Abbonamento a feed RSS Agensir
Servizio Informazione Religiosa
Aggiornato: 3 mesi 3 settimane fa

Anteprima “The Holdovers” di Alexander Payne e su Netflix il gran finale di “The Crown”

Ven, 15/12/2023 - 10:07

Si è aggiudicato tre candidature di peso, tra cui quella di miglior film, per l’81a edizione dei Golden Globe, in calendario il prossimo 7 gennaio. È “The Holdovers. Lezioni di vita”, ottimo ritorno dietro alla macchina da presa del Premio Oscar Alexander Payne (“Sideways”, “Paradiso amaro”). Un film che si muove tra commedia amara e racconto di formazione con protagonista un magnifico Paul Giamatti. Sarà nei cinema dal 18 gennaio 2024 con Universal. Su Netflix dal 14 dicembre va in scena l’ultimo atto del biopic su Elisabetta II: parliamo della serie “The Crown”, con la seconda parte della sesta e ultima stagione. Un gran finale perfettamente orchestrato da Peter Morgan e con alla regia il ritorno di Stephen Daldry (“Billy Elliot”, “The Reader”), che aveva firmato il primo episodio nel 2016. “The Crown” resta una serie ottima, che ha fatto scuola, il racconto della corona inglese e della Storia declinato in maniera avvincente come un thriller politico e al contempo un dramma sentimentale ed esistenziale. Maestoso. Il punto Cnvf-Sir.

“The Holdovers. Lezioni di vita” (Cinema, 2024)

Torna Alexander Payne, regista-sceneggiatore statunitense classe 1961 vincitore di due Premi Oscar per i copioni dei suoi film “Sideways” (2004) e “Paradiso amaro” (“The Descendants”, 2011). A sei anni di distanza dal suo ultimo titolo, “Downsizing” (2017), Payne firma un film potente, ruvido e toccante. È “The Holdovers. Lezioni di vita”, in corsa ai prossimi Golden Globe: è candidato come miglior film nella categoria commedia e musical, per l’attore protagonista Paul Giamatti e l’attrice non protagonista Da’Vine Joy Randolph.

La storia. New England 1970, Natale. Nel prestigioso collegio maschile Barton Academy gli studenti si preparano a raggiungere i propri genitori per le vacanze. Non tutti però. A rimanere indietro è Angus Tully, che la madre preferisce lasciare alla Barton per potersi regalare finalmente la luna di miele con il nuovo marito. Angus è seccato, scontroso e arrabbiato, soprattutto perché deve trascorrere i giorni di festa con il prof. Paul Hunham, docente di Storia antica costretto a presidiare la struttura. Insieme a loro c’è anche la capo cuoca Mary Lamb, bloccata in un bruciante dolore per la perdita del figlio ventenne in Vietnam…

Con “The Holdovers” Payne firma il suo personale racconto di formazione sul binario de “L’attimo fuggente” (“Dead Poets Society”,1989), anche se taglio e tono narrativo sono chiaramente diversi, quasi capovolti. Il film di Peter Weir aveva un tono drammatico-lirico, un viaggio esistenziale verso l’età adulta in presenza di un professore atipico, trascinante, John Keating – l’indimenticato Robin Williams –, che invitava alla rivoluzione gentile dell’animo con i versi delle poesie di Walt Whitman (“O Captain! My Captain!”).
In “The Holdovers” Payne tratteggia la condizione di tre solitudini: un professore “bollito”, un ragazzo alla deriva e una cuoca in lutto. In particolare, Paul Giamatti cesella il personaggio del prof. Hunham quasi nella stessa traiettoria del prof. Keating, ma sovvertendone lo stile: via il fascino e il trasporto, calcando invece la mano sul lato goffo e ammaccato di un docente schiavo della bottiglia. Quando si trova però davanti a un giovane abbandonato dai suoi cari, prigioniero del suo dolore esistenziale, il prof. Hunham ha un moto di ribellione: desidera per una volta fare la cosa giusta, assolvere davvero al suo compito di educatore. Hunham vuole salvare Angus da un destino di miseria e solitudine. Il docente fa di tutto perché il ragazzo creda in se stesso, nelle sue capacità brillanti, e (ri)trovi lo slancio per sperare in un futuro di possibilità. E proprio qui l’opera di Payne riesce a dare il meglio di sé, componendo un racconto intessuto di solidarietà e tenerezza, di grande intensità e con chiare striature poetiche. Certo, ammantato anche da una carica ironica e sarcastica, al limite dell’irriverenza, con battute fulminanti.

“The Holdovers” è un’opera scritta e diretta magnificamente da Alexander Payne, un racconto dalla cornice tipicamente americana acuto e stratificato, esaltato al meglio da una recitazione incisiva e convincente, in testa di Paul Giamatti ma anche dai comprimari Da’Vine Joy Randolph e l’esordiente Dominic Sessa. Consigliabile, problematico-poetico, per dibattiti.

“The Crown 6” (Netflix, 14.12)

Ci siamo. È arrivato il gran finale di una delle serie manifesto di Netflix. È “The Crown”, sguardo ravvicinato su Elisabetta II, tra pubblico e privato, tra Storia e stanze familiari, interiori. La serie uscita dalla penna di Peter Morgan è partita nel 2016 capitalizzando un’attenzione crescente non solo nel Regno Unito ma anche nel resto del mondo. Tra plausi di critica e pubblico, “The Crown” si è imposta nei vari premi di settore: 15 nomination ai BAFTA, 10 ai Golden Globe (4 vittorie a oggi), 69 nomination agli Emmy (21 vittorie). Dal 14 dicembre sono disponibili gli ultimi episodi, la seconda parte della stagione 6. In scena Imelda Staunton (Elisabetta II), Jonathan Pryce (Filippo), Lesley Manville (Margaret) e Dominic West (Carlo), affiancati dai giovani Ed McVey (William), Luther Ford (Harry) e Meg Bellamy (Kate).

La storia. Dopo la morte di Lady Diana, la corona inglese attraversa un periodo di incertezza. Il primo ministro Tony Blair commissiona una serie di sondaggi per capire come migliorarne l’immagine pubblica. Oltre alla sfida del consenso, Elisabetta II si deve rapportare con i preparativi per i 50 anni di regno, ma anche con l’insidiosa inchiesta per la morte della principessa del Galles (legata alle accuse mosse da Mohamed Al-Fayed) e inaspettati terremoti familiari, la salute vacillante della principessa Margaret e della regina madre. L’attenzione pubblica si fa poi sempre più pressante verso i principi William e Harry. In particolare, William si sposta dal College Eton all’Università di St. Andrews in Scozia dove conosce, rimanendone subito ammaliato, la coetanea Kate Middleton…

“The Crown 6” ritrova il passo giusto dopo la precedente stagione un po’ incerta nella linea di racconto e d’interpretazioni. Qui gira tutto in maniera spedita, splendidamente, tra sceneggiatura, regia, messa in scena e attori. Vediamo la sovrana, che Imelda Staunton ritrae con convinzione e pieno controllo, al crocevia della Storia: rilegge il proprio passato, i tanti accadimenti fuori e dentro al palazzo (bellissimi i raccordi con le prime stagioni, con i volti di Claire Foy e Olivia Colman), e al contempo esamina i cambiamenti della monarchia negli anni Duemila. Ottimo il nono episodio, “Hope Street”, dove Elisabetta deve fronteggiare l’ansia per i festeggiamenti della corona, intimorita dal trovare una piazza vuota davanti a Buckingham Palace. Uno dei passaggi più commoventi e poetici si registra nell’ottavo episodio, dal titolo “Ritz”, dedicato alla principessa Margaret, tra calvario della malattia e il ripensare al legame con la sorella Lilibet, andando indietro con i ricordi al 1945, quando le due giovani uscirono da palazzo per confondersi nella folla in festa per la fine della Seconda guerra mondiale.
Ancora, convincono gli episodi dedicati ai principi William e Harry, tratteggiandone l’ingresso nell’età adulta con un diverso temperamento e rapporto con il proprio ruolo pubblico. In particolare, si segue la traiettoria di William – molto bene l’interpretazione dell’esordiente Ed McVey – durante gli studi universitari, tormentato dall’inchiesta giudiziaria sulla madre e il desiderio di una vita normale. Lì avviene l’incontro con Kate Middleton, raccontata come una delle più brillanti e determinate studentesse del campus; gli sceneggiatori non lesinano in frecciatine verso la famiglia Middleton, soprattutto rimarcando il desiderio di ascesa sociale della madre.
Infine, una parola sull’episodio finale “Sleep, Dearie, Sleep”, titolo che richiama un’elegia per cornamusa. Senza fare alcuna rivelazione, semplicemente possiamo dire che la conclusione della serie è bellissima, intensa e toccante. Un finale perfetto, sia per lo sguardo politico sia per quello personale, introspettivo. Applausi!

Nel complesso, il racconto di “The Crown” si conclude in maniera sicura e riuscita, mettendo a segno un affresco storico imponente ed elegante, abile nel gestire le rotte della Storia e al contempo romanzare una vicenda privata, familiare, che continua a destare attenzione e fascino. Un’opera di grande qualità narrativa e visiva, ottima per interpretazioni e realizzazione, senza dimenticare la riuscita colonna sonora (affidata nel tempo a Hans Zimmer, Rupert Gregson-Williams, Lorne Balfe e Martin Phipps), che ha pochi pari nel panorama audiovisivo contemporaneo. È il caso di dire: “God Save the Queen, the King and ‘The Crown’”. Serie consigliabile, problematica, per dibattiti.

Scarica l’articolo in pdf / txt / rtf /

The post Anteprima “The Holdovers” di Alexander Payne e su Netflix il gran finale di “The Crown” first appeared on AgenSIR.

“Immischiati, non rassegnati”. De Palo: “La partecipazione e la cittadinanza riguardano tutti”

Ven, 15/12/2023 - 09:30

Matteo Zuppi, Fabio Rosini, Beatrice Fazi, Luigi Maria Epicoco, Giovanni Scifoni, Paolo Benanti, Alberto Ravagnani. Sono i nomi che compaiono, senza titoli e senza ruoli nella Chiesa o nella società, nella locandina di “Immischiati, non rassegnati”, l’evento che si terrà a Roma sabato 16 dicembre, al Centro congressi Angelicum a partire dalle ore 9. Non si tratta di un errore nella locandina aver saltato titoli e ruoli come spiega al Sir il “regista” dell’evento, Gigi De Palo. “La partecipazione e la cittadinanza riguardano tutti”, ci spiega. Infatti, il progetto “Immischiati” è nato un anno e mezzo fa e “fondamentalmente l’obiettivo non è creare un contenitore politico, ma creare la qualità della partecipazione e della cittadinanza delle persone”. “Immischiati” è un format che nasce oltre 10 anni fa grazie alla riflessione all’interno della “Fondazione per la natalità” e dell’Associazione “OL3 né indignati né rassegnati”. L’obiettivo del percorso, che da settembre 2022 propone dei video corsi, webinar, podcast e dispense, è quello di portare un “primo annuncio” di Dottrina sociale della Chiesa a tutti gli uomini e le donne di buona volontà che cercano, spesso invano, una chiave di lettura sulla realtà, che sia radicata nella tradizione della Chiesa, ma che vada oltre le divisioni ideologiche ormai superate e, spesso, limitanti. Chiediamo a Gigi De Palo di illustrarci l’evento di Roma e come prosegue il progetto nel 2024.

(Foto: “Immischiati, non rassegnati”

Con l’evento di Roma si chiude un ciclo?
L’evento del 16 dicembre, da una parte, è un evento finale di un ciclo e, dall’altra, un evento iniziale: interrompe la fase esclusivamente on line e inizia una fase che dal digitale passa a quella “in carne e ossa”. Tengo a precisare che i corsi on line continuano, solo nell’ultimo mese abbiamo avuto 400 nuove iscrizioni, ma trasformiamo l’on line anche in on life. “Immischiati” non ha come obiettivo creare un contenitore politico, ma promuovere la qualità della partecipazione e della cittadinanza delle persone. Come si può fare questo? Creando occasioni di confronto e di formazione, quindi, oltre a dei video corti, abbiamo realizzato oltre 25 webinar, con esperti, tra i quali professori, imprenditori, sacerdoti, presidenti di associazioni, avvocati, giuristi. Questo tipo di incontri erano pensati per 500 persone, oggi siamo quasi 8mila. L’evento che si svolgerà a Roma è una conclusione di questa prima parte e il lancio della seconda fase.

Come sarà strutturato l’appuntamento del 16 dicembre?
Interverranno uomini e donne che hanno da dire cose interessanti, al di là del fatto di essere sacerdoti, cardinali, professori, attori. Non a caso, nella locandina, abbiamo tolto titoli e ruoli svolti – evidenzia De Palo -. Ad esempio, non scriviamo card. Matteo Zuppi o don Fabio Rosini, ma semplicemente Matteo Zuppi e Fabio Rosini. Vogliamo far capire che è una questione di cittadinanza, riguarda tutti, indipendentemente se sono sacerdoti o laici. Abbiamo invitato cittadini che hanno qualcosa da dire. Sarà un momento in cui rifletteremo sull’importanza del non rassegnarsi, in un momento in cui la sensazione è di girare a vuoto come una vite spanata, di avere sopra la testa problemi molto più grandi sui quali non si riesce ad incidere – guerre, crisi ambientali, pandemie –; invece, noi diciamo che si può fare qualcosa, siamo chiamati a non rassegnarci e non ci si rassegna immischiandosi. Tutte le riflessioni che saranno offerte durante l’evento del 16 dicembre avranno come filo conduttore questo invito a “immischiarsi”, a “non rassegnarsi”. Oltre alla presenza importante del card. Zuppi, arcivescovo di Bologna e presidente della Cei, don Rosina farà tutto un discorso sull’importanza del non rassegnarsi e sull’etimologia della parola rassegnarsi. Don Luigi Maria Epicoco farà una riflessione su quanto è importante in questo tempo immischiarsi. Paolo Benenti ci parlerà delle nuove sfide. Don Alberto Ravagnani ci racconterà come anche il web e i social network siano un luogo dove provare a immischiarsi. Poi ci saranno testimonianze di Beatrice Fazi e Giovanni Scifoni che daranno il loro contributo. Sarà uno spettacolo che fa riflettere, in realtà non sarà una conferenza né uno spettacolo in senso stretto, è quello che io definisco infotainment, informazione e intrattenimento, dare contenuti in maniera divertente, faremo vedere anche video.

Dopo il 16 dicembre come prosegue il progetto?
Il 16 dicembre sarà anche l’occasione per raccontare la seconda parte del progetto di “Immischiati”. L’idea è di trasformare l’incontro che facciamo su Roma in un modello da ripetere in cinque città italiane, sul modello del Ted, un metodo di comunicazione che coinvolge delle persone in un teatro e poi le singole persone hanno alcuni minuti a disposizione per parlare dell’argomento scelto. Faremo una sorta di Ted su persona, bene comune, solidarietà, sussidiarietà e partecipazione, cinque incontri, in cinque città, dal Nord al Centro e al Sud Italia, su cinque pilastri della Dottrina sociale della Chiesa. Per ora l’unica notizia certa è che l’incontro sulla partecipazione sarà a Roma. Il nostro obiettivo è incontrare le persone in presenza e mettere in rete tutte quelle che hanno fatto la formazione on line in una determinata area: cioè vogliamo invitare le 8mila persone che hanno seguito la formazione on line a trovarsi e aiutarci a organizzare questi cinque eventi nelle cinque città italiane. Perché, come ha detto il Papa nel convegno ecclesiale di Firenze, il modo migliore per partecipare e promuovere il bene comune è lavorare gomito a gomito. Se le persone lavorano su un progetto insieme alla fine non ci sono divisioni. Queste ultime nascono quando rimaniamo sulla teoria. Lavorando gomito a gomito le persone si trovano.

In questo caso il comune denominatore è il Vangelo del sociale.

Cosa organizzerete durante il prossimo anno?
Nel 2024 ci saranno questi cinque eventi in cinque diverse città, poi chiederemo ai partecipanti di organizzare sulla falsariga di quegli incontri ulteriori appuntamenti nelle loro città di provenienza. A Roma per il 16 dicembre abbiamo invitato otto relatori di grande forza mediatica, ma interverranno anche alcune mamme che non abbiamo citato sulla locandina, prendendo un teatro da mille posti. Invitiamo le persone a fare cose analoghe a livello locale contestualizzate al loro territorio. L’anno prossimo l’obiettivo è di far parlare dei cinque pilastri del Vangelo sociale, incontrare gente nuova, coinvolgerla all’interno del percorso di “Immischiati”, attirare l’attenzione mediatica sul concetto di persona e provare a replicare queste iniziative a livello più capillare. Noi offriamo un format da replicare. In generale, l’obiettivo è mostrare che c’è partecipazione, c’è una società civile viva, che prova a riflettere e a interrogarsi, non c’è solo rassegnazione.

Il nostro stile è essere nel mondo ma non del mondo.

Come si parla di persona umana nel tuo territorio? Si coinvolgono le persone, anche quelle che non la pensano come noi, per fare una riflessione sulla dignità della persona umana: una persona è degna nella pancia della mamma come lo è su un barcone la vita dell’immigrato e viceversa.

Cosa si deve fare per partecipare all’evento di Roma?
Per iscriversi all’evento all’Angelicum basta inquadrare il Qr code della locandina. Siamo a 1.200 persone iscritte e 150 in lista di attesa. Questo indica che c’è un desiderio di partecipazione e c’è fermento, a dispetto dei dati di astensionismo alle votazioni. Il 41% delle persone non vanno a votare, ma forse perché non si sentono rappresentate. Il progetto “Immischiati” l’abbiamo lanciato a ridosso delle elezioni di settembre 2022, proprio per far capire che non è vero che c’è un 41% degli aventi diritto al voto a cui non interessa, c’è un 41% che non si sente rappresentato.

Scarica l’articolo in pdf / txt / rtf /

The post “Immischiati, non rassegnati”. De Palo: “La partecipazione e la cittadinanza riguardano tutti” first appeared on AgenSIR.

Papa Francesco: “Le nuove tecnologie non promuovano la follia della guerra”

Gio, 14/12/2023 - 13:49

“Il mondo non ha proprio bisogno che le nuove tecnologie contribuiscano all’iniquo sviluppo del mercato e del commercio delle armi, promuovendo la follia della guerra. Così facendo, non solo l’intelligenza, ma il cuore stesso dell’uomo, correrà il rischio di diventare sempre più artificiale”. Lo scrive Papa Francesco, nel Messaggio per la Giornata mondiale della pace, che si celebra il 1° gennaio 2024 sul tema: “Intelligenza artificiale e pace”. “Le più avanzate applicazioni tecniche non vanno impiegate per agevolare la risoluzione violenta dei conflitti, ma per pavimentare le vie della pace”, il monito relativo “alle gravi questioni etiche legate al settore degli armamenti”: “La possibilità di condurre operazioni militari attraverso sistemi di controllo remoto ha portato a una minore percezione della devastazione da essi causata e della responsabilità del loro utilizzo, contribuendo a un approccio ancora più freddo e distaccato all’immensa tragedia della guerra”. “Non possiamo nemmeno ignorare la possibilità che armi sofisticate finiscano nelle mani sbagliate, facilitando, ad esempio, attacchi terroristici o interventi volti a destabilizzare istituzioni di governo legittime”, tuona Francesco, che esorta ad “adottare un trattato internazionale vincolante, che regoli lo sviluppo e l’uso dell’intelligenza artificiale nelle sue molteplici forme” e mette in guardia dal “paradigma tecnocratico” e dalla dittatura degli algoritmi.

“I progressi dell’informatica e lo sviluppo delle tecnologie digitali negli ultimi decenni hanno già iniziato a produrre profonde trasformazioni nella società globale e nelle sue dinamiche”,

l’esordio del Papa, secondo il quale ”i nuovi strumenti digitali stanno cambiando il volto delle comunicazioni, della pubblica amministrazione, dell’istruzione, dei consumi, delle interazioni personali e di innumerevoli altri aspetti della vita quotidiana”. Inoltre, “le tecnologie che impiegano una molteplicità di algoritmi possono estrarre, dalle tracce digitali lasciate su internet, dati che consentono di controllare le abitudini mentali e relazionali delle persone a fini commerciali o politici, spesso a loro insaputa, limitandone il consapevole esercizio della libertà di scelta”. “In uno spazio come il web, caratterizzato da un sovraccarico di informazioni, possono strutturare il flusso di dati secondo criteri di selezione non sempre percepiti dall’utente”, il grido d’allarme di Francesco, secondo il quale “l’intelligenza artificiale deve essere intesa come una galassia di realtà diverse e non possiamo presumere a priori che il suo sviluppo apporti un contributo benefico al futuro dell’umanità e alla pace tra i popoli”. Di qui la necessità di “agire in modo responsabile e rispettare valori umani fondamentali come l’inclusione, la trasparenza, la sicurezza, l’equità, la riservatezza e l’affidabilità” .

 “Gli sviluppi tecnologici che non portano a un miglioramento della qualità di vita di tutta l’umanità, ma al contrario aggravano le disuguaglianze e i conflitti, non potranno mai essere considerati vero progresso”,

la denuncia. “Non è sufficiente nemmeno presumere, da parte di chi progetta algoritmi e tecnologie digitali, un impegno ad agire in modo etico e responsabile”, avverte il Papa: “Occorre rafforzare o, se necessario, istituire organismi incaricati di esaminare le questioni etiche emergenti e di tutelare i diritti di quanti utilizzano forme di intelligenza artificiale o ne sono influenzati”. Alcuni dispositivi dell’intelligenza artificiale possono “allucinare”, cioè “generare affermazioni che a prima vista sembrano plausibili, ma che in realtà sono infondate o tradiscono pregiudizi”: “Questo pone un serio problema quando l’intelligenza artificiale viene impiegata in campagne di disinformazione che diffondono notizie false e portano a una crescente sfiducia nei confronti dei mezzi di comunicazione”, argomenta Francesco. Tra le conseguenze dell’uso improprio dell’IA, “la discriminazione, l’interferenza nei processi elettorali, il prendere piede di una società che sorveglia e controlla le persone, l’esclusione digitale e l’inasprimento di un individualismo sempre più scollegato dalla collettività”. Tutti fattori, questi, che “rischiano di alimentare i conflitti e di ostacolare la pace”, osserva Francesco, per il quale l’abilità di alcuni dispositivi nel produrre testi sintatticamente e semanticamente coerenti “non è garanzia di affidabilità”, così come “la grande quantità di dati analizzati dalle intelligenze artificiali non è di per sé garanzia di imparzialità”:

“quando gli algoritmi estrapolano informazioni, corrono sempre il rischio di distorcerle”.

“Il rispetto fondamentale per la dignità umana postula di rifiutare che l’unicità della persona venga identificata con un insieme di dati”, conclude il Papa, che getta l’allarme sulle possibili conseguenze nel mondo del lavoro: “mansioni che un tempo erano appannaggio esclusivo della manodopera umana vengono rapidamente assorbite dalle applicazioni industriali dell’intelligenza artificiale”.

 

Scarica l’articolo in pdf / txt / rtf /

The post Papa Francesco: “Le nuove tecnologie non promuovano la follia della guerra” first appeared on AgenSIR.

Pope Francis: “New technologies must not promote the folly of war.”

Gio, 14/12/2023 - 13:49

“The world has no need of new technologies that contribute to the unjust development of commerce and the weapons trade and consequently end up promoting the folly of war. By so doing, not only intelligence but the human heart itself would risk becoming ever more ‘artificial’”, writes Pope Francis in his Message for the World Day of Peace that will be celebrated on 1 January 2024 with the theme: “Artificial intelligence and peace.” “The most advanced technological applications should not be employed to facilitate the violent resolution of conflicts, but rather to pave the way for peace”, the Pope remarks in the text with regard to “the serious ethical questions related to the armaments sector.” “The ability to conduct military operations through remote control systems has led to a lessened perception of the devastation caused by those weapon systems and the burden of responsibility for their use, resulting in an even more cold and detached approach to the immense tragedy of war.” “Nor can we ignore the possibility of sophisticated weapons ending up in the wrong hands, facilitating, for instance, terrorist attacks or interventions aimed at destabilizing the institutions of legitimate systems of government”, Francis writes. He exhorts to “adopt a binding international treaty that regulates the development and use of artificial intelligence in its many forms” and guards against “the technocratic paradigm” and allowing algorithms to determine our lives.

“Progress in information technology and the development of digital technologies in recent decades have already begun to effect profound transformations in global society and its various dynamics”,

writes the Pope, for whom “new digital tools are even now changing the face of communications, public administration, education, consumption, personal interactions and countless other aspects of our daily lives.” Moreover, “from the digital footprints spread throughout the Internet, technologies employing a variety of algorithms can extract data that enable them to control mental and relational habits for commercial or political purposes, often without our knowledge, thus limiting our conscious exercise of freedom of choice.” “In a space like the Web, marked by information overload, they can structure the flow of data according to criteria of selection that are not always perceived by the user”, Francis denounces, for “artificial intelligence ought to be understood as a galaxy of different realities. We cannot presume a priori that its development will make a beneficial contribution to the future of humanity and to peace among peoples.” It is therefore necessary “to act responsibly and respect such fundamental human values as “inclusion, transparency, security, equity, privacy and reliability”.

“Technological developments that do not lead to an improvement in the quality of life of all humanity, but on the contrary aggravate inequalities and conflicts, can never count as true progress”,

writes the Pope. “Nor is it sufficient simply to presume a commitment on the part of those who design algorithms and digital technologies to act ethically and responsibly”, the Pope highlights the “need to strengthen or, if necessary, to establish bodies charged with examining the ethical issues arising in this field and protecting the rights of those who employ forms of artificial intelligence or are affected by them.” Certain AI devices can “hallucinate”, that is, create statements that at first glance appear plausible but are unfounded or betray biases.” “This poses a serious problem when artificial intelligence is deployed in campaigns of disinformation that spread false news and lead to a growing distrust of the communications media”, reads the Message. Negative consequences of the misuse of AI include “discrimination, interference in elections, the rise of a surveillance society, digital exclusion and the exacerbation of an individualism increasingly disconnected from society. All these factors risk fueling conflicts and hindering peace”, writes the Pope, for whom the ability of certain devices to produce syntactically and semantically coherent texts, “is no guarantee of their reliability”, just as “the vast amount of data analyzed by artificial intelligences is in itself no guarantee of impartiality”:

“When algorithms extrapolate information, they always run the risk of distortion.”

“Fundamental respect for human dignity demands that we refuse to allow the uniqueness of the person to be identified with a set of data”, concludes the Pope, warning against the potential impact on the workplace: “Jobs that were once the sole domain of human labour are rapidly being taken over by industrial applications of artificial intelligence.”

Scarica l’articolo in pdf / txt / rtf /

The post Pope Francis: “New technologies must not promote the folly of war.” first appeared on AgenSIR.

Scienza e Vita: un webinar dedicato alla “medicina solidale”

Gio, 14/12/2023 - 13:02

Si è svolto ieri, su iniziativa dell’Associazione Scienza & Vita (S&V), il secondo webinar dedicato al tema della “medicina solidale”. Espressione, quest’ultima, che indica un approccio alla sanità che enfatizza la cooperazione, l’assistenza reciproca e il supporto, in particolare per le persone in situazioni di vulnerabilità o per quelle che altrimenti – per varie ragioni – non avrebbero accesso a cure mediche adeguate. In generale, quindi, la medicina solidale tende a concentrarsi sull’empatia, sulla responsabilità sociale e l’equità nell’accesso alle cure sanitarie, cercando di colmare il divario tra chi ha e chi non ha accesso a cure mediche adeguate. In parole povere, quindi, un’attenzione particolare a prendersi cura (sul piano sanitario) dei soggetti “fragili” e svantaggiati.
I due webinar di S&V dedicati a questo tema hanno offerto anzitutto uno spaccato della realtà attuale, mostrando – nel racconto vivo di chi opera sul campo – come le iniziative concrete di azione si stiano moltiplicando e diversificando, in risposta all’emergenza di bisogni nuovi, quasi sempre generati dalle nuove “povertà” sociali ed economiche.
Ma sono stati anche l’occasione per interrogarsi più profondamente sul rapporto originario tra medicina e solidarietà. La professione medica, infatti, nasce come risposta “qualificata” al bisogno di salute delle persone e, in quanto tale, è “solidale” per definizione, richiedendo l’instaurarsi di un “patto”, di un’alleanza tra chi chiede di essere curato, esprimendo i suoi bisogni, e chi se ne prende cura, possedendo la professionalità per farlo. Naturalmente, tutto ciò si traduce in erogazione di servizi sanitari, la cui organizzazione e gestione attiene al Sistema Sanitario Nazionale (Ssn).
Nella visione solidale universalistica che lo ispira, i beneficiari di questa azione di cura dovrebbero essere tutti i cittadini che ne abbiano reale bisogno. Dunque, in linea di principio, nessuno dovrebbe essere escluso dalla fruizione dei servizi sanitari, almeno quelli essenziali. Ma allora perché si è giunti alla necessità di dover attivare iniziative specifiche di “medicina solidale”?
Probabilmente, il problema è sorto gradualmente, man mano che la logica solidaristica ha dovuto fare i conti (attraverso le varie riforme e controriforme del Ssn) col progressivo prevalere della logica “aziendale”, maggiormente legata al profitto economico, che ha trasformato le varie strutture sanitarie e la loro organizzazione, finendo anche per creare delle sacche di popolazione che non riescono – anche per insufficienti risorse economiche – ad usufruire delle prestazioni di cui necessitano. A ciò si è aggiunta la crescente insufficienza delle risorse sanitarie disponibili, sommata talvolta ad una non oculata gestione delle stesse (a vari livelli).
In questo contesto globale, ogni iniziativa di “medicina solidale” ha sicuramente il grande merito di tentare di mettere in campo interventi efficaci in risposta alle nuove emergenze sanitarie di persone “fragili” e, di fatto, escluse dai servizi del Ssn. Questi tentativi (spesso realizzati da operatori sanitari volontari) vanno perciò sostenuti e promossi. Ma al tempo stesso, essi diventano un continuo richiamo al Ssn stesso, perché rilegga (nella persona di chi ne ha la responsabilità) la propria missione fondativa, ritrovando come punto focale e prioritario la persona, ciascuna persona con i propri bisogni reali di salute. In altre parole, è auspicabile che non accada che le iniziative volontaristiche e solidali, da “supplitive” (e, quindi, temporanee) delle carenze del Ssn, si trasformino in “vicarie” (e, quindi, stabili) dei servizi che sarebbero dovuti, con una sorta di conseguente “congelamento” della situazione attuale con tutte le sue carenze.
Cosa augurarsi? Che venga presto il giorno in cui non ci sia più bisogno di iniziative volontaristiche di “medicina solidale”, perché la “medicina è solidale” in se stessa, e il Ssn non deve dimenticarlo.

Scarica l’articolo in pdf / txt / rtf /

The post Scienza e Vita: un webinar dedicato alla “medicina solidale” first appeared on AgenSIR.

Ukraine, the Middle East, and electoral variables: US moves while awaiting peace

Gio, 14/12/2023 - 11:47

The unfolding scenario, which has seen Washington play a leading role, offers a glimpse into the extent to which US domestic politics will have a decisive impact on the dynamics of the war that is currently taking centre stage in the international spotlight.

Zelensky’s visit was intended as a signal to those who noted the failure of the counter-offensive in recent weeks, in addition to Ukrainian leader’s difficulties at home – caught between criticism from the military leadership and the declining consensus of his people, one third of whom, according to Bloomberg data, favours ending what has become a deadlocked war.

But the message was aimed primarily at US leaders, especially Congress, which has rejected White House attempts to fund the war with more than $100bn: a rejection that amounts to a “Christmas present” for Putin, says Zelensky. This is also Biden’s view, who is well aware that his presidential candidacy is in jeopardy if he goes to the polls with the shame of the Ukrainian collapse in his pocket. This is enough for him to pass all the blame on to the Republicans. In vain, it seems, as the Grand Old Party stands its ground and reiterates the need to focus spending on domestic priorities, most notably, combating immigration through visa and citizenship reform legislation. At the same time, Biden knows that he cannot afford to take a cavalier approach to the issue now that Trump is leading in the polls. Indeed, the temptation to pander to voters sensitive to these issues while hoping to get the Republicans to refinance the war would expose him to the risk of losing the left-wing vote.

Rumours of a draft agreement with Russia to end the conflict remain in the background (for the White House it should in any case be postponed until after the presidential elections), including a freeze on the territorial configurations determined by the conflict, Ukraine’s military neutrality and Kyiv’s EU accession talks.

In this respect, the statement made by Biden at the press conference, with Zelensky at his side, points to a potential breakthrough. According to the US President, Kyiv’s NATO membership is now out of the question, given the lack of unanimous agreement among its members and other requirements: what is needed now is to allow the Ukrainian armed forces to continue fighting. But these were not the premises of the statements made over the past months, nor were they the premises before Moscow’s invasion, which in January 2022 still thundered against Stoltenberg’s and Blinken’s remarks concerning Ukraine’s membership of the North Atlantic Treaty Organisation.

The European Council will discuss EU integration and war refinancing in the coming hours. On the table is another EUR 50 billion to be allocated under the 2024-2027 budget, in addition to a further EUR 20 billion under the so-called European Peace Facility. But despite Ursula von der Leyen’s favourable attitude, Washington knows that it can hardly expect more from Europe. NATO’s increased military spending (to be raised to 2% of GDP in 2024), to which many EU member states belong, is not compatible with the lowered ceiling caused by economic stagnation. Bulgaria and Slovakia have taken the first step by cancelling planned deployments, while Europe’s leading chancelleries stand idly by. In this respect, the EU is paying for the overlapping burdens of NATO commitments: expenditure items that are currently a burden both in terms of European alignment with Washington and because of the membership fees decided by NATO. But above all, the EU is paying for its heteronomy, its political inconsistency and the internal antagonisms that keep the majority of the EU’s partners in check, fearing that they could become a lightning rod for other parties if they fail to comply with Washington’s instructions, while quietly wishing to see alternatives to what is decided on the other side of the Atlantic.

Consensus on Kyiv’s EU membership is not a given.

Several countries identify with the concerns expressed by Orbán about whether the promises of Europeanisation made by Western leaders who encouraged Euromaidan in 2013-14 (when Ukraine was neither at war nor in a state of bankruptcy as it is today) can be fulfilled. Citing reports that Ukraine’s socio-economic and institutional conditions would jeopardise EU agricultural and cohesion policies, the Hungarian leader announced his rejection of the fast-track procedure. But the €10 billion in frozen EU funds that Brussels has just released to Budapest could change Hungary’s mind, perhaps with a compromise solution: “yes” to accession, but no fast track.

Apart from these haggling negotiations, if Kyiv’s presence in the EU were to provide an incentive to pursue paths of skilful resolution, so long as Kyiv-Moscow escalations are not imported, integration could encourage an alternative route to an ad libitum conflict. But this too presupposes overcoming the above-mentioned heteronomy and inconsistency. Evidence of this can be found in the ongoing tragedy in the Middle East, where the European stance in the UN General Assembly on the ceasefire was once again evident. At the 27 October session on a humanitarian ceasefire, there were 120 votes in favour, 14 against and 44 abstentions. In the 12 December resolution, the number of votes in favour rose to 153, while the number of votes against fell to 10 (Israel, USA, Czech Republic, Austria, Papua New Guinea, Micronesia, Guatemala, Liberia, Nauru, Paraguay). The 23 abstentions reflect the unease of European governments caught between following Washington’s lead and the mounting global outcry over the massacre of civilians (which has now reached 18,000, including 7,000 children).

By any measure, Washington’s initiative on the Middle Eastern front remains decisive. It is now less afraid of a large-scale escalation of the conflict, which has so far been averted by US deterrence in the region, by the Sunni petro-monarchies’ substantial disengagement from the Palestinian issue, and by Israel’s and Iran’s prudent reluctance to confront each other head-on. The White House is now more concerned about the erosion of its soft power. Global public opinion abhors double standards when it comes to international humanitarian law. The UN Assembly vote was unequivocal, albeit ineffectual (it would have been different in the Security Council vote had it not been blocked by the US veto).

No less worrying is the growing pro-Palestinian sentiment throughout US society, especially among the younger voters on whom Biden relies. These two critical variables explain the strong criticism that the president has just addressed to Netanyahu, warning him against the strategic suicide that lies ahead, and urging him to sack the extremists in his government and accept a two-state solution, which the Israeli leader has once again ruled out in recent days.
Israel is alienating the support of the world, according to Biden. This alienation is indeed costing the White House a lot of money, with major repercussions at home. Developments in US domestic politics on the Ukrainian and Palestinian issues will reflect the extent to which they are intertwined with the global agenda as a whole.

Scarica l’articolo in pdf / txt / rtf /

The post Ukraine, the Middle East, and electoral variables: US moves while awaiting peace first appeared on AgenSIR.

L’Ucraina, il Medioriente e la variabile elettorale: le mosse degli Usa aspettando la pace

Gio, 14/12/2023 - 11:47

Gli eventi che, negli ultimi giorni, hanno visto come protagonista Washington sono utili a decifrare il peso determinante che la politica interna Usa potrà esercitare sulle dinamiche di guerra al centro dell’attenzione internazionale.
La visita di Zelensky ha voluto dare un segnale a quanti, nelle ultime settimane, hanno osservato il fallimento della controffensiva, assieme alle difficoltà interne del leader ucraino, stretto tra le critiche dei vertici militari e il calo dei consensi presso una popolazione che – stando ai dati Bloomberg – per un terzo vuole porre fine a una guerra senza prospettive.
Ma il messaggio si è rivolto specialmente agli attori politici statunitensi, segnatamente al Congresso che respinge i tentativi della Casa Bianca di finanziare la guerra con un’iniezione di oltre 100 miliardi di dollari: un rifiuto che equivale a “un regalo di Natale” per Putin, dice Zelensky. Lo ripete Biden, che sa di pregiudicarsi le presidenziali laddove si presentasse al voto con l’onta del tracollo ucraino. Ciò basta per scaricare ogni responsabilità sui repubblicani. A quanto pare, senza sortire esito, dal momento che il Grand Old Party resta fermo sulle proprie posizioni, rilanciando con la necessità di concentrare le spese sulle priorità di politica interna. Specialmente sul contrasto all’immigrazione con annessa riforma in tema di visti e cittadinanza. Un ambito su cui d’altra parte Biden sa di non poter trattare con troppa disinvoltura, ora che i sondaggi danno Trump in vantaggio. Infatti, la tentazione di inseguire l’elettorato sensibile su simili temi, sperando al contempo di strappare ai repubblicani il rifinanziamento della guerra, lo esporrebbe al rischio di alienarsi il voto dell’elettorato di sinistra.

Restano sullo sfondo i rumors sulla bozza di accordo con la Russia per la cessazione del conflitto (per la Casa Bianca da rinviare comunque all’indomani delle presidenziali), contemplando il congelamento degli assetti territoriali disegnati dal conflitto, la neutralità militare ucraina e l’ingresso di Kiev nella Ue.

In proposito, la dichiarazione di Biden in conferenza stampa, con al fianco Zelensky, suggerirebbe una possibile apertura. Nelle parole del presidente Usa, l’ingresso di Kiev nella Nato adesso è fuori discussione, in assenza del consenso unanime dei membri e di altri requisiti: ora è necessario solo permettere alle forze ucraine di continuare a combattere. Eppure, non erano questi i termini delle dichiarazioni dei mesi scorsi, né lo erano alla vigilia dell’invasione decisa da Mosca, che ancora a gennaio 2022 tuonava contro le esternazioni di Stoltenberg e Blinken in ordine alla “iscrizione atlantica” dell’Ucraina.
Proprio sull’integrazione in Ue e sul rifinanziamento della guerra discuterà nelle prossime ore il Consiglio europeo. Sul tavolo ci sono ancora i 50 miliardi da inserire nel bilancio 2024-2027 più i 20 previsti dalla cosiddetta European Peace Facility. Ma, nonostante i buoni servigi di Ursula von der Leyen, Washington sa di non poter riscuotere ancora molto dall’Europa. L’aumento delle spese militari in seno alla Nato (da portare al 2% del pil nel 2024) di cui molti membri Ue fanno parte non concilia con la coperta accorciata dall’impasse economica. Bulgaria e Slovacchia, lanciandosi in avanscoperta, hanno revocato l’invio di mezzi già varato, mentre le principali cancellerie stanno a guardare. Sotto tale aspetto l’Ue sconta la sovrapposizione duplicativa degli oneri per gli impegni atlantici: voci di spesa che, nel frangente attuale, gravano sia a titolo di allineamento europeo a Washington sia in virtù delle quote associative decise dalla Nato. Ma soprattutto l’Ue paga la sua eteronomia, l’inconsistenza politica e le rivalità interne che inibiscono i soci di maggioranza, stanti i timori di esporsi – a mo’ di parafulmine altrui – nel disattendere le consegne di Washington, pur auspicando nel silenzio strade alternative a quelle decise Oltreoceano.

Il sì all’adesione all’Ue di Kiev non è pacifico.

Diversi Paesi si riconoscono nelle preoccupazioni esternate da Orbán sull’ipotesi di adempiere proprio oggi le promesse di europeizzazione fatte dai maggiorenti occidentali che nel 2013-14 incoraggiavano l’Euromaidan (quando però l’Ucraina non era né in guerra né in stato fallimentare come oggi). Il leader ungherese preannuncia il no alla procedura accelerata, constatando le analisi per cui i caratteri socioeconomici e istituzionali ucraini metterebbero a rischio le politiche agricole e di coesione Ue. Ma i 10 miliardi appena sbloccati da Bruxelles a favore di Budapest potrebbero strappare il ripensamento ungherese, magari attorno a una soluzione sofistica: adesione sì, ma non rapida.
Al di là di simili contrattazioni, è pur vero che l’integrazione potrebbe incoraggiare un percorso alternativo alla conflittualità ad libitum, laddove la presenza di Kiev in Ue incentivasse a battere strade di composizione intelligente, pur di non importare le escandescenze tra Kiev e Mosca. Ma anche questo presuppone il superamento dell’eteronomia e dell’inconsistenza di cui sopra. Di esse si danno ulteriori tracce al cospetto del dramma che si sta consumando in Medioriente, viste ancora le posizioni europee nelle deliberazioni dell’Assemblea Onu per il cessate il fuoco. Il 27 ottobre, in tema di tregua umanitaria, i voti a favore furono 120, 14 i no, 44 gli astenuti. Nella risoluzione del 12 dicembre, i sì sono aumentati a 153, i no scesi a 10 (Israele, Usa, Repubblica Ceca, Austria, Papua Nuova Guinea, Micronesia, Guatemala, Liberia, Nauru, Paraguay). Le 23 astensioni corrispondono sintomaticamente alla scomodità dei governi europei, stretti tra l’allineamento a Washington e la condanna internazionale per il massacro dei civili (giunti a oltre 18mila, di cui 7 mila bambini).

Comunque la si metta, sul versante mediorientale resta dirimente l’iniziativa di Washington. Che ora teme meno l’allargamento su larga scala del conflitto, finora scongiurato dalla deterrenza delle forze Usa nell’area, dal sostanziale distacco delle petrolmonarchie sunnite verso la questione palestinese e stante l’indisponibilità prudenziale di Tel Aviv e Teheran a scontrarsi frontalmente. Per la Casa Bianca oggi pesa più l’erosione del soft power sull’opinione pubblica mondiale, che esecra il doppiopesismo in tema di diritto internazionale umanitario. Il voto in Assemblea Onu è stato inequivoco, pur nella sua ineffettualità (diversamente sarebbe per quello del Consiglio di Sicurezza, se non fosse bloccato dal veto a stelle e strisce).

Non preoccupa meno l’orientamento pro-palestinese che cresce nella società statunitense, specialmente nell’elettorato giovanile, su cui Biden fa conto. Entrambe le variabili critiche spiegano la sonora censura che il presidente ha appena rivolto a Netanyahu, ammonendolo sul suicidio strategico all’orizzonte per invitarlo a scaricare gli estremisti del suo governo e ad accettare la soluzione dei due Stati, esclusa dal leader israeliano ancora nei giorni scorsi.
Nelle parole di Biden, Israele si sta alienando il sostegno del mondo. Alienazione che invero costa di più alla Casa Bianca, con implicazioni profonde anche nel versante domestico. Le mosse che matureranno nella politica interna degli Usa sulla questione ucraina e su quella palestinese sapranno mostrare il grado di connessione che essa conserva rispetto agli indirizzi dell’ordine mondiale.

Scarica l’articolo in pdf / txt / rtf /

The post L’Ucraina, il Medioriente e la variabile elettorale: le mosse degli Usa aspettando la pace first appeared on AgenSIR.

Giubileo 2025. Diocesi di Senigallia: con l’“Iter Suasanum” la bellezza è accessibile per tutti

Gio, 14/12/2023 - 10:04

In vista del Giubileo del 2025, la diocesi di Senigallia, su sollecitazione del Servizio nazionale per la pastorale delle persone con disabilità della Cei, ha predisposto un cammino che coinvolge i territori comunali di Mondolfo, Corinaldo e Castelleone di Suasa, lungo le rive del fiume Cesano. Il progetto “Iter Suasanum: alle radici del cristianesimo nella diocesi di Senigallia”, presentato a Roma l’11 dicembre, punta sull’accessibilità, intesa non solo come abbattimento delle barriere architettoniche, ma come superamento di tutte le barriere culturali, linguistiche, cognitive, sensoriali, anagrafiche, religiose ancora presenti. L’“Iter Suasanum” offre una proposta di turismo consapevole, che svela il territorio attraverso la scoperta lenta del paesaggio. Abbiamo chiesto a Dino Angelaccio, presidente di Itria – Itinerari turistico-religiosi interculturali accessibili, di raccontarci il progetto.

Come nasce l’itinerario?

Insieme a suor Veronica Donatello, responsabile del Servizio nazionale per la pastorale delle persone con disabilità della Cei, in questi mesi abbiamo stimolato alcune realtà territoriali e soprattutto comunità a mettersi in gioco e a raccogliere la sfida dell’accessibilità in vista del Giubileo. Il sistema territoriale delle Marche è stato il primo che ha raccolto questa sfida con l’itinerario intitolato “Iter Suasanum”, che vuole presentarsi come un’esperienza, un cammino capace di rispondere ai bisogni e ai desideri della diversità umana: tutto ruota intorno alla centralità della persona, ciascuno dovrà sentirsi accolto indipendentemente dalle sue caratteristiche fisiche, sensoriali, cognitive, ma anche anagrafiche, linguistiche, culturali e religiose.Quindi l’obiettivo del progetto è quello di far conoscere questo territorio piccolo, ma molto prezioso e ricco, ai pellegrini che raggiungeranno nel 2025 il nostro Paese. Le stime parlano di oltre 6 milioni di persone con disabilità che arriveranno da ogni parte del mondo per il Giubileo, ma noi ci rivolgiamo a tutti offrendo la possibilità di conoscere una parte dell’Italia che spesso rimane in un alveo di invisibilità, perché magari sono aree interne, piccoli borghi, insomma, vogliamo anche restituire un protagonismo ai territori e alle persone che ci vivono, che sono i primi turisti e i primi artefici di questi progetti. Come condividiamo con suor Veronica, progettare per tutte le persone, per la diversità umana, vuol dire progettare con le persone, non al posto delle persone e quindi questi progetti hanno la caratteristica principale di vedere il coinvolgimento attivo e consapevole da parte di tutte le persone che vivono nei territori, ma anche delle associazioni, della diocesi, delle parrocchie, degli enti locali in tutte le azioni del progetto.

Quali sono i paesi coinvolti nell’“Iter Suasanum”?

(Foto: Itria)

In particolar modo l’“Iter Suasanum” collega Mondolfo, Corinaldo e Castelleone di Suasa, tre luoghi molto interessanti e simbolici, che insistono sul territorio diocesano di Senigallia, anche se fanno parte di due province diverse. Ad esempio, a Corinaldo ci sono il santuario e la casa natale di Santa Maria Goretti. Per il progetto è stata realizzata una riproduzione tattile e parlante del dipinto della santa che è presente all’interno del santuario e abbiamo realizzato anche delle cartoline che tutte le persone sono in grado di esplorare, ognuna con le sue possibilità, anche queste hanno tratti in rilievo e un Qr Code che dà accesso a un video che racconta la storia del santuario sia in italiano sia con sottotitoli in una lingua che si può scegliere e anche in Lingua dei segni. I comuni di Mondolfo e Corinaldo hanno poi diverse abbazie e due centri storici, due borghi arroccati sul medio crinale che hanno mura di conservate molto bene, hanno una logica urbanistica medievale e costruzioni interessanti. L’area archeologica della città romana di Suasa custodisce un teatro che viene ancora oggi utilizzato per ospitare concerti o spettacoli, c’è un camminamento molto bello attraverso dei mosaici di epoca romana conservati in maniera straordinaria. Come in ogni angolo del nostro Paese ci sono delle bellezze che neppure noi conosciamo e che vanno riscoperte: se riusciamo a renderle fruibili per tutte le persone riusciamo a costruire uno strumento per comunicare lo straordinario patrimonio culturale dell’Italia in vista del Giubileo. Con il progetto facciamo in modo che la bellezza o le tecniche che sono dietro un affresco, un dipinto, un mosaico siano accessibili a tutte le persone in tutte le modalità possibili, per permettere a tutti un’esperienza con la bellezza. Lo slogan di questo mosaico di itinerari che stiamo costruendo è che l’accessibilità per il Giubileo deve rendere esigibile il diritto alla bellezza, perché il diritto alla bellezza non è normato ma è iscritto nel nostro patrimonio storico, artistico, religioso, spirituale, soprattutto nel nostro Paese:

la bellezza deve essere di tutti e per tutti.

Come avete costruito il progetto?

Il primo elemento su cui abbiamo lavorato per tutti gli itinerari, non solo questo nella Marche, è abbattere le barriere dell’informazione.

Di solito quando realizziamo progetti sull’accessibilità pensiamo di dover partire dall’abbattimento delle barriere fisiche e sensoriali, questo è certamente importante, ma noi dobbiamo anche mettere le persone in condizione di avere un’informazione chiara, comprensibile, analitica su quelle che sono le caratteristiche dei luoghi, come si fa a raggiungere un luogo, che tipo di esperienza si può vivere e quali servizi si possono trovare. Già questo salto di qualità nel tipo di informazione e nel modo in cui viene comunicata permette alle persone di scegliere con consapevolezza se scegliere di visitare uno dei luoghi meravigliosi di questo itinerario. Abbiamo anche iniziato a lavorare sulla segnaletica (mappe, segnaletica direzionale e identificativa, skyline dei punti panoramici…) con caratteristiche che la renderanno utilizzabile e gradevole per tutte le persone. Presenterà disegni e profili in rilievo ed esplorabili tattilmente, caratteri ad alta leggibilità, scritte in rilievo nero e braille in rilievo, font adatto sia a dislessici sia a persone ipovedenti, contrasti cromatici, texture differenti, pittogrammi e punti cardinali tattili e comprensibili anche da persone con disabilità cognitiva, alcuni itinerari con l’indicazione del livello di difficoltà (distanze, tempo di percorrenza, dislivelli, punti di sosta…), Qr Code tattili con audio e video descrizioni delle caratteristiche di luoghi ed itinerari, sottotitoli multilingue e interprete della lingua italiana dei segni e di alcune lingue dei segni internazionali. Alcune mappe di luoghi conterranno anche Qr Code tattili che attiveranno voci e video di persone del territorio (di età differenti) che racconteranno la vera anima e identità delle aree territoriali coinvolte attraverso il loro vissuto personale e familiare associato a luoghi specifici.

Gli itinerari come sono costruiti?

La diversità è una ricchezza e nei nostri itinerari non si troveranno mai soluzioni per presunte categorie di persone, esistono le persone, non le categorie, quindi noi cerchiamo di offrire servizi, esperienze museali, ludiche, sportive, capaci di far vivere queste esperienze a tutte le persone insieme. Bisogna creare delle relazioni con i luoghi ma anche tra le persone che vivono un’esperienza. Spesso vediamo percorsi tattili per qualcuno, visite guidate per altri, ma questa non è accessibilità, è ghettizzazione. Invece dobbiamo costruire soluzioni che siano in grado di far vivere un’esperienza a tutti, facendo incontrare le persone. Lungo gli itinerari includeremo anche dei parchi gioco inclusivi, dove non ci saranno aree o giochi riservati solo a piccoli con problemi di deambulazione, tutto sarà fruibile per tutti. Ma quello delle Marche non è l’unico progetto. I primi 5 itinerari sono “Iter Suasanum” nelle Marche, “Romanic@mente” in Molise, “Sulle orme del Santo” a Poli nel Lazio, “Antica Via Regia” a Cava dei Tirreni in Campania, “Le Vie del Santo” a San Bellino nel Veneto.

La nostra idea è costruire un mosaico di cammini da offrire per il Giubileo del 2025 e far lavorare insieme tutte le comunità. L’obiettivo è farle diventare destinazioni che guardano oltre il Giubileo dando vita e forma a un turismo accessibile, più lento, in cui ci si sente accolti e non ospiti. Vorremmo costruire una sorta di catalogo che sarà dato a tutti i pellegrini che arriveranno in Italia, a prescindere dal fatto che possano avere delle disabilità, per vivere un’esperienza di viaggio, oltre ai canonici giorni di Roma: chi viene da lontano per il Giubileo di solito si ferma qualche giorno in più spostandosi in varie località italiane, noi vorremmo far conoscere un’Italia diversa. Questa forma di rigenerazione fatta attraverso il turismo e la cultura potrebbe consentire a questi territori di invertire la rotta rispetto allo spopolamento. Infatti, il progetto serve anche a creare delle opportunità lavorative. Un elemento qualificante di tutti questi itinerari è l’inserimento lavorativo di persone con disabilità. Ad esempio, ragazzi autistici o con disabilità intellettiva diventeranno, attraverso corsi di formazione, guide turistiche e animatori territoriali degli itinerari.

Scarica l’articolo in pdf / txt / rtf /

The post Giubileo 2025. Diocesi di Senigallia: con l’“Iter Suasanum” la bellezza è accessibile per tutti first appeared on AgenSIR.

Ratio e seminaristi. Don Gianola (Cei): “La comunità cristiana forma i preti, i giovani hanno sete di cose importanti”

Gio, 14/12/2023 - 10:00

“Dai rettori dei seminari, dai formatori e dal Cammino sinodale è emersa l’esigenza di avvicinare i seminaristi alla realtà. D’altra parte, la Chiesa deve avvertire l’esigenza di generare i propri pastori. E se questo non avviene, significa che c’è qualcosa che non va nella Chiesa. Senza vocazione, la Chiesa non è”. In attesa della conferma della “Ratio Fundamentalis sacerdotalis” per i Seminari in Italia da parte del Dicastero per il Clero, don Michele Gianola, sottosegretario della Cei e direttore dell’Ufficio nazionale per la pastorale della vocazioni della Cei, riflette sul percorso di formazione dei nuovi sacerdoti.

(Foto Siciliani-Gennari/SIR)

Perché rinnovare la Ratio?
La Chiesa si occupa di formare i suoi pastori. La Ratio considera tutto l’arco della formazione, dalla pastorale vocazionale all’ingresso in seminario, alla formazione permanente.

Il seminario non prepara preti già fatti e finiti.

È l’opposto di quel che succede acquistando un’automobile: quando si esce dal concessionario, la macchina è nuova e nel tempo andrà riparata. In seminario avviene il contrario.

Che qualità servono per diventare preti?
Nel rito dell’ordinazione, il vescovo chiede al rettore del seminario: “Sei certo che ne sia degno?”. Ma come puoi dire che una persona è degna del ministero che riceve? Lo possiamo comprendere se guardiamo all’etimologia: la radice della parola “degno” significa “avere la stoffa”. E allora tutto acquista significato. Il seminario è un momento di discernimento per verificare che un candidato abbia la stoffa da prete. Poi c’è tutta la vita per diventare pastore con il cuore di Cristo.

Chi sono i giovani che entrano in seminario?
Sono più fragili e feriti del passato, ma questo non significa essere migliori o peggiori. Chi bussa al seminario ha una storia alle spalle con tante ferite. Dal punto di vista vocazionale c’è bisogno di un argine, non per contenere ma per convogliare l’energia che hanno dentro.

Il rischio è che si disperdano in troppe cose, affondando in una palude. Un argine, invece, permette alla vocazione di maturare. I giovani hanno tanta energia: trent’anni fa si entrava in seminario con percorsi ordinari, adesso non si accontentano di una fede superficiale ma hanno sete di trovare la radice del Vangelo.

È il tratto bello di questa generazione. Lo abbiamo sperimentato a Lisbona: durante l’adorazione eucaristica, il silenzio era assoluto. Un milione e mezzo di giovani che pregavano.

Trovare la radice è un impegno serio…
Alcuni sono disorientati, ma hanno sete di cose importanti. I numeri non sono incoraggianti, è vero, ma questo è un tempo speciale per l’annuncio vocazionale. Che non significa diventare preti, ma comprendere a cosa siamo chiamati. Scoprire cosa c’è di buono nella vita. Quanti giovani vanno a seguire Sadhguru? È l’elefante nella stanza che per noi deve essere una sveglia. I giovani desiderano la spiritualità.

C’è ancora spazio per il seminario minore?
I vescovi hanno voluto mantenere, con forme differenti, l’accompagnamento vocazionale degli adolescenti.

Rispetto alla Ratio del 2006 il seminario minore ha perso forza come forma tradizionale, ma ne ha acquisita come altra forma di accompagnamento per gli adolescenti.

Prima era il seminario minore e altre forme, ora le comunità vocazionali giovanili e le comunità vocazionali.

La Ratio vuole intercettare l’esigenza dei giovani di vivere in forme comune?
È un tempo in cui c’è voglia di trovare e trovarsi, di fare esperienze di vita fraterna, di vita comune, di casa. L’Istituto Toniolo ha pubblicato un testo, “Oasi di fraternità”, con l’elenco delle esperienze di vita comune fra giovani in Italia. Anche per gli adolescenti è adesso consentita questa possibilità. Chissà che possa diventare uno sguardo di prospettiva sulla vita del seminario maggiore.

La comunità diventa fondamentale nella formazione dei sacerdoti…
Tanti soggetti intervengono nella formazione, che non è più affidata soltanto ai formatori del seminario. È una bella apertura.

La comunità cristiana diventa soggetto di discernimento del futuro prete.

L’invito è a tessere legami con la realtà parrocchiale ed ecclesiale, perché da lì possono venire elementi per il discernimento. A volte c’è il rischio di una cesura tra il prima e il dopo, soprattutto per il clero diocesano. Prendersi cura della formazione dei preti è un’opera di Chiesa.

Scarica l’articolo in pdf / txt / rtf /

The post Ratio e seminaristi. Don Gianola (Cei): “La comunità cristiana forma i preti, i giovani hanno sete di cose importanti” first appeared on AgenSIR.

Istat: disoccupazione stabile al 7,6%, salgono gli occupati tra gli ultra cinquantenni

Gio, 14/12/2023 - 09:57

I dati complessivi dell’Istat sull’occupazione continuano a fornire segnali positivi ma un’analisi più dettagliata mette in evidenza aspetti problematici di notevole rilevanza che consigliano una lettura in chiaroscuro. La nota dell’Istituto nazionale di statistica sul mercato del lavoro, relativa al terzo trimestre 2023, riferisce che “gli occupati aumentano in termini congiunturali di 65 mila unità (+0,3% rispetto al secondo trimestre 2023), a seguito della crescita dei dipendenti a tempo indeterminato (+75 mila, +0,5%) e degli indipendenti (+10 mila, +0,2%) che ha più che compensato il calo dei dipendenti a termine (-19 mila, -0,6% in tre mesi); il numero di disoccupati è sostanzialmente stabile (+2 mila, +0,1% in tre mesi) e prosegue il calo degli inattivi di 15-64 anni (-84 mila, -0,7%)”. Dal punto di vista dei tassi – e quindi del rapporto con la corrispondente popolazione di riferimento – l’andamento è sostanzialmente analogo: il tasso di occupazione sale al 61,5% (+0,2 punti), quello di disoccupazione è stabile al 7,6% e il tasso di inattività 15-64 anni scende al 33,3% (-0,2 punti).

A fronte di questo quadro prevalentemente positivo, l’Istat sottolinea però che “la crescita dell’occupazione e del relativo tasso interessa soltanto gli ultracinquantenni”. Tra i 35-49enni, infatti, al tasso di occupazione stabile si associa un calo del numero degli occupati e tra i giovani diminuiscono entrambi gli indicatori. Su questa dinamica incidono sicuramente i fattori demografici che già da tempo hanno cominciato a condizionare fortemente il mercato del lavoro. Ma questa considerazione non rende meno preoccupante il dato di una diminuzione degli occupati tra i giovani, al contrario ne aumenta la gravità in quanto lo riconduce a una causa di tipo strutturale.

Un recentissimo studio della Cgil, elaborato a partire dai dati provvisori relativi al mese di ottobre diffusi dall’Istat il 30 novembre scorso, prova ad allargare lo sguardo. Gli analisti del sindacato di Corso d’Italia rilevano che il tasso di occupazione è aumentato del 3,5% rispetto a ottobre 2008 (un anno a partire dal quale si sono succedute le diverse crisi socio-economiche), passando dal 58,3% al 61,8% di ottobre 2023. Ma “se la popolazione lavorativa fosse rimasta la stessa di ottobre 2008, il tasso di occupazione ad ottobre 2023 si sarebbe attestato al 59,1%, crescendo soltanto di uno 0,8% e rimanendo ancora sotto il 60%”. Dati che mettono in luce come “la questione occupazionale in Italia, dal punto di vista demografico, abbia già assunto caratteristiche allarmanti”.

Sempre rispetto a ottobre 2008 lo studio della Cgil osserva una crescita dell’occupazione di “bassa qualità”: “Sono aumentati del 30,2% gli occupati a termine, che hanno raggiunto quota 3 milioni, in particolare stagionali, somministrati, tempi determinati, intermittenti e con contratti di prestazione occasionale”. Una sottolineatura particolare per il part-time involontario (cioè non scelto dal lavoratore) che è il più alto dell’Eurozona e che è cresciuto dal 41,3% al 57,9% del 2022.

Forse è proprio l’occupazione di “bassa qualità”, depotenziata e precaria, a spiegare almeno in parte la sfasatura registrata dall’Istat tra l’andamento del cosiddetto “input di lavoro” (che si misura dalle ore lavorate) e quello del Prodotto interno lordo. Crescono entrambi, ma con uno scarto notevole: rispetto al terzo trimestre dello scorso anno, il primo è aumentato dell’1,8%, il Pil soltanto dello 0,1%.

Scarica l’articolo in pdf / txt / rtf /

The post Istat: disoccupazione stabile al 7,6%, salgono gli occupati tra gli ultra cinquantenni first appeared on AgenSIR.

Preparare il Natale

Gio, 14/12/2023 - 00:09

Preparare è una parola bella. Profuma di casa, di cura, di affetti. Significa predisporre ciò che servirà più avanti, perché sia pronto al momento opportuno, e in genere non solo per sé stessi. Non ci si mette a preparare qualcosa se manca l’amore. Al massimo si programma, più spesso si improvvisa. Ho l’impressione che viviamo in un mondo in cui l’improvvisazione dell’ultimo minuto (magari venduta come “spontaneità”) o, all’opposto, una iper-programmazione di matrice tecnocratica gestionale, tradiscano in realtà una profonda e diffusa mancanza di amore nel fare le cose, solo in parte giustificata dalla cronica mancanza di tempo che assilla la maggior parte di noi. Mi chiedo allora se ci stiamo davvero preparando al Natale, come singoli, come comunità, come Chiesa. O se non stiamo solo “ri-programmando” il Natale (compreso il suo aspetto liturgico) e i giorni di festa e di vacanza che seguiranno il 25 dicembre, travolti come sempre dalle cose da fare e dal carrozzone commerciale, ma senza un reale coinvolgimento del cuore, dei sentimenti, della nostra umanità.
Ha fatto notizia, all’inizio dell’Avvento, la proiezione di immagini luminose della Natività sulle enormi insegne pubblicitarie della centralissima Times Square di New York. Iniziativa ecumenica promossa e finanziata da mormoni, cattolici e alcune chiese evangeliche, pare abbia colto davvero tutti di sorpresa, sostituendo per alcuni minuti alle consuete scintillanti pubblicità le immagini e i simboli del Natale cristiano. Dicono che per qualche istante un silenzio irreale sia sceso in una delle piazze più frequentate e trafficate del mondo, luogo simbolo del capitalismo e del sogno americano. Un attimo di contemplazione inattesa, davanti all’immagine di un Bimbo capace di risvegliare nella sua povertà e tenerezza la nostalgia di Dio. Ecco, se vogliamo davvero preparare il Natale, dovremmo forse ripartire tutti da lì, dalla contemplazione umile e amorevole di quel bambino nato in una povera mangiatoia per essere sorprendentemente la Luce e il Salvatore del mondo. Si può iniziare dedicando tempo e cura alla preparazione del presepe nelle nostre case, seguendo l’ispirata intuizione che mosse Francesco giusto 800 anni fa nel dare vita a Greccio alla prima rappresentazione della Natività. Ma soprattutto in questi giorni si dovrebbe preparare la nostra vita a diventare culla accogliente per questa Presenza piccola e misteriosa che ancora cerca cuori innamorati in cui rinascere e da cui diffondere amore e pace nel mondo. Se vogliamo preparare il Natale dovremmo chiederci innanzitutto se davvero amiamo Gesù, se vogliamo lasciare che Lui entri nella nostra vita, permettendogli di stravolgere le nostre priorità, i nostri criteri di valutazione delle cose, i nostri sogni di successo. Questo modo di preparare il Natale chiede soprattutto un rientrare in sé stessi, un trovare spazi di silenzio e contemplazione, di preghiera e meditazione. Chiede la disponibilità all’esame di coscienza, al pentimento e alla conversione, perché potrebbe darsi che tra la paglia della mangiatoia sia finito anche qualche brutto ramo irto di spine. Questo modo di preparare il Natale non esclude i doni e i momenti conviviali, ma ci interroga sul perché li facciamo e a chi li rivolgiamo; con quale spirito, con quali attenzioni e intenzioni. Ci ricorda che Dio sta dalla parte dei piccoli, degli umili e dei poveri della terra; che Dio ama chi dona con gioia, senza aspettarsi il contraccambio; che i regali più belli a Natale sono quelli che ridonano un sorriso a chi è provato dalla vita e i pranzi o i cenoni più prelibati sono quelli che portano gli amici, i fratelli e i vicini a ritrovarsi e riconciliarsi.

Scarica l’articolo in pdf / txt / rtf /

The post Preparare il Natale first appeared on AgenSIR.

Cop28. Sorpresa positiva

Gio, 14/12/2023 - 00:08

Il presidente di Cop28 Sultan Al Jaber, dopo il ripensamento sulla sua gaffe iniziale, è stato di parola e coerente fino in fondo, tanto da portare in assemblea e senza dibattito un accordo finale “storico” raggiunto all’ultimo momento tra i quasi 200 Paesi presenti a Dubai. Nonostante i dubbi, le perplessità e il pessimismo che serpeggiavano anche negli ultimi giorni, occorre dire che questa è una bella notizia poiché per la prima volta – nessuno ormai se l’aspettava – si è riusciti a fare entrare nel documento concordato non solo il termine “combustibili fossili”, ma l’impegno alla loro progressiva e definitiva eliminazione. La modalità che è riuscita a mettere d’accordo anche i comprensibilmente renitenti “Paesi produttori” è il verbo esplicito e impegnativo “abbandonarli”, anziché il più drastico “uscirne”. Sta di fatto che Cop28 ha dato ascolto, insperabilmente si può dire ormai, alle sollecitazioni e appelli venuti da più fonti autorevoli – a cominciare da papa Francesco -, oltre che all’evidenza scientifica, per salvare il pianeta e i suoi abitanti. Nella consapevolezza che questo è il decennio decisivo, poiché c’è il rischio di superare nel riscaldamento globale l’1,5° C entro il 2025, si è determinato che l’azione per la riduzione delle emissioni di gas serra dev’essere “immediata”, pur lasciando alla responsabilità e alle condizioni di ogni Paese la gradualità necessaria. Essa infatti – com’è ragionevole, dato il gap attuale evidente tra Paesi – deve ispirarsi ad uno “sviluppo sostenibile”, allo sradicamento della povertà e a principi di equità, in corrispondenza alle differenti circostanze nazionali. Ma il principio fondamentale dell’abbandono dei combustibili fossili riguarda ormai tutti per arrivare globalmente ad un’emissione di zero netto entro il 2050. Tra gli altri punti approvati, l’impegno a triplicare la capacità di energie rinnovabili e a duplicare gli sforzi per l’efficienza energetica: si tratta degli impegni già presi autonomamente ed esemplarmente dall’UE, che dunque è diventata di fatto ispiratrice della svolta “epocale” che potrà limitare efficacemente i danni di un “progresso” incontrollato (almeno così si spera). A Dubai, a conclusione dei lavori, l’UE, che ha premuto fino alla fine, ha espresso soddisfazione per il risultato raggiunto, soprattutto per l’esplicito e innovativo riferimento ai combustibili fossili. Soddisfazione anche dagli USA. Più cauti ma consenzienti altri grandi Paesi come Cina e India, paghi del riconoscimento di una gradualità che concede comunque una discrezionalità sufficiente, ma non indefinita o infinita, per una seria programmazione del percorso obbligato di transizione verso una economica giusta ed equa. Il punto che aveva trovato fin dall’inizio l’accordo, cioè il finanziamento della transizione nei Paesi più poveri con il risarcimento dei danni subiti e l’incremento delle nuove tecnologie, è stato ovviamente ribadito, calcolando un fabbisogno finanziario di circa 400 miliardi all’anno per l’adattamento e oltre 4000 miliardi all’anno per energia pulita entro il 2030, aumentandoli successivamente fino a 5000 miliardi per puntare all’obiettivo previsto di emissioni zero nel 2050, anche se, a dire il vero, finora non si è tenuto fede agli impegni già presi. Considerando che questa, come varie altre precedenti edizioni di Cop – e anche la prossima 29 prevista a Baku in Azerbaijan e la successiva 30 in Brasile – sono organizzate in paesi che fanno del petrolio e degli altri combustibili fossili il loro punto di forza economica, era da temere che un passo così decisivo difficilmente sarebbe stato fatto in tempo utile “prima che sia troppo tardi”, come ha considerato il segretario dell’Onu commentando il risultato e ribadendo che, volenti o nolenti, l’eliminazione di quelle fonti energetiche è inevitabile. Come non mancano i negazionisti sul riscaldamento globale, piuttosto sprovveduti, così non mancano e non mancheranno gli insoddisfatti tra gli ambientalisti “estremisti” – che continuano a manifestare clamorosamente un po’ dappertutto. Ma fare passi avanti, e tutti insieme, non è facile: non bastano parole o slogan, occorrono accordi e fatti, questi ultimi soprattutto. Ed è qui la sfida che Cop28 ha lanciato e che tutti dobbiamo raccogliere. Anche individualmente, limitando i consumi “energivori”, anche a costo di “diventare più poveri”. In fondo, è pure questo l’annuncio che ci apprestiamo a rievocare celebrando il Natale del Verbo di Dio che “da ricco che era si è fatto povero” in un Bambino.

Scarica l’articolo in pdf / txt / rtf /

The post Cop28. Sorpresa positiva first appeared on AgenSIR.

“È ora di svegliarvi dal sonno”

Gio, 14/12/2023 - 00:08

Italiani “sonnambuli” e “ciechi” dinanzi ai presagi che parlano di una società ormai in crisi, che fa sentire sempre più “fragili” e “impotenti”. E dove i “rassegnati” sono “l’80,1% (l’84,1% tra i giovani) convinto che l’Italia sia irrimediabilmente in declino”. È quanto si legge nel 57esimo Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese/2023. “La società italiana sembra affetta da ‘sonnambulismo’, precipitata in un sonno profondo del calcolo raziocinante che servirebbe per affrontare dinamiche strutturali dagli esiti funesti” prosegue il documento. Ma il ‘sonnambulismo’, sostiene il Censis, “non è imputabile solo alle classi dirigenti: è un fenomeno diffuso nella ‘maggioranza silenziosa’ degli italiani. Resi più fragili dal disarmo identitario e politico, feriti da un profondo senso di impotenza, delusi dalla globalizzazione, che per il 69,3% ha portato all’Italia più danni che benefici.Prevale quello che viene definito “l’arrangiamento istintivo” rispetto a un “disegno razionale” dove ormai quel “meccanismo di promozione e mobilità sociale si è usurato”. In poche parole, tra vitalità disperse e un confronto pubblico giocato su emozioni di brevissima durata, la società italiana trascina i piedi. Dal Report emerge una società che non riesce ad avviare un nuovo ciclo e che cerca di sostituire “il modello di sviluppo costruito a partire dagli anni ’60 nel quale si rivendicava il lasciar fare” o “il riconoscimento delle identità e dei diritti collettivi” con un nuovo modello “confuso”. Quale? Il Censis sostiene che oggi si punta più al “lasciar essere, l’autonoma possibilità – specie per le giovani generazioni – di interpretare lavoro, investimenti, coesione sociale, senza vincoli collettivi”. Ecco perché come Caritas accogliamo il tempo del risveglio di carità dell’Avvento perché continuiamo ad essere interpellati da chi ha un problema per strada e nell’emergenza e senza intrecciare una relazione sistemica: di accoglienza, di fiducia di reciprocità e di felicità nel servizio dei beni comuni. Così a San Siro abbiamo voluto riempire la festa del Patrono con l’iniziativa di ‘Aggiungi una spesa/pasto a tavola’, per aiutare le Caritas parrocchiali a donare gli alimenti alle famiglie. Aiuteremo il 15 sera dopo la S. Messa al Sacro Cuore il monastero di Azer che si trova in Siria (provincia di Homs); in tale monastero vivono cinque monache benedettine, le quali fanno conoscere Cristo a popolazioni molto povere. Il mondo non sta precipitando nel baratro, ma nell’abbraccio di un padre/madre di infinita tenerezza. E non stiamo assistendo alla fine del mondo ma ci stiamo interrogando sul fine del mondo, sul senso che appare travagliato e oscuro dell’agire distruttivo degli uomini. Uomini persi che non ammettono di essere persi, che fanno dell’arroganza e della violenza il proprio metro di giudizio. Così, con felice ostinazione, benedetta costanza, inizia questo anno nuovo in compagnia dell’evangelista Marco. Un piccolo cammino per prepararsi al Natale. All’ennesimo. Che per molti sarà una felice bolla di buoni sentimenti a acquisti per dimenticare l’insostenibile realtà, per addolcire la saturazione di male notizie e di drammi che logora e svilisce, ma noi speriamo contro ogni speranza.

Scarica l’articolo in pdf / txt / rtf /

The post “È ora di svegliarvi dal sonno” first appeared on AgenSIR.

Cop28. Morandini: “Un risultato potenzialmente storico, ma c’è ancora molto da fare”

Mer, 13/12/2023 - 16:28

Quando sembravano quasi perse le speranze, è stato trovato l’accordo per il documento finale approvato alla Cop28, che si è svolta a Dubai ed è terminata mercoledì 13 dicembre, con un giorno in più del previsto proprio per trovare un compromesso che soddisfacesse tutti. La parola chiave è “transizione”: non “eliminazione” o “phase out” in inglese, ma ugualmente un termine che chiede di “avviare la transizione verso l’abbandono dei combustibili fossili nei sistemi energetici, in modo giusto, ordinato ed equo, accelerando l’azione in questo decennio critico, in modo da raggiungere l’azzeramento delle emissioni nette entro il 2050 in linea con la scienza”. Il documento finale della Conferenza Onu sul clima segna, dunque, una svolta con l’inizio della fine dell’era dei combustibili fossili. Con ventiquattro ore di ritardo sulla tabella di marcia, il testo è stato approvato dalla plenaria dei 197 Paesi più l’Unione europea (Ue) senza alcuna obiezione. Con Simone Morandini, vice direttore dell’Istituto di studi ecumenici San Bernardino di Venezia e membro del Tavolo di studio “Custodia del Creato” della Cei, tracciamo un bilancio della Cop28.

(Foto: Redazione)

Come possiamo valutare il compromesso raggiunto nel documento finale?

Non c’è dubbio che da questa Cop28 emergono alcuni elementi di positiva novità rispetto a quella dell’anno scorso. Si tratta di passi che ci orientano nella giusta direzione ma che da soli non sono ancora sufficienti per mettere in sicurezza la stabilità climatica e l’abitabilità del pianeta per le future generazioni. Quindi, potremmo guardare a un bicchiere mezzo pieno rispetto alle premesse e al rischio di fallimento, perché senza dubbio si sono fatti passi avanti. Potremmo vedere, d’altra parte, un bicchiere che è in parte vuoto, nel senso che di lavoro da fare ce n’è ancora parecchio e i prossimi passaggi di negoziazione, gli accordi in cui prenderanno forma le dichiarazioni di questa Cop saranno determinanti. Certo, è notevole il fatto che, come è stato giustamente sottolineato dal presidente del vertice, il sultano Ahmed al-Jaber, per la prima volta nei testi delle Cop entri esplicitamente l’idea di andare al di là dei combustibili fossili. Si è molto dibattuto se dire “phasing out” o “phasing down”, cioè eliminare gradualmente oppure ridurre gradualmente i combustibili fossili, alla fine si è scelta un’espressione diversa: “transitioning away”, in italiano forse potrebbe essere tradotto come “una transizione che ci porti fuori dai combustibili fossili”. Interessante è anche “away” che indica proprio che bisogna andare “via” dai combustibili fossili. Credo che sia significativa la scelta del linguaggio, che si traduce poi in una serie di indicazioni concrete: l’impegno a triplicare la capacità di energia rinnovabile entro il 2030 e a raddoppiare l’efficienza energetica con la stessa scadenza. Non è poco: sono indicazioni forti queste. Certo, contemporaneamente, sono impegni che ancora devono prendere forma in passaggi concreti, progressivamente tradursi in impegni da parte dei singoli governi nella loro realizzazione.

Nei giorni scorsi avevano destato sconcerto alcune dichiarazioni del sultano al-Jaber, secondo cui non ci sarebbe alcuna scienza che indichi che l’abbandono graduale dei combustibili fossili permetterebbe di mantenere l’aumento delle temperature entro 1.5 °C e, anzi, questo scenario finirebbe per riportare il genere umano al tempo delle caverne…

Alla fine queste dichiarazioni non hanno avuto alcun peso sul documento finale, in cui c’è chiaramente un riferimento alle emissioni carbonifere da contenere e l’accentuazione delle energie rinnovabili. Un’osservatrice attenta e interessata come la spagnola Teresa Ribera commentando il documento dice che è “l’inizio della fine dell’era dei combustibili fossili”. È l’inizio della fine: quindi, non vuol dire che siamo già liberi, ma che è stata data questa indicazione che è abbastanza epocale. In questo senso,

c’è stato un salto di qualità nel progressivo sviluppo dei negoziati.

Possiamo parlare di accordo “storico”, come ha detto il presidente del vertice?

È un risultato potenzialmente storico, poi bisognerà capire quanto adesso si darà seguito con buone pratiche concrete in una negoziazione specifica.

Si sottolinea la necessità di accelerare nelle tecnologie a zero e a basse emissioni e questo è buono di per sé, però si inseriscono tra le tecnologie atte a realizzare il risultato non solo le energie rinnovabili, ma anche il nucleare e le tecnologie di abbattimento e rimozione come la cattura del carbonio. Ho molti dubbi sulla effettiva sostenibilità del nucleare, mentre le tecnologie di abbattimento e rimozione del carbonio pongono il rischio di distrarre l’attenzione dall’uscita reale dai combustibili fossili, nel senso che sono tecnologie costose, ancora difficili da implementare, la scelta di inserirle nel pacchetto di mitigazione, citandole esplicitamente, può lasciare qualche incertezza. Ma non c’è dubbio che al primo posto tra le tecnologie di basse emissioni sono citate le energie rinnovabili, immediatamente dopo c’è questa idea della “transitioning away” dai combustibili fossili.

Abbiamo fatto passi avanti per lasciare un mondo più sostenibile alle nuove generazioni o, come ha commentato qualcuno, il cammino è ancora accidentato?

Condivido questa preoccupazione, perché, come ho detto dall’inizio, c’è ancora molto lavoro da fare. Lo stesso riferimento all’energia prodotta dal carbone non abbattuto significa che si può continuare a usare il carbone, a condizione che si usino tecnologie di cattura delle emissioni di anidride carbonica relative ad esso. Pericoloso anche questo: rischia di creare alibi nei confronti di quei Paesi, come la Cina, che dipendono ancora in modo potente dal carbone, quindi ci sono problemi. Un elemento univocamente positivo è un inizio di quantificazione dei fondi per il Loss & Damage. Se ne era parlato nella Cop del 2022, ma senza attivare un effettivo finanziamento da parte dei Paesi avanzati. Quest’anno, invece, si è iniziato a parlare di cifre significative. Su questo versante c’è stato un progresso. Chiaramente in questo caso si lavora sul fronte dell’adattamento e del ripristino. Credo che il cammino delle Cop sia importante se ci conduce a sforzi di mitigazione efficace, altrimenti rischiamo di rincorrere sempre un risultato con adattamento e riparazione di situazioni climatiche che sempre peggiorano senza mai riuscire a chiudere il cerchio.

Se non fosse stato per un problema di salute, anche il Papa avrebbe partecipato alla Cop, alla quale comunque è intervenuto con un discorso poi letto dal card. Pietro Parolin.

Il discorso del Papa è molto potente e molto incisivo.

Ci potremmo chiedere se in qualche modo, nonostante non sia potuto intervenire di persona, il lavoro che il Papa ha fatto con la Laudate Deum e anche con la scelta di andare a Dubai, anche se non realizzata, non sia stato uno degli elementi – certamente non l’unico – che ha contribuito a creare un clima positivo. Diciamolo francamente: con lo svolgimento di una Cop in un Paese produttore di petrolio, in un tempo di tensioni internazionali come mai negli ultimi decenni, c’erano tutte le premesse per un fallimento. In questo senso capisco quelli che cantano vittoria per risultati che non sono forse il massimo ma sono comunque importanti. Per questo c’è da chiedersi se anche questa volta, come per la Cop21, Papa Francesco non abbia in qualche misura contribuito al risultato.

Qualche auspicio per la Cop29, in programma a Baku, in Azerbaijan, tra l’11 e il 22 novembre 2024?

Speriamo che si prosegua in questa direzione, si dia corpo a quanto stabilito, con scadenze più puntuali, che si lavori anche sulle emissioni di metano, che si proceda effettivamente all’eliminazione di sussidi ai combustibili fossili. Anche il nostro Paese ha una sussidiazione nei confronti del petrolio, del carbone, del gas metano: se da un lato possiamo comprendere le motivazioni sociali, le esigenze economiche, dall’altro tuttavia questa scelta non favorisce una reale transizione ecologica in direzione di un’economia sostenibile e circolare. Questa è un’area sulla quale c’è molto da lavorare: chiaramente si toccano interessi economici consolidati e le resistenze ci saranno, ma penso che sia un ambito importante. L’altra area da non tralasciare è il lavoro sugli stili di vita personali e comunitari. In questi giorni ci concentriamo giustamente sulle responsabilità delle politiche nazionali e internazionali, ma esse funzionano solo se, al contempo, c’è un cambiamento socioculturale nelle pratiche della società civile.

Scarica l’articolo in pdf / txt / rtf /

The post Cop28. Morandini: “Un risultato potenzialmente storico, ma c’è ancora molto da fare” first appeared on AgenSIR.

Cop28. Becchetti (economista): “A Dubai sottoscritto un buon accordo. Accelerare nella transizione non è un costo, è un beneficio”

Mer, 13/12/2023 - 16:26

“Quello sottoscritto a Dubai è un buon accordo. Questo, unito al consenso unanime degli Stati, toglie spazio ad atteggiamenti quali il negazionismo o il ‘disperazionismo’ e può quindi creare un orizzonte e un contesto che siano favorevoli a quello che dobbiamo fare per raggiungere gli obiettivi che ci siamo posti”. Così Leonardo Becchetti, ordinario di Economia politica all’Università di Roma Tor Vergata, commenta al Sir l’accordo raggiunto al termine della Cop28 a Dubai nel quale, per la prima volta, al fine di conseguire l’obiettivo zero emissioni nette nel 2050 è stata prevista la fine dell’era dei combustibili fossili già entro il 2030.

(Foto Siciliani-Gennari/SIR)

Professore, il sultano Ahmed Al-Jaber, ceo della principale compagnia petrolifera emiratina e presidente della Cop28, lo ha definito un “accordo storico” perché “per la prima volta in assoluto c’è un linguaggio sull’uscita dei combustibili fossili”. Condivide l’entusiasmo di chi ha affermato – rivolgendosi ai partecipanti alla Convenzione – che “le future generazioni vi ringrazieranno” per l’intesa raggiunta?
Per prima cosa dobbiamo chiarire che questi accordi servono a creare un quadro condiviso che poi dovrebbe orientare le politiche degli Stati, delle imprese e i comportamenti delle persone. E sappiamo anche che non sono vincolanti legalmente. Detto questo, però,

quello sottoscritto a Dubai è un buon accordo.

Fino a ieri sembrava saltasse questa possibilità, invece si è trovato un compromesso. Non si parla più di “phasing out” (eliminazione graduale, ndr) ma di “transitioning away” dalle fonte fossili, che significa allontanarsi progressivamente dalle fonti fossili durante la transizione. Un processo – è stato concordato – da fare in maniera equa e ordinata, per arrivare all’obiettivo delle missioni zero nel 2050. Inoltre,

è significativo che c’è un quadro concorde da parte di tutto il mondo in questa direzione. Questo sicuramente è qualcosa che toglie un po’ gli alibi, soprattutto a due tipi di pensiero che sono problematici: il negazionismo e quello che io chiamo “disperazionismo”, atteggiamento tipico di coloro che dicono: “Vabbè, tanto non c’è niente da fare e quindi è meglio non fare nulla”.

L’accordo approvato oggi e il consenso unanime degli Stati tolgono spazio ad atteggiamenti di questo tipo e possono quindi creare un orizzonte e un contesto che siano favorevoli a quello che dobbiamo fare per raggiungere gli obiettivi che ci siamo posti.

Nel “Global Stocktake”, il testo finale approvato, si stimano i fondi che dovranno essere impegnati per raggiungere gli obiettivi. Per proteggere i Paesi in via di sviluppo dalle conseguenze della crisi climatica e per il loro adattamento serviranno dai 215 ai 387 miliardi di dollari all’anno fino al 2030. Per la transizione energetica, invece, 4.300 miliardi di dollari all’anno fino al 2030 e poi 5.000 miliardi di dollari l’anno fino al 2050. Cosa ne pensa?
Credo siano importi un po’ sovrastimati perché in realtà – pensiamo all’Italia ma anche ad altri Paesi – gran parte della transizione verso il cambiamento delle fonti di energia arriva da progetti privati. Quello che si chiede allo Stato è autorizzarli.

L’investimento pubblico è necessario per rafforzare il sistema della rete elettrica e per aiutare la transizione nel settore degli edifici. Alla politica si chiede di essere veloce nelle autorizzazioni, quindi di aprire all’utilizzo delle energie dei privati in questo ambito. L’intervento economico-finanziario dello Stato serve soprattutto nel settore delle abitazioni, perché lì manca ai privati l’incentivo ad operare senza aiuti:

ristrutturare una casa costa e quindi è importante riproporre qualcosa, non il 110% ma comunque dei bonus per l’efficientamento degli edifici. In molti altri campi, invece, le cose vanno avanti grazie al mercato. Ci saranno aziende che costruiranno auto elettriche che costeranno meno di quelle con motore a scoppio. E già oggi produrre energia da sole e da vento costa molto di meno che farlo da fonti fossili. Per questo, ripeto, secondo me le cifre indicate sono sovrastimate.

Nell’accordo si parla anche della “gestione dei rischi finanziari legati al clima” invitando ad “accelerare l’istituzione di fonti di finanziamento nuove e innovative, compresa la tassazione, per l’attuazione dell’azione per il clima, consentendo così di ridurre gli incentivi dannosi”. Quanto è importante questa leva per agevolare gli impegni presi?
È molto importante, perché sposta le convenienze e i prezzi relativi. Ma bisogna anche tener conto che proprio

la voce dell’abolizione dei sussidi ambientalmente dannosi è una voce di “segno +” per lo Stato, non di “segno -” perché significa ridurre l’attuale spesa in sussidi. Vero è che per eliminare i sussidi ambientalmente dannosi bisogna creare delle compensazioni e degli incentivi verso le categorie più colpite.

E quindi, da questo punto di vista, bisogna di fatto spostare l’impegno finanziario in quella direzione.

Per i Paesi in via di sviluppo è stato scritto che per una transizione giusta ed equa rimangono fondamentali sovvenzioni, finanziamenti agevolati e strumenti che non ricadono sul debito consentendo un sufficiente margine fiscale…
Tra i Paesi in via di sviluppo, per quelli più indebitati ci sarà il problema delle risorse necessarie per finanziare la transizione degli edifici al fine di portare a “net zero” quelli già esistenti. E poi, più in generale, c’è la questione del “Loss & Damage” al quale è stato dedicato un capitolo della dichiarazione: un fondo per le perdite, le compensazioni per i danni climatici che alcuni di questi Paesi stanno subendo. Sulla creazione di questo fondo si è discusso molto ed è una voce importante.

Venendo al contesto italiano, per concretizzare gli impegni sottoscritti a Dubai quali sono le misure più urgenti, gli ambiti nei quali bisogna intervenire il prima possibile per andare nella direzione auspicata e dare come Paese il nostro contributo nel camminare più speditamente verso l’obiettivo delle emissioni nulle?
L’Italia ha un potenziale straordinario. E il fatto che non sia stato pienamente sfruttato lo abbiamo già pagato, perché

la crisi dei prezzi del gas ha prodotto inflazione, tanto più quanto più dipendiamo ancora dalle fonti fossili. Questo ha causato danni per le imprese e per le famiglie.

Quindi

accelerare nella transizione non è un costo, è un beneficio.

Per farlo, dobbiamo portare a termine il processo di definizione delle aree idonee tra Governo e Regioni, perché sono le aree dove poi è più facile e più agevole realizzare nuovi impianti. Dobbiamo, come dicevo prima, accelerare le autorizzazioni e realizzare la parte migliore di tutti quei progetti che sono stati presentati dai privato, autorizzarli: penso soprattutto agli impianti eolici offshore. E poi bisogna procedere in questo percorso di rimozione dei sussidi ambientalmente dannosi, però dev’essere guidato in modo tale che sia politicamente sostenibile, senza creare rivolte o proteste da parte delle categorie che sono coinvolte.

Scarica l’articolo in pdf / txt / rtf /

The post Cop28. Becchetti (economista): “A Dubai sottoscritto un buon accordo. Accelerare nella transizione non è un costo, è un beneficio” first appeared on AgenSIR.

Termovalorizzatore ad Acerra. Mons. Di Donna: “L’incontro con De Luca positivo. Avviata una fase di dialogo e trasparenza”

Mer, 13/12/2023 - 16:10

Una valutazione attenta sulla situazione ambientale del territorio di Acerra e sulle problematiche relative al termovalorizzatore. È stata al centro di un incontro chiesto dal vescovo di Acerra e presidente della Conferenza episcopale campana, mons. Antonio Di Donna, al presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca. Durante l’incontro, avvenuto nei giorni scorsi, De Luca ha comunicato che la Regione avvierà da subito un’operazione trasparenza, a cominciare dai dati sanitari reali relativi al territorio in questione. La tutela della salute e la più completa e trasparente informazione ai cittadini sono un punto di partenza irrinunciabile. A tal fine sarà avviato un aggiornamento tempestivo e continuo, anche con l’impegno di autorità scientifiche e sanitarie nazionali, dei dati epidemiologici rilevati sul territorio. In questo contesto la Regione sospenderà ogni decisione relativa al termovalorizzatore e all’ipotesi di quarta linea avviando una ricognizione dettagliata e attualizzata sui programmi di smaltimento dei rifiuti. Inoltre, il presidente ha comunicato che sarà dato orientamento agli uffici regionali di non autorizzare l’installazione di nuovi impianti di trattamento rifiuti in un’area nella quale insiste già una grande quantità di tali impianti, tenendo, conto dei parametri già approvati dalla Regione per la classificazione delle aree sature. Sarà promossa anche un’azione di controllo sugli impianti già esistenti, per verificare che siano rispettate le norne di tutela ambientale. Si è deciso, infine, di dare vita a un comitato di saggi, con rappresentanze territoriali, scientifiche, di personalità terze, con cui verificare, in un clima di totale trasparenza e collaborazione, tutti i programmi e le decisioni da porre in essere in futuro. Dopo l’incontro abbiamo parlato con mons. Antonio Di Donna.

(Foto: Luigi Buonicontro – giornale Tablò)

Eccellenza, com’è andato l’incontro con il presidente De Luca?

È stato molto soddisfacente: ho trovato un presidente molto disponibile ad accogliere le istanze che, attraverso di me, porta avanti la popolazione, a cui sono vicino da anni. L’incontro è avvenuto dopo la grande mobilitazione dello scorso 14 ottobre con circa 12mila persone qui ad Acerra contro la cosiddetta quarta linea del termovalorizzatore. Io ho raccolto anche le istanze dei comitati e ho chiesto un colloquio a De Luca.

Si può parlare di svolta?

Sì, penso che siamo di fronte a una svolta rispetto a un recente passato. Un’altra parola chiave è dialogo.

L’incontro è stato l’avvio di un dialogo. Ho presentato a De Luca tutte le istanze che vengono dalla popolazione e dai comitati, hanno parlato i tecnici della regione e alla fine ha concluso il presidente. Si apre una fase nuova con dei punti molto precisi e dettagliati sui quali De Luca si impegna. È molto positivo e importante che voglia avviare un’operazione trasparenza, cominciando dai dati sanitari relativi al territorio, e che per questo motivo sospenda ogni decisione relativa alla quarta linea.

(Foto: ANSA/SIR)

Quindi è venuto incontro a tutte le sollecitazioni?

Certamente De Luca ha manifestato anche le ragioni dell’ente Regione, che comprendo perché nessuno vuole tornare alla fase dei rifiuti in mezzo alla strada. Su questo punto l’Istituzione ha ragione; però, salvato questo, noi gli abbiamo chiesto di riconoscere le ragioni di un popolo che ha già dato, di una zona che è satura. Abbiamo chiesto che venga fatta meglio la raccolta differenziata, soprattutto a Napoli, perché se la città di Napoli facesse meglio la differenziata, noi risolveremmo almeno metà del nostro problema: infatti, la maggior parte dei rifiuti che vengono bruciati nel termovalorizzatore provengono dalla città di Napoli e non sono differenziati. Soprattutto il presidente De Luca si è impegnato a non autorizzare l’installazione di nuovi impianti di trattamento dei rifiuti fino a quando non si avranno idee chiare su questa valutazione dei dati sanitari. Si è anche impegnato ad avviare il procedimento affinché Acerra sia definita zona satura in modo che non sia possibile più dare spazio a nuovi impianti di trattamento dei rifiuti. Infine, darà vita a un comitato di saggi con rappresentanze anche della cittadinanza, quindi personalità terze, con cui verificare tutto questo. Credo, per questo, che possiamo essere veramente soddisfatti.

Cosa avverrà adesso?

Comincia una fase delicata perché si tratta di dare attuazione concreta a quanto è stato detto durante l’incontro. Finora c’era il timore per la quarta linea. La Regione diceva che era una linea solo di emergenza, caso mai si fosse guastata qualche linea dell’inceneritore e che questa quarta linea di riserva servisse per evitare il peggio, ma nessuno ci credeva: io l’ho detto esplicitamente che la gente non credeva alla linea di riserva e aveva un timore fondato che fosse di fatto un ingrandimento dell’inceneritore affinché potesse bruciare di più.

(Foto: ANSA/SIR)

Si contano sempre tantissimi morti per cause tumorali?

Anche su questo vuole attivare un Registro dei tumori per avere sotto monitoraggio la situazione, ma noi pastori l’abbiamo già il monitoraggio perché andiamo a celebrare le esequie, seguiamo le famiglie con gli ammalati. Nei primi sei mesi di quest’anno io solo, seguendo per quanto posso le situazioni di malattie, ho celebrato cinque o sei esequie di ragazzi morti di cancro solo nella città di Acerra, non in tutta la diocesi. Io ho suggerito di prendere studi scientifici come punto di riferimento, per esempio le Istituzioni non hanno mai preso in considerazione un importante rapporto, che per noi è la magna carta, realizzato dall’Istituto superiore di sanità a gennaio 2021, che dopo 4 anni di monitoraggi e approfondimenti concluse che nella zona dei comuni nell’area nord di Napoli c’era un tasso molto più alto di morti infantili.

Che ruolo avrà il comitato dei saggi?

Certamente non avrà un potere decisionale, ma un’autorità morale riconosciuta di dire qual è la situazione. Non avrà un potere di scelta politica, ma se il presidente stesso della Regione ha voluto un comitato di saggi per una valutazione ambientale, epidemiologica e questa valutazione dovesse concludersi in un senso ma non viene rispettata sarebbe un controsenso, è per questo che attribuisco molta importanza agli impegni che ha preso De Luca perché sono vincolanti. C’è un clima di fiducia a partire da me, che altre volte sono stato abbastanza critico, oggi sono ottimista, spero di non dovermi ricredere un domani.

Chi farà parte del comitato? Anche rappresentanti della diocesi?

Questo è presto per dirlo, certamente ci dovranno essere rappresentanti dei cittadini e dei comitati.

Si è pensato eventualmente non solo di non fare la quarta linea ma di ridurre lo smaltimento di rifiuti nel termovalorizzatore di Acerra?

Facciamo un passo alla volta, si deve arrivare al punto che l’inceneritore sia controllato. Deve essere tutto pubblico, trasparente. De Luca stesso la parola che ha usato di più è stata trasparenza. Questo vuol dire che dovrebbe essere detto come funziona il termovalorizzatore, come brucia, quanto brucia.

A questo bisogna arrivare: sapere i dati certi. E come ho sempre detto il controllore deve essere un soggetto terzo rispetto all’ente controllato.

Ma ora voglio trasmettere questo clima di fiducia, l’avvio di un dialogo. Io ho sempre ribadito che dal dramma ambientale non si esce se non nel dialogo tra i vari soggetti in campo: le Istituzioni, i comitati, le madri coraggio, i medici per l’ambiente, i cittadini e la Chiesa, a cui sta a cuore ogni persona. Noi siamo partiti da questo: dalla vicinanza alla sofferenza della gente. Dopo Natale tornerò alla carica con De Luca.

Scarica l’articolo in pdf / txt / rtf /

The post Termovalorizzatore ad Acerra. Mons. Di Donna: “L’incontro con De Luca positivo. Avviata una fase di dialogo e trasparenza” first appeared on AgenSIR.

Diritto d’asilo. Fondazione Migrantes: “114 milioni di persone non libere di scegliere se restare”

Mer, 13/12/2023 - 13:54

Da una parte la situazione del diritto d’asilo nel mondo, in Europa e in Italia e, dall’altra, il forte appello che Papa Francesco ha lanciato in occasione dell’ultima Giornata mondiale del migrante e del rifugiato, chiedendo che ogni abitante della Terra sia veramente libero di scegliere se migrare o restare: una sconfortante antitesi. Oggi 114 milioni di persone (un abitante della Terra su 71 e, in cifra assoluta, sei milioni in più rispetto alla fine del 2022) non sono stati liberi di scegliere se restare. Perché sempre più numerosi sono i conflitti e sempre più gravi, in alcune aree del mondo, le situazioni di crisi economica o sociale e le difficoltà nel procurarsi cibo ed acqua, mentre si è sempre meno capaci, a livello globale, di gestire processi di pace e non lo si è ancora abbastanza nella salvaguardia del pianeta. Ma anche guardando al secondo verbo di Papa Bergoglio, quello che ammonisce sulla libertà di migrare, non si può fare a meno di constatare, con amarezza, che le politiche europee e del nostro Paese stanno facendo di tutto per limitare l’ingresso a chi è in cerca di protezione. Benché esso sia tutelato da stringenti convenzioni internazionali, si accumulano le nuove norme che rendono più difficile sia l’accesso al territorio sia la possibilità, per chi ce l’ha fatta ad arrivare, di essere realmente riconosciuto e preso in carico. Se ne parla ne “Il diritto d’asilo. Report 2023. Liberi di scegliere se migrare o restare?” (Tau Editrice 2023, p. 400), settima edizione del rapporto che la Fondazione Migrantes dedica al “mondo” dei rifugiati e delle migrazioni forzate. Articolata nelle ormai tradizionali quattro sezioni “Dal mondo con lo sguardo rivolto all’Europa”, “Tra l’Europa e l’Italia”, “Guardando all’Italia” e “Approfondimento teologico”, la pubblicazione è curata da un’équipe di studiosi e operatori impegnati da anni al fianco di rifugiati e richiedenti asilo.

Nella terza parte – “Guardando all’Italia” – si punta l’attenzione sulla ricerca “Sinapsi” (sostenuta dalla Fondazione Migrantes e condotta tra il 2018 e il 2022) interpellando direttamente migranti che hanno fatto esperienza di diversi sistemi di accoglienza. Attraverso focus group e interviste sono state raggiunte oltre 350 persone in tutte le regioni italiane, grazie anche alla rete degli enti di tutela della rete Europasilo, che ha permesso di dialogare con diversi gruppi di migranti: da coloro che stavano vivendo accoglienze nel Sai (Sistema di accoglienza e integrazione) a coloro che, fuori da ogni sistema, soffrivano condizioni di sfruttamento lavorativo, da gruppi di esclusi dai sistemi a seguito dei decreti “Salvini” a persone che, durante la pandemia di Covid-19, stavano perdendo la loro fragile autonomia lavorativa, da persone accolte in grandi centri governativi e in Cas ad altre che vivevano in “ghetti” auto-organizzati. I migranti interpretano i messaggi che arrivano loro dalla società e dalle istituzioni e quelli che percepiscono sono violenti segnali di “divieto”: non puoi arrivare, non puoi stare, non puoi fare, non puoi essere, non puoi diventare. Quindi non sei (ancora) una persona e devi rinascere, ma “da solo”.

Gli arrivi in Italia: le “rotte” di mare e di terra. Nel 2023 conflitti, violenze, povertà e il desiderio di una vita migliore hanno portato verso l’Italia un numero crescente di migranti e rifugiati: 144mila quelli sbarcati dopo aver superato la traversata del Mediterraneo sino alla fine di ottobre: + 69% rispetto allo stesso periodo del 2022. Si è invece quasi fermato, nonostante l’incancrenirsi della guerra in Ucraina, il flusso di profughi dal Paese invaso: sulle quasi 174mila persone in fuga che hanno varcato la frontiera italiana dal marzo ’22, quelle giunte quest’anno fino a giugno sono poco più di 300. Negli arrivi dal Mediterraneo, dopo un triennio caratterizzato da migranti provenienti da Tunisia, Egitto e Bangladesh, sono tornate a prevalere le persone d’origine subsahariana: Guinea e Costa d’Avorio i due Paesi più rappresentati. Dal 1° gennaio al 31 luglio 2023 le navi gestite da organizzazioni della società civile sono intervenute in eventi Sar che hanno por-tato in salvo nel nostro Paese 3.777 rifugiati e migranti: il dato supera appena il 4% di tutti quelli che nel periodo sono sbarcati in Italia (89.157) fra eventi Sar in mare e sbarchi autonomi; se si guarda ai soli eventi Sar, la percentuale non raggiunge il 6%. In tutto il 2022 i rifugiati e migranti arrivati in Italia grazie a un soccorso in mare effettuato da Ong erano stati 12.005, l’11% di tutte le persone sbarcate e il 21% di quelle sbarcate dopo eventi Sar. I battelli di salvataggio delle Ong hanno subito quest’anno ostacoli e direttive senza precedenti. Eppure, “malgrado queste azioni di dissuasione e deterrenza in mare, le persone continuano a partire da Libia e Tunisia e a sbarcare in Italia. Perché? Perché i soccorsi delle Ong non sono un pull factor”. Ma intanto, al 30 ottobre i migranti morti e dispersi nel Mediterraneo centrale dall’inizio dell’anno erano ormai 2.186: quasi 800 in più di quelli registrati in tutto il 2022. Anche quest’anno il report su Il diritto d’asilo guarda alle frontiere di terra con la Slovenia, l’Austria, la Svizzera e la Francia riportando le cifre sui migranti “irregolari” rintracciati, sui migranti “riammessi” oltre frontiera, sulle “riammissioni” in Italia e sui respingimenti dal confine con la Francia (già 21.600 in questo 2023 fino a luglio, contro i 19.200 dello stesso periodo del 2022, anno nel quale hanno raggiunto un totale di oltre 40.500). Sono 62, invece, le “riammissioni attive” già eseguite verso la Slovenia quest’anno, contro le 31 del medesimo periodo del ’22 (che ne ha totalizzate 64 in 12 mesi).

Scarica l’articolo in pdf / txt / rtf /

The post Diritto d’asilo. Fondazione Migrantes: “114 milioni di persone non libere di scegliere se restare” first appeared on AgenSIR.

Papa Francesco: “No alle armi, sì alla pace”

Mer, 13/12/2023 - 10:34

“Continuo a seguire con grande preoccupazione la situazione in Israele e Palestina”. Lo ha rivelato Papa Francesco, al termine dell’udienza generale di oggi, in Aula Paolo VI, nella quale ha concluso il ciclo di catechesi dedicata allo zelo apostolico. “Continuo a rinnovare il mio appello per un immediato cessate il fuoco umanitario”, ha proseguito Francesco durante i saluti ai fedeli di lingua italiana: “Si soffre tanto lì”. “Incoraggio tutte le parti a riprendere i negoziati – l’appello – e chiedo a tutti di assumersi l’urgente impegno di far arrivare gli aiuti umanitari alla popolazione di Gaza, che è allo stremo e ne ha veramente bisogno. Si liberino tutti gli ostaggi, che avevano visto la speranza di una tregua qualche giorno fa. Che questa grande sofferenza per gli israeliani e i palestinesi finisca! Per favore, no alle armi, sì alla pace”. “Non dimentichiamo di chiedere il dono della pace per le popolazioni che soffrono a causa della guerra, specialmente per  la martoriata Ucraina e per Israele e Palestina”, ha concluso Francesco.

“Il cristiano deve essere aperto alla Parola di Dio e al servizio degli altri: i cristiani chiusi finiscono male sempre, perché non sono cristiani, sono ideologi”.

È l’esordio dell’ultima catechesi sullo zelo apostolico, che “riguarda ogni cristiano”, ha sottolineato il Papa. “Il cristiano deve essere aperto”, ha ripetuto soffermandosi sullo “slancio missionario”, che esorta i credenti ad “andare oltre”. Commentando il brano evangelico della guarigione del sordomuto, Francesco si è soffermato sul rito dell’Effatà, “parola decisiva” di Gesù che in aramaico significa “apriti”. “Gesù è capace di aprire le orecchie e la bocca”, ha commentato ancora a braccio il Papa, ricordando che “il fenomeno del mutismo e della sordità nella Bibbia è soprattutto metaforico e designa la chiusura ai richiami di Dio”. “C’è una sordità fisica, ma nella Bibbia quello che è sordo alla Parola di Dio è muto, e non parla la Parola di Dio”, l’altro commento a braccio. Effatà, ha spiegato Francesco sempre sulla scorta del brano evangelico. “È un invito rivolto non tanto al sordomuto, che non poteva sentirlo, ma proprio ai discepoli di allora e di ogni tempo”. “Anche noi, che abbiamo ricevuto l’effatà dello Spirito nel Battesimo, siamo chiamati ad aprirci”, l’invito del Papa: “Sentiamoci tutti chiamati, in quanto battezzati, a testimoniare e annunciare Gesù. E chiediamo la grazia, come Chiesa, di saper attuare una conversione pastorale e missionaria”. “Anche noi interroghiamoci, ognuno di noi faccia questa domanda a se stesso”, l’invito finale: “Amo davvero il Signore, al punto da volerlo annunciare? Voglio diventare suo testimone o mi accontento di essere suo discepolo? Prendo a cuore le persone che incontro, le porto a Gesù nella preghiera? Desidero fare qualcosa perché la gioia del Vangelo, che ha trasformato la mia vita, renda più bella anche la loro? Pensiamo queste domande e andiamo avanti con la nostra testimonianza”.

Scarica l’articolo in pdf / txt / rtf /

The post Papa Francesco: “No alle armi, sì alla pace” first appeared on AgenSIR.

Sorpresa positiva

Mer, 13/12/2023 - 00:05

Il presidente di Cop28 Sultan Al Jaber, dopo il ripensamento sulla sua gaffe iniziale, è stato di parola e coerente fino in fondo, tanto da portare in assemblea e senza dibattito un accordo finale “storico” raggiunto all’ultimo momento tra i quasi 200 Paesi presenti a Dubai. Nonostante i dubbi, le perplessità e il pessimismo che serpeggiavano anche negli ultimi giorni, occorre dire che questa è una bella notizia poiché per la prima volta – nessuno ormai se l’aspettava – si è riusciti a fare entrare nel documento concordato non solo il termine “combustibili fossili”, ma l’impegno alla loro progressiva e definitiva eliminazione. La modalità che è riuscita a mettere d’accordo anche i comprensibilmente renitenti “Paesi produttori” è il verbo esplicito e impegnativo “abbandonarli”, anziché il più drastico “uscirne”.
Sta di fatto che Cop28 ha dato ascolto, insperabilmente si può dire ormai, alle sollecitazioni e appelli venuti da più fonti autorevoli – a cominciare da Papa Francesco –, oltre che all’evidenza scientifica, per salvare il pianeta e i suoi abitanti. Nella consapevolezza che questo è il decennio decisivo, poiché c’è il rischio di superare nel riscaldamento globale l’1,5 °C entro il 2025, si è determinato che l’azione per la riduzione delle emissioni di gas serra dev’essere “immediata”, pur lasciando alla responsabilità e alle condizioni di ogni Paese la gradualità necessaria. Essa infatti – com’è ragionevole, dato il gap attuale evidente tra Paesi – deve ispirarsi ad uno “sviluppo sostenibile”, allo sradicamento della povertà e a principi di equità, in corrispondenza alle differenti circostanze nazionali. Ma il principio fondamentale dell’abbandono dei combustibili fossili riguarda ormai tutti per arrivare globalmente ad un’emissione di zero netto entro il 2050.
Tra gli altri punti approvati, l’impegno a triplicare la capacità di energie rinnovabili e a duplicare gli sforzi per l’efficienza energetica: si tratta degli impegni già presi autonomamente ed esemplarmente dall’Ue, che dunque è diventata di fatto ispiratrice della svolta “epocale” che potrà limitare efficacemente i danni di un “progresso” incontrollato (almeno così si spera). A Dubai, a conclusione dei lavori, l’Ue, che ha premuto fino alla fine, ha espresso soddisfazione per il risultato raggiunto, soprattutto per l’esplicito e innovativo riferimento ai combustibili fossili. Soddisfazione anche dagli Usa. Più cauti ma consenzienti altri grandi Paesi come Cina e India, paghi del riconoscimento di una gradualità che concede comunque una discrezionalità sufficiente, ma non indefinita o infinita, per una seria programmazione del percorso obbligato di transizione verso una economica giusta ed equa.
Il punto che aveva trovato fin dall’inizio l’accordo, cioè il finanziamento della transizione nei Paesi più poveri con il risarcimento dei danni subiti e l’incremento delle nuove tecnologie, è stato ovviamente ribadito, calcolando un fabbisogno finanziario di circa 400 miliardi all’anno per l’adattamento e oltre 4.000 miliardi all’anno per energia pulita entro il 2030, aumentandoli successivamente fino a 5.000 miliardi per puntare all’obiettivo previsto di emissioni zero nel 2050, anche se, a dire il vero, finora non si è tenuto fede agli impegni già presi. Considerando che questa, come varie altre precedenti edizioni di Cop – e anche la prossima 29 prevista a Baku in Azerbaijan e la successiva 30 in Brasile – sono organizzate in paesi che fanno del petrolio e degli altri combustibili fossili il loro punto di forza economica, era da temere che un passo così decisivo difficilmente sarebbe stato fatto in tempo utile “prima che sia troppo tardi”, come ha considerato il segretario dell’Onu commentando il risultato e ribadendo che, volenti o nolenti, l’eliminazione di quelle fonti energetiche è inevitabile.
Come non mancano i negazionisti sul riscaldamento globale, piuttosto sprovveduti, così non mancano e non mancheranno gli insoddisfatti tra gli ambientalisti “estremisti” – che continuano a manifestare clamorosamente un po’ dappertutto. Ma fare passi avanti, e tutti insieme, non è facile: non bastano parole o slogan, occorrono accordi e fatti, questi ultimi soprattutto. Ed è qui la sfida che Cop28 ha lanciato e che tutti dobbiamo raccogliere. Anche individualmente, limitando i consumi “energivori”, anche a costo di “diventare più poveri”. In fondo, è pure questo l’annuncio che ci apprestiamo a rievocare celebrando il Natale del Verbo di Dio che “da ricco che era si è fatto povero” in un Bambino.

(*) direttore di “Nuova Scintilla” (Chioggia)

Scarica l’articolo in pdf / txt / rtf /

The post Sorpresa positiva first appeared on AgenSIR.

Cancro: in Italia 400mila nuove diagnosi nel 2023. Ma più vite salvate

Mar, 12/12/2023 - 15:55

Dal 2007 al 2019 in Italia sono state evitate 268.471 morti per cancro. Diagnosi tempestive e più precise, terapie innovative e calibrate su misura, oltre ad una migliore assistenza, hanno inciso in modo determinante nel salvare vite. Si sarebbe potuto fare molto di più eliminando il tabagismo. Perché se nel nostro Paese, nel 2023, si stimano 395mila nuove diagnosi di tumore (208.000 negli uomini e 187.000 nelle donne), in aumento rispetto alle 376.600 del 2020, è perché il fumo di sigaretta pesa ancora moltissimo nello scatenare la malattia. Soprattutto nelle donne, per le quali il big killer è proprio il cancro del polmone che, nel periodo 2007-2019, ha fatto registrare un eccesso di 16.036 morti, il 16% in più di quanto atteso nelle stime, a dimostrazione di una diversità di genere nella diffusione dell’abitudine di fumare, visto che, negli uomini, il 36,6% delle morti oncologiche evitate nel periodo 2007-2019 è legato in buona parte ai progressi nella lotta al tabagismo.

Il tumore più frequentemente diagnosticato, nel 2023, è il carcinoma della mammella (55.900 casi), seguito da colon-retto (50.500), polmone (44.000), prostata (41.100) e vescica (29.700). E, nei prossimi due decenni, il numero assoluto annuo di nuove diagnosi oncologiche nel nostro Paese aumenterà, in media ogni anno, dell’1,3% negli uomini e dello 0,6% nelle donne. È quanto emerge dal 13simo censimento ufficiale contenuto nel volume “I numeri del cancro in Italia 2023”, presentato al Museo dell’Istituto superiore di sanità, a Roma, e promosso dall’Associazione italiana di oncologia medica (Aiom), Associazione italiana registri tumori (Airtum), Fondazione Aiom, Osservatorio nazionale screening (Ons), Passi (Progressi delle Aziende sanitarie per la salute in Italia), “Passi d’Argento” e dalla Società italiana di Anatomia patologica e di citologia diagnostica (SIAPeC-Iap).

Le tante vite salvate, spiegano gli autori del rapporto, dimostrano che questa patologia è sempre più curabile. Molti pazienti la superano tornando a una vita “come prima”. Altri invece non hanno ricevuto particolari miglioramenti: in particolare, come detto, le donne fumatrici (alle prese con il carcinoma polmonare), e coloro, di entrambi i sessi, che si ammalano di cancro del pancreas o di melanoma. Anche se, per quest’ultima malattia, negli ultimissimi anni l’immunoterapia sta imprimendo un’autentica svolta cambiandone la storia clinica.
In realtà, tanti tumori possono essere evitati con la prevenzione primaria (e quindi perseguendo stili di vita corretti) e secondaria (aderendo agli screening e facendo controlli periodici). Basterebbe questo per abbattere definitivamente l’incidenza della malattia. L’indagine però rileva ben altro: nel nostro Paese il 24% degli adulti fuma, il 29% è sedentario, il 33% è in sovrappeso e il 10% è obeso, il 17% consuma alcol in quantità tale da mettere a serio rischio la salute: tutte caratteristiche che si sposano con l’insorgenza dei tumori. Nel 2022, inoltre, si è assistito a livello nazionale a un calo del 3% della copertura degli screening mammografico (43%) e colorettale (27%), che, nel 2021, erano tornati ai livelli prepandemici. È drastica la diminuzione al Nord, dove l’adesione alla mammografia è passata dal 63% nel 2021 al 54% nel 2022 e allo screening colorettale, in discesa dal 45% al 38%.

Il rapporto, scrive nel libro il ministro della Salute, Roberto Schillaci, non solo stima un aumento dei casi nel 2023 ma “indica, per i prossimi due decenni, un incremento di nuove diagnosi oncologiche. È necessario continuare a lavorare per rafforzare la cultura della prevenzione primaria e secondaria, a partire dai più giovani” e la “promozione degli screening, aumentandone i livelli di copertura, riducendo la disomogeneità territoriale e aprendo alla prospettiva di estenderli a tumori attualmente non compresi nei programmi nazionali. Oggi sappiamo con certezza che individuare il cancro nelle sue fasi iniziali vuol dire garantire un tasso di sopravvivenza maggiore e una migliore qualità della vita. È questo il messaggio che dobbiamo veicolare con forza, anche attraverso il contributo fondamentale delle associazioni”.
Altrettanto importante, conclude il ministro, è il ruolo della ricerca. Così come, evidenzia il presidente della Fondazione Aiom, Saverio Cinieri, la garanzia, per tutti i pazienti, di poter essere trattati con le “cure sempre più innovative. Situazioni cliniche, per le quali, fino a un decennio fa, le opzioni terapeutiche erano molto limitate, oggi prevedono una sequenza di più linee di trattamento”. Esempi, in questo senso, sono “i tumori del rene, della prostata o l’epatocarcinoma – riprende Cinieri -. La caratterizzazione molecolare, in aggiunta alla classica diagnosi istologica, è necessaria in tutti i casi per i quali siano disponibili in pratica clinica terapie mirate”.


Di nuove cure nuove parla anche Massimo Di Maio, presidente eletto dell’Aiom: “L’altra grande rivoluzione è rappresentata dall’introduzione dei farmaci immunoterapici di nuova generazione. L’immunoterapia ha modificato l’algoritmo terapeutico di numerosi tumori solidi e si caratterizza per ottenere, in una percentuale di pazienti, una risposta di lunghissima durata, anche di anni. Ad esempio, quando il trattamento del carcinoma polmonare non a piccole cellule avanzato era rappresentato dalla sola chemioterapia, la sopravvivenza a 5 anni era intorno al 5%. Oggi, gli studi condotti con l’immunoterapia dimostrano che la possibilità di essere vivi a 5 anni è salita fino al 20-30%”. Non sempre, però, denuncia Cinieri, “i progressi nella diagnosi sono implementati con la stessa tempestività in tutti i centri. Affrontare il tema della salute significa confrontarsi con le aspettative e le attese di milioni di pazienti, immedesimarsi con i loro disagi quotidiani e difendere la loro qualità di vita. Per questo dobbiamo impegnarci per continuare a tenere alto l’attuale livello del Sistema sanitario nazionale, che resta uno dei migliori al mondo, e dobbiamo consolidare ancor di più la collaborazione fra istituzioni, clinici e pazienti, affinché vengano superate le differenze assistenziali che, purtroppo, ancora oggi esistono in diverse realtà del nostro Paese”.

*Avvenire

Scarica l’articolo in pdf / txt / rtf /

The post Cancro: in Italia 400mila nuove diagnosi nel 2023. Ma più vite salvate first appeared on AgenSIR.

Pagine