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Servizio Informazione Religiosa
Aggiornato: 3 mesi 3 settimane fa

Holy Land: Christmas is near, but the atmosphere is not one of joy

Ven, 22/12/2023 - 10:25

The days leading up to Christmas are particularly intense. Institutional and community meetings are held in accordance with the regulations enshrined in the various conventions. I am in charge of relations between the Custody of the Holy Land and the State of Israel and the Palestinian Authority, and these are days of meetings, moments of sharing that are very important for the people of the Holy Land. These meetings are important because they provide an opportunity to exchange views, to receive and give support to each other’s activities, and to rekindle harmony and relationships.  At this moment in history, when the tragedy of war is raging, these meetings lacked the atmosphere of previous years.

I saw pain and suffering in all the people I met, in spite of their personal visions, their respective solutions to situations, their mutual views, which were steeped in hatred and revenge. Christmas, the main reason for the meetings, seemed to have been forgotten in all the speeches, while the anxiety and fear that the war will last for a long time prevailed in all of them.

The situation in the Holy Land is steadily deteriorating. The joy at the imminent coming of the Saviour is tempered with mixed feelings at the prospect of a long-awaited end to a war that has yet to see its longed-for conclusion.

Abu Mazen at the Midnight Mass. The status quo envisages an official invitation by the Custody of the Holy Land to the President of the Palestinian Authority to attend Midnight Mass on Christmas Eve in the Church of St Catherine in Bethlehem. On Tuesday 19 December, together with Father Francesco Patton, Custos, we travelled to Ramallah to meet President Abu Mazen and officially invite him to the Christmas celebrations. The meeting took place in the usual cordial atmosphere and the President expressed his gratitude for having presented his letter to Pope Francis. He said that he would have written to him on his birthday, reiterating his affection and gratitude for His Holiness’ remarkable commitment to peace. President Abu Mazen confirmed his presence at the Holy Mass in Bethlehem as a sign of his respect for the Christian Churches, in the hope that the guns will fall silent, he said: “…that peace may prevail in the Land of Peace!”

 

Meeting with King Abdullah of Jordan. Together with a delegation of religious leaders from Jerusalem and Jordan, we met with King Abdullah in Amman on Wednesday 20 December. King Abdullah has a historic attachment to Jerusalem and to the care of Muslim and Christian holy sites. The Custos was joined by the Latin Patriarch, Cardinal Pierbattista Pizzaballa, and by various Christian Church leaders, who thanked the King for stressing the importance of remaining united in the face of the consequences and destruction of war. King Abdullah called for an immediate ceasefire and for the two parties to resume negotiations with the common goal of successfully resolving the conflict in this important area of the Middle East.

Meeting with Israeli President Herzog. Another important meeting took place on Thursday 21 December. Together with the other heads of Christian Churches, we met the President of the State of Israel, Yitzhak Herzog, at his residence in Jerusalem. The traditional meeting for Christmas greetings was also an opportunity to share reflections on the current situation. The meeting, normally very festive, was kept strictly private because of the war. The Israeli people are also living in fear and hardship at the moment, and it is a truly difficult time for all humanity.

A sense of deep sadness. The atmosphere of this coming Christmas is not one of joy, unlike in previous years, even though the Holy Land has not enjoyed periods of absolute calm.

There is a widespread sadness that can be seen above all in the eyes of the people, all the people, Israelis and Palestinians alike. Fear, suffering and anguish are feelings common to both peoples.

May Faith and Hope not fail us, for great is the Mercy of our Saviour. May the whole world enjoy a blessed Christmas of peace and serenity!

 

* Vicar of the Custody of the Holy Land

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Terra Santa: malgrado si avvicini il Natale non c’è un clima gioioso

Ven, 22/12/2023 - 10:25

I giorni che precedono il Natale sono giorni intensi e particolari. Sono previsti incontri istituzionali e fra le comunità secondo regole previste dai vari protocolli. Sono responsabile delle relazioni fra la Custodia di Terra Santa e lo Stato d’Israele e l’Autorità Palestinese e in questi giorni si svolgono incontri e momenti di condivisione importanti per chi vive in Terra Santa. Sono importanti per la possibilità di scambiare opinioni, per ricevere e dare supporto alle proprie attività, per ristabilire equilibri e relazioni. In questo momento storico, con la tragedia della guerra in atto, questi incontri non hanno avuto la stessa atmosfera di altri anni. Nonostante le proprie visioni, le personali soluzioni delle situazioni, le reciproche ottiche intrise di odio e di vendetta, ho potuto constatare il dolore e la sofferenza da parte di tutte le persone incontrate. Nei discorsi sembra essere stato dimenticato il  Natale, motivo principale dell’incontro e in tutti prevalgono la preoccupazione e la paura che la guerra continui a lungo. La situazione in Terra Santa è sempre più grave e in questi giorni la gioia per l’arrivo del Salvatore è offuscata da sentimenti contrastanti per una fine della guerra tanto attesa ma che ancora non vede la tanto desiderata conclusione.

Betlemme, il presidente palestinese Abu Mazen alla Messa di Mezzanotte (foto archivio Lpj)

Abu Mazen alla Messa di Mezzanotte. Lo Statu quo prevede l’invito ufficiale al presidente dell’Autorità Palestinese da parte della Custodia di Terra Santa per partecipare alla Messa nella Notte Santa, celebrata nella chiesa di Santa Caterina a Betlemme. Martedì 19 dicembre, insieme al padre custode, padre Francesco Patton, siamo andati a Ramallah per incontrare il presidente Abu Mazen e invitarlo ufficialmente alla celebrazione del Natale. L’incontro si è svolto in un clima come sempre cordiale: il presidente mi ha ringraziato per aver portato la sua lettera a Papa Francesco e ha detto di avergli scritto anche per il suo compleanno, ribadendo ancora una volta il suo affetto e la sua gratitudine per il grande impegno di Sua Santità a favore della pace. Il presidente Abu Mazen ha confermato la sua presenza alla Santa Messa di Betlemme per la stima verso le Chiese cristiane nella speranza che si fermino le armi e ha affermato: “…affinché la Pace possa prevalere nella Terra della Pace!”

Incontro con il re Abdullah di Giordania. Mercoledì 20 dicembre, insieme a tanti capi religiosi di Gerusalemme e della Giordania abbiamo incontrato ad Amman il re Abdullah, che mantiene storicamente una vicinanza a Gerusalemme e ha particolare cura dei Luoghi sacri islamici e cristiani. Oltre al padre custode, erano presenti il patriarca Latino, card. Pierbattista Pizzaballa, e vari capi delle Chiese cristiane che hanno ringraziato il re per aver sottolineato la necessità di restare uniti di fronte alle conseguenze e alla distruzione della guerra. Re Abdullah ha auspicato un immediato cessate il fuoco e il ritorno delle due parti al tavolo dei negoziati con l’obiettivo comune di risolvere positivamente la situazione in un’area così importante del Medio Oriente.

Dal presidente israeliano Herzog. Altro importante incontro si è svolto giovedì 21 dicembre. Abbiamo incontrato, insieme agli altri capi delle Chiese cristiane, il presidente dello Stato d’Israele, Yitzhak Herzog, nella sua residenza di Gerusalemme. Il tradizionale incontro per gli auguri natalizi è stato anche un incontro di scambio di riflessioni sulla situazione attuale. L’incontro, di solito molto festoso, è stato tenuto in modo molto riservato a causa della guerra. Anche il popolo israeliano vive nella paura e nelle difficoltà del momento ed è un periodo veramente difficile per tutta l’umanità.

Betlemme, grotta della Natività (Foto Sir)

Tristezza profonda. A differenza di altri anni e nonostante la Terra Santa non abbia vissuto periodi veramente sereni, questo Natale che si avvicina non ha un clima gioioso. Si sente una tristezza profonda che si nota particolarmente negli sguardi della gente, di tutta la gente, israeliani e palestinesi. La paura, la sofferenza e la preoccupazione sono sentimenti comuni ad entrambi i popoli. Fede e Speranza non ci abbandonino perché grande è la Misericordia del Salvatore. Buon Natale di Pace e serenità al mondo intero!

* Vicario della Custodia di Terra Santa

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Greenaccord. Milano: “L’ecologia integrale unica via per perseguire decarbonizzazione e prosperità inclusiva”

Ven, 22/12/2023 - 09:20

“Sono i luoghi che siamo abituati a godere tutti i giorni che vanno riconvertiti alla sostenibilità. Così il passato e la memoria diventano scuola per affrontare l’oggi e il futuro con stile e modalità diversi e ci indicano la via maestra per il futuro dell’umanità: le radici che sussurrano alla chioma in quale direzione volgersi. Fruire e godere del passato sperimentando il nuovo corso che l’umanità è chiamata ad intraprendere!”. Con questo invito del presidente di Greenaccord onlus, Alfonso Cauteruccio, si è concluso il XVIII Forum dell’informazione cattolica per la custodia del Creato, organizzato a Siena da Greenaccord onlus, dal 15 al 17 dicembre, sul tema “Territorio, sostenibilità e patrimonio culturale nell’era della transizione energetica”. Per un bilancio dell’iniziativa abbiamo sentito Giuseppe Milano, segretario generale di Greenaccord.

(Foto: pagina Facebook Greenaccord)

Com’è andato il Forum a Siena?

L’ultimo Forum di Greenaccord, svoltosi con il fondamentale supporto della Fondazione dei Monte dei Paschi di Siena e della locale diocesi guidata dal card. Paolo Lojudice, ha confermato da un lato il forte interessamento alle tematiche ambientali delle più giovani generazioni, ampiamente rappresentate da numerosi universitari; dall’altro che non potrà esserci uno strutturale cambio di paradigma economico, andando oltre il vigente modello predatorio, fintanto che al centro di ogni visione di sviluppo non rimetteremo le persone e i loro diritti.

Nel corso dell’evento com’è stato declinato il tema scelto per il Forum 2023?

Accolti a Siena e a Palazzo Chigi-Saracini, non potevamo né volevamo trascurare una dimensione solitamente trascurata della sostenibilità, quella culturale. Con il suo patrimonio storico-architettonico particolarmente pregiato e nel prestigio di essere il primo capoluogo di provincia in Italia che ha azzerato le proprie emissioni climalteranti nette, Siena potrebbe diventare, perciò, l’ideale teatro democratico in cui sperimentare, ispirati dai capolavori di Ambrogio Lorenzetti, nuove modalità di convivenza interculturale e di valorizzazione ambientale. Non si è parlato, tuttavia, solo di come promuovere i beni culturali nella traiettoria di un turismo sostenibile o esperienziale. Tra i focus tematici affrontati, infatti, anche il ruolo delle città nella sfida dell’adattamento ai cambiamenti climatici e soprattutto le comunità energetiche.

Come la cultura della sostenibilità può aiutare a promuovere il patrimonio storico e artistico?

Nel patrimonio storico e artistico bisognerebbe saper riconoscere l’eredità più importante che abbiamo ricevuto dai nostri padri.

Nella cura e promozione dei beni culturali si manifesta, dunque, tutta la potenza e la bellezza del patto intergenerazionale che oggi, invece, è sempre meno solido.

Alle “memorie del passato”, come ha detto Tomaso Montanari nel suo intervento, bisognerebbe saldare “le memorie del futuro”, nella consapevolezza che il patrimonio culturale, intimamente interconnesso a quello ambientale, è rivelatore sia del genius loci e del tratto identitario di un territorio sia annunciatore di come esso andrebbe difeso oppure possa trasformarsi nel tempo anche sotto la spinta degli eventi estremi sempre più intensi e frequenti. In tale scenario, perciò, particolarmente suggestivo è il lavoro portato avanti da anni nell’area archeologica di Pompei in cui sono sperimentate con efficacia alcune tecnologie digitali di ultima generazione che permettono, con un impatto ambientale pressoché nullo, di preservare e promuovere i beni storici presenti.

Quale ruolo possono svolgere le città per ridurre le proprie emissioni climalteranti e per accrescere la prosperità economica senza trascurare il benessere sociale diffuso?

Con la crescita dell’urbanizzazione e conseguentemente delle emissioni climalteranti, le città non sono solo una minaccia per la salute del pianeta, ma rappresentano anche l’algoritmo della salvezza umana.

Chi vive e abilita le città deve comprendere che non possiamo più permetterci di vivere come 30-40 anni fa, quando non si prestava la sufficiente attenzione alla finitezza delle risorse naturali, ma diventa urgente – e quindi sempre più economicamente conveniente – migrare dai combustibili fossili alle rinnovabili e adottare approcci alternativi incardinati sull’economia circolare, sulla rigenerazione del patrimonio edilizio esistente, sulle soluzioni basate sulla natura, sulla mobilità dolce. In Italia, come rivela l’Istat, saremo travolti dal processo di denatalità, con un aumento vertiginoso dell’età media della popolazione. Di conseguenza, è urgente che le città riducano drasticamente le disuguaglianze e offrano nuove possibilità di autodeterminazione alle più giovani generazioni che ambiscono a vivere in città più verdi e organizzate.

L’ecologia integrale è una chiave per avviare una decarbonizzazione dell’economia? In che modo?

L’attuale modello economico lineare, che per decenni ha concentrato la ricchezza in poche mani, sta rivelando tutta la sua disumanità. Papa Francesco ha ragione: una società in cui la multinazionale del dolore – che si mostra attraverso il potere delle armi o mediante la cultura dello spreco – è più forte della multinazionale dell’amore – che si dovrebbe mostrare attraverso il potere della fraternità universale o del rispetto degli ecosistemi – è una società senza speranza e senza futuro.

L’ecologia integrale è, per definizione, l’unica via per perseguire gli obiettivi comunitari di decarbonizzazione e di prosperità inclusiva perché rifugge il modello della distruzione della natura, ma ricerca quelli della redistribuzione e della cooperazione.

Durante il Forum, sono stati presentati dei progetti già avviati su adattamento ai cambiamenti climatici e comunità energetiche?

Si, certamente. Sono state presentate le esperienze di “Forestami”, ossia il progetto di riforestazione urbana di Milano, e del “Campo Laudato Si’” a Caserta. Questa esperienza, in particolare, ispirata dall’omonima lettera enciclica di Papa Francesco e portata avanti dallo studio di architettura Alvisi-Kirimoto, persegue il duplice ambizioso obiettivo di creare un sistema di parchi urbani polifunzionali in un’area militare dismessa riducendo le volumetrie e di riconnettere questo nuovo ecosistema sociale alla Reggia di Caserta per una riconnessione anche sentimentale della comunità con il suo territorio. Sulle comunità energetiche, invece, particolarmente interessante è il lavoro condotto dall’Università di Pisa, attraverso Marco Raugi, che ha avviato il primo Master al mondo, sostenuto dall’Unesco, sulle comunità energetiche per la formazione di profili interdisciplinari altamente specializzati, nonché il tentativo di alcune imprese romagnole, attraverso il dispositivo degli incentivi statali per l’energia rinnovabile non auto-consumata, di accrescere gli emolumenti dei propri dipendenti. Di comunità energetiche, durante il Forum, ho parlato anch’io, che ho scritto il volume “Comunità energetiche. Esperimenti di generatività sociale e ambientale”, in uscita a gennaio, in cui sono descritte diverse buone pratiche nell’intenzione di supportare quei Comuni, imprese e realtà del Terzo settore che vorranno intraprendere simili percorsi innovativi di “democrazia energetica”.

Che ruolo può svolgere oggi la comunicazione ambientale?

La comunicazione ambientale è fondamentale perché ha la responsabilità di arginare la deriva delle fake news o del greenwashing, offrendo al pubblico un’informazione rigorosa e di qualità fondata su dati scientificamente validi e fatti oggettivi. L’informazione ambientale, a parte poche virtuose eccezioni, si desta solo dopo le tragedie e le catastrofi. Non è in grado di anticiparle o di prevenirle con una narrazione del reale indipendente e competente. Oggi l’informazione, non solo quella ambientale, è in Italia malata di autoreferenzialità e concorre all’analfabetismo funzionale, all’astensionismo elettorale e al cinismo sociale. Eppure le buone pratiche, anche di giornalismo costruttivo, sono sempre più numerose e virtuose, indicando la via per una comunicazione più seria e più rispettosa dei diritti delle persone.

Da poco si è conclusa la Cop28: se n’è parlato durante il Forum? E avete anche riflettuto sulle prospettive lanciate da Papa Francesco con la “Laudate Deum”?

Sì, si è parlato anche di Cop28 e di Laudate Deum. A proposito dell’ultima Conferenza sul clima è emersa la preoccupazione che non si riuscirà più ad arrestare l’aumento della temperatura media globale di 1,5°C entro il prossimo decennio e che i pur timidi progressi compiuti sono decisamente insufficienti per affrontare efficacemente la crisi climatica in corso. C’è il serio rischio che in pochi decenni oltre 140 milioni di migranti climatici possano raggiungere l’Europa riscrivendone la storia, mentre la concentrazione di anidride carbonica continua ad essere la più alta degli ultimi 800mila anni. Sulla Laudate Deum, infine, particolarmente vivace è stata la testimonianza di Luca Casarini, già protagonista del Sinodo e intervenuto da remoto. L’attivista dei diritti umani ha evidenziato l’ipocrisia di una società che si scandalizza delle guerre, ma nulla fa per debellare il cancro delle armi; che si indigna per le ingiustizie, ma poi le allarga con politiche che umiliano coloro che sono rimasti indietro. Secondo Casarini, l’urlo dei poveri, citando il Papa, deve svegliarci dal nostro letargo etico perché solo uscendo dal “tunnel dell’indifferenza” possiamo frequentare con responsabilità la fratellanza.

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Ue, l’accordo sul Patto di stabilità tiene d’occhio il malato Italia

Ven, 22/12/2023 - 09:17

L’avvicinarsi delle elezioni europee (giugno 2024) spinge l’Unione europea ad approvare alcune misure con il Parlamento alle ultime battute. Nello stesso tempo, proprio la scadenza elettorale vincola le posizioni dei Governi nazionali che non vogliono ripercussioni interne nei mesi di campagna elettorale. Tema caldo è l’immigrazione (che si è incrociato sui diversi tavoli) e tema caldo è anche il disavanzo di bilancio dei diversi Paesi membri. Sconvolti dalla pandemia e poi dalla guerra in Ucraina, gli Stati nel 2020 avevano sospeso quegli accordi di stabilità che fissavano parametri di indebitamento rispetto all’evoluzione dell’economia. Ora i ministri delle Finanze dei Ventisette hanno raggiunto un nuovo accordo che, negli intenti, vuole tenere insieme investimenti, solidarietà e conti in ordine.

L’Italia, così come per l’immigrazione, è il Paese sotto osservazione e interessata a un testo non penalizzante.

Cosa prevede il compromesso che dovrà essere poi approvato dal Parlamento europeo e applicato dalla primavera?

Innanzitutto viene fissato, a vantaggio dei Paesi più indebitati, un periodo “cuscinetto” fino al 2027 con regole più blande per tenere conto di un’economia bloccata dagli alti tassi di interesse (indispensabili per battere l’inflazione) che penalizza i Paesi con un forte debito pubblico. Il pensiero è soprattutto all’Italia e alle sue abbondanti emissioni di Btp (Buoni del Tesoro poliennali) che hanno alte remunerazioni con denaro pubblico. Si ragiona meno anno per anno ma si valutano i risultati sul medio periodo.

Sulla base di un iniziale colloquio preferenziale tra Francia e Germania (big europei ma pure loro affetti da economia debole) sono stati fissati programmi di aggiustamento graduale dei conti soprattutto per chi ha un rapporto debito-Pil (Prodotto interno lordo) superiore al 90%. Sotto osservazione sono diversi Paesi con l’Italia vicina al 140%. L’accordo prevede un miglioramento dell’1% in media annua. Nell’accordo si accenna alla possibilità che l’aggiustamento del debito possa avere una gradualità diversa se l’incidenza dei tassi resterà alta o se il Paese interessato avvierà riforme rilevanti. Si riconosce che un Paese impegnato nell’ammodernamento può avere saldi non al millesimo. A regime, il deficit annuale non potrà essere superiore all’1,5% del Pil e ciò necessiterà politiche più stringenti sulla spesa.

Complessivamente l’intesa raggiunta non ha le caratteristiche di “austerità dura”

e richiama piuttosto alla necessità che i Paesi appartenenti a un’unica area politica economica (venti dei quali con l’adozione dell’euro) non abbiano comportamenti troppo divergenti e lassisti. Al momento non è facile capire quanto l’Italia sia riuscita a difendere le sue posizioni, la maggioranza è ovviamente soddisfatta. Le opposizioni contestano che i risultati raggiunti siano rilevanti.

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Natale in Ucraina. S.B. Shevchuk: “La gente si chiede: ma è lecito festeggiare mentre qualcuno piange?”

Ven, 22/12/2023 - 09:16

Kyiv, S.B. Shevchuk mostra pezzi di drone (Foto Sir)

(da Kyiv) “Tanti festeggeranno la nascita di Cristo nei rifugi antiaerei, intonando canti natalizi mentre all’esterno sentiranno il rumore dei missili o dei droni. Perché proprio durante le feste più importanti i russi intensificano gli attacchi. Ma il Natale ci sarà e noi lo celebreremo come un momento della consolazione”. È Sua Beatitudine Sviatoslav Shevchuk, capo della Chiesa greco-cattolica ucraina, a raccontare con quale spirito l’Ucraina si sta preparando a vivere il Natale. Parla al Sir e ad Avvenire nella sua residenza che si trova accanto alla cattedrale della Risurrezione di Kyiv. Anche qui ci sono state esplosioni. Il 25 novembre scorso durante un attacco, uno degli “Shahed” si è abbattuto nel quartiere, vicino alla cattedrale, e l’onda d’urto ha danneggiato le porte e fatto crollare le finestre dell’edificio. Ci sono ancora i segni e l’arcivescovo mostra i frammenti del drone che ha raccolto in un barattolo. “La guerra sta causando nel popolo ucraino una grande ferita”, dice. “Non c’è famiglia che non pianga qualcuno caduto in combattimento. O che non viva con apprensione e paura la situazione di un figlio o di un marito che sta combattendo sul fronte. C’è una domanda forte che emerge spesso: è lecito gioire in queste condizioni? È lecito festeggiare, mentre qualcuno piange?”. Shevchuk racconta di un giovane padre che qualche giorno fa a Chernivtsi gli ha rivolto questa domanda. L’arcivescovo gli ha parlato del film “La vita è bella”. “In quel campo di concentramento il padre aveva bisogno di far gioire e sorridere il figlio: era un modo per proteggerlo. Ecco, anche qui abbiamo necessità di accendere in mezzo alle tenebre la luce della gioia che il Natale ci dona. Non una gioia mondana che scaturisce dall’uomo, ma una gioia che viene da Dio e che ci dice che non siamo soli”. È il primo Natale che l’Ucraina celebra il 25 dicembre, insieme con l’Occidente, e non più il 7 gennaio, come ancora accade in Russia. Una decisione presa in maniera condivisa da autorità civili e comunità ecclesiali.

(Foto Sir)

C’è chi considera il “nuovo” Natale una presa di distanza da Mosca.

Dobbiamo sempre riscoprire il senso del Natale, come dice Papa Francesco, liberarlo dalla commercializzazione, ma nelle nostre circostanze dobbiamo liberarlo anche da una eccessiva politicizzazione. Per questo lo definisco un Natale di consolazione perché veramente il popolo sofferente ha bisogno di essere consolato. E questo consolatore è Dio. E poi è una consolazione festeggiarlo trascendendo le nostre differenze, in un Paese che è multireligioso e multietnico. “Finalmente insieme”, ha scritto in un messaggio il Consiglio delle Chiese cristiane d’Ucraina.

Ma c’è una Chiesa che ha scelto di non cambiare: è la Chiesa ortodossa ucraina che affonda le sue radici nel patriarcato di Mosca e che resterà ancorata al calendario giuliano.

È una Chiesa che ormai da tempo si è auto isolata dalla società. La riforma del calendario non ha alcun intento polemico. Anche per noi non è stato facile evolversi. Alle parrocchie abbiamo lasciato libertà di scelta. Ebbene tutte hanno aderito, tranne una della regione di Kharkiv che ha chiesto di essere dispensata per quest’anno.

La diplomazia è la grande assente nella guerra in Ucraina. Fa eccezione la Santa Sede.

Siamo veramente grati a Papa Francesco per la missione concreta affidata al card. Matteo Zuppi. È una missione che non tocca il versante militare ma ha al centro una serie di questioni umanitarie quanto mai significative. Penso alla tragedia dei bambini deportati in Russia di cui quasi nessuno si occupa: invece è veramente importante. Oppure penso alle tematiche ecologiche che sono sempre dimenticate in un contesto di guerra: ad esempio, la Russia usa la minaccia nucleare, come testimonia ciò che avviene intorno alla centrale di Zaporizhzhia. O ancora penso all’assistenza al popolo ucraino attraverso gli aiuti che vengono inviati o attraverso gli appelli all’accoglienza verso i nostri profughi. I continui richiami del Papa alla martoriata Ucraina sono un invito alla preghiera ma anche un monito a non dimenticare la nostra gente. Certo è che la diplomazia oggi ha veramente bisogno di un risveglio.

(Foto Sir)

L’Ucraina teme di essere abbandonata dall’Occidente?

Quando ascoltate la parola Ucraina, dovete vedere i volti umani. Dei bambini, delle donne, degli anziani. L’Ucraina è sinonimo di sofferenza. Sofferenza ingiustificabile e vittima innocente. Allora vi prego di guardare veramente in faccia questi volti e di non farli diventare un semplice argomento di gioco politico, economico, militare e così via.

La Chiesa continua a mobilitarsi.

Secondo alcune previsioni, nell’inverno appena cominciato sette milioni di ucraini vivranno un’emergenza alimentare: più dell’intera Bielorussia che ha un milione di abitanti meno di noi. Un intero Paese che ha urgenza di essere sfamato. Come comunità ecclesiale stiamo imparando a gestire questa immensa crisi umanitaria, la più grande in Europa dopo la Seconda guerra mondiale. Tanti aiuti sono arrivati sulla scia di un’onda emotiva. Adesso serve ripetere che non bisogna voltarsi dall’altra parte. E i cristiani d’Europa sono chiamati a dare una testimonianza profetica.

C’è chi ipotizza il congelamento della guerra o concessioni territoriali per fermare le armi. 

Rispondo come pastore. Posso sacrificare per la mia tranquillità milioni di ucraini che subiscono atrocità nei territori occupati? Posso sacrificare i fedeli delle nostre parrocchie rimasti senza sacerdoti? Posso sacrificare i nostri due padri redentoristi arrestati da oltre un anno e di cui non abbiamo notizie certe? Io posso sacrificare me stesso per loro, ma non loro per me. Il conflitto non va congelato, ma risolto. Se congelassimo la guerra, significherebbe lasciare al nemico la possibilità di riorganizzarsi per attaccare di nuovo. Nel 2024 l’Ucraina commemorerà i 30 anni dalla consegna delle armi nucleari. Fu un gesto profetico e di fiducia nella forza del diritto internazionale. Esso deve essere la base di un accordo di pace: non va piegato alla legge del più forte o alle offensive militari. Soltanto così la pace avrà un fondamento solido.

Sarà lunga la guerra?

Non si prevede un termine corto. Quando ciascuno di noi guarda al prossimo anno, si domanda: mi porterà la vita o la morte? C’è un diffuso sentimento di paura. La guerra è un fenomeno complesso, può anche continuare con altre modalità come la disinformazione o le ritorsioni economiche. Affinché il conflitto si fermi, occorre la conversione dell’aggressione. Umanamente appare impossibile, ma dal punto di vista cristiano tutto può succedere. Cito l’Unione Sovietica: chi avrebbe mai immaginato il crollo di un tale colosso? Invece è accaduto. Mai rassegnarsi.

https://www.agensir.it/wp-content/uploads/2023/12/VID-20231220-WA0026.mp4

 

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Christmas in Ukraine. H.B. Shevchuk: “People ask: is it legitimate to rejoice while others weep?”

Ven, 22/12/2023 - 09:16

(from Kyiv) “Many people will celebrate the birth of Christ in air-raid shelters, chanting Christmas carols while the sound of missiles or drones will be heard outside. The Russians intensify their attacks during the most important holidays. But Christmas will be celebrated for sure. And we will celebrate it as a time of consolation.” His Beatitude Sviatoslav Shevchuk, head of the Ukrainian Greek Catholic Church, describes the atmosphere in Ukraine ahead of the Christmas celebrations. He met SIR and ‘Avvenire’ journalists at his residence next to the Resurrection Cathedral in Kyiv. Here too there have been explosions. On 25 November, during an attack, a ‘Shahed’ drone hit the neighbourhood next to the cathedral. The blast damaged the doors and shattered the windows of the building. The marks are still visible, and the archbishop shows us fragments of the drone that he has collected in a jar. “The war is inflicting a serious wound on the Ukrainian people,” he says.

“There is no family without a relative who has fallen in battle, or who is anxious and worried about a son or husband who has gone off to fight in the war.

A compelling question is often asked: is it legitimate to rejoice in these circumstances? Is it legitimate to celebrate while others are in tears?”.

Shevchuk tells us that a few days ago, in Chernivtsi, a young father asked him that very question. In his reply, the archbishop referred to the film ‘Life is beautiful’. “In that concentration camp, the father had to make his son smile and be happy: it was a way of protecting him. And here too, in the midst of so much darkness, we need to ignite the light of joy that Christmas brings. It is not a worldly joy that comes from man. It is a joy that comes from God and tells us that we are not alone.” For the first time, instead of celebrating Christmas on 7 January, as is still the case in Russia, Ukraine will join the Western nations in celebrating Christmas on 25 December. This decision was taken jointly by the civil authorities and the ecclesial communities.

Some people see the ‘new’ Christmas as a move to be distanced from Moscow.

We must keep rediscovering the meaning of Christmas, as Pope Francis tells us, we must free it from marketisation, but in our circumstances we must also rid it of over-politicisation. That is why I call it a Christmas of consolation, because people who are hurting are indeed in need of consolation. And the consoler is God. Furthermore, it is consoling to celebrate it while overcoming our differences, in a multi-religious and multi-ethnic country. “Together at last,” wrote the Council of Christian Churches of Ukraine in a message.

But one church, the Ukrainian Orthodox Church, which is linked to the Moscow Patriarchate and remains committed to the Julian calendar, has chosen not to change.

This Church has long since isolated itself from society. The reform of the calendar has no polemical purpose. This development has not been easy for us either. We left it to the parishes to decide. They all approved, except for one in the Kharkiv region, which asked to be dispensed for this year.

Diplomacy is conspicuously absent from Ukraine’s war. The Holy See is the only exception.

We are very grateful to Pope Francis for the very concrete mission entrusted to Cardinal Matteo Zuppi. This mission does not concern the military aspect, but a series of very important humanitarian issues.

I have in mind, for example, the tragedy of the deportation of children to Russia, an issue that is not on anyone’s mind and yet is so incredibly important. Similarly, in the context of war, environmental concerns are always forgotten: for example, Russia has played the nuclear card, as seen in the events concerning the Zaporizhzhia power plant. I am also thinking of the help given to the people of Ukraine, in the form of aid sent to them or through the appeals to take in our refugees. The Pope’s constant appeals for the martyred Ukraine are an invitation to prayer, but also a reminder not to forget our people. One thing is certain: diplomacy today needs a wake-up call.

Is Ukraine afraid of being abandoned by the West?

The word Ukraine should be associated with human faces. The faces of children, women, old people. Ukraine is another word for suffering: unjustifiable suffering and innocent victims. So I ask you to see these faces for what they really are and not make them the object of political games, economic games, military games and so on.

The Church remains committed to this cause.

It is estimated that seven million Ukrainians will be food insecure this winter, more than the entire country of Belarus, which has one million fewer people than we do. A whole country is in desperate need of food. Our Church community is trying to cope with this enormous humanitarian crisis, the biggest in Europe since the Second World War. Much aid has arrived in the wake of an emotional wave. Now it is time to reiterate that no one should turn a blind eye. And the Christians of Europe are called to bear prophetic witness.

Some have suggested that the war become a ‘frozen conflict’ or that territorial concessions be made to stop the hostilities.

I will answer as a shepherd. Am I willing to sacrifice millions of Ukrainians who are suffering terribly in the occupied territories for my peace of mind? Should I sacrifice the faithful of our parishes left without priests? Am I willing to sacrifice our two Redemptorist Fathers who have been imprisoned for more than a year and of whom we have no reliable information? I can sacrifice myself for them, but they cannot sacrifice themselves for me. The conflict must not be frozen: it must be resolved. If we were to freeze the war, we would give the enemy the opportunity to reorganise and attack again. In 2024 it will be thirty years since Ukraine handed over thousands of nuclear weapons.  It was a prophetic gesture of faith in the power of international law.

It must form the basis of a peace agreement: it must not be subordinated to the law of the strongest or to military offensives. Only then will peace have a solid foundation.

Will the war continue for long?

It is not expected to be a short war. As each of us looks ahead to next year, the question on our minds is: will it be a year of life or death? There is widespread fear. War is a complex phenomenon that can be perpetuated by other means, such as misinformation or economic retaliation. For the conflict to end, there must be a conversion on the part of the aggressor. This may seem humanly impossible, but from a Christian point of view anything is possible. Think of the Soviet Union: who could have imagined the collapse of such a colossus? Instead, it happened. We must never give up.

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Mattarella: “Ho fiducia nell’Italia”

Gio, 21/12/2023 - 11:16

“Ho fiducia nell’Italia. Che ha le risorse per affrontare il tempo nuovo”. Nell’occasione solenne degli auguri alle alte cariche dello Stato, Sergio Mattarella fa appello alla “responsabilità di tutti” contro il rischio che le paure possano attenuare “il senso di solidarietà e quindi il desiderio di partecipazione”. “Abbiamo saputo affrontare momenti difficili, anche in tempi recenti della nostra storia repubblicana”, ricorda il Presidente, e “li abbiamo superati grazie anzitutto al senso di unità e alle qualità presenti nel nostro popolo”.
Solo chi in questi anni non ha ancora imparato a conoscere lo stile di Mattarella poteva aspettarsi che il Capo dello Stato si lasciasse coinvolgere nelle quotidiane polemiche sulle riforme istituzionali, anche se ultimamente hanno interessato proprio il ruolo del Presidente della Repubblica. Certo, sui fondamentali non ci possono essere ambiguità.

“Nel patrimonio comune del nostro popolo, nelle coscienze degli italiani – afferma con chiarezza Mattarella – sono radicati i principi e i valori che danno senso all’idea di libertà come ce la presenta la nostra Costituzione”, libertà “come premessa di pace, giustizia, eguaglianza, democrazia, coesione sociale, dialogo, tolleranza, solidarietà”.

Ed è “dal rispetto della libertà di ciascuno” che “discendono le democratiche istituzioni, l’equilibrio fra i poteri, il ruolo fondamentale del Parlamento, l’imparzialità, principio guida della pubblica amministrazione, unitamente al suo dovere di efficienza e di competenza”.

Per il Capo dello Stato ci troviamo davanti a un autentico “tornante della storia” in cui si intrecciano fenomeni globali come il post-pandemia, le guerre – dall’Ucraina al Medio Oriente – il cambiamento climatico. Allo stesso tempo “si allargano i divari sociali: alle vecchie diseguaglianze se ne aggiungono di nuove, nei campi del digitale e della conoscenza”, mentre “stridono le gigantesche ricchezze appannaggio di pochi a fronte del disagio di tanti, con una distanza mai prima registrata né in Italia né altrove”. Quello in corso è “un cambiamento che mette in discussione gli equilibri precedenti, i modelli di sviluppo: quelli sociali, quelli culturali e persino quelli antropologici”. L’analisi del Presidente della Repubblica si fa particolarmente penetrante quando approfondisce le enormi e ambivalenti possibilità aperte da tecnologie del tutto inedite, come l’intelligenza artificiale, che rappresentano una sfida alla stessa “sovranità dei cittadini”. “Assistiamo a vari fenomeni di concentrazione di potere – osserva Mattarella – che si articolano in circuiti diversi da quelli tradizionali, spesso alternativi a quelli tipici delle prerogative statuali”.

Tra questi il Presidente cita “la privatizzazione della forza: molte guerre vengono combattute da milizie private che si affiancano agli eserciti o li sostituiscono”. Ma anche “dimensioni come lo spazio o l’ambito sottomarino sono, sempre più spesso, terreni dove si combattono conflitti fra interessi privati, fuori dal controllo degli stati”.

Qui il Capo dello Stato non fa nomi ma quando dice che “oligarchi di diversa estrazione si sfidano nell’esplorazione sottomarina, in nuove missioni spaziali, nella messa a punto di costosissimi sistemi satellitari (con implicazioni militari) e nel controllo di piattaforme di comunicazione social, agendo, sempre più spesso, come veri e propri contropoteri”, il pensiero corre a personaggi e situazioni ben precisi. È un colossale problema di democrazia anche quello della tassazione, se “molti tra i detentori di grandi capitali del pianeta, persone e aziende, riescono a eludere quasi integralmente gli obblighi fiscali, soprattutto nei servizi all’informazione, oggi settori di punta e in continua crescita”.
In un contesto in cui “nulla può essere dato per scontato”, Mattarella ribadisce ancora una volta che “è alla politica, alle democratiche istituzioni rappresentative che vanno affidate le scelte e le decisioni che incidono sulla vita sociale e sulla libertà dei cittadini, non alle strategie di grandi gruppi finanziari in base ai loro interessi, che vanno rispettati ma nell’ambito delle regole che devono osservare per tutelare i valori fondamentali della convivenza civile”.

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Pope Francis: “Listening to one another, without judging”

Gio, 21/12/2023 - 11:16

“In the Curia too, we need to learn the art of listening”, Pope Francis highlighted this point in his traditional address to the Roman curia for the exchange of Christmas greetings in the Benediction Hall. Francis walked to his seat with the support his cane, accompanied by the applause of those present, to whom he addressed a clear reminder: “Even more important than our daily tasks and responsibilities, or even the positions we hold, is our need to appreciate the value of relationships, to keep them simple and straightforward, marked by an evangelical spirit, above all by our ability to listen to one another. With the heart and on our knees.”

“Let us increasingly listen to each other, free of prejudices, with openness and sincerity”, Francis said: “Let us listen to one another, trying hard to understand what our brother or sister is saying, to grasp his or her needs and in some way his or her own life, which lies hidden behind those words, and without judging.”

Francis thus went on to cite Saint Ignatius: “Let it be presupposed that every good Christian is to be more ready to save his neighbour’s proposition than to condemn it. If he cannot save it, let him inquire how he means it; and if he means it badly, let him correct him with charity. If that is not enough, let him seek all the suitable means to bring him to mean it well, and save himself. It takes effort to really understand another person.”

“We need to hear and accept this message anew, especially in these days tragically marked by the violence of war, by the momentous risks posed by climate change, and by poverty, suffering, hunger – there is hunger in the world! – and all the grave problems of the present time”,

Pope Francis said referring to the upcoming Christmas in the opening lines of his address that revolves around three verbs: to listen, to discern, to fare forward, and to three figures on three corresponding guiding figures: Mary, John the Baptist, the Magi. “Discernment ought to help us, even in the work of the Curia, to be docile to the Holy Spirit, to choose procedures and

make decisions based not on worldly criteria, or simply by applying rules, but in accordance with the Gospel”,

the imperative for the second verb: “Discernment, then, is important for us all. As an art of the spiritual life, it can strip us of the illusion of omniscience, from the danger of thinking that it is enough simply to apply rules, from the temptation to carry on, even in the life of the Curia, by simply repeating what we have always done. And in this way failing to realize that the Mystery of God is always beyond us and that the lives of people and the world around us are, and will always remain, superior to ideas and theories”, Francis remarked.

“Life is always superior to ideas”,

he added off text. The Pope then quoted from a text by Cardinal Martini: “Discernment is quite different from the meticulous exactitude of those who live in legalistic conformity or with pretensions to perfectionism. It is a burst of love that distinguishes between good and better, between what is helpful in itself and what is helpful here and now, between what may be good in general and what needs to be done now”, continuing the quotation, Francis said: “Failure to strive to discern what is best often makes pastoral life monotonous and repetitive: religious acts are multiplied, traditional gestures are repeated, without clearly seeing their meaning.”

“So whenever the service we offer risks becoming dull, enclosed in the ‘labyrinth’ of rigidity or mediocrity, whenever we find ourselves entangled in the web of bureaucracy and content ‘just to get by,’ let us always remember to look up, to start afresh from God, to be enlightened by his word and to find the courage needed to start anew.”

Thus the Pope explained the third verb chosen to guide his speech to the Curia: to fare forward. “The only way to escape from a labyrinth is to see things ‘from above’, he suggested: “It takes courage to journey, to fare forward. It is a matter of love.” “In our service here in the Curia too, it is important to keep faring forward, to keep searching and growing in our understanding of the truth, overcoming the temptation to stand still and never leave the ‘labyrinth’ of our fears”, is Francis’ exhortation, for whom “fear, rigidity and monotony make for an immobility that has the apparent advantage of not creating problems – ‘stay put, don’t move’ – but lead us to wander aimlessly within our labyrinths, to the detriment of the service we are called to offer the Church and the whole world.” In this respect, the Pope cited “something I once heard from a zealous priest, which can also help us in our work in the Curia”: “He said that it is not easy to rekindle the embers under the ashes of the Church. Today we strive to kindle passion in those who have long since lost it.

Sixty years after the Council, we are still debating the division between “progressives” and “conservatives,” but that is not the difference: the real, central difference is between lovers and those who have lost that initial passion. That is the difference. Only those who love can fare forward.”

“The Christian faith – let us remember – is not meant to confirm our sense of security, to let us settle into comfortable religious certitudes, and to offer us quick answers to life’s complex problems”, Francis remarked, exhorting to remain

“vigilant against rigid ideological positions,

that often, under the guise of good intentions, separate us from reality and prevent us from moving forward.” “Please, I encourage you, let us never lose our sense of humour, which is healthy!” is the Pope’s final recommendation before the good wishes for a blessed Christmas.

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Papa Francesco: “ascoltiamoci di più, senza giudicare”

Gio, 21/12/2023 - 11:16

“Anche nella Curia c’è bisogno di imparare l’arte dell’ascolto”. Ne è convinto Papa Francesco, che nel tradizionale discorso di auguri natalizi alla Curia Romana, dall’Aula della Benedizione  – che ha percorso a piedi aiutandosi con il bastone, fino ad arrivare alla sua postazione tra gli applausi dei presenti – ha lanciato un monito preciso: “Prima dei nostri doveri quotidiani e delle nostre attività, soprattutto prima dei ruoli che rivestiamo, occorre riscoprire il valore delle relazioni, e cercare di spogliarle dai formalismi, di animarle di spirito evangelico, anzitutto ascoltandoci a vicenda. Con il cuore e in ginocchio”.

“Ascoltiamoci di più, senza pregiudizi, con apertura e sincerità; con il cuore in ginocchio”, la consegna di Francesco: “Ascoltiamoci, cercando di capire bene cosa dice il fratello, di cogliere i suoi bisogni e in qualche modo la sua stessa vita, che si nasconde dietro quelle parole, senza giudicare”.

Poi la citazione di Sant’Ignazio: “È da presupporre che un buon cristiano deve essere propenso a difendere piuttosto che a condannare l’affermazione di un altro. Se non può difenderla, cerchi di chiarire in che senso l’altro la intende; se la intende in modo erroneo, lo corregga benevolmente; se questo non basta, impieghi tutti i mezzi opportuni perché la intenda correttamente, e così possa salvarsi. E’ tutto un lavoro per capire bene l’altro”.

“Abbiamo bisogno di ascoltare e ricevere sempre questo annuncio, soprattutto in un tempo ancora tristemente segnato dalle violenze della guerra, dai rischi epocali a cui siamo esposti a causa dei cambiamenti climatici, dalla povertà, dalla sofferenza, dalla fame e da altre ferite che abitano la nostra storia”,

il riferimento al Natale imminente, all’inizio del suo discorso, incentrato su tre verbi – ascoltare, discernere, camminare – e tre rispettive figure di riferimento: Maria, Giovanni il Battista, i Magi. “Il discernimento deve aiutarci, anche nel lavoro della Curia, ad essere docili allo Spirito Santo, per poter scegliere gli orientamenti e

prendere le decisioni non in base a criteri mondani, o semplicemente applicando dei regolamenti, ma secondo il Vangelo”,

l’imperativo per il secondo verbo: “Per tutti noi è importante il discernimento, questa arte della vita spirituale che ci spoglia della pretesa di sapere già tutto, dal rischio di pensare che basta applicare le regole, dalla tentazione di procedere, anche nella vita della Curia, semplicemente ripetendo degli schemi, senza considerare che il Mistero di Dio ci supera sempre e che la vita delle persone e la realtà che ci circonda sono e restano sempre superiori alle idee e alle teorie”, l’indicazione di Francesco.

“La vita è superiore alle idee, sempre”,

ha aggiunto a braccio. Poi la citazione del cardinal Martini: “Il discernimento è ben altro dalla puntigliosità meticolosa di chi vive nell’appiattimento legalistico o con la pretesa di perfezionismo. È uno slancio d’amore che pone la distinzione tra buono e migliore, tra utile in sé e utile adesso, tra ciò che in generale può andar bene e ciò che invece ora bisogna promuovere”. E ancora: “La mancata tensione per discernere il meglio rende spesso la vita pastorale monotona, ripetitiva: si moltiplicano azioni religiose, si ripetono gesti tradizionali senza vederne bene il senso”.

“Quando il servizio che svolgiamo rischia di appiattirsi, di ‘labirintare’ nella rigidità o nella mediocrità, quando ci troviamo ingarbugliati nelle reti della burocrazia e del ‘tirare a campare’, ricordiamoci di guardare in alto, di ripartire da Dio, di lasciarci rischiarare dalla sua Parola, per trovare sempre il coraggio di ripartire”.

Così il Papa ha spiegato il terzo verbo scelto come guida del suo discorso alla Curia: camminare. “Dai labirinti si esce solo ‘da sopra’”, ha suggerito: “Ci vuole coraggio per camminare, per andare oltre. È questione di amore”. “Anche nel servizio qui in Curia è importante restare in cammino, non smettere di cercare e di approfondire la verità, vincendo la tentazione di restare fermi e di ‘labirintare’ dentro i nostri recinti e nelle nostre paure”, l’esortazione di Francesco, secondo il quale “le paure, le rigidità, la ripetizione degli schemi generano staticità, che ha l’apparente vantaggio di non creare problemi – quieta non movere –, ci portano a girare a vuoto nei nostri labirinti, penalizzando il servizio che siamo chiamati a offrire alla Chiesa e al mondo intero”. A questo proposito, il Papa ha citato “la riflessione di uno zelante sacerdote sull’argomento, che può aiutare anche noi nel nostro lavoro di Curia”: “Egli dice che si fa fatica a riaccendere le braci sotto la cenere della Chiesa. La fatica, oggi, è quella di trasmettere passione a chi l’ha già persa da un pezzo.

A sessant’anni dal Concilio, ancora si dibatte sulla divisione tra progressisti e conservatori. E questa non è la differenza. La differenza centrale è tra innamorati e abituati. Questa è la differenza. Solo chi ama può camminare”.

“La fede cristiana non vuole confermare le nostre sicurezze, farci accomodare in facili certezze religiose, regalarci risposte veloci ai complessi problemi della vita”, ha ricordato Bergoglio, esortando a restare

“vigilanti contro il fissismo dell’ideologia,

che spesso, sotto la veste delle buone intenzioni, ci separa dalla realtà e ci impedisce di camminare”. “Per favore, mi raccomando, non perdiamo il senso dell’umorismo, che è salute!”, la raccomandazione finale prima degli auguri di Buon Natale.

 

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App e canali social per capire da dove arrivano missili e droni ma la vita a Kyiv va avanti

Gio, 21/12/2023 - 10:41

Kyiv, Olga al primo piano del suo palazzo durante un bombardamento (Foto Sir)

(da Kyiv) Le informazioni viaggiano via Telegram. Oltre alle app che avvisano degli allarmi, ci sono canali come “Oficiinyi Radar” o “Kyiv Info” che danno in tempo reale notizie sui lanci dei droni e dei missili. A seconda da dove arrivano, si capisce cosa fare e dove andare. I missili sono gli attacchi più temuti: arrivano improvvisamente e solo dopo scatta l’allarme. Tra amici e colleghi si parla di questo. E’ Olga, 36 anni, volontaria della Caritas-Spes a spiegare come funziona, mostrando tutti i canali sul cellulare. “Io abito al 14° piano – racconta – ed è importante per me capire se restare a casa o scendere al primo piano”. Il 25 novembre scorso, il giorno dell’attacco più massiccio su Kyiv, le esplosioni hanno fatto vibrare forte i vetri delle finestre. “Tremava tutto, i muri, gli specchi. Siamo scesi al primo piano dove era sicuramente più sicuro stare”. Ma i lanci dei droni Shahed continuano. Tutti i giorni. Anche questa notte, diversi droni russi hanno attaccato la capitale ucraina, altri due attacchi hanno preso di mira la città occidentale di Kharkiv e nove persone sono rimaste ferite in bombardamenti su Kherson nel sud dell’Ucraina. Lo hanno annunciato le autorità ucraine. “Nella mia casa – prosegue Olga – il bagno è il posto più sicuro. Quando sento le esplosioni, il cuore comincia a battere forte, poi fai fatica a riprendere sonno”. E’ una situazione di allerta continua a cui gli abitanti della città di Kyiv in qualche modo si sono abituati. C’è addirittura qualcuno che ha uno zaino preparato la sera e sempre pronto in caso di allarme con dentro documenti e le cose più importanti. “Siamo consapevoli – prosegue Olga – che possiamo perdere tutto da un istante all’altro. La famiglia, la casa, la vita. Ma questo ci porta a vivere ogni momento con intensità, ad essere felici delle cose, anche piccole, che abbiamo, ad apprezzare ciò che prima davamo per scontato”. E alla domanda se ha mai pensato di andare via, Olga risponde decisa: “meglio stare qui piuttosto che seguire le notizie online”.

Anna, 24 anni, di Mariupol (Foto Sir)

Anna di anni ne ha 24 ed ha frequentato la facoltà di legge all’Università di Mariupol. “Era una città bellissima, moderna e sviluppata”. La guerra ha lasciato anche qui segni di morte e distruzione. Tutti gli amici diAnna sono andati via da Mariupol. Un suo compagno di scuola è morto insieme a tutta la sua famiglia sotto le macerie della loro casa. Alcuni dei suoi amici si trovano a combattere sul fronte. La guerra, insomma, ha travolto le loro vite. “Non penso mai a come è cambiata la mia vita o a come sarebbe stata se non ci fossimo trovati in questa situazione. Sono pensieri inutili che non portano a niente”, dice la ragazza. “Avrò sicuramente bisogno di tempo per sanare il trauma della guerra e capire i miei sentimenti e le mie emozioni ma penso piuttosto a come vivere la vita oggi, sapendo che forse non avrò domani per farlo”.

Tetiana Shapoval, sorella del primo ballerino morto sul fronte

Tetiana Shapoval è la sorella di Oleksandr Shapoval, primo ballerino presso l’Opera Nazionale Ucraina, dove si è esibito per 28 stagioni. Si era offerto volontario nei ranghi della difesa territoriale di Kyiv fin dai primi giorni dell’invasione russa su vasta scala. Poi, era entrato a far parte delle forze armate ucraine. Il 12 settembre 2022, Shapoval è morto in una battaglia vicino a Mayorsk, nella regione di Donetsk. Ha lasciato moglie e due figli. Il suo funerale si è svolto con tutti gli onori al Teatro dell’Opera di Kyiv. “Questo dolore – dice oggi Tetiana – è una ferita che non guarisce. Ma in Ucraina, ogni giorno muore qualcuno. Sul fronte sono andati a combattere i nostri uomini e giovani migliori, quella generazione che può ricostruire il nostro Paese”. “Se mi chiedete se sono pronta a perdonare, rispondo che no, non li perdono. Devono prima chiedere scusa per poter dare il mio perdono e ci vorrà tempo per sanare questa ferita. Ma non provo odio”, confida Tetiana, “Dio mi ha dato tanto amore che oggi non posso provare questo sentimento. Capisco che chi ha ucciso mio fratello, non ha avuto possibilità di scelta, si è formato in una cultura e in un sistema di totalitarismo che non lascia spazio a libertà. Non è quindi odio. Provo piuttosto un profondo dispiacere per queste persone”.

Kyiv, funerali di Oleksandr Shapoval, primo ballerino dell’Opera Nazionale

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Papa Francesco: “Andiamo al presepe e chiediamo la pace”

Mer, 20/12/2023 - 10:53

“Andiamo al presepe e chiediamo a Gesù la pace!”. Papa Francesco ha concluso con questo appello l’udienza di oggi, dedicata agli ottocento anni del presepe allestito da San Francesco a Greccio nel 1223. Salutando i fedeli di lingua italiana, il Papa ha prima espresso la sua vicinanza alla popolazione della Cina, colpita da un “devastante terremoto”, e poi ha salutato il gruppo di Mediterranea Saving Humans, presente in aula: “Fanno un bel lavoro, salvano tanta gente!”. Subito dopo, il riferimento alle guerre in corso:

“Pensiamo alla Palestina, a Israele, all’Ucraina martoriata, che soffre tanto. E pensiamo ai bambini in guerra”.

“Se noi cristiani guardiamo il presepe come una cosa bella, storica, anche religiosa e preghiamo, non è sufficiente”, l’esordio a braccio della catechesi: “davanti al mistero dell’incarnazione del Verbo, alla nascita di Gesù, ci vuole questo atteggiamento religioso dello stupore:

se io davanti ai misteri non arrivo a questo stupore, la mia fede è semplicemente superficiale, una fede da informatica.

“Come è nato il presepe?  Qual è stata l’intenzione di San Francesco?”, si è chiesto Francesco, citando le parole del santo di Assisi: “Vorrei rappresentare il Bambino nato a Betlemme, e in qualche modo vedere con gli occhi del corpo i disagi in cui si è trovato per la mancanza delle cose necessarie a un neonato, come fu adagiato in una greppia e come giaceva sul fieno tra il bue e l’asinello”. “Francesco non vuole realizzare una bella opera d’arte, ma suscitare, attraverso il presepe, lo stupore per l’estrema umiltà del Signore, per i disagi che ha patito, per amore nostro, nella povera grotta di Betlemme”, ha commentato il Papa: “Io ho sottolineato una parola: lo stupore. Questo è importante”, ha aggiunto a braccio.

 “Il presepe nasce come scuola di sobrietà. E questo ha molto da dire anche a noi”,

la tesi di Francesco, secondo il quale “oggi il rischio di smarrire ciò che conta nella vita è grande e paradossalmente aumenta proprio sotto Natale, immersi in un consumismo che ne corrode il significato”. “Io voglio fare dei regali”, ha proseguito a braccio: “È bene, ma quella frenesia di andare a fare le spese, questo attira l’attenzione da un’altra parte e non c’è spazio per quella sobrietà del Natale: non c’è spazio interiore per lo stupore, soltanto per organizzare le feste”. Il presepe, invece, “nasce per riportarci a ciò che conta: a Dio che viene ad abitare in mezzo a noi, ma anche alle altre relazioni essenziali, come la famiglia, presente in Gesù, Giuseppe e Maria, e le persone care, i pastori”.

“Le persone prima delle cose”,

il monito del Papa: “Tante volte noi mettiamo le cose prima delle persone, e questo non funziona”.

“Il presepe di Greccio, oltre che di sobrietà, parla anche di gioia, perché la gioia è una cosa differente dal divertimento”, ha puntualizzato a braccio: “Divertirsi non è una cosa cattiva, è una cosa umana, ma la gioia è più profonda ancora, più umana. E alle volte c’è la tentazione di divertirsi senza gioia: divertirsi facendo rumore, ma la gioia non c’è. È un po’ la figura del pagliaccio, che ride, fa ridere ma il cuore è triste”. “La sobrietà, lo stupore ti porta alla gioia, alla vera gioia, non quella artificiale”, ha detto Francesco ancora fuori testo: “Ma da cosa derivava quella straordinaria gioia natalizia? Non certo dall’avere portato a casa dei regali o dall’aver vissuto celebrazioni fastose. No, era la gioia che trabocca dal cuore quando si tocca con mano la vicinanza di Gesù, la tenerezza di Dio, che non lascia soli, ma consola”. “Vicinanza, tenerezza e compassione: così sono i tre atteggiamenti di Dio”, ha ribadito a braccio: “E guardando il presepe, pregando davanti al presepe, noi vediamo questi tre atteggiamenti di Dio”. “Il presepe è come un piccolo pozzo dal quale attingere la vicinanza di Dio, sorgente della speranza e della gioia”, l’esempio scelto dal Papa: “È come un Vangelo vivo, è un Vangelo domestico. È come il pozzo nella Bibbia, è il luogo dell’incontro, dove portare a Gesù, come hanno fatto i pastori di Betlemme e la gente di Greccio, le attese e le preoccupazioni della vita”. “Portare a Gesù le attese e le preoccupazioni della vita”, la consegna finale: “Se davanti al presepe affidiamo a Gesù quanto abbiamo a cuore, proveremo anche noi una gioia grandissima. Una gioia che viene proprio dalla contemplazione dello spirito di stupore con il quale vado a contemplare questi misteri. Andiamo davanti al presepe! Ognuno guardi e si lasci sentire qualcosa nel cuore”.

 

 

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Pope Francis: “Let us go before the Nativity scene and ask for peace”

Mer, 20/12/2023 - 10:53

“Let us go before the Nativity scene and ask Jesus for the gift of peace!” With this appeal, Pope Francis concluded the traditional Wednesday general audience dedicated to the 800th anniversary of the Nativity scene set up by St Francis in the town of Greccio in 1223. In his greeting to the Italian-speaking faithful, the Pope expressed his closeness to the people of China, hit by a “devastating earthquake”, and then greeted the Mediterranea Saving Humans group attending the audience: “You are doing a great job, you are saving so many people!” Francis thus turned his remarks to the ongoing wars:

“Our thoughts go to Palestine, to Israel, to the martyred Ukraine, which is suffering so much. And to the children in the war.”

“If we Christians look at the crib as a beautiful thing, as something historical, even religious, and pray, this is not enough”, Francis said in the opening lines of the catechesis: “Before the mystery of the Incarnation of the Word, before the birth of Jesus, we need this religious attitude of amazement.

If I, in the face of the mysteries do not come to this amazement, my faith is simply superficial; a ‘computational faith.’”

“How did the crib come about? What was St Francis’ intention?”, Francis asked, citing the words of the Saint of Assisi, who said: “I want to depict the Child born in Bethlehem, and in some way see with the eyes of the body the hardships in which He found Himself for want of the things necessary for an infant: how He was laid in a manger and how He lay on the straw between the ox and the ass.” “Francis doesn’t desire to create a beautiful work of art, but through the Nativity scene, to provoke amazement at the extreme humility of the Lord, at the hardships He suffered, for love of us, in the poor grotto of Bethlehem”, the Pope remarked: “I have emphasized one word, ‘amazement.’ And this is important”, Francis added off text.

“The Nativity scene it was conceived as a school of sobriety. And this has a great deal to say to us”,

Francis said. “Today, in fact, the risk of losing sight of what counts in life is great and paradoxically increases precisely at Christmas immersed in a consumerism that corrodes its meaning”, the Pope remarked. “It’s true, that you want to give presents, that’s fine – he added off text – but that frenzy to go shopping that draws attention elsewhere and there is not that sobriety of Christmas. Sometimes there is no inner space for astonishment, but only to organise the parties.”

And the Nativity scene was created “to bring us back to what matters: to God Who comes to dwell among us. It helps us understand what matters and also the social relationships of Jesus in that moment, the family, Joseph and Mary, and loved ones, the shepherds.”

“People before things.

The Pope reminded the faithful: “often we put things ahead of people. This doesn’t work.”

“But the Nativity scene of Greccio in addition to sobriety, speaks also of joy. Because joy is a different from having fun.” Francis pointed out: “having fun is not a bad thing, it is a human thing. But joy is deeper still. More human. And sometimes there is a temptation to have fun without joy; to have fun by making noise, but the joy is not there. It is a bit like the figure of the clown, who laughs and laughs, and makes people laugh, but the heart is sad.” “Sobriety, amazement, leads you to joy, true joy, not artificial joy”, Francis continued off text: “But where did this Christmas joy come from? Certainly not from having brought home presents or having experienced lavish celebrations. No, it was the joy that overflows from the heart when one tangibly touches the nearness of Jesus, the tenderness of God, who does not leave us alone, but consoles us.” “Closeness, tenderness, and compassion, such are the three attitudes of God”, Francis reiterated in unscripted remarks: “And looking at the Nativity scene, praying before the Nativity scene, we can experience these things of the Lord that help us in every day life.” “the Nativity scene is like a small well from which to draw the nearness of God, the source of hope and joy”, the example chosen by the Pope: “The Nativity scene is like a living Gospel, a domestic Gospel. Like the well in the Bible, it is the place of encounter where we bring to Jesus the expectations and worries of life”, the final recommendation: “If, before the Nativity scene, we entrust to Jesus all we hold dear, we too will experience great joy, a joy that comes precisely from contemplation, from the spirit of amazement with which I go to contemplate these mysteries. Let us go before the Nativity scene. Look, everyone, and allow your heart to feel something within.”

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Ucraina. Don Grynevych: “Ci vorrà tempo per piangere sui morti e risanare le ferite della guerra”

Mer, 20/12/2023 - 09:16

Kyiv, don Vyacheslav Grynevych, nel suo ufficio di Caritas-Spes

(da Kyiv) L’Ucraina in guerra è un Paese che piange i morti. L’inverno, il freddo, i rifugi per anziani soli e disabili. Tutto è un’emergenza. Ma è la perdita dei propri cari l’aspetto forse più brutale di una crisi umanitaria che gli ucraini stanno vivendo da due anni. A raccontarlo è don Vyacheslav Grynevych, direttore della Caritas-Spes Ucraina. Il Sir lo ha incontrato nella sua sede di Kyiv dove lavora insieme ad un gruppo numeroso di giovani. Il Paese è grande e dall’inizio dell’aggressione russa, la Caritas Spes è fortemente impegnata sui vari fronti dell’emergenza. C’è bisogno di gente per affrontare tutte le richieste che arrivano qui e coordinare gli aiuti. La grande cartina che campeggia su una parte della sede di Kyiv mostra la presenza capillare di Caritas-Spes su tutto il Paese. Oggi l’organizzazione conta 54 centri di aiuto. A più di un anno dalla guerra su vasta scala, Caritas-Spes Ucraina, insieme ai suoi partner, copre attualmente 23 regioni dell’Ucraina, è presente in più di 15.000 insediamenti, comprese le zone di prima linea. Ma non è facile lavorare in territorio di guerra. Nella notte del 19 settembre 2023 le truppe russe hanno colpito un magazzino industriale a Leopoli, dove si trovavano gli aiuti umanitari di Caritas-Spes Ucraina. I dipendenti della Missione sono rimasti illesi, ma il magazzino con tutto ciò che conteneva è stato raso al suolo dall’ incendio. Sono state bruciate 300 tonnellate di beni umanitari.

Kyiv, sede di Caritas-Spes (Foto Sir)

Ma sono i morti il vero “choc” di questo popolo. “Non c’è famiglia che non abbia subito un lutto”, racconta il sacerdote. “Ci sono madri che hanno perso un figlio e tante altre che cercano notizie di figli scomparsi o semplicemente che non rispondono più al cellulare e di cui si sono perse le tracce. Chi poi non ha avuto indietro il corpo del proprio caro, ha sempre la speranza che la notizia della sua morte sia un errore vivendo poi nell’attesa, spesso vana, di un suo ritorno a casa”. Ci sarà bisogno di molto tempo per piangere, per risanare le ferite, curare i traumi, prepararsi ad una riconciliazione. “La città di Kyiv sembra normale”, aggiunge il sacerdote, “ma il nostro mondo interiore è distrutto. Quello che abbiamo visto a Bucha ora lo troviamo dentro i nostri cuori”. Lo scorso 1° novembre a commemorare i morti c’erano solo donne e “questo mostra tutta la brutalità della guerra”. Ci sono in Ucraina villaggi interamente svuotati di uomini. Grynevych racconta di un villaggio vicino a Kherson da dove è arrivata una insolita richiesta: le donne hanno chiesto all’organizzazione di poter seguire dei corsi sulla guida dei trattori e sulle tecniche agricole. Erano rimaste sole a occuparsi dei campi. I mariti erano tutti impegnati sul fronte.

Centro per persone con disabilità nel villaggio di Zarichany (Foto Caritas-Spes)

Ai traumi della guerra, si aggiunge la crisi economica con il rialzo dei prezzi e la fatica a comperare beni di prima necessità. I poveri aumentano così come le necessità. “Tutti siamo stanchi. Soprattutto preoccupa l’assenza di una prospettiva futura. Ma tutti vogliamo una pace giusta perché, se non fosse così, non avrebbero senso le morti che stiamo piangendo”. Intanto Caritas-Spes non cessa nel suo lavoro di solidarietà. Il bilancio dell’anno è carico di vita: nel 2023 hanno ricevuto assistenza 280.046 persone ma dall’inizio della guerra su vasta scala sono state complessivamente 1.048.546 le persone assistite. Rifugi, bisogni alimentari e di base, supporto psicosociale. Solo nell’ultimo periodo invernale, 15.120 persone hanno ricevuto coperte, biancheria da letto calda, forni, stufe, generatori e altri beni necessari per proteggersi dal freddo. Sono invece 18.726 le persone che hanno ricevuto consultazioni e informazioni tramite la linea online. L’8 dicembre è stato inaugurato un centro inclusivo per persone con disabilità nel villaggio di Zarichany. Il centro è unico nel suo genere, in quanto non esiste un complesso del genere a Kiev, Zhytomyr o in molte altre regioni. L’edificio dispone di 26 camere che possono ospitare 45 persone con disabilità e i loro accompagnatori, 2 sale conferenze e una moderna cappella. All’inaugurazione ha partecipato anche il direttore di Caritas Italiana, don Marco Pagniello, che con una piccola delegazione ha visitato l’Ucraina per condividere con le Caritas locali le opere di accompagnamento e prossimità messe in atto. In quell’occasione don Pagniello ha annunciato che Caritas Italiana e tutte le diocesi della Chiesa cattolica in Italia vogliono sostenere la pastorale per i bambini con disabilità avviata da Caritas-Spes Ucraina.  “La loro visita – commenta don Grynevych – è stata per noi molto importante. La guerra fa presagire una strategia di intervento a lungo termine e senza l’aiuto della famiglia Caritas non saremmo in grado di farcela. La visita della Caritas Italiana è stata per noi il segno che non siamo soli”.

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Ukraine. Fr Grynevych: “Time will be needed to mourn the dead and heal the wounds of war”

Mer, 20/12/2023 - 09:16

(from Kyiv) Ukraine at war is a country that mourns its dead. Winter cold, shelters for lonely and disabled elderly. There are emergencies all around. But perhaps the most devastating element of the humanitarian crisis the Ukrainian people have suffered for two years is the loss of loved ones. Vyacheslav Grynevych, Director of Caritas-Spes Ukraine, whom SIR met in his office in Kyiv where he works with a large group of young people, gives an account of the situation. Ukraine is a large country, and since the beginning of the Russian aggression, Caritas Spes has been working hard on the various fronts of the emergency. We need people to deal with all the requests that come in and to coordinate the relief efforts. The large map hanging on the wall of the Kyiv office shows the widespread presence of Caritas-Spes throughout the country. The charity organisation currently runs 54 relief centres. After more than a year since the outbreak of the full-scale war, Caritas-Spes Ukraine, together with its partners, is actively serving 23 regions of Ukraine and is present in more than 15,000 settlements, including frontline zones. But operating in war zones can be hard. On the night of 19 September 2023, Russian troops hit an industrial warehouse in Lviv where Caritas-Spes Ukraine’s humanitarian aid was stored. The mission’s staff were unharmed, but the warehouse and all its goods were burnt to the ground. 300 tonnes of humanitarian goods were reduced to ashes.

However, the biggest “shock” for these people is the death toll. “There is not a family that has not suffered a loss,” says the priest. “There are mothers who have lost a child and many others who are seeking news of their children who missing or who have stopped answering their mobile phones and of whom they no longer have any trace. Those who have not been able to recover their loved ones’ bodies always hope that the news of their death is a mistake and live in the often vain expectation that they will come back home one day.”

A long time will be needed to mourn, to heal the wounds, to heal the traumas, to prepare for reconciliation. “The city of Kyiv is seemingly normal,” adds the priest, “but our inner world is broken. What we have seen in Bucha is now in the depths of our hearts.”

On 1 November, only women were present to commemorate the dead, embodying the “brutality of war.” Some Ukrainian villages are completely empty of men. Grynevych describes a village near Kherson where an unusual request was made: women asked the charity if they could attend courses in tractor driving and agricultural skills. They were left alone to look after the farms because their husbands had all been sent to the front.

In addition to the trauma of war, the economic crisis is exacerbated by soaring commodity prices and the difficulty of buying basic necessities. The number of poor is growing, as are the needs. “Everyone is exhausted. What worries us most is the lack of prospects for the future. But we all want to see a just peace, because if this were not the case, the dead whom we are mourning will have died in vain.” Meanwhile, Caritas-Spes continues its solidarity efforts. This year’s figures are full of life: 280,046 people received assistance in 2023, but a total of 1,048,546 people have been assisted since the outbreak of full-scale war. Shelter, food and basic needs, psychosocial support. Last winter alone, 15,120 people received blankets, warm bedding, heaters, stoves, generators and other items to protect them from the winter cold. In addition, 18,726 people received advice and information through the online helpline. In the village of Zarichany, an integrated centre for people with disabilities was inaugurated on 8 December. The centre is unique in that there is no such complex in Kyiv, Zhytomyr nor in many other regions. It has 26 bedrooms for 45 people with disabilities and their carers, 2 conference rooms and a modern chapel. The inauguration ceremony was attended, among others, by the Director of Caritas Italy, Fr Marco Pagniello, who visited Ukraine with a small delegation to inform the local Caritas organisations about the accompaniment and proximity activities that have been carried out. On the same occasion, Fr Pagniello announced that Caritas Italy and all the dioceses of the Catholic Church in Italy will support activities of pastoral care for children with disabilities initiated by Caritas-Spes Ukraine.

“Their visit,” commented Fr Grynevych, “was very important for us. A long-term intervention strategy is expected due to the war, and without the help of the Caritas family we would not be able to cope. The visit of Caritas Italy makes us feel that we are not alone.”

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Israele e Hamas. Suor Saleh da Gaza: “Senza acqua e luce da giorni. Gesù la sola nostra unica speranza e forza”

Mer, 20/12/2023 - 09:09

(Foto Parrocchia latina Gaza)

La foto di Cristo sulla Croce con la scritta “Ho sete”, inviata tramite social, precede di poco la voce di suor Nabila Saleh che dalla parrocchia cattolica di Gaza dice sconfortata:

“La gente ha sete. Non abbiamo più acqua da giorni. La situazione peggiora di ora in ora, le condizioni igienico sanitarie sono sempre più pesanti. Al momento non riusciamo a ricevere nessun  aiuto. Impossibile muoversi. Manca anche l’energia elettrica”.

La religiosa delle Suore del Rosario di Gerusalemme racconta al Sir gli ultimi giorni di guerra, forse i più duri, per gli oltre 600 sfollati cristiani rifugiati nella parrocchia cattolica della Sacra Famiglia di Gaza. Sabato 16 dicembre cecchini israeliani appostati sui tetti dei palazzi intorno alla parrocchia hanno sparato e ucciso “a sangue freddo” due donne Nahida Khalil Anton e Samar Kamal Anton, madre e figlia, mentre si dirigevano al convento delle suore. “Ero proprio dietro di loro – ricorda suor Saleh – quando sono state colpite. Anche altre persone sono rimaste ferite. L’esercito israeliano ha colpito gente inerme, qui in parrocchia non ci sono combattenti”. Parole poi ribadite con chiarezza dal Patriarcato latino di Gerusalemme e ancora domenica 17 dicembre da Papa Francesco, all’Angelus: “All’interno del complesso parrocchiale della Santa Famiglia, non ci sono terroristi, ma famiglie, bambini, persone malate e con disabilità, suore”.

I ricordi della religiosa si sovrappongono al dolore per la perdita di vite umane, volti familiari che appartenevano alla piccola famiglia della parrocchia cattolica, poco più di 100 fedeli, come Ilham Farah, 80 anni, colpita, a metà novembre, da soldati israeliani e morta dissanguata perché nessuno poteva avvicinarsi a lei per prestarle aiuto. Ex insegnante di musica, era l’organista della parrocchia. Adesso Nahida e sua figlia Samar: Nahida aveva 7 figli e 20 nipoti. Samar, invece, era la cuoca della casa dei bambini disabili custoditi dalle suore di Madre Teresa.

Gaza, casa suore Madre Teresa (Foto Parrocchia latina)

“Anche queste ultime – dice suor Nabila – hanno avuto la casa bombardata e diverse stanze sono andate distrutte. I più di 50 disabili gravi che erano ospiti sono stati trasferiti, non senza difficoltà, in ambienti più stretti e angusti, ma speriamo più sicuri”. Si stima che almeno 24 cristiani siano stati uccisi a Gaza in questi mesi di guerra, la maggior parte di loro vittime del bombardamento della chiesa greco ortodossa di san Porfirio.

Gaza, funerali (Foto Parrocchia Latina)

I funerali delle due donne sono stati celebrati in chiesa poche ore dopo la loro uccisione, “non appena – spiega suor Nabila – Israele ha permesso la rimozione dei loro corpi”. Oggi riposano nel piccolo cimitero situato dentro l’area parrocchiale. La paura di essere colpiti ha spinto praticamente tutti i cristiani ad occupare le parti più interne della parrocchia:

“Dormiamo negli androni e nelle scale, molte famiglie si ritrovano a riposare in chiesa. Intorno a noi sentiamo il rumore dei cingolati dei carri armati. Nessuno esce per paura di essere colpito dai cecchini. Alle 16 entra una sorta di coprifuoco interno alla parrocchia. I bombardamenti non si fermano mai. Non sappiamo come finiremo”.

Arriva un’altra foto, mostra l’altare della chiesa. Non c’è il presepe ma solo le candele delle domeniche di Avvento. In attesa del Bambino: “Mancano pochissimi giorni al Natale, ci aggrappiamo a Gesù per avere speranza. Egli è la nostra unica forza. A Natale il mondo preghi per gli innocenti di Gaza e per la pace”.

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Israel and Hamas. Sister Saleh from Gaza: “No water or electricity for days. Jesus is our only source of hope and strength”

Mer, 20/12/2023 - 09:09

The image of Christ on the cross with the words “I am thirsty”, posted on social media, is preceded by the voice of Sister Nabila Saleh, of the Catholic parish in Gaza. She says, disheartened:

“People are thirsty. We have been without clean water for days. The situation is getting worse by the hour, hygiene and sanitary conditions are deteriorating. At the moment no aid can reach us. We have no freedom of movement. And there is no electricity.”

Contacted by SIR, the nun, a member of the Congregation of the Sisters of the Rosary in Jerusalem, describes the most recent and perhaps most serious days of the war for the more than 600 displaced Christian refugees sheltering in the Catholic parish of the Holy Family in Gaza. On Saturday 16 December, two women, Nahida Khalil Anton and Samar Kamal Anton, mother and daughter, were shot “in cold blood” by Israeli snipers stationed on the rooftops of the buildings surrounding the parish as they were on their way to the convent. “I was right behind them,” recalls Sister Saleh, “when they were shot. Other people were also wounded. The Israeli army targeted defenceless people. There are no fighters here in the convent.” These words were echoed in clear terms by the Latin Patriarchate of Jerusalem and again on Sunday 17 December by Pope Francis during the Angelus prayer: “In the parish complex of the Holy Family there are no terrorists, but families, children, people who are sick and have disabilities, sisters.”

The nun’s memories are laced with grief at the loss of human lives, familiar faces who formed part of the small Catholic parish family, just over 100 parishioners, like Ilham Farah, 80, shot by Israeli soldiers in mid-November and left to bleed to death because no one would come to her aid. A former music teacher, she was the parish organist. Now Nahida and her daughter Samar have been killed: Nahida had seven children and 20 grandchildren. Her daughter Samar was a cook at a home for disabled children run by Mother Teresa’s nuns.

“Their house was also bombed,” says Sister Nabila, “and several rooms were destroyed. More than 50 severely disabled people who were staying there have been relocated, not without difficulty, to narrower and more cramped – but hopefully safer – premises.” More than 24 Christians are estimated to have been killed in Gaza during the past months of war, most of them victims of the bombing of the Greek Orthodox Church of Saint Porphyry.

The funerals of the two women were celebrated in the church a few hours after their death, “as soon as Israel allowed the removal of their bodies,” explains Sister Nabila. They now rest in the small cemetery on the parish grounds. The fear of being attacked has driven almost all Christians to shelter in the inner areas of the church complex:

“We sleep in the corridors and on the stairs, many families sit down to rest in the church. We hear the sound of tanks rumbling all around us. No one goes out for fear of being hit by the snipers. At 4 pm, a kind of curfew begins in the parish. The shelling never stops. We don’t know what will become of us.”

One more photo is posted, this time it depicts the altar of the church. There is no crib, only the candles of the Advent Sundays. Awaiting the Child: “Christmas is just a few days away. We look to Jesus for hope. He is our only source of strength. This Christmas, may the world pray for the innocent people of Gaza and for peace.”

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Com’è una scuola “di serie A”?

Mar, 19/12/2023 - 15:27

Una scuola di “serie A”. E chi non la vorrebbe? E un’altra domanda viene di seguito: la nostra scuola di che serie è?
Spesso si discute sull’importanza del sistema scolastico e sulla sua funzione, su come si dovrebbe affrontare il percorso di crescita delle più giovani generazioni, sul rapporto che dovrebbe esserci tra istruzione e lavoro, su rigore o “lassismo” nei confronti degli studenti. E’ importante farlo, perché è anche questo un segnale di quanto ci appassioni la questione scolastica, che per un Paese può e deve essere uno dei focus principali guardando al futuro. Focus che chiede, naturalmente, al di là delle discussioni, politiche e investimenti all’altezza del compito.
Ma la scuola, appunto, come fa ad essere “di serie A”? Deve essere rigorosa, comportare la “fatica” e bocciare di più (chi se lo merita, immaginiamo). Così la provocazione che viene da Maurizio Carminati, presidente di Confindustria Alto Milanese alla 78° Assemblea dell’associazione svoltasi a Legnano alla fine di novembre. Non è una boutade, ma una dichiarazione che raccoglie un sentimento diffuso e sintetizza tante critiche legate al mondo scolastico che vanno dalle promozioni bulgare alla maturità cui si affiancano risultati poco soddisfacenti ai test Invalsi. Critiche che sottolineano il gap tra istruzione e mondo del lavoro perché – è ancora Carminati a ricordarlo – “Le nostre imprese hanno disperato bisogno di personale, giovane e competente, di collaboratori capaci, svegli, formati, ma soprattutto di brave persone”. E non lo trovano.
Partiamo da qui, da questo equivoco di una scuola che debba preparare al lavoro, che sia funzionale alle imprese. Intendiamoci, non è un abbaglio di poco conto, né relegato a pochi ambienti. Piuttosto esiste da tempo ed è diffuso non solo in Italia. Ma è, appunto, un abbaglio. Il percorso scolastico in generale non è formazione professionale, non prepara al lavoro (tranne in alcuni casi). Piuttosto – e ce lo ricorda la Costituzione – vuole far crescere uomini e cittadini. “Brave persone”, come dice Carminati. Preparate, certo ad affrontare anche percorsi lavorativi perché aperte all’apprendimento continuo, alla formazione sul campo, quella che tocca ad ogni impresa.
Per raggiungere l’obiettivo secondo Carminati bisognerebbe bocciare chi non studia. Forse è una semplificazione, ma efficace. Una scuola che boccia, selettiva, fondata sul merito: ecco la scuola di “serie A”, con insegnanti non sempre sotto esame, ma autorevoli e tutelati, in grado anche di poter “punire” senza finire sotto processo da parte dei genitori degli studenti.
Il rimando sottinteso è a una scuola che non solo non boccia (ma è vero? Le statistiche mostrano dati allarmanti soprattutto nel passaggio medie/superiori), ma soprattutto è in crisi di autorità, viene poco considerata. E il successo è inteso come una conquista faticosa, in uno scenario che potrebbe essere competitivo.
Ma davvero è così? Daniele Novara, pedagogista, spiega ad esempio che “non si educa mortificando” e delle bocciature sottolinea soprattutto le criticità. Non è l’unico. E torna a questo proposito il modello di una scuola inclusiva e centrata sulla promozione dell’allievo, su motivazione e responsabilità.
Si potrebbe scrivere a lungo, ma forse basta lasciare solo la provocazione, con un ultimo accenno: “Non sparate sulla scuola” è il titolo di un saggio appena uscito ed è anche un invito a riflettere su un bene comune – il sistema scolastico, appunto – cui non servono tanto ricette semplici (bocciare o no) ma responsabilità e impegno fattivo da parte di tutto il Paese.

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Gioventù violenta

Mar, 19/12/2023 - 15:17

Nelle ultime settimane si sono registrati numerosi casi di violenza e aggressioni fra minori.

In diverse province le baby-gang stanno diventando una vera e propria piaga. Gli episodi più recenti riguardano Milano, Torino, Ferrara, Parma, Roma e Napoli e in alcuni di essi sono coinvolti anche ragazzini di appena undici anni.

In aumento anche le risse tra adolescenti, soprattutto durante le ore notturne, nei pressi dei locali frequentati dai giovani, spesso a causa di serate consumate all’insegna dell’eccesso e dell’abuso di alcol e sostanze. A volte capita che le risse finiscano, purtroppo, in accoltellamenti.

A quanto pare neppure la scuola è più un luogo sicuro, qualche giorno fa un quindicenne al termine delle lezioni, nei pressi dell’istituto di appartenenza, è stato ridotto in fin di vita da un compagno armato di coltello da cucina.

La violenza ha diverse forme e queste sono le più evidenti. Ma non sono da trascurare tutte quelle azioni, spesso sommerse, che vanno dalla violenza psichica a quella verbale, spesso radici del diffuso fenomeno del bullismo e cyberbullismo.

Le manifestazioni di violenza stanno dunque aumentando tra i minori?

I dati della Direzione centrale della Polizia criminale indicano un lieve incremento degli omicidi commessi da minorenni nell’ultimo triennio. Sono in crescita le violenze sessuali e in generale è incrementato di oltre il 14% il numero dei minori denunciati o arrestati, confrontando i dati con il periodo precedente la pandemia. C’è da precisare, però, che prima, nel 2007, gli omicidi commessi dai minori erano quasi il doppio, secondo le fonti Istat. Sembrerebbe, quindi, che rispetto ai dati non troppo allarmanti del decennio che ci lasciamo alle spalle si manifesti una preoccupante inversione di tendenza.

I reati più recenti appaiono, inoltre, più insensati rispetto al passato: è difficile decifrarne le motivazioni e sembrano generati da un forte generale disorientamento. Alla base non ci sono motivazioni ideologiche e neppure sono espressione della malavita organizzata. A incidere fortemente su queste nuove dinamiche sono anche i social, dove le aggressioni vengono spesso filmate, spettacolarizzate e maturano al confine di una collettiva percezione alterata della realtà. C’è poi da sottolineare come la violenza sia costantemente sullo sfondo della nostra quotidianità: pervade le notizie di cronaca, i videogiochi, la politica, le tifoserie, le chat e persino la musica.

A seguito del femminicidio della giovane Giulia Cecchettin, si è tornati a parlare del sessismo estremo e violento di alcuni testi di canzoni trap. C’è una grande ambivalenza in questo genere di musica, dove spesso oltre a preoccupanti derive sessiste, troviamo incoraggiamenti a comportamenti marginali, spesso anche criminali. La trasgressione esasperata esercita un forte appeal sulle giovani generazioni. In alcuni testi l’esaltazione del male e un certo nichilismo autodistruttivo divengono quasi pilastri di una nuova “religione” metropolitana.

Certamente alla radice dei comportamenti aggressivi e violenti ci sono fattori più profondi che vanno al di là del condizionamento della musica e delle tendenze social, come la carenza o problematicità dell’attività educativa dei genitori (negligenza, omissione di sorveglianza, abusi o violenze in famiglia); l’assenza di centri di aggregazione destinati ai giovani nelle attività del tempo libero; il basso livello d’istruzione e la forte tendenza all’abbandono dei percorsi scolastici; l’appartenenza ad ambienti degradati e fortemente deprivati.

Il fattore più pesante, però, in queste situazioni è comunque l’assenza della famiglia che, nei casi peggiori, si trasforma perfino in connivenza. Se manca la guida, se non ci sono regole, ma soprattutto se latita l’educazione all’etica e al sano discernimento di ciò che è bene e ciò che non lo è, si giunge inevitabilmente a maturare condotte antisociali e pericolose per sé e per gli altri.

Anche la scuola può offrire il proprio contributo nell’educazione dei giovani, ma senza il sostegno genitoriale qualsiasi iniziativa rischia di divenire fallimentare.

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Msgr. Kulbokas (Nuncio): “In the present circumstances we must leave no stone unturned”

Mar, 19/12/2023 - 09:47

“In Kyiv it feels as if the war has become part of everyday life, as if it were a normality. But it is not normal.” Msgr. Visvaldas Kulbokas, Apostolic Nuncio to Ukraine, describes the atmosphere in the Ukrainian capital this Christmas season. “It is not normal even in times of peace,” he adds, “because the situation is never completely calm. We are preparing to experience Christmas in this way, in a critical context that nevertheless enhances its spiritual dimension and sheds light on who Jesus is, the Prince of Justice and Peace.”

“Many people, believers and non-believers alike, are looking forward to Christmas as a time to receive the grace of peace and the gift of life. War causes so much suffering, so many deaths, so many wounds. So there are great expectations.”

How is life lived on the ground?

We live each night and each day as if they were separate moments, because the situation is precarious. We never know if tomorrow will be the same as the day before. It depends on how many rockets are fired, how many drones fall on the city. You cannot be sure that things will go according to plan. For two years now, we have all been facing an overwhelming uncertainty.

This year marks an important innovation: for the first time, the Greek Catholic Church will celebrate Christmas not on 7 January, but on 25 December. How should this be interpreted?

I would not put too much emphasis on the date. However, it is an indication that we are united even externally.

On Sunday, relatives and friends of the Ukrainian prisoners took to the streets of Kyiv to call for their release and to demand that all possible efforts be intensified to bring them home. But in concrete terms, what can the Holy See’s diplomacy do for them?

This is a big problem. Every day, when I celebrate morning Mass, I entrust my personal prayer to the prayers of those who are suffering. There are so many of them. It is not only the military who are imprisoned, but also many civilians, and this is a huge problem. Among them are the two Greek Catholic Redemptorist priests captured in Berdyansk, who have been imprisoned for over a year. I am in contact with the associations of the prisoners’ families, who have told me stories of great suffering, terrible stories. The families have no idea where they are or whether they are alive. The prisoners have no drinking water. Not to mention the lack of food, the mistreatment, the poor conditions in which they are forced to live, and much more. This issue, that of prisoners, children and humanitarian aid, is an important commitment that Pope Francis himself insists on, either by highlighting these issues and drawing attention to them, or by appealing to the relevant authorities. Unfortunately, little progress has been made so far.  But this does not mean that we should stop making these requests. We are believers and we have no right to give up.

People’s hearts can always change. Including the hearts of those to blame for such evil.

We don’t know when, but we know that by unceasingly knocking on the doors, one day these doors will open. And we believe this all the more because we are believers and, besides our concrete efforts, we entrust ourselves to God’s grace in prayer.

Maria Lvova-Belova, Commissioner for Children’s Rights of the Presidency of the Russian Federation, has recently released a report indicating that some minors have been identified so far. Does this mean that some progress is being made with regard to deported Ukrainian children?

We are beginning to see some signs of progress, which means that there are some small breakthroughs. It shows that it is always better to do something than to do nothing. And we have been informed of some proposals regarding how to proceed. Even though small, it is certainly a step forward. In the present, difficult circumstances, we must leave no stone unturned.

In a context where peace, at least in the eyes of the public, seems an impossible goal, how do you see the situation? Two years after the outbreak of this war, are you more optimistic or pessimistic?

I am not in a position to comment or speculate, also because the current state of the war is that we are navigating the situation according to the evolving circumstances, we are living day by day and therefore it is difficult to make any overall considerations.

Of course, the longer the war goes on, the greater the difficulty of communication.

War damages communication channels, it destroys, and it hardens people’s hearts. There is also increased suffering, but paradoxically this is what drives people to seek a way out of the war. My personal reflection is based on what the prophets of the Old Testament said: we cannot trust human powers, we must trust God who proclaims justice, respect and peace. That is why, in this search for peace, I have greater faith in the efforts of the Churches and religions.

What is the strength of Pope Francis?

The strength of a Pope is faith. Faith means that even if the whole world says no, the Pope will try and will not stop trying. But with faith you also have to have a good measure of humanity. In the same way, prayer has to be persevering, because for God, all our prayers are always new, even if to us they are always the same and are repeated day after day. For God, each and every prayer is new. And that is the strength of the Pope and of the Church.

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Mons. Kulbokas (nunzio), “nella situazione difficile in cui ci troviamo, non possiamo lasciare nulla di intentato”

Mar, 19/12/2023 - 09:47

(Da Kyiv) “A Kyiv sembra che si respiri un clima di abitudine alla guerra come fosse diventata ormai una normalità. Ma normale non è”. È mons. Visvaldas Kulbokas, nunzio apostolico in Ucraina, a descrivere il clima che si respira nella capitale ucraina, in questo periodo natalizio. “Non è normale neanche nei momenti di calma – aggiunge – perché non è mai una situazione di tranquillità completa. Ci prepariamo a vivere il Natale così, in un contesto difficile che però fa risaltare ancor più il suo significato spirituale, mettendo in luce chi è Gesù, il principe della giustizia e della pace”.

“Tante persone, credenti e non credenti, si attendono dal Natale la grazia della pace e il dono della vita. La guerra comporta tanto dolore, tante morti, tante ferite. C’è quindi una grande attesa”.

Come scorre concretamente la vita?

Viviamo ogni notte e ogni giorno come fossero momenti a sé, perché la situazione è precaria. Non si sa mai se domani la situazione sarà la stessa del giorno prima. Dipende da quanti missili vengono lanciati, da quanti droni cadono sulla città. Non si ha la certezza di poter fare le cose così come sono state programmate. C’è questa percezione di precarietà con cui tutti facciamo i conti già da due anni.

Quest’anno c’è la grande novità del Natale che sarà celebrato per la prima volta dalla Chiesa greco-cattolica non più il 7 gennaio ma il 25 dicembre. Che segno è?
Non darei troppa importanza alla data. È comunque un segno che anche esteriormente siamo uniti.

Domenica, a Kyiv, parenti e amici di prigionieri ucraini hanno di nuovo manifestato per la loro liberazione, chiedendo di intensificare tutti gli sforzi possibili per riportarli a casa. Ma concretamente, la diplomazia della Santa Sede cosa può fare per loro?
È un problema enorme. Tutti i giorni, quando celebro la messa la mattina, affido la mia preghiera personale alla preghiera di coloro che soffrono. Sono tantissimi. Peraltro, sono prigionieri non soltanto i militari, ma anche tanti civili ed è un grandissimo problema. Tra loro ci sono anche i due sacerdoti greco-cattolici redentoristi catturati a Berdyansk che sono prigionieri da oltre un anno. Sono in contatto con le associazioni dei familiari dei prigionieri e da loro ricevo testimonianze di grandissima sofferenza. Le storie che mi raccontano sono raccapriccianti. Le famiglie non sanno neanche dove sono e se sono vivi. I prigionieri non hanno acqua potabile. Per non parlare del cibo, dei maltrattamenti e delle condizioni in cui devono stare e altro ancora. Proprio questo fronte, quello cioè dei prigionieri, dei bambini e degli aiuti umanitari, è l’impegno primario su cui Papa Francesco insiste personalmente sia parlandone e quindi attirando l’attenzione sia trasmettendo queste richieste alle autorità competenti. I risultati, purtroppo finora, sono pochissimi. Ma questo non vuol dire che si possa interrompere questa attività, perché siamo credenti e perché non abbiamo il diritto di abbassare le braccia.

Il cuore delle persone può sempre cambiare. Anche il cuore di chi è responsabile di tanto male.

Non sappiamo quando, ma sappiamo che bussando incessantemente alle porte, un giorno queste poste si apriranno. Lo crediamo ancora di più perché siamo credenti e, oltre a lavorare concretamente, ci affidiamo anche alla grazia di Dio, nella preghiera.

Di recente la Commissaria per i diritti dell’infanzia della presidenza della Federazione Russa Maria Lvova-Belova ha presentato un rapporto dal quale emerge che finora è stato possibile identificare alcuni minori. Significa che qualcosa si sta muovendo anche sul fronte dei bambini ucraini deportati?
Qualcosa si sta muovendo, nel senso che qualche minimo risultato c’è. Questo ci fa capire che è sempre meglio fare qualcosa che nulla. In più abbiamo informazione di alcune proposte circa il meccanismo su cui lavorare. Seppur piccolo, è certamente un passo perché nella situazione difficile in cui ci troviamo, non possiamo tralasciare nulla di intentato.

In un contesto in cui sembra, almeno agli occhi dell’opinione pubblica, che la pace sia impossibile, lei come vede la situazione? A due anni dall’inizio di questa guerra, è più ottimista o pessimista?
Non mi permetterei né di fare commenti né di lanciare ipotesi, anche perché così come è oggi la situazione della guerra, navighiamo a vista, viviamo giorno per giorno ed è quindi difficile fare considerazioni generalizzate. Certamente, quanto più perdura la guerra, tanto più il tempo rende più difficile la comunicazione. Perché rovina canali, distrugge tante realtà, chiude anche i cuori. Dall’altra parte, cresce anche la sofferenza ma questo paradossalmente spinge anche a cercare una via di soluzione alla guerra. La mia personale considerazione si basa sempre più su ciò che dicevano i profeti nell’Antico Testamento e cioè che non ci possiamo fidare delle potenze umane ma di Dio che annuncia la giustizia, il rispetto e la pace. Per questo, in questa ricerca della pace, credo personalmente molto di più nei tentativi delle Chiese e delle religioni.

Qual è il punto di forza di Papa Francesco?
Il punto di forza di un Papa è la fede. La fede significa che anche quando tutto il mondo dice di no, il Papa tenta e non smette di tentare. Ma con la fede, occorre anche avere una buona dose di carattere umano. Anche la preghiera deve essere insistente, perché per Dio, tutte le nostre preghiere sono sempre nuove, anche se sono sempre le stesse e dette ogni giorno. Per Dio ogni una preghiera è nuova. E questa è la forza del Papa e della Chiesa.

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