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Servizio Informazione Religiosa
Aggiornato: 3 mesi 3 settimane fa

Medicina solidale. In strada contro l’apartheid sanitario al fianco delle persone più fragili

Gio, 07/12/2023 - 12:11

In Italia si sta verificando una sorta di apartheid sanitario, di discriminazione legata alla possibilità o meno di accedere alle cure mediche. Se ne è parlato in un webinar promosso il 6 dicembre dall’associazione Scienza&Vita. Focus sulla medicina solidale, che con i suoi ambulatori di strada e per strada si prende cura delle persone più fragili o segnate da profonde ferite sociali ed economiche

Apartheid sanitario. “Oggi sta emergendo un tema di cittadinanza minoritaria, ossia di cittadini che non hanno possibilità di trovare nei servizi sanitari quell’eccellenza che dovrebbe essere garantita costituzionalmente a tutti. Si stanno creando nuove forme discriminatorie legate alla possibilità di curarsi”. A lanciare l’allarme è stato la sera del 6 dicembre Alberto Gambino, presidente di Scienza&Vita e prorettore Università europea di Roma, inaugurando il primo dei due webinar promossi dall’associazione sul tema della “medicina solidale” (il secondo si svolgerà mercoledì prossimo, 13 dicembre). Per Maurizio Calipari, bioeticista e portavoce dell’associazione, che ha moderato l’incontro, “ci sono esigenze nuove cui bisogna dare risposta, situazioni emergenziali e nuovi bisogni. Come assicurare una cura per tutti?”. La medicina odierna – e i sistemi sanitari che erogano i servizi – “devono affrontare questa crescente sfida”, un vero “apartheid sanitario”.

Foto: screenshot da webinar

Recuperare l’essere medici. Ma qual è oggi il rapporto medico-paziente?

“Forse dovremmo recuperare la dimensione dell’essere medici, non del fare i medici”,

ha risposto Dario Sacchini, docente di bioetica all’Università Cattolica di Roma, sottolineando il “capovolgimento” di questa relazione. “Dal modello quasi paternalistico del passato si è passati ad un modello contrattualistico” nel quale “si fa sempre più strada il cosiddetto principio di rispetto dell’autodeterminazione del soggetto, positivo in linea di principio ma pericoloso quando questo prende la via del braccio di ferro tra paziente e medico”. Per Sacchini, anche il modello contrattualistico si è tuttavia rivelato insufficiente: “Ora si sta navigando verso un tipo di relazione nella quale medico e paziente sono compagni di viaggio, ovviamente con competenze e ambiti diversi, insieme analizzano il problema di salute, lo interpretano e insieme decidono il percorso da intraprendere in una pianificazione condivisa delle cure”.

Medicina di strada e scuola di specialità. “Oggi abbiamo in carico 347 persone senza fissa dimora. Dal 2016 abbiamo erogato 3.462 prestazioni ambulatoriali al cui interno sono compresi esami strumentali che altrimenti avrebbero avuto difficoltà a fare”. Giovanni Addolorato, direttore Uoc Medicina Interna 2 e patologie alcol-correlate del Policlinico universitario Agostino Gemelli Irccs di Roma, da diversi anni opera concretamente nel campo della medicina solidale. “Lavorando in ospedale abbiamo constatato che una fetta di popolazione non ha accesso alle cure primarie,”, ha raccontato. Così, “all’interno della mia Unità di Medicina interna abbiano deciso di dedicare un numero di letti a chi viene normalmente escluso da queste cure (persone senza documenti e/o senza fissa dimora)”. Addolorato opera in sinergia con una rete territoriale costituita da Elemosineria vaticana, Caritas e Comunità di Sant’Egidio. E i risultati non mancano: “I nostri pazienti hanno una degenza media di 7 giorni, una buona percentuale riesce a riguadagnare salute e alcuni anche a reinserirsi socialmente”.

Foto: screenshot da webinar

Ma la medicina solidale richiede una preparazione specifica: occorre fare anche medicina di strada nelle strutture di prima accoglienza. Per questo, ha spiegato, “abbiamo attivato una scuola di specialità” che si chiama Medicina di comunità e delle cure primarie all’interno della quale, oltre all’attività in reparto e ambulatorio, la maggior parte dei quattro anni di percorso formativo è concentrata sulla medicina di strada: gli specializzandi dovranno andare ad esempio al quartiere Tufello dove è attivo un servizio di “portierato sociale” con volontari che segnalano i casi di fragilità, o sotto il porticato di san Pietro per “intercettare quella quota di persone che nei PS o in ospedale non si è sentita accolta”. Apprezzamento da parte del ministero dell’Università che ha attribuito alla scuola, appena avviata, addirittura cinque posti. “La principale difficoltà incontrata e condivisa da tutti i medici del mio team – rivela Addolorato – è il carico emotivo davvero importante. Uno dei miei primi pazienti, un ragazzo romeno senza fissa dimora di nome Tudor, è rimasto incredulo di fronte alla mia richiesta di visitarlo: nei suoi precedenti accessi al PS non era stato mai toccato da nessuno perché, dicevano tra loro i medici, puzzava”.

Eroi della sopravvivenza. Un impegno ormai ventennale di ambulatori di strada e per strada nelle periferie romane è il servizio di medicina solidale nato a Tor Bella Monaca per iniziativa di un gruppo di medici guidati da Lucia Ercoli, docente di Malattie infettive all’Università di Roma Tor Vergata e direttore scientifico dell’Istituto di medicina solidale (Imes), associazione di volontariato sorta nel 2003 per prendersi cura di persone socialmente svantaggiate ed escluse dall’assistenza sanitaria.

“Ognuno dei nostri pazienti potrebbe essere considerato l’eroe di un’epica della sopravvivenza”,

ha premesso Ercoli raccontando la nascita della medicina solidale e il supporto ricevuto fin dall’inizio dal Policlinico di Tor Vergata. “Il bisogno di salute sommerso lo devi andare a cercare, ma riguarda migliaia di persone”, ha spiegato la dottoressa parlando di “aree di apartheid sanitario” e di medicina di strada nelle periferie della capitale. Un pilastro fondamentale è la salute materno-infantile.

Foto: screenshot da webinar

“Siamo presenti in tre municipi come ambulatori di strada – ha  detto ancora -, mentre le unità di strada si muovono in diversi municipi ed anche in altri Comuni che raggiungiamo attraverso il passaparola. L’esclusione dal diritto alla cura è cartina al tornasole della negazione di altri diritti:

centinaia di bambini non accedono neppure ad un pasto sicuro al giorno e non hanno una casa decente”.

“Noi lavoriamo molto sulla prevenzione: forniamo viveri a 970 famiglie. Grazie alla distribuzione di pasti abbiamo aiutato molte donne a non ricorre all’interruzione volontaria di gravidanza”. L’intervento, ha ribadito Ercoli, deve essere sociosanitario, integrato: non basta curare i bambini sottopeso, occorre una strategia di contrasto alla malnutrizione infantile. Di qui la distribuzione di omogeneizzati per i più piccoli. “Quando proponiamo un percorso diagnostico e/o terapeutico occorre capire se la persona è in grado di seguirlo; altrimenti interveniamo. Tramite mediatori sociali facciamo anche orientamento e accompagnamento ai servizi”. I bimbi seguiti in ambulatorio sono circa 900: quest’anno ognuno di loro è stato visitato almeno tre volte.

E c’è una nuova emergenza, la patologia psichiatrica tra i bambini:

“Per 120 di loro abbiamo avviato un percorso diagnostico e terapeutico gratuito”.

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L’oblio oncologico è legge: tutte le novità del Ddl

Gio, 07/12/2023 - 10:53

Dopo l’approvazione della Camera nello scorso agosto, per la legge sull’oblio oncologico è arrivato ora il sì definitivo – e all’unanimità – da parte del Senato. Le nuove norme sanciscono “il diritto delle persone guarite da una patologia oncologica di non fornire informazioni né subire indagini in merito alla propria pregressa condizione patologica” e questo “al fine di escludere qualsiasi forma di pregiudizio o disparità di trattamento”, come recita l’articolo 1 della legge.

Un provvedimento molto atteso per il suo contenuto di civiltà e per le sue concrete conseguenze a vantaggio di tante persone, in linea con la nostra Costituzione e con la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e di altri accordi internazionali. Il diritto all’oblio oncologico vale per l’accesso ai servizi bancari, finanziari e assicurativi (articolo 2), nel campo delle procedure per l’adozione (articolo 3) e nell’ambito del lavoro e dei concorsi (articolo 4). L’articolo 5 disciplina alcuni tempi di attuazione – coinvolgendo le organizzazioni del Terzo Settore, peraltro chiamate in causa più volte nel testo della legge – prevede la nullità di eventuali clausole in contrasto con le nuove norme e stabilisce che sia il Garante per la protezione dei dati personali a vigilare sulla loro applicazione.
Vediamo più nel dettaglio alcune delle nuove disposizioni. “Ai fini della stipulazione o del rinnovo di contratti relativi a servizi bancari, finanziari, di investimento e assicurativi nonché nell’ambito della stipulazione di ogni altro tipo di contratto, anche esclusivamente tra privati, quando, al momento della stipulazione del contratto o successivamente, le informazioni sono suscettibili di influenzarne condizioni e termini – è scritto nell’articolo 2 – non è ammessa la richiesta di informazioni relative allo stato di salute della persona fisica contraente concernenti patologie oncologiche da cui la stessa sia stata precedentemente affetta e il cui trattamento attivo si sia concluso, senza episodi di recidiva, da più di dieci anni alla data della richiesta. Tale periodo è ridotto della metà nel caso in cui la patologia sia insorta prima del compimento del ventunesimo anno di età”. La legge esplicita anche il divieto di acquisire le informazioni “da fonti diverse dal contraente”. Qualora tali informazioni siano comunque nella disponibilità dell’operatore, esse “non possono essere utilizzate per la determinazione delle condizioni contrattuali”.

Per quanto riguarda le adozioni, in base all’articolo 3 le indagini “concernenti la salute dei richiedenti non possono riportare informazioni relative a patologie oncologiche pregresse quando siano trascorsi più di dieci anni dalla conclusione del trattamento attivo della patologia, in assenza di recidive o ricadute, ovvero più di cinque anni se la patologia è insorta prima del compimento del ventunesimo anno di età”.

Nel testo dell’articolo 4, analogamente ai casi precedenti, si dispone che “ai fini dell’accesso alle procedure concorsuali e selettive, pubbliche e private, quando nel loro ambito sia previsto l’accertamento di requisiti psico-fisici o concernenti lo stato di salute dei candidati, è fatto divieto di richiedere informazioni relative allo stato di salute dei candidati medesimi concernenti patologie oncologiche da cui essi siano stati precedentemente affetti e il cui trattamento attivo si sia concluso, senza episodi di recidiva, da più di dieci anni alla data della richiesta”. Il periodo viene dimezzato “nel caso in cui la patologia sia insorta prima del compimento del ventunesimo anno di età”.

La legge fissa anche i doveri informativi nei confronti delle persone potenzialmente interessate e regola le modalità di comunicazione e di certificazione dei requisiti necessari, senza oneri per gli assistiti.

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Anteprime di Natale, “Wonka” con Timothée Chalamet e “Santocielo” con Ficarra e Picone

Gio, 07/12/2023 - 09:07

Due titoli forti si contenderanno il box office natalizio in uscita nelle sale dal 14 dicembre. Il primo è “Wonka” diretto da Paul King (“Paddington”) e targato Warner Bros., un prequel del cult “Willy Wonka e la fabbrica di cioccolato” (1971) di Mel Stuart con Gene Wilder, che racconta gli anni giovanili del geniale cioccolataio sul tracciato della favola di Roald Dahl. A interpretarlo è un convincente Timothée Chalamet, affiancato dai sempre ottimi Olivia Colman, Hugh Grant e Sally Hawkins. Una favola familiare di buoni sentimenti che rischia però di far evaporare la magia del racconto con un eccesso di effetti speciali e atmosfere zuccherose. In sala c’è anche la commedia “Santocielo” con Ficarra e Picone, diretta da Francesco Amato, nei cinema con Medusa. I due comici siciliani, dopo “Il primo Natale”, tornano a confrontarsi con la religione in un racconto dall’umorismo ironico-irriverente. Buone le intenzioni, l’idea di una riflessione sull’umanità di oggi, fragile e deragliata, attraverso il filtro della risata, ma con uno svolgimento narrativo non sempre a fuoco e adeguato. Nel cast Barbara Ronchi, Maria Chiara Giannetta e Giovanni Storti. Il punto Cnvf-Sir.

“Wonka” (Cinema, 14.12)

Quando lo scrittore britannico Roald Dahl ha dato alle stampe nel 1964 “La fabbrica di cioccolato” non poteva immaginare la magia e il trasporto che avrebbe attivato, soprattutto grazie al cinema. Il primo adattamento “Willy Wonka e la fabbrica di cioccolato” del 1971 diretto da Mel Stuart con lo straordinario Gene Wilder, impreziosito dalla colonna sonora composta da Leslie Bricusse e Anthony Newley (su tutti il brano “Pure Imagination” cantato da Wilder), è diventato subito un cult, un film che torna puntualmente ogni anno per le feste. Nel 2005, poi, Tim Burton ha rivisitato la storia con il sodale Johnny Depp, tratteggiandola secondo i suoi inconfondibili canoni estetici. Nel 2023 la Warner Bros., nell’anno del centenario della sua fondazione, si presenta all’appuntamento del Natale con una nuova versione ispirata all’opera di Dahl. È “Wonka” diretto da Paul King, autore dei film di “Paddington”, e prodotto da David Heyman, legato ai granitici successi di “Harry Potter” e “Animali fantastici”. Il film si concentra sugli anni giovanili del geniale cioccolataio, il periodo che precede la costruzione della celebre fabbrica di cioccolato. A interpretarlo è stato scelto Timothée Chalamet.
La storia. Willy Wonka è un giovane che ha appreso le arti della cioccolateria dalla madre (Sally Hawkins), ora scomparsa. Desideroso di aprire un suo negozio nella nota Galleria Gourmet, viene subito osteggiato dal Cartello del cioccolato di cui si fa complice anche la chiesa con padre Julius (Rowan Atkinson). In aggiunta, Willy viene frodato dalla losca affittacamere Mrs. Scrubitt (Olivia Colman). Deciso a non arrendersi e supportato da un gruppo di nuovi amici, tra cui la preadolescente Noodle (Calah Lane), Willy userà tutta la sua astuzia e magia per sbaragliare la concorrenza e dare vita ai sogni di cioccolato…
“Questo è un film gioioso; apporta luce in un mondo che ne ha un disperato bisogno”. Così l’attore Timothée Chalamet raccontando il progetto di “Wonka”, per il quale si è cimentato in numeri di canto e ballo, misurandosi con l’interpretazione iconica di Gene Wilder. Va detto chiaramente che Chalamet è bravo, e molto, abile nel trovare una personale cifra interpretativa del cioccolataio. Nell’insieme il film “Wonka” punta a presentarsi come una commedia di buoni sentimenti, una favola pensata per un pubblico familiare, dove le angherie degli opponenti-antagonisti non sono mai davvero “affilate”, crudeli, e dove l’amicizia e l’unione tra gli ultimi della scala sociale apre a luminose possibilità di riscatto. Un film giocoso, sognante, marcato puntualmente dal fantastico.
Tra i temi in campo, oltre al valore della solidarietà, c’è il rapporto genitori-figli e soprattutto la custodia della memoria degli affetti quando questi non ci sono più. Poetico, infatti, è il modo in cui Willy evoca l’immagine materna – una splendida Sally Hawkins! –, non più presente accanto a lui ma sempre prossima tra cuore e ricordi, soprattutto nel mordere una tavoletta di cioccolato. Un po’ come la madeleine di Proust. Il film poi trova una chiusura sognante quando finalmente irrompe in scena il brano “Pure Imagination”.
Se il film è una proposta convincente per il Natale, tra incanto e buoni sentimenti, non si possono però trascurare alcune fragilità nel racconto, ma soprattutto una eccessiva sovrabbondanza di effetti speciali e di soluzioni narrative mielose che invece di impreziosire e far volare la storia, ne erodono la fantasia, la libertà di immaginare. Quando il troppo guasta. Nell’insieme, “Wonka” è consigliabile, poetico, per dibattiti.

“Santocielo” (Cinema 14.12)

Dopo il successo di critica e pubblico con “Il primo Natale” nel 2019, il duo artistico Salvo Ficarra e Valentino Picone torna a confrontarsi con i temi della religione e della fede in un’altra commedia pensata per il periodo natalizio. È “Santocielo”, film diretto da Francesco Amato – sua la regia della serie “Imma Tataranni” (dal 2019) e del film “18 regali” (2020) –, una produzione Tramp Limited e Medusa Film, che distribuirà in circa 600 copie. Ficarra e Picone, oltre a esserne i protagonisti, figurano anche tra gli autori della sceneggiatura.
La storia. C’è malcontento in Paradiso perché l’umanità sulla Terra è difficile, crudele e problematica. Dinanzi alla prospettiva di un secondo Diluvio, alla fine si opta per l’invio di un nuovo Messia. Ad annunciarlo si offre volontario l’angelo Aristide (Picone). Una volta in Sicilia, a causa di una serie di imprevisti, l’angelo si sbaglia e invece di avvicinarsi alla donna indicata dal Cielo finisce per affidare la gravidanza a un uomo: a portare in grembo il futuro Messia sarà Nicola Balistreri (Ficarra), un professore di matematica pieno di pregiudizi, soprattutto verso le donne…
Gli autori sono partiti con l’idea di realizzare un film sugli angeli. Un espediente narrativo che li ha portati poi a mettere a tema il racconto di un’umanità problematica, caotica e quasi fuori controllo, di cui Dio – interpretato da Giovanni Storti, del trio Aldo, Giovanni e Giacomo – appare ormai stanco e rassegnato. Un nuovo Messia sembra essere un’ultima possibilità, che però un angelo maldestro e “carrierista” consegna in grembo a un uomo infelice (appena mollato dalla moglie) e intransigente, sia verso le donne sia verso i suoi alunni a scuola. Nel film vengono messi a tema soprattutto i rapporti uomo-donna, le relazioni sentimentali, la dimensione familiare, con le sue diverse sfumature e richieste di riconoscimento, sino allo sguardo degli anziani. Sul tema della gravidanza al maschile, Ficarra e Picone insieme al regista Amato hanno precisato che si tratta di una soluzione narrativa per avanzare una riflessione altra, più generale sulla società odierna, tracciando una differenza da altri titoli simili come la commedia statunitense “Junior” (1994) di Ivan Reitman con Arnold Schwarzenegger.
Al di là della componente di provocazione di impianto comico sui temi della famiglia e della religione, a sollevare delle perplessità su “Santocielo” è soprattutto la scrittura, il modo in cui tali tematiche vengono gestite e declinate in un film di 120 minuti. Se la partenza è nel segno dell’umorismo scoppiettante, poi l’andamento del racconto rischia di impantanarsi in una storia stiracchiata poco convincente e senza una chiara traiettoria. Il problema, nel film, è la sequela di stereotipi disseminati qua e là con poco controllo e originalità, che banalizzano il tema affrontato.
Nel corso della conferenza stampa sono stati citati autori hollywoodiani come Mel Brooks, Billy Wilder o Woody Allen, ricordandone la carica ironica con cui hanno affrontato la religione (nella prospettiva ebraica) nei loro film. Con uno sguardo poi alla storia del cinema, certo si possono ricordare anche i Monty Python e il loro “Brian di Nazareth” (1979). Ficarra e Picone, con il regista Amato, provano a muoversi lungo lo stesso binario comico, con un risultato nell’insieme poco efficace. “Santocielo” è un film che vorrebbe fare dell’umorismo irriverente ma comunque gentile, non stonato, senza forzare troppo la mano; tale soluzione conduce a un approdo incerto. Ancora, il racconto si sovraccarica qua e là di suggestioni e tematiche eccessive, al punto da perdere un po’ la bussola narrativa. Certo, va ricordato che Ficarra e Picone sono sempre interpreti abili e acuti, forti di una lunga e solida carriera, capaci di compensare le debolezze di un copione e di rendere brillante anche una storia claudicante, che più che di religioso sa di fantastico. Complesso, superficiale-brillante, per dibattiti.

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Rifugiati. Ungaro (Unhcr): “Rifugiati in aumento a causa delle guerre. In Italia non c’è emergenza”

Gio, 07/12/2023 - 09:00

Sono 114 milioni nel mondo le persone che secondo una stima dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) sono scappate dai propri Paesi per colpa di guerre, crisi umanitarie, condizioni di insicurezza inondazioni e siccità. Sul totale delle donne, uomini e bambini in fuga, solo 422mila raggiungono l’Italia. Il nostro Paese “sta facendo molti sforzi soprattutto nella prima recezione”, spiega al Sir il portavoce dell’Unhcr, Filippo Ungaro. “Certo, ci sono ampi margini di miglioramento, parlo soprattutto di una più efficace capacità di salvare vite umane nel Mediterraneo, sistema che deve avere una connotazione europea; della disponibilità dei posti per i minori non accompagnati e tante altre azioni per rendere efficace e dignitosa l’accoglienza”. Ma è sull’integrazione che “si gioca la sfida principale”, secondo il portavoce perché “se gestita e umana” può fare la differenza nell’accettazione delle persone che ospitano.

Gli ultimi conflitti che sono scoppiati intorno all’Europa hanno mutato gli spostamenti delle persone dai loro Paesi di origine?
La guerra e l’incapacità della comunità internazionale di garantire pace e sicurezza hanno una diretta conseguenza sull’aumento del numero dei rifugiati e delle persone sfollate. Secondo un nostro calcolo si tratta di 114 milioni nel mondo, una cifra record cresciuta di 4 milioni da giugno ad oggi. L’aumento è la diretta conseguenza dei conflitti in Ucraina, Sudan, Repubblica democratica del Congo e Myanmar di cui spesso si parla pochissimo, e di altri eventi, quali la siccità e le inondazioni, le condizioni di insicurezza in Somalia, la crisi umanitaria prolungata in Afghanistan. I conflitti rubano il futuro e costringono le persone ad abbandonare le case. Del conflitto fra Israele e Palestina non sappiamo ancora se avrà una conseguenza sul numero totale. In generale i conflitti aumentano e aumenta anche la durata dei conflitti. Tanto è che le persone in fuga rimangono nei campi profughi anche per intere generazioni, come sta accadendo per i Rohingya scappati dal Myanmar e rifugiati in Bangladesh dove vivono da decenni nel campo di Cox’s Bazar. È molto importante sottolineare che su 114 milioni di persone in fuga nel mondo il 75% rimane nei Paesi a medio o basso reddito e che molti non superano i confini internazionali.

L’Italia che quota di rifugiati accoglie?
Sul totale, il numero delle persone che arrivano non può costituire un’emergenza. Al momento le persone costrette a fuggire e che vivono in Italia sono 422mila. Sicuramente dopo lo scoppio della guerra in Ucraina abbiamo avuto un’emergenza perché una massa di persone scappava. Ma ora non siamo più in quella fase. Anche se gli arrivi via mare e via terra rispetto allo scorso anno sono aumentati in alcuni mesi anche del 50% non siamo di fronte a un’emergenza. Quest’anno sono arrivati 151mila dal Mediterraneo, non tutti sono richiedenti asilo o hanno diritto alla protezione internazionale. La maggior parte proviene da Tunisia e Libia mentre via terra le persone provengono da Afghanistan, Bangladesh e Pakistan. In Afghanistan siamo di fronte a una situazione drammatica: quelli che riescono a scappare dopo viaggi molto lunghi e difficili delle volte non ricevono la protezione internazionale perché alcuni Paesi europei ritengono l’Afghanistan un paese sicuro dopo la fine ufficiale del conflitto. In Italia invece dipende dalla situazione del singolo individuo. In generale, l’Italia si sta impegnando molto e sta tenendo nella prima recezione. Ciò che va fortemente migliorato è l’integrazione delle persone che fuggono e che ricevono protezione internazionale.

Nel nostro Paese è difficile ricevere lo status di rifugiato?
L’Italia in linea generale ha un buon sistema. La domanda dello status è individuale così come l’analisi. Le commissioni sono diverse e possono funzionare anche molto bene ma i tempi possono differire da città a città. Una volta ottenuto il riconoscimento, la sfida resta l’integrazione e quindi una maggiore facilitazione dei processi di chi è in fuga. Sull’integrazione si gioca la sfida principale perché una integrazione gestita e umana fa la differenza nell’accettazione delle persone che ospitano. L’Unhcr sta lavorando molto insieme ai comuni, in particolare in sei municipalità (Torino, Milano, Roma, Bari, Napoli e Palermo) con cui abbiamo firmato la Carta dell’integrazione ovvero un memorandum che vuole facilitare i processi di integrazione dei richiedenti asilo, creando degli spazi comuni multifunzionali. In seguito, i sei comuni condivideranno le esperienze migliori per creare una cultura dell’integrazione più diffusa.

Anche i vicini europei sono alle prese con l’integrazione. Quale modello potrebbe essere un buon esempio?
Non esiste un modello unico né semplici ricette che possano essere tirate fuori dalla tasca e implementate dall’oggi al domani per risolvere tutti i problemi. L’integrazione è una sfida complessa ma se vogliamo vivere una in una società aperta, dove ognuno può dare il proprio contributo, questa sfida va accettata pienamente. Credo sia importante cercare di smettere con una narrativa del rifugiato che porta solo guai. Molte delle persone in fuga hanno dei talenti, delle capacità e delle competenze che possono fare un gran bene alle società integranti. Credo esistano almeno tre buoni motivi per integrare: uno etico e morale, perché sono persone che scappano da guerre e violenze, uno legale e poi uno di opportunità perché, come altri Paesi, l’Italia ha problemi demografici.

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Canzani: “Focolarini, popolo dell’unità e quindi della pace”

Gio, 07/12/2023 - 08:55

In questi giorni, in tutto il mondo, il Movimento dei Focolari celebrerà gli 80 anni di fondazione. Lo faranno in maniera diversa, nei diversi Paesi, chi con messe, chi con incontri, chi anche con edizioni speciali delle diverse riviste di Cittànuova. Era il 7 dicembre 1943 il giorno in cui Chiara Lubich si è consacrata a Dio. Quel giorno è stato scelto come data di nascita ufficiale del Movimento dei Focolari. Il primo appuntamento della giornata sarà l’udienza con Papa Francesco che riceverà in Vaticano Margaret Karram, presidente dei Focolari, e Jesús Morán, copresidente e il gruppo di responsabili del Movimento. Poi alle 18, presso la Basilica di Santa Maria Maggiore, ci sarà una Messa di ringraziamento presieduta dal cardinale Kevin Joseph Farrell, prefetto del Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita. “Sono due i sentimenti che ci guidano oggi in questa celebrazione”, dice subito Francisco Canzani, consigliere del Centro internazionale dei Focolari per l’aspetto “sapienza e studio” e coordinatore per il Movimento della Commissione per il Sinodo. “Il primo è sicuramente il ringraziamento a Dio per il dono del carisma che ha voluto dare alla Chiesa attraverso la persona e il sì di Chiara. Un dono che non è solo per i membri del Movimento dei Focolari, ma appartiene alla Chiesa ed è per tutti. L’altro sentimento – aggiunge – è di gioia mesta. Gli ultimi anni ci hanno aiutato a capire anche quante cose in questi 80 anni non sono state fatte bene nel Movimento, quante difficoltà ci sono state, quante persone sono state ferite anche da azioni compiute da membri del Movimento”.

Francisco Canzani (Foto Canzani)

“E questo dà un connotato sicuramente molto diverso, alla celebrazione perché se da una parte ringraziamo Dio per il dono ricevuto, dall’altra sentiamo il bisogno di chiedere perdono a tutti coloro che in questi anni abbiamo offeso e che oggi meritano il nostro sguardo, il nostro ascolto e l’amore di tutti i membri del movimento”.

80 anni fa, quali novità Chiara portava nella Chiesa?
La prima era senz’altro quella di prendere in mano il Vangelo e tentare non soltanto di meditarlo, ma di viverlo e metterlo in pratica alla lettera. L’altra grande novità era il gruppo di persone che si formava attorno a Chiara. Erano soprattutto ragazze e giovani donne in un tempo in cui le donne non contavano molto nella Chiesa e non avevano parola. In assoluta fedeltà alla Chiesa e anche alla sua gerarchia, sono riuscite ad aprire una strada per le donne e per il laicato in generale. La terza novità, a mio avviso, è stata la ricerca dell’unità in un tempo in cui questa parola, sugli organi di stampa, era riservata soltanto, forse al partito comunista. L’unità non solo come vocazione della Chiesa ma come prerequisito della sua stessa missione, come dice il Vangelo di Giovanni, “Che siano uno perché il mondo creda”.

Quale impatto poi ha avuto il carisma dell’unità nella storia contemporanea?
E’ una domanda molto grande, nel senso che è difficile misurare quale impatto può avere nella storia un carisma. Ci sono però dei segni profetici e delle realizzazioni. Tra queste parlerei subito del contributo evidente che il carisma di Chiara ha dato in ambito ecumenico e interreligioso, in cui Chiara stessa si è impegnata moltissimo e in prima persona. L’altra realizzazione è il progetto di Economia di Comunione che partecipa oggi anche al percorso di Economia di Francesco. Si tratta di un progetto che ha l’audacia – come era solita fare Chiara – di mettere insieme gli opposti, gli imprenditori e i lavoratori, e al centro i poveri. Altro disegno profetico è il dialogo con la cultura contemporanea in tutte le sue espressioni e discipline, dall’arte alla sociologia. Dalla politica alle Scienze della natura, l’ecologia. Ci sono tante persone impegnate in tante Istituzioni che lavorano in questo campo e cercano di portare un contributo insieme a tanti altri nella convinzione che la cultura può trasformare la realtà. E poi c’è l’azione sociale del Movimento, tutto quel lavoro che negli anni, i suoi membri fanno pazientemente a beneficio dei più poveri, dei rifugiati, degli immigrati, dei disabili. Al centro c’è però sempre l’unità. Questi impegni in fondo disegnano laddove si realizzano, percorsi di unità in un mondo diviso, tra ricchi e poveri, tra persone di diverse chiese, religioni, culture.

Chi è il focolarino? Papa Francesco vi ha definito il popolo del “sorriso”.
In realtà ci hanno dato tante definizioni. Papa Benedetto XVI parlava del popolo focolarino come degli “apostoli del dialogo”. Siamo un popolo nato dalla Parola del Vangelo che cerca oggi di metterlo in pratica attraverso una cultura del rapporto, della relazione interpersonale. Quello che Papa Francesco definisce la “cultura dell’incontro”. E lo fa cercando di vedere dietro ogni volto un fratello. Vorremmo quindi essere in tutti i paesi del mondo dove siamo, il popolo dell’amore reciproco, del comandamento nuovo. Questo non vuol dire che lo siamo sempre o che non sbagliamo mai. Ma che pur nelle cadute, siamo chiamati a esserlo.

Certo, parlare di amore reciproco e di unità oggi non è facile in un mondo che grida tra guerre, crisi climatiche, migrazioni. Come vi rapportate di fronte a questo grido e quale sfida oggi in particolare interpella il carisma di Chiara?
In questi giorni stiamo pregando molto per la pace. Lo stiamo facendo dappertutto. Giovani e adulti, persone del mondo ecclesiastico, civile, politico. La preghiera aiuta a sanare le piccole divisioni che ci sono attorno a noi e le grandi divisioni che ci sono nell’umanità. Aiuta a guarire i cuori. In questo momento nel nostro movimento, c’è una grandissima attenzione alla questione della pace. Stiamo vivendo un momento chiave ed è logico che siamo particolarmente sensibili a questo argomento. Riprendendo la definizione di papa Benedetto XVI, i focolarini sono chiamati gli apostoli del dialogo. A volte dialogo è una parola ambivalente, ma senz’altro di enorme validità, oggi, in questo momento, per l’unità e la pace.

Quindi possiamo definire i focolarini oggi sono il popolo della pace?
Io direi, popolo dell’unità e quindi della pace. Perché sappiamo che senza rapporti di autentica fraternità, senza il riconoscimento delle diversità o delle differenze, nella ricerca dell’unità, non ci sarà mai una pace vera e duratura.

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Canzani: “Focolare Movement, a people of unity, a people of peace”

Gio, 07/12/2023 - 08:55

Over the next few days, the Focolare Movement will be celebrating its 80th anniversary throughout the world. It will be celebrated in different ways in different countries, with Mass, with conferences, in some places with special editions of the various Cittanuova journals. It was on 7 December 1943 that Chiara Lubich consecrated herself to God. This date became the official date on which the Focolare Movement was born. The first event marking the day is the audience with Pope Francis, who will receive in the Vatican Margaret Karram, President of the Movement, and Jesús Morán, Co-President, together with a group of leaders of the Movement. A thanksgiving Mass will then be celebrated by Cardinal Kevin Joseph Farrell, Prefect of the Dicastery for the Laity, Family and Life, in the Basilica of St Mary Major at 6 pm. “There are two feelings that guide our celebration today,” says Francisco Canzani, Consultant for “Knowledge and Learning” at the International Focolare Centre and coordinator of the Movement’s Synodal Commission. “First of all, we thank God for the gift of the charism that he has given to the Church through the person and the ‘Yes’ of Chiara. This is a gift not only for the members of the Focolare Movement, it belongs to the Church and it is for everyone. At the same time, there is a feeling of melancholy joy. In recent years we have come to understand all the mistakes that have been made in the Movement in the last 80 years, how many difficulties there have been, how many people have been hurt, even by the actions of members of the Movement.”

This certainly confers a different connotation on this celebration, for while on the one hand we thank God for the gift we have received, on the other we feel the need to ask forgiveness to all those whom we have wronged over the years and who deserve our attention, our understanding and the love of all the members of the Movement today.

Which new elements did Chiara bring to the Church 80 years ago?

The first, without a doubt, was to embrace the Gospel and to try not only to reflect on it, but to actually live it and put it into practice, word by word. The group of people Chiara gathered around her was another important innovation. Most of them were young girls and young women, at a time when women did not count for much in the Church and did not have a say in it. In total fidelity to the Church and its hierarchy, they were able to pave the way for women and the laity in general. The third novelty, at a time when the press associated the term perhaps only with the Communist Party, was the search for unity.

Unity understood not only as a vocation of the Church, but as a requisite of her mission, in the words of John’s Gospel, “that they may all be one, so that the world may believe.”

What impact has the charism of unity had in our present times?

That’s a difficult question, in the sense that it’s difficult to assess the impact that a charism can have in the course of history. However, there are some prophetic signs and achievements. One of them is the obvious contribution that Chiara’s charism has made in the ecumenical and interreligious field, to which she was deeply and personally committed. The other achievement is the Economy of Communion project, which today forms part of Francis’ path of Economy. This project has the audacity – as was typical of Chiara – to bring together opposing poles, entrepreneurs and workers, with the poor at the centre. A further prophetic vision is dialogue with contemporary culture in all its forms and disciplines: art, sociology, politics, science and ecology. Many people in many institutions are engaged in this field and seek to make a contribution, together with many others, on the basis of a belief in the transformative power of culture. Then there is the social action of the Movement, the efforts patiently made by its members over the years for the benefit of the poorest, refugees, immigrants and the disabled. At the heart of it all, however, is unity.

In the end, these commitments, where they are put into practice, create paths of unity in a divided world, among rich and poor, among members of different Churches, religions and cultures.

Who is the “Focolarino”? Pope Francis described you as those who “always smile”.

In fact, we have been given many definitions. Pope Benedict XVI described the Focolarini as “apostles of dialogue.” Our movement was founded on the Word of the Gospel and today it seeks to put it into practice through a culture of relationships, of interpersonal relationships. That which Pope Francis calls the “culture of encounter.” This is done by seeing a brother behind every face. Therefore, in all the countries of the world where we are, we want to be the people of mutual love, of the new commandment. This does not mean that we will always succeed or that we will never fail. But that this is what we are called to be, even in our failures.

Admittedly, talking about mutual love and unity is a challenge today, in a world torn by wars, climate crises and migrations. What is your response to this cry of the world and what is the greatest challenge for Chiara’s charism today?

These days we are all praying very hard for peace. We pray for peace throughout the world. Young people and adults, people in the ecclesial, civil and political world. Prayer helps to heal the small divisions that exist around us and the great divisions that exist among humanity. It helps to heal hearts.

At the moment, peace is one of the main concerns of our movement. This is a very important time for us and of course we are particularly sensitive to this issue.

To quote Pope Benedict XVI’s definition, the Focolarini are called apostles of dialogue. Dialogue is sometimes an ambiguous word, but it is undoubtedly an extremely valid one, today, in this time, for unity and peace.

Can we then define the Focolarini as a people of peace?

I dare say, a people of unity and therefore of peace. Because we know that without relationships based on true fraternity, without the recognition of diversity and differences in the search for unity, there will never be true and lasting peace.

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Christmas in the Holy Land: waiting for peace, keeping watch in the darkness of war, and being prepared to do good

Gio, 07/12/2023 - 08:47

The war in Gaza broke out exactly two months ago, on 7 October, following the terrorist attack by Hamas on Israel. The number of dead, wounded and displaced is rising by the hour and is now in the tens of thousands. A few days’ lull in the fighting has not been enough to bring relief to the affected population of Gaza or to reach an agreement between Israel and Hamas on the exchange of Israeli hostages for Palestinian convicts. At the same time, Sunday 3 December marked the beginning of the Church’s Advent season, which leads up to Christmas and celebrates the birth of Jesus Christ, the Prince of Peace. According to tradition, the Custos of the Holy Land makes a solemn entry into Bethlehem on the eve of the first Sunday of Advent.

His entry took place in a sober atmosphere, respectful of this time of suffering, as Father Ibrahim Faltas, Vicar of the Custody of the Holy Land, recounts in this reflection, published in full by SIR.

Advent is a season of anticipation of joy. In the Holy Land it is a different time: it is a time of expectation of peace. The intense liturgical season of Advent, normally a time of high hopes and great intentions, unfolds as a paused, silent, unexplainable time. Since 1995 I have organised the entrance of the Custos according to the strict rules of the Status Quo. This year, for the first time, the civil authorities and ordinary citizens of Bethlehem and Beit Jala did not ask for permission to cross the wall to receive the Custos, who, accompanied by the Israeli police, will meet the communities of these two cities at the Greek Orthodox Monastery of Mar Elias. What was once an opportunity to cross the wall has turned out to be an opportunity that was turned down in order to avoid meeting the other side.

Bethlehem. In spite of the social and political difficulties, these last days in Bethlehem were filled with beautiful colours, with voices and people from different nations. There was an atmosphere of expectation, certain of the arrival of the Prince of Peace on Christmas Eve. We are always sure of His coming, but we cannot rejoice because we know that after seven days of truce, the fear has returned, the anxiety has returned, and we are bracing ourselves for dark days, a renewed despair because of the war that has ravaged the Holy Land for two months. But we must not lose the Hope of Life, which is sacred, holy and precious.

Peace is the gift that every heart should always have. A pure heart can never imagine the utter evil of war. At this tragic moment, the children of the Holy Land convince me not to lose hope in the possibility of rebuilding a true and just world. They greeted the Father Custos in the Manger Square and welcomed him with an atmosphere of celebration that had not been seen for almost two months. My thoughts are with the children of Gaza, who have been deprived of everything, including meeting friendly faces to receive help, comfort and caresses. When I see the children running happily in the schoolyard in the Holy Land, when I hear them singing, when I read and perceive their feelings, when they smile with their hearts before smiling with their eyes, I am more and more convinced that we must raise our voices even louder to demand peace, truth and justice. I was in Italy again for a series of appointments, meetings and testimonies. At Tel Aviv airport there were few people, sad faces, many suitcases: the war has changed the lives of many, depriving them of stability, harmony and everyday life.

It is a sad time, and we are not able to rejoice fully at what is the most beautiful time of the year for Bethlehem and for the whole world. The terrible images of war are etched in our eyes and hearts, but it is time to “keep watch”, as we read in the Gospel for the first Sunday of Advent.

Keeping watch is not just a matter of being alert and watchful, it is a matter of being ready to do what is good, to keep watch and see that Good has been done! We are called to love, let us direct this love to our neighbour by keeping watch over life! Let us keep watch in the darkness of war, and let us bring light in our care for the future of the world! Let us do this with the pure hearts of children, and let us not remain silent and dormant, but loudly call out for peace! “It is good not to do evil, but it is bad not to do good”, Pope Francis has always shown us the way! Happy Advent to the world in search of peace!

 

(*) Vicar of the Custody of the Holy Land

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Natale in Terra Santa: in attesa della Pace, vigili nel buio della guerra e pronti a fare il Bene

Gio, 07/12/2023 - 08:47

Sono passati esattamente due mesi dallo scoppio della guerra a Gaza, 7 ottobre, dopo l’attacco terroristico di Hamas ad Israele. La conta dei morti, dei feriti, degli sfollati si aggiorna ora dopo ora e si attesta nell’ordine delle decine di migliaia. Non è bastata una pausa di qualche giorno nei combattimenti per dare sollievo alla popolazione di Gaza stremata e per arrivare al compimento di un accordo tra Israele e Hamas per lo scambio degli ostaggi israeliani e dei detenuti palestinesi. Nel frattempo, domenica 3 dicembre, la Chiesa ha cominciato il cammino di Avvento che porterà al Natale, alla celebrazione della nascita di Gesù Cristo, principe della pace. In Terra Santa la tradizione vuole che il Custode di Terra Santa entri solennemente a Betlemme il giorno della vigilia della Prima Domenica di Avvento.

foto SIR/Marco Calvarese

L’ingresso si è consumato in una atmosfera  sobria, rispettosa della sofferenza del momento, come racconta padre Ibrahim Faltas, vicario della Custodia di Terra Santa, in questa riflessione che il Sir pubblica integralmente.

Avvento è il tempo dell’attesa della Gioia. Viviamo in Terra Santa un tempo diverso: aspettiamo la Pace. Il tempo liturgico forte dell’Avvento solitamente pieno di grandi speranze e di grandi propositi si sta rivelando un tempo sospeso, fermo, inspiegabile. Organizzo dal 1995 l’ingresso del Custode secondo le rigide regole dello Statu Quo. Quest’anno per la prima volta da autorità civili e semplici cittadini di Betlemme e di Beit Jala non ho ricevuto richieste per ottenere il permesso di attraversare il muro per andare ad accogliere il Padre Custode che, scortato dalla polizia israeliana, incontra le comunità di queste due città nel monastero greco-ortodosso di Mar Elias. Quella che era un’occasione per attraversare il muro, è stata invece una possibilità rifiutata per non incontrare l’altra parte.

Betlemme, prima Domenica di Avvento 2023 (Fto PGpo-Cts)

Betlemme, in questi giorni negli anni scorsi, nonostante le difficoltà socio- politiche, era animata da colori bellissimi, da voci e da persone provenienti da varie nazioni, si respirava la Festa dell’attesa perché eravamo certi dell’arrivo del Principe della Pace nella notte Santa. Del Suo arrivo ne siamo sempre certi ma non possiamo gioire sapendo che dopo sette giorni di tregua è tornata la paura, è tornata l’ansia di giorni peggiori, è tornata la disperazione della guerra che da due mesi devasta la Terra Santa. Ma non possiamo perdere la Speranza nella vita che è sacra, santa e preziosa.
La Pace è il dono che ogni cuore dovrebbe possedere sempre. Con il cuore puro non si può pensare al male assoluto della guerra. I bambini della Terra Santa, in questo tragico momento, mi stanno convincendo a non perdere la speranza che ricostruire un mondo vero e giusto può essere ancora possibile. Sulla piazza della Natività hanno salutato il Padre Custode e lo hanno accolto contenti per l’aria di festa sconosciuta da quasi due mesi. Ho pensato ai bambini di Gaza a cui tutto è stato negato, anche l’incontro con volti amici per ricevere aiuto, conforto, carezze. Quando vedo i bambini correre felici nel cortile della scuola di Terra Santa, quando li sento cantare, quando leggo e sento i loro sentimenti, quando sorridono con il cuore prima che con gli occhi, mi convinco sempre di più che bisogna ancora di più alzare la voce per chiedere pace, verità e giustizia. Sono tornato in Italia per impegni, incontri, testimonianze. In aeroporto, a Tel Aviv ho notato poca gente, volti tristi, tante valigie: la guerra ha cambiato la vita a tanti, togliendo stabilità, equilibri e consuetudini.

È triste questo momento, non possiamo gioire completamente nel periodo più bello dell’anno per Betlemme e per il mondo intero. Abbiamo impresse, negli occhi e nel cuore, le immagini orribili della guerra ma è tempo di “vegliare” come abbiamo letto nel Vangelo della prima domenica di Avvento.

Betlemme, Grotta della Natività (Foto Sir)

Vegliare non vuol dire solo essere attenti e vigili, vuol dire anche essere pronti a fare il Bene, a controllare e a sorvegliare che il Bene sia compiuto!
Siamo stati chiamati ad amare, rivolgiamo questo amore al prossimo custodendo la vita! Siamo vigili nel buio della guerra, e facciamoci luce prendendoci cura del futuro del mondo! Facciamolo con il cuore puro dei bambini e non rimaniamo silenziosi e dormienti e chiediamo a voce alta la pace! “E’ bene non fare il male, è male non fare il bene!”, Papa Francesco da sempre ci indica la via! Buon Avvento al mondo in cerca di pace!

(*) vicario della Custodia di Terra Santa

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Cambio di passo

Gio, 07/12/2023 - 00:05

Tutti i leader mondiali alla Cop28 di Dubai hanno sentito l’intervento chiaro e forte di Papa Francesco, letto dal cardinale Pietro Parolin: un’analisi precisa e un appello accorato per non perdere altro tempo. Ma chissà quanti l’avranno “ascoltato” e quanti saranno disposti a metterne in pratica i suggerimenti, vitali per la sopravvivenza del pianeta e dell’umanità. “Ascoltiamo il gemere della terra – ha supplicato il Papa –, prestiamo ascolto al grido dei poveri, tendiamo l’orecchio alle speranze dei giovani e ai sogni dei bambini! Abbiamo una grande responsabilità: garantire che il loro futuro non sia negato”. Stigmatizzate l’ambizione di produrre e possedere sfociata in “un’avidità senza limiti” e la conflittualità tra Paesi che privilegiano i propri interessi rispetto al bene globale, il Papa ha indicato come vie d’uscita un autentico “multilateralismo” in orientamenti e decisioni, fondato sulla fiducia reciproca, un efficace “cambiamento politico” uscendo da particolarismi e nazionalismi. Serve un vero cambio di passo, è urgente una “decisa accelerazione della transizione ecologica”, delle cui forme e norme Francesco indica tre caratteristiche imprescindibili: “efficienti, vincolanti e facilmente monitorabili”; e i cui campi sono ben chiari: l’efficienza energetica, le fonti rinnovabili, l’eliminazione dei combustibili fossili, l’educazione a stili di vita meno dipendenti da questi ultimi”. Solo una “buona politica” può rimediare all’attuale grave situazione, superando controproducenti divisioni tra catastrofisti e indifferenti, ambientalisti radicali e negazionisti climatici. Dopo i primi giorni dei leader ora segue il periodo dei tecnici fino al 12 dicembre per definire i nuovi impegni a livello globale. Chissà, dicevamo, se tutti ascolteranno l’appello di Papa Francesco e gli interventi non meno chiari e decisi di altri, ben consapevoli del precipizio su cui ci siamo portati e convinti che occorre fare marcia indietro. Non pare l’abbia ascoltato proprio il presidente della Cop28, l’emiratino Sultan Al Jaber (tra l’altro amministratore delegato della Compagnia petrolifera degli Emirati arabi, Adnoc!) che paventa il “ritorno alle caverne”, tacciato dal segretario dell’Onu Guterres di “negazionismo climatico”. Ma poi il presidente ci ha ripensato, rivendicando anzi con orgoglio i passi già compiuti nei primi quattro giorni: progressi per aiutare i Paesi più poveri contro i danni climatici; sostegno all’agricoltura, impegno alla riduzione di CO2… Nell’edizione Cop28 – che si proponeva di accelerare la transizione energetica, definire il finanziamento per il clima e mettere la natura, le persone, la vita e i mezzi di sussistenza al centro dell’azione per il clima, puntando sulla inclusione – per la prima volta si è dedicata una sessione anche alla questione “salute” collegandone il deterioramento alla questione ambientale e climatica: il riscaldamento globale infatti aumenta la diffusione di colera e malaria e le ondate di calore diventeranno rischio di morte per 21 milioni di persone nel 2050, mentre già oggi 7 milioni di decessi sarebbero dovuti all’inquinamento. L’Unione europea, dal canto suo – come ha messo in risalto il presidente del Consiglio Ue Michel –, sta dandosi da fare su tutti i fronti, diventando modello di riferimento: ha ridotto del 30% le emissioni rispetto al 1990 e punta alla neutralità climatica, è determinata a triplicare le energie rinnovabili e a raddoppiare l’efficienza energetica con l’obiettivo di porre fine quanto prima alla dipendenza dai carburanti fossili. Resterebbe per tutti l’obiettivo dell’Accordo di Parigi del 2015 di mantenere entro 1,5 gradi per il 2030 (e a zero nel 20250!) il riscaldamento globale rispetto all’epoca preindustriale. Ma intanto i Paesi ricchi continuano a finanziare nei Paesi poveri progetti fondati sull’energia fossile, anziché sostenerne la transizione energetica. Ci sono di fatto due problemi fondamentali: quali e quanti Paesi saranno effettivamente disposti a rinunciare all’ambìto “progresso” economico non ancora raggiunto; e quali e quanti cittadini, fra quanti l’hanno raggiunto, noi compresi, sono disposti a rinunciare ai tanti vantaggi acquisiti? Ma proprio per questo bisogna accelerare e sancire il cammino verso una “liberazione” del pianeta e dell’umanità intera.

(*) direttore del “Nuova Scintilla” (Chioggia)

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Povertà. Impagliazzo: “È in aumento e colpisce soprattutto gli anziani, le famiglie con figli e chi ha un lavoro precario”

Mer, 06/12/2023 - 16:38

“La povertà è in aumento e colpisce soprattutto gli anziani, le famiglie con figli e chi ha un lavoro precario”.

Parte da qui la relazione del presidente della Comunità di Sant’Egidio, Marco Impagliazzo, durante la presentazione, mercoledì 6 dicembre, a Roma, dell’annuale guida “Dove mangiare, dormire, lavarsi” dedicata ai poveri di Roma già in distribuzione tra le persone in difficoltà della Capitale. A breve anche le edizioni dedicate ad altre città italiane come Napoli, Genova, Padova e Milano. Ben 280 pagine con indicazioni utili e puntuali per trovare luoghi dove trovare un pasto, assistenza, cure mediche, ascolto ma anche dove poter dormire, specie ora nella stagione più fredda, ma anche dove potersi lavare o fare una lavatrice. “La guida è cresciuta negli anni, il che vuol dire che è aumentata la solidarietà e questo è un bene naturalmente, ma è aumentato di pari passo anche il bisogno”, spiega Impagliazzo, ricordando i dati più recenti di Istat, Caritas e Censis che hanno fotografato, ciascuno con i propri metodi, lo stesso triste scenario: cinque milioni e seicentomila poveri, poco meno del 10% della popolazione nazionale, di questi un milione e trecentomila minori con particolari fragilità nella fascia tra i 4 e i 6 anni e nel Centro-Sud del Paese.

(Foto Siciliani-Gennari/SIR)

“Noi chiediamo al Governo maggiore attenzione per i bambini e in particolare per i minori non accompagnati”, dice ancora il presidente di Sant’Egidio che punta il dito sulla piaga della povertà culturale come effetto della povertà economica (il 13% della popolazione in età scolare abbandona o comunque è a rischio di non completare i cicli dell’obbligo). “Due milioni di persone hanno rinunciato alle cure mediche, in quattro milioni si sono indebitate per accedervi” mentre 10 milioni di prestazioni sanitarie non sono state ancora erogate a causa del Covid e non ancora recuperate. Un quadro fosco causato dalla sequenza Covid, guerra in Ucraina, inflazione che ha eroso salari, risparmi e mangiato posti di lavoro. Ma se c’è una emergenza in particolare a cui rispondere è, per Sant’Egidio, quella della casa, solo a Roma ci sono 14mila famiglie in attesa di un alloggio popolare e sono stati censiti circa 3mila senza tetto. Cifre in aumento, che fanno a pugni con l’enorme quantità di immobili sfitti, che solo nella Capitale raggiungono le 60mila unità. Oltre a “migliorare le infrastrutture, è necessario aiutare le persone ripristinando il fondo a sostegno delle locazioni”, prosegue Sant’Egidio, ma anche trovando una sinergia che permetta di usare il patrimonio immobiliare pubblico e privato e lanciare una campagna di affitti calmierati. La Comunità stessa ha intanto lanciato un progetto di co-housing dal nome “Housing First” che ha permesso a persone che vivevano in strada o ad anziani soli non più in grado di fare fronte alle spese della casa di trovare (o ritrovare) autonomia andando ad abitare con uno o più coinquilini. Questo ha permesso, specialmente a chi viveva maggiormente ai margini, di recuperare le relazioni con il mondo, di trovare lavoro, di far valere i propri diritti, ottenere documenti, tutte cose che senza una casa e un domicilio non erano possibili.

L’incontro di presentazione della Guida è stata anche l’occasione per presentare il tradizionale pranzo di Natale che la Comunità di Sant’Egidio offre da 41 anni ai poveri della città e che sarà replicato in tantissime altre città d’Italia e del mondo, si stima che saranno serviti pasti ad oltre 250mila persone, di cui 80mila in Italia, un momento di festa e di distribuzione di generi alimentari e non. Per contribuire è possibile mandare un sms solidale o telefonare al 45586.

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In volo con i rifugiati afgani dei corridoi umanitari dal Pakistan

Mer, 06/12/2023 - 15:35

Sono atterrati oggi alle 13.30 a Roma Fiumicino 25 rifugiati afgani arrivati da Islamabad, in Pakistan, con i corridoi umanitari gestiti da Caritas italiana per conto della Cei, nell’ambito del Protocollo siglato con il governo italiano. Si tratta del secondo volo in programma per portare in Italia in questi giorni 93 persone ma una donna è rimasta in Pakistan per motivi sanitari e arriverà successivamente. 22 afgani sono arrivati ieri e altri 45 arriveranno domani, 7 dicembre. La procedura per reinsediarli in un altro Paese è sempre lunga e complessa. Stavolta, fino a poche ore prima della partenza, il governo pakistano non aveva ancora consegnato i permessi di uscita.

Oliviero Forti durante l’informativa pre-partenza – (foto: Caiffa/SIR)

A Islamabad l’informativa pre-partenza. “Italy it’s in Europe and it’s part of the European union. Italy is where the Pope lives and the 90% of the population is catholic”: lunedì 4 novembre, prima delle partenze in tre giornate consecutive, i 93 richiedenti asilo hanno partecipato tutti insieme ad un incontro in un hotel di Islamabad, tradotto in lingua farsi. Gli operatori Caritas hanno illustrato gli aspetti logistici e burocratici del viaggio, cosa accadrà nei prossimi mesi della loro nuova vita, dando informazioni di base sull’Italia, sul clima, sul cibo, sulle istituzioni, sulla sanità e l’educazione gratis, sulle Caritas diocesane che li accoglieranno per un anno.

Per molti di loro è un salto nel buio ancora più grande della fuga disperata dall’Afghanistan nel vicino Pakistan.

Qualcuno conosce l’Italia solo per il cibo, il football o perché ne ha sentito parlare da familiari o amici già arrivati nei precedenti corridoi umanitari. Comunque, in maniera molto superficiale. Il primo passo fondamentale, sottolineano gli operatori Caritas, è la conoscenza della lingua italiana. Una famiglia di Kabul con 6 figli che andrà ad Assisi si è già preparata durante l’esilio pakistano: hanno tutti studiato italiano 3 ore al giorno e anche se ancora non lo parlano iniziano a capire qualcosa. Ayet, una bambina di 7 anni, già dice bene “Ciao, come stai, bene, grazie”.

I 93 rifugiati afgani durante l’informativa pre-partenza a Islamabad (foto: Caiffa/SIR)

Cosa significa vivere in una democrazia. Un passo chiave del discorso è la spiegazione di cosa significhi vivere in una democrazia, concetto non facile da spiegare a chi si è trovato a fuggire da un regime. “Democrazia vuol dire riconoscere i diritti fondamentali e le libertà di tutti – spiegava Oliviero Forti, di Caritas italiana -. Tutti i cittadini sono uguali, c’è libertà di religione, potete esprimere il vostro pensiero e protestare, sempre nel rispetto dell’altro”. Un passaggio delicatissimo, a cui alcune donne più giovani assistono con il sorriso (gli uomini rimangono impassibili o pensierosi), è quello sull’uguaglianza tra i generi: “Sappiamo che portate con voi la vostra cultura e le tradizioni ma dovete conformarvi alle leggi europee. In Europa le donne sono libere, lavorano e devono contribuire al bilancio finale perché la vita è molto costosa. Parlatene in famiglia perché se un uomo impedisce alla donna di lavorare, l’integrazione è un disastro”. Altro avvertimento riguarda la possibilità, come già accaduto in passato, che qualcuno decida di rifiutare l’accoglienza in Italia e procedere in maniera autonoma verso la Germania, per raggiungere reti familiari o amicali. “Sappiate che per la legge europea non si può lasciare il primo Paese di asilo e dovete rimanere in Italia per ottenere lo status di rifugiato. Si può viaggiare tre mesi l’anno per turismo ma non potete lavorare e vivere in un altro Paese. Se decidete di partire vi esponete a grossi rischi e all’irregolarità. Se avete questa intenzione parlatene con le Caritas diocesane, per stabilire un rapporto di onestà e fiducia reciproca”.

Le signore agfane si riposano in aeroporto tra un volo e l’altro (foto: Caiffa/SIR)

Il viaggio è iniziato con l’appuntamento all’aeroporto di Islamabad alle 11 per prendere il volo per Doha alle 3 di notte. Gli operatori Caritas hanno messo etichette sui bagagli e consegnato badge, con il supporto del personale dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni, presente in aeroporto per facilitare le procedure. Sono stati effettuati almeno cinque o sei controlli di documenti e bagagli:

una vita intera in volo verso l’Europa racchiusa in 25 kg di valige e trolley. La maggior parte non aveva mai preso un aereo.

Tra loro numerose famiglie con tanti bambini, anche molto piccoli. E alcune signore più avanti con l’età che faticavano a tenere il passo. Tra i pochi rifugiati che parlano inglese c’è Nida, 30 anni (sono nomi di fantasia per motivi di sicurezza). E’ l’unica che viaggia da sola, la più provata. Nida esercitava come medico di base ma con la salita al potere dei talebani nell’agosto del 2021 le è stato impedito di continuare a lavorare. E’ fuggita in Pakistan con la sua famiglia, rimasta a Islamabad. Spera di riuscire a specializzarsi negli atenei italiani e ricongiungersi alla famiglia.

Fratello e sorella – (foto: Caiffa/SIR)

Stessa sorte è toccata a Naima, che insegnava scienze infermieristiche all’università. Con i talebani tutte le docenti donne sono state obbligate a smettere di lavorare. Gli uomini hanno scelto di lasciare le cattedre e il Paese.  “Ora nella metà delle facoltà universitarie si insegnano materie religiose”, racconta il fratello Omar, 19 anni. Ha finito le scuole superiori poco prima dell’agosto 2021, parla già un buon inglese e vuole studiare ingegneria. E’ lui ad aiutarci a tradurre dall’inglese al farsi durante il lungo viaggio. “Le donne non possono più lavorare e studiare, devono indossare il burka – prosegue Omar -. Gli uomini devono portare la barba lunga e non possono indossare i jeans. In Afghanistan c’è molto malcontento e paura, ho la sensazione che si stia preparando una ribellione interna al regime, anche se non so quante possibilità di successo potrà avere”. Fratello e sorella hanno lasciato a Islamabad altri 8 membri della famiglia, tra cui due bimbi sotto i 5 anni. Il momento più duro è stato qualche mese fa durante il passaggio della frontiera tra Afghanistan e Pakistan. Il fratello maggiore era stato militare nell’esercito sotto gli americani e al confine volevano arrestarlo. Quando racconta la paura avuta in quell’occasione Naima ancora si commuove. Sono riusciti a passare con uno stratagemma. “Vogliamo integrarci bene nella società italiana – dicono – e poi provare a far venire il resto della famiglia”.

In volo – (foto: Caiffa/SIR)

Al transfer all’aeroporto di Doha non è stato facile tenere insieme tutto il gruppo, in mezzo a tanti viaggiatori da tutto il mondo. L’accorgimento costante era di contarli in continuazione e farli camminare in fila indiana. Fortunatamente le hostess della Qatar airways hanno facilitato i controlli. Ma gli imprevisti sono sempre in agguato in una iniziativa così complessa, dai mille aspetti procedurali: uno del gruppo ha dimenticato una borsa con alcuni documenti al bagno dell’aeroporto di Doha. All’inizio si temeva fosse il passaporto, in realtà era la patente di guida, che non è stata più ritrovata.

Sul volo Doha-Roma (foto: Caiffa/SIR)

Salire sul volo per Roma è stato un altro momento emozionante, anche se erano già molto stanchi. Dopo oltre 10 ore di volo e un transfer di 5 ore, appena l’aereo ha toccato terra a Fiumicino gli afgani sono stati condotti dalla polizia al Terminal 5 per i controlli, le impronte digitali e per l’avvio ufficiale della procedura per la richiesta di asilo in Italia. Dovranno passare ancora cinque o sei ore finché tutti potranno uscire sul suolo romano,

finalmente in una terra libera, in una democrazia.

Due fratelli si riabbracciano all’aeroporto di Fiumicino – (foto: Caiffa/SIR)

Ad aspettarli al Terminal 5 alcuni parenti già in Italia, i delegati delle 15 Caritas diocesane coinvolte nell’accoglienza e altri operatori di Caritas italiana. Una famiglia sarà accolta dalle suore di Madre Teresa di Calcutta. Qualcuno rimarrà a Roma, altri dovranno ancora continuare il viaggio verso la destinazione finale con auto o pulmini verso Savona, Belluno, Vittorio Veneto, Assisi, Piana degli Albanesi,  Biella, Frosinone, Gaeta, Milano, Piana degli Albanesi, Pordenone, Sorrento, Tricarico, Udine, Ugento e Verona. Alcune famiglie trascorreranno la notte a Roma per riposare un po’ – anche perché ci sono due o tre bambini molto piccoli – prima di raggiungere le rispettive diocesi.

A Roma Fiumicino. Una famiglia sarà accolta dalle suore di Madre Teresa di Calcutta (foto: Caiffa/SIR)

Si è trattato dell’ultimo corridoio umanitario dal Pakistan che conclude le 300 quote assegnate a Caritas italiana nell’ambito del Protocollo firmato da Cei, Fcei (Federazione Chiese evangeliche italiane), Arci, Comunità di Sant’Egidio con il governo italiano. È stata già fatta richiesta per aumentare le quote, si è in attesa di una risposta. Dal 2017 ad oggi sono entrati per vie legali e sicure migliaia di persone, grazie al finanziamento della società civile. La Chiesa italiana impegna per i corridoi umanitari milioni di euro dell’otto per mille.

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Papa Francesco: “Sto molto meglio, ma fatico se parlo troppo”

Mer, 06/12/2023 - 11:55

“Anche oggi ho chiesto aiuto a mons. Ciampanelli per leggere, perché ancora fatico. Sto molto meglio, ma fatico se parlo troppo. Per questo sarà lui a dire la cosa”. Papa Francesco, entrato camminando in Aula Paolo VI, aiutato dal suo bastone, ha iniziato così l’udienza di oggi, che si è svolta secondo lo stesso schema dell’udienza di mercoledì scorso, grazie all’aiuto nella lettura di mons. Filippo Ciampanelli, della Segreteria di Stato. “E non dimentichiamo di pregare per quanti soffrono il dramma della guerra, in particolare le popolazioni dell’Ucraina, di Israele e di Palestina”, la parte dei saluti finali dell’udienza, rivoti ai pellegrini di lingua italiana, letta dal Santo Padre: “La guerra sempre è una sconfitta. Nessuno guadagna, tutti perdono, soltanto guadagnano i fabbricatori delle armi”.

“In questa nostra epoca, che non aiuta ad avere uno sguardo religioso sulla vita e in cui l’annuncio è diventato in vari luoghi più difficile, faticoso, apparentemente infruttuoso, può nascere la tentazione di desistere dal servizio pastorale”.

A denunciarlo è il Papa, nel testo preparato per la catechesi. “Magari ci si rifugia in zone di sicurezza, come la ripetizione abitudinaria di cose che si fanno sempre, oppure nei richiami allettanti di una spiritualità intimista, o ancora in un malinteso senso della centralità della liturgia”, scrive Francesco:

“Sono tentazioni che si travestono da fedeltà alla tradizione, ma spesso, più che risposte allo Spirito, sono reazioni alle insoddisfazioni personali”.

“Creatività” e “semplicità”, le due parole d’ordine indicate per il servizio pastorale: “Ogni volta che cerchiamo di tornare alla fonte e recuperare la freschezza originale del Vangelo spuntano nuove strade, metodi creativi, altre forme di espressione, segni più eloquenti, parole cariche di rinnovato significato per il mondo attuale”. “Lo Spirito è il protagonista, precede sempre i missionari e fa germogliare i frutti”, l’esordio della catechesi: “Questa consapevolezza ci consola tanto!”, esclama Francesco, ribadendo che “nel suo zelo apostolico la Chiesa non annuncia sé stessa, ma una grazia, un dono, e lo Spirito Santo è proprio il Dono di Dio, come disse Gesù alla donna samaritana”.

“Il primato dello Spirito non deve però indurci all’indolenza”, il monito : “La fiducia non giustifica il disimpegno”.

“Il Signore non ci ha lasciato delle dispense di teologia o un manuale di pastorale da applicare, ma lo Spirito Santo che suscita la missione”, ricorda Francesco: “E l’intraprendenza coraggiosa che lo Spirito infonde ci porta a imitarne lo stile, che sempre ha due caratteristiche: la creatività e la semplicità. Creatività, per annunciare Gesù con gioia, a tutti e nell’oggi”. “Lasciamoci avvincere dallo Spirito e invochiamolo ogni giorno”, l’esortazione finale: “sia lui il principio del nostro essere e del nostro operare; sia all’inizio di ogni attività, incontro, riunione e annuncio. Egli vivifica e ringiovanisce la Chiesa: con lui non dobbiamo temere, perché egli, che è l’armonia, tiene sempre insieme creatività e semplicità, suscita la comunione e invia in missione, apre alla diversità e riconduce all’unità. Egli è la nostra forza, il respiro del nostro annuncio, la fonte dello zelo apostolico”.

“Lottiamo contro la società dello scarto, difendiamo la dignità di ogni persona”.

Sono le parole rivolte alla Fondazione Telethon in Messico, durante i saluti finali dell’udienza. Il Papa, nei saluti ai fedeli polacchi, si è rivolto in particolare agli artisti che partecipano al concerto “Salmi di pace e di ringraziamento”, che commemora la beatificazione della famiglia Ulma e ringraziando “tutti coloro che sostengono con le loro preghiere e le loro offerte” la Chiesa dell’Est, “specialmente nella martoriata Ucraina”. Nei saluti di lingua italiana, inoltre, un riferimento alla solennità dell’Immacolata, in occasione della quale il Santo Padre compirà il tradizionale omaggio alla statua dell’Immacolata in piazza di Spagna, preceduto dal dono della “Rosa d’oro” alla Salus populi romani nella basilica di Santa Maria Maggiore: “Imparate da lei la grande fiducia verso il Signore per testimoniare il bene e l’amore evangelico”.

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Pope Francis: “I’m much better, but I get tired if I speak too much”

Mer, 06/12/2023 - 11:55

“Today, too, I asked Monsignor Ciampanelli to read the text, because I still have some difficulties. I feel much better, but I get tired if I talk too much. So he will be the one to speak.” Pope Francis entered Paul VI Hall with the help of his walking stick for today’s general audience, which followed the same format as last Wednesday’s audience, helped by Monsignor Filippo Ciampanelli from the Secretariat of State in the reading of the text. “And let us not forget to pray for all those who suffer the tragedy of war, especially the populations of Ukraine, Israel and Palestine,” the Pope said in his final greetings to the Italian-speaking pilgrims: “War is always a defeat. No one wins, everyone loses. The only winners are the arms manufacturers.”

“In this age of ours, which does not help us have a religious outlook on life, and in which the proclamation has become in various places more difficult, arduous, apparently fruitless, the temptation to desist from pastoral service may arise”,

reads the Pope’s text for the catechesis. “Perhaps one takes refuge in safety zones, like the habitual repetition of things one always does, or in the alluring calls of an intimist spirituality, or even in a misunderstood sense of the centrality of the liturgy”, Francis writes:

“They are temptations that disguise themselves as fidelity to tradition, but often, rather than responses to the Spirit, they are reactions to personal dissatisfactions.”

“Creativity” and “simplicity”, are the two key words for pastoral care: “Whenever we make the effort to return to the source and to recover the original freshness of the Gospel, new avenues arise, new paths of creativity open up, with different forms of expression, more eloquent signs and words with new meaning for today’s world.” “The Spirit is the protagonist; he always precedes the missionaries and makes the fruit grow”, the Pope said in the opening remarks of his catechesis: “This knowledge comforts us a great deal!”, Francis exclaimed. He remarked: “in her apostolic zeal the Church does not announce herself, but a grace, a gift, and the Holy Spirit is precisely the Gift of God, as Jesus said to the Samaritan woman.”

“The primacy of the Spirit should not, however, induce us to indolence”, Francis pointed out: “Confidence does not justify disengagement.”

“The Lord has not left us theological lecture notes or a pastoral manual to apply, but the Holy Spirit who inspires the mission”, Francis said: “And the courageous initiative that the Spirit instils in us leads us to imitate his style, which always has two characteristics: creativity and simplicity. Creativity, to proclaim Jesus with joy, to everyone and today”, the final exhortation: “let us allow ourselves to be drawn by the Spirit and invoke him every day; may he be the source of our being and our work; may he be at the origin of every activity, encounter, meeting and proclamation. He enlivens and rejuvenates the Church: with him we must not fear, because he, who is harmony, always keeps creativity and simplicity together, inspires communion and sends out in mission, opens to diversity and leads back to unity. He is our strength, the breath of our proclamation, the source of apostolic zeal.”

“Let us defend the dignity of every human person, let us continue our fight against the throwaway culture.”

The Pope’s words, in his closing remarks at the General Audience, were addressed to the Telethon Foundation in Mexico. In his greeting to the Polish faithful, the Pope expressed his appreciation to the artists taking part in the concert “Psalms of Peace and Thanksgiving” to commemorate the beatification of the Ulma family, and thanked “all those who support the Eastern Church with their prayers and offerings, especially in the tormented Ukraine.” In his greetings to the Italian-speaking faithful, the Holy Father recalled the feast of the Immaculate Conception, when he will pay the traditional homage to the statue of the Immaculate Conception in Piazza di Spagna. This will be preceded by the presentation of the “Golden Rose” to the icon of the Salus populi romani in the Basilica of Saint Mary Major: “May you learn from her great faith in the Lord, to become witnesses of goodness and evangelical love.”

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Economia della fraternità. Mons. Sorrentino: “Sarebbe bello sostenere progetti che arrivano da Terra Santa e Ucraina”

Mer, 06/12/2023 - 10:00

“Promuovere un rinnovamento dell’economia all’insegna dell’universale fraternità di tutti gli esseri umani a partire dalla condizione e dagli interessi dei più umili e disagiati, nella prospettiva evangelica dell’unica paternità di Dio e del suo disegno di amore per tutti i suoi figli”: è questo l’obiettivo del Premio internazionale Francesco d’Assisi e Carlo Acutis, come previsto nello Statuto e nel Regolamento. L’edizione del premio per il 2024 è stata presentata, martedì 5 dicembre, alla Filmoteca vaticana, alla presenza dell’arcivescovo-vescovo delle diocesi di Assisi-Nocera Umbra-Gualdo Tadino e di Foligno, mons. Domenico Sorrentino, il card. Francesco Montenegro, arcivescovo emerito di Agrigento, suor Alessandra Smerilli, segretario del Dicastero per lo Servizio dello sviluppo umano integrale, padre Giulio Albanese, direttore dell’Ufficio per le Comunicazioni sociali della diocesi di Roma e membro della Commissione valutativa del Premio, mons. Anthony Figueiredo, coordinatore del Premio, e suor Roberta Arcaro, responsabile del Segretariato delle missioni delle Suore Francescane Angeline, vincitrici dell’edizione 2023.

(Foto: diocesi di Assisi-Nocera Umbra-Gualdo Tadino)

“Questo Premio è un riconoscimento concreto alla fraternità vissuta in maniera intelligente ed efficace anche sul piano economico.

È un sostegno che va ad aiutare realtà imprenditoriali minori che hanno bisogno di una spinta di avvio ma che sono un esempio di quella nuova economia, solidale, umana, circolare e fraterna di cui c’è tanto bisogno, specialmente nelle regioni più povere del mondo”, ha spiegato mons. Domenico Sorrentino, in occasione della conferenza stampa di presentazione dell’edizione 2024 del “Premio internazionale Francesco d’Assisi e Carlo Acutis per una economia della fraternita”. “Da Assisi – ha aggiunto il presule – diamo concretezza al messaggio di San Francesco e del beato Carlo Acutis, in linea con l’iniziativa del Santo Padre che, con The Economy of Francesco, ha invitato giovani economisti, changemakers e imprenditori a rifondare l’economia, dandole un’anima. Grazie alla generosità di imprenditori lungimiranti, attenti alle persone più che al profitto, con questo premio già negli anni scorsi abbiamo permesso a realtà svantaggiate economicamente ma ricche del capitale della fraternità di essere un modello di speranza e di cambiamento”. Anche quest’anno, ha osservato mons. Sorrentino, “ci aspettiamo candidature da tanti luoghi del mondo.

Sarebbe bello riceverne dai luoghi di guerra dell’Ucraina e della Terra Santa dove c’è davvero bisogno di ricostruire legami fraterni e umani”.

(Foto: diocesi di Assisi-Nocera Umbra-Gualdo Tadino)

“Come Dicastero per il Servizio dello sviluppo umano integrale – ha affermato suor Alessandra Smerilli – siamo felici che la diocesi di Assisi-Nocera-Gualdo abbia promosso questa iniziativa. Noi lavoriamo a servizio del Papa e di tutte le Chiese del mondo perché sia vera la parola di Gesù ‘Io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza’. Il nostro lavoro è di fare in modo che si rimuovano gli ostacoli allo sviluppo: e le attività imprenditoriali possono essere una via di sviluppo e di pace e l’impresa può diventare promotrice di fraternità e di pace. Non dobbiamo dimenticare che la diocesi è diventata la culla di Economy of Francesco, da cui è nato un momento di tantissimi giovani da tutte le parti del mondo e di tutte le età che stanno dando la vita per la fraternità e la pace”.

“Sono convinto – ha sostenuto padre Giulio Albanese – che questo Premio sia stato concepito dopo un lungo discernimento.

Mai come oggi le diseguaglianze gridano vendetta al cospetto di Dio e mai come oggi è importante affermare un messaggio all’insegna della comunione e della fraternità, come Papa Francesco ha dimostrato nel suo illuminato magistero.

Se uno legge lo Statuto del Premio, vedrà che è una straordinaria lezione di dottrina sociale: leggendo gli orientamenti si riescono a cogliere le coordinate per innescare il cambiamento. Indipendentemente dal denaro a disposizione non possiamo cambiare il mondo ma ritengo che, così come è stato concepito, questo Premio sia il lievito che fa fermentare la massa”.

(Foto Siciliani-Gennari/SIR)

Mons. Anthony  Figueiredo ha ricordato i premiati delle edizioni precedenti sottolineando che “questo premio vuole dare voce alle piaghe dei fratelli scartati e spogliarci dalla mentalità odierna, passando da un’economia del profitto a un’economia della fraternità. L’anno scorso le domande sono arrivate da quattro continenti, 23 nazioni, 18 dall’Africa. La generatività è uno dei criteri per le domande: i vincitori del premio devono essere protagonisti del loro riscatto per sviluppare i loro territori e le loro comunità, ma anche per custodire la casa comune”.

“Grazie – le parole di suor Roberta Arcaro – perché il premio non è servito a costruire un panificio, ma a cambiare mentalità. I nostri sono ragazzi che vivono in un ambiente di totale povertà ma che ora sono formati alla gestione di quello che verrà prodotto. Noi stiamo cercando di lavorare come se dovessimo andare via il giorno dopo lasciando l’opera in mano ai ragazzi. La formazione ci impegna, non solo per imparare il mestiere ma anche per formare l’uomo e la donna”.

“Complimenti al vescovo Sorrentino – il saluto finale del card. Francesco Montenegro – per questo coraggio di mostrarci San Francesco non solo come un uomo umile e mite ma forte e con i muscoli, che sa fare e andare lontano. E grazie perché la restituzione non è soltanto un gesto di carità, ma un atto di giustizia. Vedendo i bambini vincitori della scorsa edizione pensavo ai morti di Lampedusa: i morti nel mare, nel deserto, in Albania, sono persone che graffiano l’anima. E mi auguro che questa restituzione non avvenga solo perché Francesco e Carlo sono diventati due capisaldi. Mi auguro che facciano riflettere la Chiesa sul cambiare stile, per poter vivere l’economia diversamente”.

(Foto: diocesi di Assisi-Nocera Umbra-Gualdo Tadino)

Il bando dell’edizione 2024 del Premio è pubblicato e sostenuto dalla Fondazione diocesana di religione-Santuario della Spogliazione, istituita dalla diocesi di Assisi-Nocera Umbra-Gualdo Tadino, ed è online sul sito www.francescoassisicarloacutisaward.com. Le domande di partecipazione devono essere presentate entro il 31 gennaio 2024. Il progetto vincitore del Premio riceverà una corresponsione in denaro al massimo di 50mila euro, frutto della sensibilità di un comitato di sostenitori. Al vincitore sarà inoltre consegnato un foulard con l’immagine della spogliazione, in ricordo del gesto con cui l’allora vescovo di Assisi, Guido, coprì il giovane Francesco Bernardone nel momento della sua spogliazione, e un’icona con il logo del Premio, portando i volti di San Francesco e del Beato Carlo Acutis.

Il Premio, nella sua edizione inaugurale del 15 maggio 2021 è stato assegnato, a titolo emblematico e fuori concorso, all’Istituto Serafico di Assisi, in occasione del 150° anniversario della sua fondazione. Nel 2022 il riconoscimento da 50mila euro è stato assegnato al progetto Ecobriqs Charcoal Briquettes, realizzato da un gruppo di 15 persone con disabilità della diocesi di Pasig, nelle Filippine (Manila metropolitana), che usando rifiuti, scarti e ninfee infestanti producono – tramite una tecnologia rivoluzionaria – i bricchetti di carbone. I promotori avevano anche deciso di sostenere Farm of Francesco, progetto frutto di Agriculture & Justice Village, uno dei villaggi di Economy of Francesco, con 15mila euro. Infine, nel 2023, il premio da 50mila euro è stato assegnato alla “Casa del Pane”, un laboratorio per la panificazione e la vendita di prodotti da forno, in Ciad, che sarà gestito da ragazzi e ragazze disoccupati, orfani o in difficoltà, con il sostegno delle suore francescane angeline.

Il Premio internazionale “Francesco d’Assisi e Carlo Acutis per una economia di fraternità” è stato istituito dal vescovo di Assisi-Nocera Umbra-Gualdo Tadino e di Foligno, arcivescovo Domenico Sorrentino, il 10 ottobre 2020, giorno della beatificazione di Carlo Acutis. Ed è nato per promuovere un rinnovamento dell’economia all’insegna della fraternità a cominciare dalla condizione e dagli interessi dei più umili e disagiati. L’obiettivo del premio è fornire un aiuto concreto ad avviare processi economici che nascono dal basso nel rispetto della persona, in un clima di fraternità e che siano d’esempio per la diffusione di un’economia fraterna, umana e solidale. Possono partecipare al premio persone, enti, associazioni e società, di qualunque parte del mondo, e specialmente nelle regioni più povere, in partenariato. Il premio, dunque, mira a incoraggiare progetti economici fraterni “dal basso”, a cominciare “dalle difficili condizioni in cui versano i nostri fratelli e sorelle più piccoli e sofferenti e ad ispirare in modo generativo le persone con scarse possibilità economiche, in particolare i giovani al di sotto dei 35 anni e nelle regioni più povere del mondo, a riunirsi (‘Fratelli tutti’) e presentare, come cambiamento- makers, un progetto specifico e valido, sottoposto all’attento esame e giudizio di una Commissione di valutazione, per beneficiare e soddisfare i bisogni concreti dei più disagiati e bisognosi in mezzo a loro”.

Come ha espresso continuamente Papa Francesco nel suo pontificato, San Francesco d’Assisi è ispirazione per un nuovo rapporto con le nostre sorelle e fratelli poveri ed emarginati: “San Francesco ci offre un ideale e, in un certo senso, un programma. Per me, che ho preso il suo nome, è una costante fonte di ispirazione” (Lettera per l’evento “Economia di Francesco”, 1° maggio 2019). Per questo “crediamo che da Assisi, le parole di Gesù dal Crocifisso di San Damiano debbano risuonare oggi in un mondo colpito dalla pandemia: ‘Va’, Francesco, ripara la mia casa che, come vedi, sta cadendo in rovina’. Spogliandosi delle vesti e dei beni materiali davanti al padre, Pietro Bernardone, e all’allora vescovo di Assisi, Guido, il giovane Francesco avviò, attraverso il segno concreto della sua nudità, un’economia diversa da quella del padre terreno: la fiducia sulla provvidenza come strumento generativo per il bene di tutti e, soprattutto, dei più poveri e abbandonati. Così Francesco potrebbe esclamare: ‘D’ora in poi dirò: Padre nostro che sei nei cieli’ e non più ‘Padre Pietro Bernardone’”.

Ispirato da san Francesco, il beato Carlo Acutis, sepolto ad Assisi nel Santuario della Spogliazione, è egli stesso un esempio di “economia della fraternità”, soprattutto per i giovani.

La sua spiritualità profondamente eucaristica si è manifestata nel suo amore per i poveri, caratterizzato non solo dall’elemosina, ma dalla vicinanza e dall’amicizia con i bisognosi, cosa che Papa Francesco ha spesso incoraggiato nei nostri rapporti con i poveri. “Ciò che solo ci renderà veramente belli agli occhi di Dio», ci dice Carlo, «è il modo in cui amiamo Dio e il nostro prossimo”. In un mondo scosso dalla pandemia e dalla guerra e confrontato a tante altre sfide, il Premio internazionale “Francesco d’Assisi e Carlo Acutis, per un’economia di fraternità” vuole essere “ispirazione di santità, bellezza e bontà attraverso nuovi modelli di economia, necessario per questi tempi”.

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Rapporto Svimez. Salari, “lavoro povero”, emigrazioni giovanili le questioni più urgenti per il Paese

Mar, 05/12/2023 - 12:47

Salari, “lavoro povero” e migrazioni giovanili. Secondo la Svimez (Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno) sono queste le questioni più urgenti per il Paese. Il Rapporto 2023, presentato oggi, martedì 5 dicembre, a Roma, stima per quest’anno un aumento del Pil delle regioni meridionali pari allo 0,4% a fronte del +0,8% del Centro-Nord e di una media nazionale del +0,7%. Il dato però presenta forti differenziazioni regionali: si va dal +1,1 della Lombardia e dal +1% dell’Emilia Romagna allo +0,2% di Calabria e Sardegna. Per il 2024 la previsione è di un andamento allineato tra Centro-Nord e Sud mentre nel 2025 si riaprirà il divario. Molto dipenderà comunque dall’attuazione del Pnrr, a cui la Svimez attribuisce un’importanza decisiva nell’evitare una recessione nelle regioni del Mezzogiorno: attualmente la quota di progetti messi a bando e delle aggiudicazioni presenta delle differenze molto significative rispetto al Centro-Nord, rispettivamente 31% contro 60% e 67% contro 91%. Il Rapporto mette quindi in evidenza “le criticità in ordine ai limiti di capacità amministrative delle amministrazioni locali meridionali e all’urgenza di rafforzarne organici e competenze”.

(Foto: Svimez)

Intanto il Sud continua a perdere popolazione, soprattutto giovani qualificati.

Dal 2002 al 2021 hanno lasciato il Mezzogiorno 2,5 milioni di persone, in prevalenza verso il Centro-Nord. Al netto dei rientri, il Sud ha perso oltre un milione di residenti.

(Foto: Svimez)

La Svimez stima che tra il 2022 e il 2080 la popolazione del Mezzogiorno, oggi pari al 33,8% di quella italiana, si ridurrà al 25,8%. In particolare le regioni meridionali dovrebbero perdere più della metà (-51%) della fascia più giovane (0-14 anni) e diventare l’area più vecchia del Paese. “Occorre mettere in campo politiche attive di conciliazione di vita e lavoro e rafforzare i servizi di welfare”, sottolinea il Rapporto, secondo cui

“il potenziamento dell’occupazione femminile nel Mezzogiorno è cruciale per contrastare il declino demografico”.

Una donna single nel Sud ha un tasso di occupazione del 52,3%, comunque lontanissimo dalla media europea del 72,5%. Ma se ha figli di età compresa tra i 6 e i 17 anni il tasso scende al 41,5% e precipita al 37,8% se i figli hanno fino a 5 anni (61,5% al Centro-Nord).

(Foto: Svimez)

La Svimez rileva inoltre che nel 2022 l’inflazione ha eroso soprattutto il potere d’acquisto delle fasce più deboli, concentrate nel Mezzogiorno, dove il reddito disponibile delle famiglie è sceso del 2,9%, oltre il doppio rispetto al -1,2% del Centro-Nord. Né l’incremento dell’occupazione, che rispetto a prima della pandemia ha segnato una ripresa maggiore nel Sud rispetto al resto del Paese, è stato in grado di alleviare il disagio in un contesto di diffusa precarietà e bassi salari. Nel 2022 si contavano nel Mezzogiorno 2,5 milioni di famiglie in povertà assoluta, con un aumento di 250 mila rispetto al 2020 (-170mila nel Centro-Nord). La Svimez guarda con grande preoccupazione alla prospettiva dell’autonomia differenziata che “espone l’intero Paese ai rischi di una frammentazione insostenibile delle politiche pubbliche chiamate a definire una strategia nazionale per la crescita, l’inclusione sociale e il rafforzamento del sistema delle imprese”, aggravata da “un congelamento dei divari territoriali di spesa pro-capite già presenti” e da “un indebolimento delle politiche nazionali redistributive”, sia tra le persone che sul piano territoriale.

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Pakistan. Gulzar (Caritas): “We are helping persecuted Christians and victims of floods and earthquakes”

Mar, 05/12/2023 - 09:51

(Islamabad) – Three and a half months ago, the minority Christian community of Jaranwala, 30 kilometres from Faisalabad in Punjab province, was the target of an angry mob that spread false accusations of blasphemy. Pakistan’s blasphemy law, which has been in force for years, stipulates that anyone who insults Islam or the Prophet Muhammad must be punished with imprisonment or the death penalty. The homes of more than 500 families, out of an estimated 10,000 Christians, have been burnt or destroyed, their property looted, their crosses, Bibles and cemeteries desecrated. Some 30 to 40 churches have been destroyed. Caritas Pakistan, with its headquarters in Lahore and 250/300 staff spread over 8 offices in the country, intervened in their rescue, along with the Diocese of Faisalabad.

“On 16 August, we rushed to the scene immediately after the attack,” Amjad Gulzar, executive director of Caritas Pakistan, told SIR. “I was inundated by a terrible stench of chemicals burnt in the flames, surrounded by devastated houses and churches. Fortunately, no one died.” Caritas, in collaboration with the Diocese of Faisalabad, has drawn up a plan to help the 500 households affected.

Support for rebuilding homes, schools and psychological counselling. After an assessment of the specific needs, the Caritas workers distributed food and kitchen items, bedding, sheets, blankets, washing machines and offered help in home reconstruction works. Three ‘Caritas Community Schools’ have recently been opened, with approximately 90 students attending. The students also receive free educational materials, as well as psychological and social support. “This is a very poor and vulnerable community,” he says. “It was a traumatic event. Many children and old people still have nightmares, they don’t sleep at night, they are afraid, they hide.”

The project continues: on 16 December they will distribute Christmas presents

to 300 families in Faisalabad, with a Christmas lunch to which many children are invited, “to make them feel the Church’s closeness.”

The situation in Jaranwala now seems to have returned to normal. “It took some time, but the provincial and federal governments came to realise that something needed to be done to bring the people together,” says Gulzar. “They reflected on ways to prevent further violence. The local government, the Catholic Church and the Muslim authorities are working together to restore harmony.”

Misuse of the blasphemy law. Gulzar confirmed that minorities are discriminated against in Pakistan, a country of 224 million inhabitants, including more than 2.5 million Christians. Such incidents are often reported in rural areas where residents are poor and illiterate. “The blasphemy law is used as an excuse,” he explains. “Investigations often show that the cases are fabricated, charges are brought for personal cases.” However, major incidents of discrimination also occur in urban centres, although they are less noticeable: “Many Christians feel that they are not treated with due consideration.

People’s attitudes and behaviour need to change.

“But there are also cases where Christian families have been saved by Muslim families, who have taken them into their homes,” Gulzar points out. There are many good people in Pakistan, but successfully reversing discriminatory behaviour is a huge challenge. Our efforts to prevent clashes and conflict must continue.”

“Review the Law to prevent its misinterpretation.” According to the director of Caritas Pakistan, “it is essential to amend the blasphemy law because it is often misinterpreted. But the most important thing is to change the behaviour, the mentality of the people, to make them realise that even though the state religion is Islam, the country was founded on the basis of religious coexistence.” Unsurprisingly, the white stripe of Pakistan’s flag represents religious minorities and minority religions, while the green represents Islam and the Muslim majority.

“It is necessary to start with schoolchildren, providing information and teaching respect for diversity at all levels of education.

Caritas started its active presence in Pakistan in 1965. Its main commitment is to respond to emergencies such as floods and earthquakes. The last catastrophic flood was in August 2022. Thanks to the support of Caritas Italy and the Italian Episcopal Conference, more than 10,000 families have been reached with emergency aid, including food, non-food items, tents, agricultural and farming supplies, food security, water and sanitation, education and support for children.

Building communities resilient to earthquakes and floods. Caritas Pakistan promotes prevention efforts to build resilient communities in the most vulnerable areas near rivers, given the frequency of flooding during the monsoon season. A recent survey showed that 35 villages they worked in were less affected by the 2022 floods than others: “People listened to the government’s messages and managed to save people, animals and personal belongings, taking their documents with them as they fled.”

1,300,000 trees planted. Climate change mitigation through tree planting is also a major challenge: 1.3 million trees have been planted in various vulnerable areas of Pakistan so far, and the project is still ongoing. The funding for the many and varied projects is mainly provided by Caritas Italy, Caritas Austria and Caritas Germany.

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Pakistan. Gulzar (Caritas): “Così aiutiamo i cristiani perseguitati e durante alluvioni e terremoti”

Mar, 05/12/2023 - 09:51

(da Islamabad) – Tre mesi e mezzo fa, in Pakistan, la minoranza cristiana che vive a Jaranwala, a 30 chilometri da Faisalabad, nello Stato del Punjab, è stata presa di mira da una folla inferocita che ha diffuso false accuse di blasfemia. In Pakistan vige da anni una legge che punisce con il carcere o la pena di morte chi insulta l’islam o il profeta Maometto. Oltre 500 famiglie, su circa 10.000 cristiani, hanno visto incendiare o distruggere le loro case, i beni saccheggiati, le croci, le bibbie e il cimitero profanati. Circa 30/40 chiese sono state vandalizzate. Ad intervenire in loro soccorso, oltre alla diocesi di Faisalabad, è stata Caritas Pakistan, che ha la sede principale a Lahore, con 250/300 operatori sparsi in 8 uffici del Paese.

(foto: Caiffa/SIR)

Amjad Gulzar – (foto: Caiffa/SIR)

“Il 16 agosto, appena accaduto l’assalto, ci siamo subito recati sul posto – racconta al Sir Amjad Gulzar, direttore esecutivo di Caritas Pakistan -. Mi è rimasto impresso il forte odore di prodotti chimici bruciati negli incendi, oltre alla distruzione delle case e delle chiese. Per fortuna non ci sono stati morti”. Caritas ha messo a punto un piano, insieme alla diocesi di Faisalabad, per assistere le 500 famiglie colpite.

Aiuti per la ricostruzione delle case, scuole e sostegno psicologico. Dopo una valutazione dei bisogni gli operatori hanno distribuito cibo e set da cucina, letti, lenzuola, coperte, lavatrici e dato supporto nella ristrutturazione delle case. Di recente hanno creato tre “Caritas community school”, frequentate da una novantina di studenti. Qui ricevono anche materiali didattici gratis e sostegno psicologico e sociale. “E’ una comunità molto povera e vulnerabile – precisa -. L’incidente è stato traumatico, molti bambini e anziani hanno ancora incubi, non dormono la notte, sono impauriti, si nascondono”.

Il progetto non è ancora concluso: il 16 dicembre distribuiranno a Faisalabad pacchi natalizi a 300 famiglie, con un pranzo di Natale a cui sono stati invitati molti bambini, “per far sentire loro che la Chiesa è vicina”.

(foto: Caiffa/SIR)

Ora la situazione a Jaranwala sembra essersi normalizzata. “C’è voluto un po’ di tempo ma i governi provinciale e federale hanno capito che sono necessari sforzi per creare armonia tra le persone – spiega Gulzar -. Si sono chiesti cosa fare per evitare altri incidenti. Il governo locale, insieme alla Chiesa cattolica e alle autorità musulmane, stanno lavorando insieme per ristabilire l’armonia”.

L’uso improprio della legge sulla blasfemia. Gulzar conferma che in Pakistan, con 224 milioni di abitanti e oltre 2 milioni e mezzo di cristiani, ci sono comportamenti discriminatori nei confronti delle minoranze. Spesso questi casi accadono nelle aree rurali, dove le persone sono povere e non istruite. “La legge sulla blasfemia viene usata come pretesto – spiega -. Spesso le indagini dimostrano che i casi sono falsi, le accuse vengono usate per casi personali”. Una discriminazione meno evidente emerge anche nelle grandi città: “Molti cristiani sentono che non viene dato loro il giusto spazio.

Devono cambiare la mentalità e i comportamenti delle persone”.

“Però ci sono anche episodi in cui famiglie cristiane sono state salvate da famiglie musulmane, li hanno accolti nelle loro case – sottolinea Gulzar -. In Pakistan ci sono tante buone persone ma riuscire a cambiare i comportamenti discriminatori è una sfida molto grande. Bisogna lavorare per evitare scontri e conflitti”.

“Rivedere la legge per impedire abusi”. Secondo il direttore di Caritas Pakistan, “sarebbe molto importante che la legge sulla blasfemia venga rivista perché molte volte non è applicata in maniera corretta. Ma soprattutto devono cambiare i comportamenti, la mentalità delle persone, far capire che anche se la religione di Stato è l’islam, la patria è stata fondata sulla coesistenza delle religioni”. Non a caso la parte bianca nella bandiera pakistana, su una parte verde che indica l’islam maggioritario, rappresenta proprio la presenza delle minoranze religiose.

“Bisogna iniziare dai bambini nelle scuole, fare informazione e training a tutti i livelli per imparare il rispetto delle diversità”.

(foto: Caiffa/SIR)

Caritas lavora in Pakistan dal 1965 ed è impegnata in primo luogo nella risposta alle emergenze, come alluvioni e terremoti. L’ultima disastrosa inondazione è stata nell’agosto del 2022. Grazie al sostegno di Caritas italiana e della Cei hanno potuto assistere più 10.000 famiglie con aiuti d’emergenza, tra cui cibo, beni non alimentari, tende, mezzi di sostentamento per allevamento e agricoltura, sicurezza alimentare, acqua e servizi igienici, educazione, aiuti ai bambini.

Costruire comunità resilienti a terremoti e alluvioni. Vista la frequenza delle alluvioni nella stagione dei monsoni, è interessante è anche il lavoro di prevenzione che Caritas Pakistan porta avanti per costruire comunità resilienti nelle zone più a rischio, vicino ai fiumi. Una recente indagine ha dimostrato che in 35 villaggi in cui hanno lavorato l’impatto delle inondazioni del 2022 è stato minore rispetto ad altri villaggi: “Le persone hanno compreso i messaggi del governo, sono riuscite a mettere in salvo persone, gli animali e i beni personali, portando con sé i documenti nel momento della fuga”.

1.300.000 alberi piantati. Un altra importante sfida è la lotta ai cambiamenti climatici prevenendo i disastri attraverso la piantumazione di alberi: finora ne hanno piantati 1 milione e 300.000 in diverse zone a rischio del Pakistan, il progetto è ancora in corso. I finanziamenti per le tante e varie progettualità arrivano principalmente da Caritas italiana, Caritas Austria e Caritas Germania.

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Cambiamenti climatici, l’Africa è in assoluto il continente più vulnerabile agli impatti causati dal Global warming

Mar, 05/12/2023 - 09:44

L’Africa è in assoluto il continente più vulnerabile agli impatti causati dal Global warming.

Nonostante abbia contribuito in misura minore al riscaldamento globale rispetto ad altri continenti e le sue emissioni siano relativamente basse, l’Africa deve misurarsi continuamente con danni d’ogni genere prodotti dai cambiamenti climatici.

Secondo il Climate Change Vulnerability Index, su 33 regioni nel mondo che presentano un rischio estremo a causa dei cambiamenti climatici, 27 sono in Africa. Eppure, leggendo i dati dell’Atlante mondiale del carbonio, l’intero Continente africano contribuisce solo con il 4/4,5% alle emissioni di gas serra. Basti pensare che l’America, il secondo Paese per emissioni al mondo, ha su tutto il suo territorio un indice di vulnerabilità bassissimo. Emblematico è quanto sta avvenendo lungo le coste dell’Africa Occidentale dove l’erosione e le mareggiate minacciano sempre più le comunità locali dedite tradizionalmente alla pesca. C’è da considerare che, nel suo complesso, la macroregione subsahariana è particolarmente esposta ad eventi estremi. Ad esempio, le siccità sono aumentate di quasi tre volte tra il 2011 e il 2021, rispetto al periodo 1971-1981, e al contempo, nello stesso periodo, la frequenza delle inondazioni ha subito un incremento di quasi dieci volte.

Purtroppo la stragrande maggioranza dei Paesi africani manca di strategie e politiche di adattamento climatico per affrontare la crescente frequenza dei disastri naturali. Si ritiene che il Continente, essendo altamente vulnerabile, perda tra il 10% e il 15% del suo prodotto interno lordo a causa dei cambiamenti climatici. Molto interessanti sono i risultati di una recente indagine della Banca europea per gli investimenti (Bei) su questo tema. Partendo dal presupposto che occorre rinnovare il sistema finanziario globale per mobilitare in modo più equo le risorse a vantaggio dei Paesi che, eufemisticamente, si trovano nell’occhio del ciclone, l’indagine della Bei sul clima mostra che per milioni di persone nel continente africano, i cambiamenti climatici stanno avendo un impatto estremamente negativo sulla vita quotidiana, come nel caso dell’accesso all’acqua e la garanzia del cibo, per non parlare del crollo dei redditi e la mancanza in termini generali dei mezzi di sussistenza.

L’88% degli africani intervistati ritiene che il cambiamento climatico stia già influenzando la loro vita quotidiana; il 61% è convinta che il cambiamento climatico e i danni ambientali connessi abbiano influito sul loro reddito o sulla loro fonte di sostentamento; il 76% afferma che le energie rinnovabili dovrebbero avere la priorità. Lo studio della Bei conclude sottolineando che “esiste un chiaro consenso sulla via da seguire: più di tre quarti degli intervistati affermano che per prevenire il riscaldamento globale, le economie devono dare alla decarbonizzazione una priorità assoluta”. L’Africa ospita attualmente il 60% delle migliori risorse solari a livello globale, ma solo l’1% della capacità solare fotovoltaica installata. Il solare fotovoltaico – che già oggi viene considerato come fonte energetica più economica in molte parti dell’Africa – se arriveranno gli investimenti potrebbe superare tutte le altre fonti africane entro il 2030. Un piano Marshall o Mattei che dir si voglia per l’Africa non può prescindere da queste considerazioni. Altrimenti sarà inutile dire che “intendiamo aiutare gli africani a casa loro”. Una cosa è certa: da una parte pretendiamo sempre di più dalla natura, sapendo bene però che non saremo mai in grado di restituirle ciò che le abbiamo sottratto, insolventi come siamo rispetto al cosiddetto “debito ecologico”.

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Climate change, Africa is by far the most vulnerable continent to the impacts of global warming

Mar, 05/12/2023 - 09:44

Africa is by far the most vulnerable continent to the impacts of global warming.

 Although it has contributed less to global warming than other continents and its emissions are relatively low, Africa is constantly facing all kinds of damage from climate change.

According to the Climate Change Vulnerability Index, out of 33 regions in the world at extreme risk due to climate change, 27 are in Africa.

However, according to the World Carbon Atlas, the entire African continent contributes only 4/4.5% of greenhouse gas emissions. Suffice it to say that America, the world’s second largest emitter, has a very low vulnerability index throughout its territory. What is happening on the coasts of West Africa is emblematic, where erosion and storm surges are increasingly threatening local communities that traditionally depend on fishing. It should be noted that the sub-Saharan macro-region as a whole is particularly vulnerable to extreme events. For example, the frequency of droughts almost tripled between 2011 and 2021 compared to the period 1971-1981, while the frequency of floods increased almost tenfold over the same period.

Unfortunately, the vast majority of African countries lack climate adaptation strategies and policies to deal with the increasing frequency of natural disasters. The continent, which is highly vulnerable, is estimated to lose between 10% and 15% of its gross domestic product due to climate change.

The results of a recent European Investment Bank (EIB) survey on this subject are very interesting. Starting from the premise that the global financial system needs to be overhauled in order to mobilise resources more equitably for the benefit of countries that are euphemistically in the eye of the storm, the EIB’s climate survey shows that for millions of people on the African continent, climate change is having an extremely negative impact on their daily lives, such as access to water and food security, not to mention the collapse of incomes and the general lack of means of subsistence.

In total, 88% of Africans surveyed believe that climate change is already affecting their daily lives; 61% believe that climate change and related environmental damage has affected their income or livelihood; 76% say that renewable energy should be prioritised.

The EIB study concludes that “there is a clear consensus on the way forward: more than three-quarters of respondents say that economies must make decarbonisation a top priority to avoid global warming”.

Africa currently has 60 per cent of the world’s best solar resources, but only one per cent of installed solar photovoltaic (PV) capacity. Solar PV – already the cheapest energy source in many parts of Africa – could overtake all other African energy sources by 2030 if investment is made.

A Marshall or Mattei plan for Africa cannot ignore these considerations. Otherwise there is no point in saying ‘we want to help Africans in their own homes’. One thing is certain: on the one hand, we are demanding more and more from nature, knowing full well that we will never be able to give back what we have taken, that we will never be able to pay back the so-called ‘ecological debt’.

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Teatro. Scifoni porta in scena “Fra’. San Francesco, la superstar del medioevo”

Mar, 05/12/2023 - 09:35

Ha preso il via dall’Umbria francescana, quella di Gubbio e Todi, il nuovo spettacolo teatrale “Fra’. San Francesco, la superstar del medioevo”, scritto e interpretato dall’attore Giovanni Scifoni, con la regia di Francesco Ferdinando Brandi e orchestrato con le laudi medievali e gli strumenti antichi di Luciano di Giandomenico, Maurizio Picchiò e Stefano Carloncelli.

Un soprannome, Fra’, che lascia quasi presagire una dimensione familiare e amicale con il santo più conosciuto e apprezzato della storia, non solo dal pubblico cattolico, e che, in sole tre lettere, sa farlo scendere dal cielo e riportarlo a terra, rendendolo prossimo a ciascuno di noi. Eppure, Giovanni Scifoni riesce a fare qualcosa di più, perché restituisce a san Francesco d’Assisi i tratti del suo volto di uomo, ossessionato dal desiderio di “raccontare Dio in ogni sua forma”, e riporta al centro la sua dimensione d’artista: infatti, ogni situazione vissuta era trasformata dal santo in predicazione, e nulla di ciò che gli attraversava cuore e pelle veniva buttato via, ma riutilizzato come solida base per nuove creazioni. Come il Cantico delle Creature, primo componimento lirico in volgare italiano della storia, o il presepe di Greccio, “la più geniale (e copiata) opera di Francesco” che il prossimo 24 dicembre compirà 800 anni, o ancora l’incontro con il sultano e le stimmate de La Verna. Gli snodi più importanti della vita e della storia del giovane assisano ci sono tutti, anche con tratti poetici meravigliosi, che strappano applausi convinti a ogni cambio scena.

“Il Fra’ di Giovanni Scifoni è un giullare, che saltella da una parte all’altra del palco, facendo divertire il pubblico, muovendosi tra storia, cultura e spiritualità con umorismo sapiente, regalando originalità e bellezza vera, nel senso più alto del termine”, afferma Alberto Di Giglio, direttore del Festival Cinema dell’anima, seduto nella platea del Teatro comunale di Todi. E Giovanni Scifoni non porta sulla scena soltanto umorismo e cultura, ma riesce a comunicare anche la fede, dando vita a “uno spettacolo che fa bene al teatro e che fa bene al pubblico”.

Quel Fra’ – fratello minore di tutti e per tutti, che a distanza di secoli non smette di far parlare di sé e che era stato già interpretato, tra gli altri, da Mickey Rourke, Nazario Gerardi e Ettore Bassi – diventa una nuova pennellata di colore tra le mani di Giovanni Scifoni che, racconto dopo racconto, applauso dopo applauso, dà vita a un’opera creativamente nuova, ma con la stessa fisionomia delle precedenti: il volto di san Francesco d’Assisi. Un volto nel quale si possono scorgere ancora gli incontri, le vicende e le scoperte personali, con lo sguardo rivolto alla creazione del mondo, specchio del Padre Celeste, e in cui ciascuno, a distanza di 800 anni, può vedere riflesso il suo viso, le sue paure, la sua storia. Nessuno, in fondo, è così distante dal Fra’ di Scifoni.

Dopo Gubbio e Assisi, il san Francesco di Giovanni Scifoni fa tappa alla Sala Umberto di Roma (dal 5 al 23 dicembre), per poi tornare il 28 dicembre nella città natale del Poverello, al Teatro Lyrick di Assisi, ripartire il 3-4 gennaio 2024 da Bologna e calcare nei prossimi mesi molti palcoscenici in giro per l’Italia.

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