Per la cultura antica, Erodoto lo attesta, i Magi appartenevano alla casta sacerdotale di Zoroastro, mentre il libro di Daniele li ritiene ben distinti dai saggi della corte di Babilonia.
Venivano da Oriente ed era ben risaputo che “gli orientali” godevano di essere più sapienti di tutti gli altri popoli.
Guidati da una stella: sia la supernova, sia la cometa di Halley (la si vedrà nel 2061!), sia la congiunzione dei pianeti, Giove, Saturno e Marte che capita ogni 805 anni e, se prestiamo fede al famoso e illustre Keplero, secondo il suo calcolo avvenne nel 7-6 a. C.; sia quel che sia, la stella brillava.
In quella cultura antica, il quadro di annuncio di una nascita eccezionale doveva essere quello di un evento astrale, il nostro Plinio il Vecchio lo tramanda e lo attesta.
I Magi giunsero e riconobbero: si piegarono sulle ginocchia, il loro volto toccò la terra, le loro braccia stese a terra davanti alla loro testa in atto di omaggio, dovuto agli dei e ai re.
Questa volta solo dinnanzi a un bambino, che però è Gesù, si prostrano:

Lui dormiva, splendente, in una mangiatoia di quercia,
come un raggio di luna dentro un albero cavo.
Invece di calde pelli di pecora,
le labbra d’un asino e le nari d’un bue.
I Magi, nell’ombra, in quel buio di stalla
Sussurravano, trovando a stento le parole.
A un tratto qualcuno, nell’oscurità,
con una mano scostò un poco a sinistra
dalla mangiatoia uno dei tre Magi;
e quello si voltò: dalla soglia, come in visita,
alla Vergine guardava la stella di Natale.

Boris Pasternak il mistero lo penetrò e ce lo trasmise con parole vibranti di luce.
Oggi tutto si manifesta.
E noi? Siamo prostrati? Adoriamo?

La stella per noi è la Parola di Dio, sempre splendente e luminosa, irradiante la stessa luce della vita trinitaria.

Con i Magi, in una geografia magnetizzata e che supera distanze e paralleli, insieme con tutte le persone venute da lontano – perché il loro cuore non si prostra – venute da vicino -quando il loro cuore è piegato a terra – tutte pronte a ricevere il fiotto della Luce.
Prostrati, in ascolto della Parola, la luce ci rivestirà e potremo camminare da pellegrini nelle tenebre della storia, sapendo che l’Altissimo ci guida e in Lui le tenebre si squarceranno e saranno luce.
I nostri doni possono essere come l’oro, quando tutto il nostro essere si lascia trapassare dalla luce ed adora, come l’incenso quando il nostro agire quotidiano profuma di gesti di altruismo e di carità, come mirra preziosa che stendiamo sui dolori e sulle sofferenze dei nostri fratelli e sorelle.
Allora sarà nostra la gioia dei Magi quando videro la stella!

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I Magi, quei pagani che riuscirono a riconoscere Gesù

Sab, 06/01/2024 - 09:29

Quello da loro intrapreso fu un viaggio lungo e faticoso, partiti dal lontano Oriente, la Persia e guidati da una stella che li avrebbe condotti al re dei Giudei. Nel suo Vangelo, Matteo li chiama Magi, dal persiano antico “magūsh“, appellativo con cui nell’impero persiano venivano chiamati i sacerdoti di Zoroastro, ma non specifica quanti fossero. Sarà la tradizione medievale, più avanti, a ipotizzare che fossero in tre, come i doni che ciascuno di loro porrà ai piedi del bambino Gesù Bambino. Sempre secondo la tradizione, sarebbe stato grazie a una profezia, data proprio da Zoroastro, che i Magi avrebbero saputo dell’arrivo di Cristo prima ancora del clero di Gerusalemme. Arrivati nella città santa, saranno ricevuti dal re Erode che, spaventato dalla possibilità di perdere il suo trono, mentirà chiedendo loro di riferirgli dove fosse esattamente il neonato così che anche lui avesse potuto trovarlo per adorarlo. Sempre l’evangelista riferisce poi che, dopo l’incontro col Bambino, i Magi, dopo esser stati avvisati in sogno di non tornare dal re, si rimetteranno in cammino per fare ritorno nel loro paese seguendo però un’altra strada. Un gesto che scatenerà l’ira di Erode autore di quella che la storia appellerà come la “strage degli innocenti”, un indiscriminato massacro di tutti i bambini sotto i due anni nella speranza che uno di loro ci fosse quello annunciato dai profesti. Ma chi erano i Magi?

I Magi erano pagani, uomini “gentili” che portavano con loro doni preziosi riposti in scrigni altrettanto preziosi, aperti senza indugio al cospetto del Bambino e di sua madre, Maria.

Al loro interno c’erano oro, incenso e mirra. L’oro perché solo l’oro è il dono degno di un re; l’incenso perché simboleggia la divinità del bambino che è venuto a nascere; la mirra perché è una pianta dalla duplice proprietà: è curativa e quindi adatta a un guaritore (come sarà Gesù per tutta la sua vita, aiutando le persone afflitte dai mali sia fisici che dell’animo); ma è anche una pianta utilizzata da diversi popoli nel culto dei morti (gli antichi Egizi la utilizzavano per le imbalsamature). E il corpo senza vita di Gesù sarà cosparso, sarà unto, (dal greco Christòs, “unto”) proprio con l’olio di mirra  dopo la sua morte.

Poche le informazioni sui Magi che giungono a noi dal Vangelo di Matteo, a cominciare dai nomi che secondo il Vangelo armeno dell’infanzia, apocrifo, sarebbero Melchiorre, Baldassare e Gaspare. Molti dei particolari che fanno parte ora della descrizione di queste figure sono state attribuite loro nel tardo medioevo. Oltre ai nomi presenti nel vangelo apocrifo appunto, si dice che non fossero solo sacerdoti ma anche re, e che provenissero dai tre continenti allora conosciuti, e questo per simboleggiare la portata universale del messaggio cristiano. La tradizione bizantina aggiunge anche che i Magi rappresentino le tre età della vita mortale (vengono descritti infatti come un giovane, un adulto e un anziano).

Ciò di cui si è certi però è che fossero stranieri, sapienti astrologi (per questo avevano notato la stella) e che fossero pagani.

Essi, più che un settore culturale ed etnico ben preciso, incarnano l’universale attesa messianica , vera e propria dimensione umana dell’esistere. Il cosmo stesso, col suo silenzioso linguaggio rappresenta la loro prima guida in questa ricerca. Seguono la stella e sono i primi uomini ad interpretare i segni, a credere all’arrivo di Gesù e a comprendere la sua grandezza tanto da imbarcarsi in un viaggio difficile e pericoloso ma che valeva la pena intraprendere, non soltanto per conoscere, ma anche per portare doni a quel Re annunciato dagli astri. Matteo parla della gioia che i Magi provarono nel vedere la stella, la stella che li porterà alla casa del nuovo nato. Il loro quindi è un viaggio completo, sia sotto il profilo letterale che metaforico, verso la Luce, verso Colui che avevano dapprima solo intuito e solo in seguito poi riconosceranno come vero Dio.

(*) in collaborazione con Martina Anile

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Vocazioni e università. Don Gianola: “Case in cui il Vangelo sia attrattivo”. Diaco: “Per essere educatori fecondi non dobbiamo temere il rischo”

Ven, 05/01/2024 - 16:38

Dalla casa di Nazareth a quella di Cafarnao, per poi “creare casa” in Galilea. Si è snodato lungo questi tre passaggi il convegno nazionale vocazioni università 2024 che gli Uffici nazionali Cei per la pastorale delle vocazioni e per l’educazione, la scuola e l’università hanno promosso dal 3 al 5 gennaio a Roma. “Quando due innamorati si vogliono bene pensano ad una casa, e quando la famiglia cresce la casa si ingrandisce. La casa, inoltre, custodisce la speranza di un bene per sé e per gli altri, e ricorda che non si può vivere senza pensare che tutti gli altri fanno parte, come noi, di una casa comune”, ha detto il 3 gennaio, in apertura dei lavori mons. Giuseppe Baturi, segretario generale della Cei, riferendosi al tema dell’incontro, “Creare casa”. Tema che riprende un’espressione di Papa Francesco, al n. 217 dell’esortazione apostolica “Christus Vivit”, pubblicata all’indomani del Sinodo dei vescovi su “I giovani, la fede e il discernimento vocazionale”. “Casa intesa come spazio di accoglienza e relazioni all’interno delle quali si incarna e scorre la vita dello spirito”, e quindi “può fiorire una vocazione”, ha aggiunto don Michele Gianola, sottosegretario Cei e direttore Ufficio nazionale per la pastorale delle vocazioni. Ma anche università come “casa”, ha chiosato Ernesto Diaco, direttore Ufficio nazionale per l’educazione, la scuola e l’università, definendo gli anni in ateneo una “stagione decisiva anche in ambito vocazionale, una stagione di scelte, assunzione di responsabilità e apertura di spazi di libertà: per molti giovani il luogo del discernimento”.

Tre giornate ricche di spunti. Dalla lettura delle dinamiche sociali e culturali di oggi proposta il 3 gennaio dal docente di sociologia Massimiliano Colombi (Istituto Teologico Marchigiano) alla riflessione a 360° sui legami della seconda giornata. Chiara Palazzini, ordinario di pedagogia e psicologia presso la Pontificia Università Lateranense, ha invitato a “privilegiare il territorio delle relazioni come ambito di impegno e di lavoro, cambiando le nostre percezioni e costruendo

relazioni autentiche e generative a servizio della promozione e della crescita integrale della persona”.

Foto SIR

Soffermandosi sul tema dell’educazione, Palazzini ha sottolineato il “ruolo fondamentale della comunità con la qualità delle relazioni che sa costruire. Non bastano genitori, scuola, parrocchia, centro sportivo: occorre tutta la dimensione comunitaria per costruire il patto educativo”. Nel suo contributo in video sul tema “conoscere”, Flavia Marcacci, docente di Storia del pensiero scientifico presso la Pontificia Università Lateranense, ha svolto una riflessione su un doppio binario: amare per conoscere e conoscere per amare. Conoscere, ha tra l’altro spiegato, è “una connessione certa, non accidentale tra le nostre credenze e la realtà”. E se la conoscenza scientifica è “una sorta di inveramento progressivo, un processo mai definitivo”, l’amore ci porta a “passare dalla conoscenza alla deliberazione, alla scelta, alla decisione su cosa fare e cosa non fare”.

Un invito alla “essenzialità e purificazione da distrazione e comfort che intontisce” è venuto da don Fabio Rosini, direttore dell’Ufficio diocesano per la pastorale delle vocazioni della diocesi di Roma, intervenuto sul tema “sentire”. Oggi, ha spiegato, i ragazzi sono “distratti, tirati, espropriati da mille impulsi”. “Per fare il discernimento giovanile, vocazionale – il monito del sacerdote -, bisogna mettere in atto un processo di purificazione”, di “liberazione da uno stato confusionale, per capire in mezzo a tante voci qual è la voce autentica”. Occorre insomma

“superare la montagna di spazzatura che si ha nel cervello”.

Ed ogni scelta comporta una perdita: “scegliere Cristo vuol dire perdere il mondo”, ma “chi sceglie Cristo anziché il mondo, avrà sia Cristo sia il mondo “, mentre chi “sceglie il mondo, non avrà né il mondo, né Cristo. Perderà Cristo per stare appresso agli intontimenti”. Per questo, “se vogliamo affrontare la pastorale giovanile e il discernimento, dobbiamo affrontare il tema dell’intontimento, del comfort che istupidisce” ma anche, in quanto sacerdoti, “dobbiamo avere una parola che taglia, che va al punto, che offre anche la possibilità di una rinuncia” perché “pensare di seguire Gesù Cristo a emissioni zero è impossibile; ci sarà per forza qualcosa che sanguina un po’”.

Cura di sé, degli altri, della vita, della natura, delle istituzioni sono i temi al centro della riflessione di Luigina Mortari, ordinario di pedagogia generale e sociale all’ Università di Verona, incentrata sul verbo “curare”. “Il prendersi cura costituisce la condizione fondamentale dell’essere umano, la sua essenza”, ha spiegato; tuttavia la cura “è una pratica, non un’emozione”. Attenzione e ascolto dell’altro; capacità di non intrusività, ossia di essere presente senza sostituirsi all’altro; delicatezza ma anche fermezza; rispetto, generosità sono le “azioni fondamentali della cura”.

Sulle sfide antropologiche e vocazionali sollevate dal postumanesimo si è soffermata oggi, terza e ultima giornata del convegno, Francesca Marin, docente di filosofia morale (Università di Padova). Inquietanti gli scenari delineati, in parte già in atto: crioconservazione di cadaveri, o esclusivamente delle loro teste, e in prospettiva trasferimento del loro contenuto neuronale su un supporto digitale; ampliamento a “nuovi sensi” e ibridazione uomo – macchina. Obiettivo, il superamento dei limiti umani in vista di una sorta di “perfezione” di fronte alla quale la filosofa si chiede:

“Meglio una vita perfetta oppure una vita buona, compiuta? Scegliamo la perfezione o il compimento?”.

In Galilea non andiamo con delle soluzioni, ma con nuovi orizzonti pastorali e antropologici”, ha detto questa mattina don Gianola, tirando le fila dei lavori. Con riferimento a postumano e cyborg il sacerdote coglie “una possibilità di incredibile annuncio vocazionale: l’orizzonte che discende dalla risurrezione del Signore esiste; c’è un mondo ‘altro’ al quale siamo chiamati; una destinazione, una prospettiva di domani che va oltre la storia”. Di qui invito ad

“avere parole, case, orizzonti e spazi nei quali il Vangelo possa emergere con attrattività”.

Per Diaco, “nella realtà del postumano ci vuole coraggio a presentare la prospettiva di un umanesimo integrale e trascendente” che dia “valore alla vulnerabilità e significato alla sofferenza”, ma è questa la “visione dell’uomo” da presentare. E poi: “apprezzare le differenze, accompagnare con cura, agire con coraggio”, secondo le indicazioni del Papa ai cappellani universitari.  “Quando si accompagnano i giovani con la vicinanza e quando si prega per loro – ha quindi assicurato – fioriscono delle meraviglie”, ma occorre rischiare, altrimenti “non c’è fecondità”. Di qui l’esortazione conclusiva:

“Non temiamo di rischiare per essere educatori fecondi”.

Francesca Marin – Foto SIR

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In sala “Perfect Days” firmato Wenders e “The Miracle Club”, su Prime Video “Saltburn”

Ven, 05/01/2024 - 15:43

Wim Wenders, il grande regista tedesco, tra i principali autori del cinema europeo, è tornato dietro alla macchina da presa per una storia “minuta” e bellissima. Parliamo di “Perfect Days”, una poesia urbana ed esistenziale dove protagonista è la quotidianità di un addetto alle pulizie dei bagni pubblici di Tokyo, che l’attore Koji Yakusho valorizza magnificamente. In sala c’è anche il gioiello inglese-irlandese “The Miracle Club” di Thaddeus O’Sullivan con le attrici Premio Oscar Maggie Smith e Kathy Bates. Una commedia con striature drammatiche che racconta il viaggio al santuario di Lourdes di quattro donne in cerca del miracolo della guarigione; un film che a ben vedere non interroga la dimensione della fede o del Mistero, ma approfondisce l’importanza del perdono. Su Prime Video il dramma feroce “Saltburn” dell’inglese Emerald Fennell, alla sua seconda regia dopo il folgorante “Promising Young Woman” (2020). Un affresco della società inglese Upper Class tagliente e fosco, che fa discutere ma colpisce per le scelte di regia e l’ottimo cast tra cui Barry Keoghan e Jacob Elordi. Il punto Cnvf-Sir.

(Foto Ufficio stampa)

“Perfect Days” (Cinema, 04.01)

Wim Wenders conferma ancora una volta la sua statura artistica firmando un film suggestivo e splendido: “Perfect Days”, in Concorso al 76° Festival di Cannes (2023). L’autore tedesco, classe 1945, con più di cinquant’anni di carriera e un elenco corposo di riconoscimenti – Leone d’oro a Venezia per “Lo stato delle cose” (1982), Palma d’oro a Cannes con “Paris, Texas” (1984) e Orso d’oro alla carriera a Berlino nel 2015 –, con “Perfect Days” mette a segno un altro titolo di grande fascino, destinato a rimanere tra le sue opere più interessanti. Inizialmente il progetto doveva essere una raccolta di cortometraggi sui bagni pubblici di Tokyo, luoghi che si presentano come vere e proprie opere di design, che lo stesso Wenders ha definito come “dei piccoli santuari di pace e dignità”. L’autore, non volendo limitarsi solo a dei corti, ha optato per un lungometraggio e così ha preso forma “Perfect Days”, poggiando quasi unicamente su un solo attore, il divo giapponese Koji Yakusho, che ha offerto un’interpretazione puntuale e intensa al punto da vincere il Prix d’interprétation a Cannes76.
La storia. Tokyo oggi, Hirayama è un uomo solitario sulla cinquantina, che conduce una vita semplice e regolare: si occupa della pulizia dei bagni pubblici e nel tempo libero si perde in letture senza sosta, in fotografie di spazi naturali, nella cura delle piante e nell’ascolto della musica. La sua quotidianità lietamente ripetitiva viene alterata da una serie di incontri, a partire dalla nipote adolescente…
“La routine di Hirayama – sottolinea Wenders – è […] la spina dorsale della nostra sceneggiatura. La bellezza di un ritmo così regolare, fatto di giornate ‘tutte uguali’, è che inizi a vedere tutte le piccole cose che non sono mai le stesse ma che cambiano ogni volta. Il fatto è che se impari davvero a vivere interamente nel qui e nell’ora, non esiste più la routine, esiste solo una catena infinita di eventi unici, di incontri unici e di momenti unici”. Wenders confeziona un’opera minuta e potente, intessuta di poesia. Si addentra in spazi urbani di Tokyo, scomponendone la grandezza e riducendola a misura d’uomo, alla vita gentile di Hirayama. L’uomo dal passato enigmatico, probabilmente benestante, ha scelto una vita nel segno della semplicità e dignità, per assaporarla in pienezza tra interessi e passioni artistiche. La sua vita, al di là del lavoro condotto con disciplina, è scandita dal ritmo di letture, cassette musicali o fotografie. Tutto è dolcemente ripetitivo, mai banale o stancante. Wenders ci schiude la bellezza del mondo di Hirayama, regalandoci vedute inedite di Tokyo, con una fotografia elegante e suggestiva e una colonna sonora cesellata alla perfezione tra brani di Lou Reed, Patti Smith, Rolling Stones e Van Morrison. Un film splendido, profondo, di struggente bellezza, che Koji Yakusho esalta alla perfezione. Consigliabile, poetico, per dibattiti.

“The Miracle Club” (Cinema, 04.01)

Che bella sorpresa “The Miracle Club”, la commedia con pennellate drammatiche diretta da Thaddeus O’ Sullivan, su soggetto di Jimmy Smallhorne, che vede protagoniste le attrici Premio Oscar Maggie Smith e Kathy Bates insieme a Laura Linney e Agnes O’Casey. Una storia ammantata di riflessioni religiose che in verità si snoda come un “on the road movie” dell’anima.
La storia. Ballygar, Dublino, 1967. Lily, Eileen e Dolly sono tre amiche che vorrebbero andare a Lourdes in Francia, in un pellegrinaggio organizzato dalla parrocchia. Al gruppo si aggiunge anche la loro vecchia amica Chrissie, residente da tempo negli Stati Uniti. Arrivate al santuario, tutte si confrontano con il bisogno disperato di un segno di grazia e al contempo con irrisolti del passato che faticano persino a confidare…

(Foto Ufficio stampa)

“Mia madre – ha raccontato lo sceneggiatore Jimmy Smallhorne – si prendeva cura da sola di otto figli più mio padre, erano dieci pasti, tre volte al giorno. Tutte le donne che vivevano sulla mia via erano eroiche, carismatiche, personaggi affascinanti. Erano resilienti nonostante le difficoltà e avevano fede”. “The Miracle Club” è una bella e convincente proposta che mette a tema la fede, il Mistero, ma soprattutto il bisogno di perdono, di sapersi perdonare. Più che approfondire uno spazio di fede, nello specifico il santuario francese – al cinema raccontato nel 2009 da “Lourdes” firmato da Jessica Hausner e nel 2020 dal documentario omonimo di Thierry Demaizière e Alban Teurlai –, la commedia “The Miracle Club” si sofferma sulla dimensione umana, sulle sofferenze recate da traumi o silenzi del passato. Ognuna delle protagoniste custodisce nell’animo un segreto, un tormento, che non dà tregua e ammala la vita di tutti i giorni. Ognuna di loro, in maniera diversa, si accosta al santuario con una speranza. Alla fine, però, la vera salvezza non giunge dalla manifestazione della grazia, dal miracolo, bensì dalla capacità di ascoltarsi, di confidarsi e, sì, di perdonarsi a vicenda. È il perdono, infatti, più che il miracolo effettivo, a salvare sollevando da oppressioni insopportabili. Il viaggio di queste quattro amiche nel Sud della Francia si tramuta pertanto in un percorso riparatore, di riconciliazione, che libera dalle sofferenze e apre alla salvezza nel quotidiano. “The Miracle Club” è un’ottima commedia, densa di temi complessi (la morte, la disabilità, la malattia, il trauma dell’aborto, l’abbandono) gestiti però con grazia e gentilezza, che attrici maiuscole governano in maniera puntuale e rispettosa. Consigliabile, problematico-poetico, per dibattiti.

“Saltburn” (Prime Video)

Dal 22 dicembre su Prime Video è disponibile “Saltburn” della britannica Emerald Fennell, nota anzitutto come attrice nel ruolo di Camilla Parker-Bowles in “The Crown” (2019-20) e poi come regista per il sorprendente “Promising Young Woman” (2020), candidato a cinque premi Oscar nel 2021 e una statuetta vinta per la sceneggiatura originale. Con “Saltburn” la Fennell si misura con la prova più difficile, l’opera seconda, che conferma tutte le sue potenzialità per stile e densità di racconto, ovviamente con scelte di regia non poco provocatorie.

(Foto Ufficio stampa)

La storia. Università di Oxford, anni Duemila. Oliver è una matricola che cerca di inserirsi nel competitivo ambiente accademico, dove brilla la comunità Upper Class di cui è l’emblema l’affascinante Felix. Oliver, che proviene da un ambiente semplice e modesto, fa di tutto per farsi notare. Con vari stratagemmi riesce a entrare nelle grazie del mutevole Felix, che lo invita a trascorrere le vacanze nella sua tenuta di famiglia, Saltburn. Vacanze che finiranno in una vertigine di spregiudicatezze e violenze…
Emerald Fennell ancora una volta firma un racconto scomodo e spinoso, un affresco deformato della società inglese, della sua gioventù, tra vanità, ambizioni, desiderio di possesso e rivalsa. Uno scenario umano lascivo e disincantato, di cui vorrebbe fortemente, ossessivamente, far parte il protagonista Oliver, un uomo comune, che rifiuta la sua normalità e brama di impossessarsi del mondo agiato abitato di Felix e dalla sua famiglia. “Saltburn” è un racconto feroce, spietato, i cui toni drammatico-thriller vengono “mascherati” da un’atmosfera estetizzante e seducente, spinta sino ai confini dell’eccentrico e del grottesco. La Fennell firma una satira sociale-esistenziale crudele e inclemente, dove non c’è traccia di salvezza o redenzione, richiamando in un certo senso “Teorema” (1968) di Pier Paolo Pasolini. L’importante è apparire e vivere al massimo, senza esitazioni. Un mondo capovolto, tristemente edonista, che non ammette spiragli di luce. Al di là dell’impianto narrativo problematico e controverso, non si può non cogliere l’abilità di penna e di regia della Fennell, che non delude le aspettative; sono inoltre da sottolineare le interpretazioni potenti di Barry Keoghan e Jacob Elordi, insieme a quelle di Rosamund Pike, Richard E. Grant e Carey Mulligan. Complesso, problematico.

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Baby gang e aggressioni tra giovanissimi. Bertoni (Univ. Cattolica): “Effetto lungo del lockdown, ma latitano anche famiglia e società”

Ven, 05/01/2024 - 09:50

Nelle ultime settimane, purtroppo, la cronaca ha riportato numerosi casi di violenza e aggressioni fra minori. Cosa sta accadendo ai nostri giovani? Ne parliamo con Anna Marta Maria Bertoni, professore associato di Psicologia sociale presso l’Università Cattolica di Milano.

Siamo di fronte a una effettiva crescita delle manifestazioni di violenza e aggressività tra i giovani?
Purtroppo sì, stiamo assistendo a un continuo crescendo di violenza e aggressività fra i giovani, in parte sicuramente riconducibile agli effetti del trascorso lock-down. La fascia dei più giovani è stata particolarmente penalizzata dalla pandemia, gli adolescenti sono stati privati a lungo di spazio per la relazione e la sperimentazione nei contesti sociali; lo spazio della relazione è fondamentale per la costruzione dell’identità dell’adolescente. Il fenomeno delle gang, delle violenze e delle aggressioni giovanili, fino a giungere alle derive che purtroppo ci riporta la cronaca, trovano radice inoltre nello scenario attuale privo di codici forti e contrassegnato dalla latitanza della famiglia e della società, sempre più disorientate.

Sui giornali e sui media finiscono gli episodi relativi alla violenza “fisica”, ma sono frequenti anche le manifestazione di “violenza psicologica” tra giovani e giovanissimi…
La violenza fisica e quella psicologica hanno la medesima matrice. Entrambe hanno come finalità la sopraffazione e l’annullamento dell’altro. La violenza fisica riguarda di più la vita reale, quella psicologica è più visibile nel mondo virtuale ma è pesantemente presente anche nella quotidianità reale. Entrambe nascono dalla difficoltà di stare in relazione con qualcun altro. La violenza è una deriva “disumana” della difficoltà di accogliere l’altro con le sue specifiche peculiarità.

Che relazione c’è tra violenza e bullismo?
Si tratta di due mondi differenti, ma tra loro intrecciati profondamente. Il bullismo, in genere, è legato a un contesto sociale deviante. Spesso avviene per associazione di più individui. Si tratta di un fenomeno complesso e difficile da estirpare, anche perché le sue manifestazioni non sempre vengono comprese fino in fondo e tempestivamente. Capita che si minimizzi e si tenda a sottovalutare la portata di violenza che il bullismo reca con sé.

Quali sono le cause alla radice di questi comportamenti? Che ruolo hanno i media?
Le cause sono molteplici. A volte trovano origine in contesti deprivati e degradati, o in particolari situazioni familiari, magari caratterizzate da povertà educativa e relazionale. Spesso sono il frutto di relazioni sociali deficitarie. Non è detto, però, che queste condizioni determinino violenza. Alcune escalation di violenza, invece, hanno una matrice sociale o trovano detonazione nel mondo virtuale. È tipico dei ragazzi tentare di oltrepassare il limite della regola e cercare un contenimento. L’adolescente ha particolarmente bisogno di essere guidato e orientato, ma oggi assistiamo una oggettiva difficoltà a condividere, o proporre regole che di fatto incarnino anche una forma di orientamento valoriale per i giovani. I genitori oggi tendono a delegare ad altri l’educazione dei propri figli. I media poi amplificano un falso mito, dilagante nelle giovani generazioni, quello dell’onnipotenza. Attualmente assistiamo, infine, a una pericolosa collusione tra certe naturali inclinazioni dei giovani e web.

Esistono dei percorsi di prevenzione? Come è possibile praticarli?
Ci sono forme di prevenzione particolarmente mirate all’ambito relazionale. Si tratta di percorsi che accompagnano e stimolano la riflessione su cosa significa stare in relazione con l’altro, prendendo atto degli spazi di vincolo, ma anche e soprattutto di bellezza presenti in un rapporto. Presso il Centro di alta formazione del nostro Ateneo sono stati avviati dei Percorsi di Enrichment Familiare, sono rivolti a giovani e adulti. All’interno di essi si fanno percorsi di prevenzione rispetto alle derive di violenza, di cui stiamo parlando. Occorre tenere sempre a mente che la nostra stessa identità è fondata sulla relazione. Rispettare l’identità relazionale della persona significa promuoverla e prevenire forme di distruzione della persona stessa.

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