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Servizio Informazione Religiosa
Aggiornato: 4 mesi 1 settimana fa

Giornata mondiale dei poveri. Da Nord a Sud centinaia di iniziative nelle diocesi italiane

Sab, 18/11/2023 - 16:29

Pranzi o cene con i poveri, l’offerta di un pasto a chi è in difficoltà, veglie di preghiera, convegni e incontri di approfondimento, visite agli anziani soli, alle persone sole negli ospedali, ai giovani con fragilità, campagne di raccolta fondi, perfino una app con informazioni utili per gli operatori dei centri di ascolto: sono innumerevoli le iniziative che si stanno organizzando in tutte le diocesi italiane in occasione della settima edizione della Giornata mondiale dei poveri, voluta da Papa Francesco, che si celebra il 19 novembre. Il tema di quest’anno è: “Non distogliere lo sguardo dal povero” (Tb 4,7).  Caritas italiana ha messo a disposizione un sussidio (scaricabile qui) e segnala sul suo sito tutte le iniziative nelle diocesi italiane.

Papa Francesco: “Momenti di incontro e di amicizia, di solidarietà e aiuto concreto”. “Al termine del Giubileo della Misericordia ho voluto offrire alla Chiesa la Giornata mondiale dei poveri, perché in tutto il mondo le comunità cristiane diventino sempre più e meglio segno concreto della carità di Cristo per gli ultimi e i più bisognosi – scriveva Papa Francesco il 13 giugno 2017 presentando questa iniziativa -. Desidero che le comunità cristiane, nella settimana precedente la Giornata mondiale dei poveri, si impegnino a creare tanti momenti di incontro e di amicizia, di solidarietà e di aiuto concreto. In questa domenica, se nel nostro quartiere vivono dei poveri che cercano protezione e aiuto, avviciniamoci a loro: sarà un momento propizio per incontrare il Dio che cerchiamo”.

Nel sussidio di Caritas italiana vengono proposti testi e testimonianze per strutturare un dialogo all’interno delle proprie comunità, tra cui pregare il rosario nella comunità e animare la celebrazione eucaristica domenicale con preghiere dei fedeli attinenti alla giornata e una catechesi per i giovani e i ragazzi sulla povertà. I ragazzi vengono invitati a scoprire chi sono i poveri che incontrano nella quotidianità: chi vive ai margini o in situazioni disagio, chi non ha relazioni né amicizie a scuola.

Alcune iniziative nelle diocesi. Impossibile elencare tutto il fervore che c’è nelle varie diocesi, da Nord a Sud. Ne segnaliamo alcune. La Caritas diocesana di Asti ha organizzato per domenica 19 novembre al Foyer delle famiglie un pranzo di fraternità con 110 commensali, tra cui persone in situazione di povertà e volontari. A pranzo ci sarà anche padre Marco Prastaro, vescovo di Asti. A Reggio Emilia il 18 novembre è tenuto il convegno delle Caritas parrocchiali (ore 9, nella parrocchia del Sacro Cuore in via Mons. Baroni, 1), con la presenza del vescovo di Reggio Emilia-Guastalla, mons. Giacomo Morandi. La Caritas reggiana ha accolto l’invito della Pallacanestro Reggiana e 10 persone fra volontari e persone accolte nelle Locande andranno a vedere la partita di basket insieme. A Pescara-Penne, sempre il 18 novembre, dalle 9 presso la Sala Tosti del centro Aurum si è tenuto il convegno “Raccontare le povertà”, organizzato e promosso dalla Caritas diocesana in collaborazione con il Banco Alimentare d’Abruzzo.  La Caritas diocesana di Faenza-Modigliana lancia la nuova campagna “Aiutaci ad aiutare!” a favore delle azioni che ogni giorno la Caritas svolge a favore delle persone in povertà. Tramite donazioni materiali e disponibilità di tempo da dedicare al volontariato tutti possono dare un importante contributo ai servizi che ogni giorno la Caritas offre: dalla mensa alla distribuzione viveri e vestiti fino al dormitorio notturno o all’ambulatorio medico.

A Cassano all’Jonio, dopo un primo incontro il 7 novembre sulla figura di don Lorenzo Milani e il suo impegno contro la povertà educativa, si svolgerà il 19 novembre alle ore 11, presso la parrocchia di San Girolamo, la messa presieduta dal vescovo, mons. Francesco Savino. A seguire ci sarà un pranzo di condivisione e di solidarietà. A Lamezia Terme il 23 novembre, alle ore 17, presso il complesso interparrocchiale San Benedetto, la Caritas diocesana celebrerà la Giornata insieme al vescovo, mons. Serafino Parisi, don Marco Pagniello, direttore di Caritas italiana, e don Fabio Stanizzo, direttore della Caritas diocesana, per poi inaugurare i locali del Centro diurno. A Como si è svolto il 18 novembre il convegno “Come la carità costruisce comunità” (ore 9, al Centro Cardinal Ferrari di viale C. Battisti 8).  A Iglesias si terranno adorazioni eucaristiche, veglie di preghiera diocesane in diverse parrocchie presiedute dal card. Arrigo Miglio. A Gorizia ci sarà una veglia con il vescovo (ore 20.30) presso la chiesa di Santa Maria Assunta (Padri Cappuccini) in piazza San Francesco, con riflessioni sul tema della povertà educativa. Al termine verrà consegnato il mandato agli animatori della carità delle varie parrocchie. La Caritas della diocesi di Vittorio Veneto ha pensato ad alcune iniziative e sussidi e domenica 19 novembre, alle ore 13, organizza un pranzo presso la Casa dello Studente con le persone seguite dalla Caritas diocesana. Sempre in Veneto, tra le varie iniziative, sarà lanciata Ehilapp!, una app per smartphone realizzata in collaborazione con le Caritas di Verona e Vicenza, grazie alla quale è possibile cercare – in base al proprio Comune di residenza – bandi, eventi, proposte, agevolazioni, ecc. a vantaggio di ogni cittadino. L’app può essere scaricata da tutti, ma risulta particolarmente utile per gli operatori dei Centri di ascolto.

 

 

 

 

 

 

Giornata mondiale dei poveri: mettere la nostra spalla sotto la croce degli oppressi

Sab, 18/11/2023 - 16:06

Per introdurci nella settima Giornata mondiale dei poveri il Santo Padre ci propone la Parola di Dio tratta dal libro di Tobia “Non distogliere lo sguardo da ogni povero” (Tb, 4, 7). Questa Parola non lascia spazio all’indifferenza, infatti “quando siamo davanti a un povero – spiega Papa Francesco – non possiamo voltare lo sguardo altrove, perché impediremmo a noi stessi di incontrare il volto del Signore Gesù”. L’esperienza dell’incontro con Gesù contribuisce a muovere tanti uomini e donne di buona volontà ad impegnarsi nell’accoglienza dei poveri “eppure non basta” ci avverte il Pontefice, perché “un fiume di povertà attraversa le nostre città e diventa sempre più grande fino a straripare; quel fiume sembra travolgerci, tanto il grido dei fratelli e delle sorelle che chiedono aiuto, sostegno e solidarietà si alza sempre più forte”. Questo messaggio ci scuote e ci dà un orientamento e una chiave di lettura precisa: è la realtà, sempre più drammatica, che stiamo vivendo in questi ultimi mesi. Il ritorno della guerra in Europa in seguito all’invasione russa dell’Ucraina; centinaia di migliaia di persone che emigrano in fuga da conflitti e povertà; il massacro di innocenti in Israele ed i bombardamenti nella Striscia di Gaza. Davvero un fiume che straripa e che sembra travolgerci. Situazioni che si aggiungono alle realtà di povertà che abbiamo vicino alle nostre case.

L’urgenza di rimuovere le cause di tali ingiustizie, sprona ed esorta la Comunità Papa Giovanni XXIII a “seguire Gesù, povero e servo e a condividere la vita degli ultimi” secondo il suo specifico carisma, ricevuto dal Signore, attraverso il fondatore don Oreste Benzi, come strumento di evangelizzazione e come dono per tutta la Chiesa. Questa scelta vocazionale interiore si traduce in una scelta di vita visibile che consiste proprio nel condividere direttamente la vita con gli ultimi. Mettere la vita con la vita dei piccoli, 24 ore al giorno, 365 giorni all’anno, ci aiuta a vivere questa vicinanza ai poveri come via di santificazione. Essere famiglia di chi non ha famiglia, mettere al centro la persona e non il suo limite sono gli ingredienti di una proposta di vita aperta a tutti, in particolare alle famiglie. Don Benzi ripeteva che “per stare in piedi bisogna stare in ginocchio”, bisogna entrare in sintonia con il Signore. La condivisione diretta si regge sulle ginocchia perché è una scelta di fede e non un impegno. È in sé una proposta di giustizia, perché camminare al passo del migrante, del disabile, dell’anziano fa vivere sulla propria pelle le ingiustizie che loro vivono e fa prendere coscienza dell’importanza di provare a rimuovere tali ingiustizie per una società più giusta.

Il Santo Padre lo spiega bene nel suo messaggio: “Tobi, nel momento della prova, scopre la propria povertà, che lo rende capace di riconoscere i poveri. È fedele alla Legge di Dio e osserva i comandamenti, ma questo a lui non basta. L’attenzione fattiva verso i poveri gli è possibile perché ha sperimentato la povertà sulla propria pelle”.

Cinquant’anni fa il sacerdote dalla tonaca lisa, infaticabile apostolo della carità come lo ha definito Benedetto XVI, aprì la prima casa famiglia per accogliere prima i disabili, poi i bambini senza famiglia. Una rivoluzione che di recente il Santo Padre ha spiegato ricevendoci in udienza. “Oggi, qui con voi, – ha detto il Papa – voglio sottolineare che le ‘case famiglie’ sono nate dalla mente e dal cuore di Don Oreste Benzi. Lui era un prete che guardava i ragazzi e i giovani con gli occhi di Gesù, con il cuore di Gesù. E stando vicino a quelli che si comportavano male, che erano sbandati, ha capito che a loro era mancato l’amore di un papà e di una mamma, l’affetto dei fratelli. Allora Don Oreste, con la forza dello Spirito Santo e il coinvolgimento di persone a cui Dio dava questa vocazione, ha iniziato l’esperienza dell’accoglienza a tempo pieno, della condivisione della vita; e da lì è nata quella che lui ha chiamato ‘casa famiglia’. Un’esperienza che si è moltiplicata, in Italia e in altri Paesi, e che si caratterizza per l’accoglienza in casa di persone che diventano realmente i propri figli rigenerati dall’amore cristiano. Un papà e una mamma che aprono le porte di casa per dare una famiglia a chi non ce l’ha. Una vera famiglia; non un’occupazione lavorativa, ma una scelta di vita. In essa c’è posto per tutti: minori, persone con disabilità, anziani, italiani o stranieri, e chiunque cerchi un punto fermo da cui ripartire o una famiglia in cui ritrovarsi. La famiglia è il luogo dove curare tutti, sia le persone accolte sia quelle accoglienti, perché è la risposta al bisogno innato di relazione che ha ogni persona”.

La relazione, “il bisogno innato di relazione”, ci porta a mettere la nostra spalla sotto la croce degli oppressi, dei diseredati, degli scartati.

Quando si fa questo, allora non c’è tanto bisogno di spiegare, di parlare. È un linguaggio universale che può essere applicato a tutte le culture e nei più variegati contesti, è lo stile della nonviolenza che disinnesca la violenza, è il regno della Pace che rende inutile e insensata la guerra.

(*) responsabile della Comunità Giovanni XXIII

Cinema e piattaforme. Arrivano “The Old Oak”, la serie “The Crown 6” e il prequel di “Hunger Games”

Sab, 18/11/2023 - 11:56

Un weekend ricco di interessanti novità tra cinema e piattaforme. Anzitutto in sala con Lucky Red l’ultimo, bellissimo, film di Ken Loach “The Old Oak”: una storia ambientata nell’Inghilterra del Nord, dove una comunità di ex minatori è chiamata alla sfida dell’accoglienza di profughi siriani. Ad appianare diffidenze sono dei pranzi della domenica organizzati dal proprietario di un pub e da una giovane siriana. Cinema di impegno civile, duro e poetico, che rimette al centro la speranza. Svelati, poi, i primi 4 episodi “The Crown 6”, serie di punta di Netflix che racconta la corona inglese sotto Elisabetta II: l’attenzione è rivolta a Lady Diana, al suo tragico incidente che ha sconvolto la famiglia reale e il mondo intero. La scrittura di Peter Morgan si conferma eccellente. Infine, l’atteso prequel della saga “Hunger Games” (2012-15): è al cinema “La ballata dell’usignolo e del serpente” diretto da Francis Lawrence, adattamento del romanzo di Suzanne Collins. Un racconto avventuroso serrato e feroce, con protagonisti Tom Blyth, Rachel Zegler, Peter Dinklage e una magnifica Viola Davis.

Il punto Cnvf-Sir

“The Old Oak” (al cinema dal 16 novembre)

Il regista britannico Ken Loach, all’età di 87 anni e con una filmografia densa di titoli significativi, due volte Palma d’oro a Cannes, non ha di certo bisogno di presentazioni. È un punto di riferimento nel cinema di impegno civile, attento alla condizione degli ultimi, tra lavoratori precari e disoccupati. Con i suoi precedenti titoli Io, Daniel Blake” (2016) e “Sorry We Missed You” (2019) ci aveva consegnato delle suggestioni struggenti sulla società inglese ed europea, un quadro senza apparente possibilità di salvezza. Nel 2023 il regista è tornato dietro alla macchina con “The Old Oak”, raccontando una storia di sofferenza ma anche di ritrovata fiducia. A firmare il copione è lo stesso Loach con il fidato Paul Laverty.

(Foto: Lucky Red)

La storia. Siamo nel 2016 in Inghilterra del Nord, in una cittadina un tempo legata all’attività mineraria e ora con un’economia implosa, segnata da povertà e diffusa disoccupazione. Quando arrivano delle famiglie di profughi siriani, gli abitanti rispondono con freddezza: c’è paura, non tanto del “diverso”, quanto di nuove bocche da sfamare. E così si verificano episodi di odio e intolleranza. A dare un cambio di passo alla situazione sono il proprietario di un pub della zona, TJ Ballantyne (Dave Turner), e una ragazza siriana, Yara (Ebla Mari). Insieme organizzano dei pranzi domenicali per la comunità. Da lì (ri)parte il dialogo, il cammino di convivenza solidale…

(Foto: Lucky Red)

Si esce ogni volta un po’ sottosopra, a livello emotivo, dalla proiezione di un film di Ken Loach. Il regista britannico picchia duro, invitandoci a guardare nelle zone d’ombra della società. Con “The Old Oak” Loach ci regala un altro magnifico quadro sociale, livido sì ma anche denso di speranza. Ci parla di ultimi, del nostro presente, tra lavoratori in affanno, nuovi poveri e migranti siriani. Un’umanità che sulle prime fatica ad andare d’accordo, a causa di pregiudizi e timori. A unire alla fine è il coraggio della speranza, quella di una giovane fotografa siriana e di un cinquantenne inglese. È una tavola imbandita di cibo e storie di radici, tradizioni, in un vecchio pub; lì si forma una nuova comunità, rigenerata e includente. Sboccia finalmente l’armonia, quella che ben riassume la frase ricorrente nel film: “When We Eat Together, We Stick Together”.

“Quando mangiamo insieme, siamo davvero uniti. Formiamo una comunità”.

Ken Loach si conferma un granitico avamposto per i diritti dimenticati, custode di un’umanità disgraziata; maestro di un cinema di impegno civile che scuote lo sguardo e cura l’animo distratto. “The Old Oak” è consigliabile, problematico, per dibattiti.

“The Crown 6 – Prima parte” (su Netflix, dal 16 novmbre)

Dal 2016 “The Crown” rappresenta una perla nella library di Netflix. La serie britannica, sul regno di Elisabetta II e la casa reale Windsor, firmata dalla penna geniale di Peter Morgan, è un unicum nel panorama televisivo del nuovo millennio, capace di unire la solidità di un racconto storico con il trasporto di un efficace e avvincente thriller politico-sentimentale. Nel 2023 Netflix ha deciso di dividere la sesta e ultima stagione in due parti: i primi quattro episodi dal 16 novembre e i restanti sei dal 14 dicembre. Alla base di tale scelta non c’è (solo) una strategia di marketing. Separare infatti il racconto in due atti permette di dare un’adeguata attenzione alla storia e figura di lady Diana, alla sua tragica scomparsa nell’estate del 1997, riservando alla seconda parte della serie il congedo da Elisabetta II.

(Foto: The Crown – Netflix)

La storia. Estate 1997, Lady Diana ormai lontana dal principe Carlo si ritaglia una vacanza con i figli William e Harry a Saint-Tropez, nella villa dell’imprenditore Mohamed Al-Fayed. Lì conosce suo figlio Dodi. I due vivranno una nascente intesa tallonati da plotoni di fotografi…

Si registra un felice cambio di passo rispetto alla quinta stagione di “The Crown”, un po’ sottotono rispetto alle precedenti. In “The Crown 6” ritroviamo tutta l’elevata qualità del racconto, come pure della messa in scena e della ricostruzione storica, della fotografia e delle musiche composte da Martin Phipps. A imprimere un sigillo di qualità è soprattutto la penna di Peter Morgan, puntuale, acuta ed elegante.

(Foto: The Crown – Netflix)

Punto di forza della serie sono di certo le interpretazioni. Elizabeth Debicki nel ruolo di Lady Diana è ancora più brava, capace di tratteggiare la principessa di Galles con maggiore controllo, attenta a tutte le sfumature emotive in campo. A ben vedere, l’altro grande protagonista di “The Crown 6” risulta il principe Carlo (un ottimo Dominic West!), che si mostra sì sovrastato dal dolore per la morte dell’ex moglie, ma anche capace di fronteggiare la reticenza della corona, della madre Elisabetta II, nell’approvare un funerale pubblico. E in questo si riscontra una parziale differenza rispetto alla traiettoria del film “The Queen” (2006) di Stephen Frears, dove veniva dato maggiore spazio all’intervento del primo ministro Tony Blair.

(Foto: The Crown – Netflix)

Infine, la regina Elisabetta II è ancora una volta Imelda Staunton: qui la grandissima attrice britannica sembra più consapevole del ruolo, più dentro al personaggio rispetto a “The Crown 5”, dove aveva impresso un eccesso di emotività alla sovrana. Nei primi episodi della sesta stagione la Staunton riesce con abilità a fondere introspezione e tempra regale, umanità e doveri istituzionali, ribadendo puntualmente che “the Crown must always win…”. Serie consigliabile, problematica, per dibattiti.

“Hunger Games. La ballata dell’usignolo e del serpente” (al cinema dal 15 novembre)

Otto anni dopo la fine della saga cinematografica “Hunger Games” (2012-15) ecco riaccendersi i riflettori sulla storia di Panem. È “La ballata dell’usignolo e del serpente”, prequel nato sempre dalla penna di Suzanne Collins che vede alla regia ancora una volta Francis Lawrence, al timone da “La ragazza di fuoco” del 2013. Nelle sale italiane con Notorius e Medusa Film.

(Foto: Murray Close)

La storia. Sessant’anni prima degli eventi che vedono protagonista Katniss Everdeen, a Capitol City è in corso la X edizione degli Hunger Games. Tra gli studenti più in vista della città c’è il diciottenne Coriolanus Snow (Tom Blyth), chiamato con alcuni suoi pari a fare da mentore ai ragazzi sorteggiati per i feroci giochi. Coriolanus dovrà preparare la combattiva Lucy Gray Baird (Rachel Zegler) proveniente dal Distretto 12, aiutandola a superare le difficoltà messe a punto dalla spregiudicata scienziata Volumnia Gaul (Viola Davis)…

Anche senza la presenza dell’eroina Katniss Everdeen, “Hunger Games” sembra funzionare abbastanza bene. “La ballata dell’usignolo e del serpente” si conferma un ottimo prequel per la qualità della messa in scena, la regia collaudata di Francis Lawrence, la caratterizzazione dei personaggi e le musiche di James Newton Howard. Tra gli interpreti spicca Viola Davis, in un ruolo scomodo, estremo. Il film, come ogni titolo del ciclo “Hunger Games”, offre una suggestione feroce della nostra società, un’allegoria livida di un’umanità senza bussola, deragliata, in un domani distopico.

(Foto: Murray Close)

L’opera affronta la genesi del male, la vertigine della corruzione interiore: approfondisce il momento in cui il giovane Coriolanus Snow, erede di una nobile dinastia caduta in povertà, decide di sposare il male senza ritorno per ribellarsi alla propria amara sorte. “La ballata dell’usignolo e del serpente” offre uno sguardo intenso e fosco giocato tra realismo e fantastico, con chiari rimandi al bellissimo e sfidante “Joker” di Todd Phillips. Un quadro angosciante, con timidi lampi di speranza. In questo, manca sì una figura luminosa come Katniss temperare il buio del racconto. Complesso, problematico, per dibattiti.

Usura e azzardo. Gualzetti: “Creare alleanze con istituzioni, imprese, sanità, scuola per vincere la piaga che colpisce persone, famiglie, giovani”

Sab, 18/11/2023 - 09:30

“Nel nuovo scenario socio-economico, l’azzardo anticamera dell’usura. Le Fondazioni antiusura a sostegno della prevenzione”. È stato il tema del convegno della Consulta nazionale antiusura San Giovanni Paolo II, che si è svolto sabato 11 novembre a Palermo. Sui temi delle povertà, anche legate alle crisi ricorrenti degli ultimi anni, dell’indebitamento, dell’usura e dell’azzardo, abbiamo intervistato Luciano Gualzetti, presidente della Consulta nazionale antiusura.

Luciano Gualzetti (Foto Siciliani-Gennari/SIR)

Presidente, quanto il nuovo scenario socio-economico pesa sul fenomeno dell’usura?

Le varie crisi che si sono susseguite – crisi finanziaria, pandemia, adesso aumento del tasso di inflazione e dei tassi di interesse – vanno tutte a colpire quelli che poveri lo erano già o che erano in bilico, impattando situazioni già fragili. I processi di impoverimento colpiscono in modo asimmetrico. Colpiscono di più le famiglie numerose, con stranieri, monogenitoriali, soprattutto solo con la madre. Ci sono delle situazioni che sono molto più vulnerabili di altre. In questo quadro cresce la necessità di accedere al denaro, perché ci sono degli impegni da onorare, le rate del mutuo o l’affitto, e arrivare a fine mese è sempre più difficile: l’usura è una delle opzioni alla portata di molte persone.

Noi di usura facciamo fatica a parlare perché non si vede in maniera così esplicita, in realtà è un fenomeno carsico.

Persone fisiche, quindi l’usuraio della porta accanto, o la criminalità organizzata sono sempre pronte a offrire del denaro facile a chi ha fame di questo e non riesce ad accedere al credito legale perché protestato o non è più “bancabile”, come si suol dire, cioè non è più in grado di restituire il prestito. Tutte le situazioni di impoverimento sono in qualche modo terreno fertile per questi processi che possono portare all’usura.

(Foto Siciliani-Gennari/SIR)

E l’azzardo perché è “anticamera” dell’usura?

In questi processi di indebitamento si insinua anche l’azzardo, che è una delle opzioni per risolvere i propri problemi economici.

Noi diciamo spesso che l’azzardo è insieme una causa e un effetto. Un effetto perché uno giocando spera di risolvere i problemi economici, una causa perché giocando uno si indebita.

Si gioca illudendosi di vincere, in realtà non è mai la soluzione perché ci si infila in situazioni di forte indebitamento o di vera e propria dipendenza. Quando si vuole affrontare la questione dell’azzardo non bisogna aggredirla solo dal punto di vista economico, di questi processi di indebitamento, ma anche dal punto di vista della salute, delle relazioni, delle solitudini: bisogna considerare la situazione dal punto di vista integrale e non parziale, solo per un aspetto.

Il fenomeno dell’usura è diffuso in ugual misura in tutta Italia?

Se prendiamo gli indicatori delle denunce, della presenza pervasiva della criminalità organizzata, dei fenomeni di estorsione, i dati dicono che il Sud ha un tasso di usura molto più alto. In realtà, siccome è un fenomeno molto nascosto che difficilmente emerge con le denunce oppure emerge quando ci sono dei fenomeni di suicidio che fanno scoprire che c’erano delle situazioni drammatiche, non abbiamo la percezione e i dati di dove effettivamente ci sono casi di usura. Io sono presidente della Fondazione San Bernardino di Milano e chiaramente le denunce sono bassissime, se ne parla pochissimo, ma sappiamo di una criminalità organizzata che sta affiancando molte imprese con la mira di prenderle in mano e poter fare i propri traffici che sono essenzialmente il riciclaggio del denaro, traffico di stupefacenti, avere aziende per assumere i propri affiliati quando escono dal carcere e hanno bisogno di un lavoro, creare consenso, aggiudicarsi appalti pubblici. Tutto questo non emerge perché non si spara, non si minaccia, ma sotto sotto questo avviene, ci sono delle evidenze della magistratura. L’usura è uno degli affari della criminalità organizzata, che con prestiti di denaro facile alla fine costringe gli imprenditori a cedere la propria impresa: sono fenomeni assodati in tutta Italia, soprattutto nella parte più ricca, più produttiva, dove c’è più denaro perché denaro chiama denaro, la criminalità organizzata va dove può vendere la droga o fare questi affari e queste operazioni. Quindi, è difficile dire dove è più forte il fenomeno. Poi c’è anche l’usuraio della porta accanto.

Qual è il lavoro delle Fondazioni sul fronte della prevenzione?

Le Fondazioni hanno una vocazione di incontro e di ascolto delle persone, per l’usura si tratta di attività di prevenzione per le persone sovraindebitate, cioè le persone che hanno fatto il passo più lungo della gamba o che non ce la fanno più a pagare le rate e iniziano quella che noi chiamiamo la staffetta dei debiti, cioè pagano i debiti con altri debiti, persone che a un certo punto rompono l’equilibrio, non sono più capaci di gestire la situazione e quindi hanno assolutamente bisogno di qualcuno che le affianchi, per evitare di finire in mano agli usurai. Allora, le Fondazioni ascoltano, accompagnano, cercano di fare un quadro complessivo della situazione economica, del bilancio familiare. Come Fondazioni, ci occupiamo soprattutto di famiglie, da noi arrivano anche piccole imprese che sono guidate da famiglie. Con loro, dopo aver fatto il quadro, si fa anche un intervento economico, laddove è risolutivo, con dei prestiti – attraverso delle banche convenzionate con noi – si azzerano tutti gli altri debiti e si entra in un unico debito nei confronti di questa banca, garantita da noi, c’è un accompagnamento anche nella restituzione; quindi, bisogna valutare se la persona è capace di restituire i fondi che vengono dati, altrimenti bisogna intervenire come Caritas, però se hanno una capacità di restituzione allora s’interviene con questo prestito che è garantito da fondi del Ministero e che le Fondazioni ricevono.

Lo scopo è restituire dignità finanziaria a queste persone, fare in modo che possano rientrare nell’economia cosiddetta “normale” ed evitare che finiscano nelle maglie di coloro che vogliono fare profitto ai danni di persone più fragili, più deboli.

Le Fondazioni svolgono anche un lavoro culturale che tocca le problematiche dell’usura e dell’azzardo?

Sia dal punto di vista dell’intervento preventivo dell’usura, sia da quello dell’azzardo, il tema è un uso responsabile del denaro, che non va sperperato con il gioco, capire tutti gli inganni che l’azzardo offre e i pericoli che comporta in termini di vera e propria dipendenza, ma anche considerare che sul denaro bisogna esercitare una responsabilità: bisogna guadagnarselo, senza colpi di fortuna, e, allo stesso tempo, gestirlo in maniera oculata. Non criminalizziamo l’indebitamento, è uno degli strumenti che oggi abbiamo a disposizione per realizzare i progetti nostri e della nostra famiglia, però sappiamo che molte persone non si rendono conto quando si indebitano a cosa vanno incontro. Non c’è consapevolezza su cosa significa impegnare oggi il reddito futuro con delle rate, quindi c’è un’incapacità di previsione e di consapevolezza di questi strumenti. L’educazione finanziaria va in questa direzione ma non basta solo conoscere gli strumenti finanziari e sapere come devono essere utilizzati al meglio, bisogna poi educare sulle priorità, sui valori, sulle prospettive che aiutano queste persone o queste famiglie a dare il giusto valore al denaro che hanno a disposizione, alle scelte economiche che fanno. A volte incontriamo persone che sperperano il loro denaro nell’azzardo, quindi in una prospettiva infruttuosa. L’uso responsabile del denaro significa consumare domandandosi se effettivamente il prodotto che si acquista, presentato dalla pubblicità come indispensabile, sia veramente necessario, entrare anche in una prospettiva di sobrietà nell’usare le risorse e nelle scelte della propria vita, oltre che un tema di educazione alla legalità: i prestiti e le rate si restituiscono e non si deve accedere al credito illegale. Le Fondazioni fanno tutta un’opera di prevenzione che passa attraverso certamente la presa in carico della famiglia o della persona indebitata per evitare che finisca in mano agli usurai, ma soprattutto un’opera di prevenzione e sensibilizzazione che passa attraverso l’educazione finanziaria, l’educazione all’uso responsabile del denaro, la prevenzione all’azzardo.

Anche molti giovani sono attratti dall’azzardo, soprattutto dalle scommesse…

Siamo molto preoccupati, infatti: ci sono tante offerte di scommesse e di azzardo che coinvolgono giovani e anche ragazzi non ancora maggiorenni, perché con un computer e l’on line si può scavalcare l’impedimento del divieto per minorenni. Si scommette sullo sport, sulla partita, quindi ragazzi che vivono il mondo sportivo, che dovrebbe essere un mondo assolutamente sano, incontrano anche questo tipo di offerta per scommettere sulle partite dei campioni ma anche su quelle minori. Da questo punto di vista, bisogna approfondire con competenza cosa sta succedendo, perché c’è stata una metamorfosi del cosiddetto punto gioco e delle offerte di scommesse per riconoscere quali sono le trappole e creare gli anticorpi perché queste non incastrino le persone più fragili, le più povere, ma soprattutto i minorenni e giovani che vengono irretiti anche se hanno a disposizione grandi patrimoni e sono famosi come i calciatori, figuriamoci gli altri che hanno meno strumenti per reagire.

Le sfide che la Consulta nazionale e le Fondazioni si trovano ad affrontare oggi, quindi, sono molteplici?

Sì, oltre a occuparci dei temi tradizionali – indebitamento, usura e azzardo – dobbiamo cambiare il modo di vederli, studiarli e approfondirli, ma anche cercare di creare alleanze. Un’alleanza con le istituzioni che devono uscire dall’ambiguità di uno Stato che promuove, da una parte, il gioco d’azzardo per avere degli introiti erariali e, dall’altra, deve curare le patologie sia evidenti sia sotterranee che questo produce. Un’alleanza con le imprese, tra cui ci sono le banche le imprese che promuovono l’azzardo, per trovare le soluzioni per impedire ai minorenni di accedere alle scommesse in maniera così facile. Un’alleanza con i settori della sanità, del sociale, dell’educazione, le scuole, che possono veramente toccare il cuore della questione: una nuova educazione nel mondo attuale dove la transizione digitale sta cambiando le possibilità, soprattutto le relazioni tra gli individui, tra gli amici, tra le generazioni.

Nessuno da solo può affrontare un tema così enorme, ma tutti possono mettersi insieme con un obiettivo comune che è quello di prevenire e sconfiggere questa piaga.

Israel and Hamas. In the Latin parish of Gaza, where the darkness of night never falls

Sab, 18/11/2023 - 09:25

“In Gaza – say the displaced Christians of the Latin Parish of the Holy Family – dawn breaks earlier than anywhere else. Darkness never falls: the glare of the rockets, the noise and flash of the bombs and bullets, the fires of the explosions that light up every minute of the night, frighten us and don’t give us a moment’s rest.”

Nevertheless, each morning, mattresses, pillows and blankets are neatly arranged along the walls of the small church, which features a large painting of the Holy Family in the apse. More than 700 displaced Christians are sheltering in the parish compound, and daily life is not easy. Since 7 October, when “this terrible war broke out”, Sister Nabila Saleh told SIR, “almost all the Christians in Gaza, about 1,000 people, have suffered damage or destruction to their homes and today the only place where they can live with some dignity is the church compound.”

Many parishioners have chosen to sleep inside the church because, as a nun from the Congregation of the Sisters of the Rosary of Jerusalem explained, “they are afraid to spend the night in the parish buildings, which are next to the streets and therefore exposed to the bombs.

If we are going to die, we prefer to die as close as possible to Jesus, close to the altar. We will not leave this place, this is our home and we will not leave it.”

The transition from mattress to church pew has become almost a game for the many children who crowd the parish. Many stay in their pajamas to attend Mass, then grab some breakfast and run off to play in the courtyard, if the security situation allows, or in an indoor hall. “We try to liven up their day,” says Mother Maria del Pilar, a missionary of the Institute of the Incarnate Word (IVE) in Gaza, “to give them a glimpse of normality and maybe bring a smile to their faces.

In his daily phone calls, Pope Francis always tells us to ‘look after and protect the little ones.’”

The story of Eli. Children like Eli. His story is the story of many children in the Strip, says Sister Nabila: “Eli was with his family in the Orthodox cultural centre, which was shelled by Israel. He was rescued from the rubble and now lives here in the church compound with his parents and siblings. Whenever he hears the planes and bombs, he puts his hands to his head and shouts:

“We are going to die! We are going to die!.”

Then he runs into the church and starts praying the rosary to calm himself.

Innocent deaths. The days go by slowly, while the news of what is happening outside keeps coming in, making the future even more frightening. Women and men work hard to prepare meals, to keep the communal areas clean and tidy, to keep the solidarity machine running efficiently, leaving no one behind. Water, food and fuel are carefully rationed. Buying them means spending a lot of money. “Some products can only be found on the black market at three times the price. But Divine Providence has never abandoned us,” says Sister Nabila. Those who can, try to help Mother Teresa’s Sisters of Charity, who are caring for dozens of disabled children and bedridden elderly. When there is electricity, people charge their smart phones. But what is often lacking, we are told in the parish, is “access to the Internet.” The Israeli army cuts off communication. Talking to friends and family is impossible. Especially now that half the population has been forced by Israel to evacuate to the south, where clashes continue, it is important to know how they are and where they are in order to keep in touch. Just a few days ago, Sister Nabila recalls, the Israeli army distributed leaflets in several villages in the Khan Younis area, where thousands of people who had fled from the north had taken refuge, asking them to evacuate again. First they were forced to leave their homes in the north to go south, now they have to leave the south. But where will they go?

No place is safe in Gaza. This is not humane. I wonder where all the governments are, especially the European ones, who claim to be defenders of human rights.

Nobody is saying a word, nobody is talking about this injustice! And innocent people are dying. We lack everything: food, water, medicines. The shops that are still open are running out of stock. How much longer can we hold out? We are exhausted.

In Gaza, people are dying every day from fear and from weapons.

The home for the disabled of Mother Teresa’s nuns in Gaza (SIR archive photo)

Caught between two fires. Meanwhile, according to George Anton, administrative director of Caritas Jerusalem in Gaza, “virtually no one goes out of the compound because it’s extremely dangerous. We only go out for urgent needs, such as special medical visits or in search of food, medicine and water that we really need.” His words again:

“We have remained, we have not left and we don’t intend to leave, despite the fact that we lack everything, despite the terrible, sleepless nights, despite the terrible days we are enduring. Even at the cost of our own lives.”

An elderly Christian woman, Elham Farah, was killed a few days ago, shortly after leaving the community: “She was an 84-year-old retired music teacher,” local sources told SIR, quoting the woman’s relatives. “She was shot in the legs by snipers and ended up being run over by an Israeli tank. It was impossible to recover her body for several days. It was finally taken to al-Shifa hospital and buried with other bodies. We could not bring her back to the parish to give her a proper burial. Her only crime was to return to her destroyed home to retrieve some of her precious possessions. All the streets of Gaza are full of corpses.”

“The situation is getting worse by the hour,” adds Sister Nabila, “Israeli tanks are in our neighbourhood, stationed in front of the al-Ahli Baptist Hospital. Yesterday afternoon a house was bombed, right opposite the parish church. Three people were wounded. We are caught between two fires. No one knows what might happen from one moment to the next.”

A date with hope. The main entrance to the parish is almost always closed, while that to the church is “always open” for people to stream in when they hear the bombs Life in the parish is marked by prayer. Mass is celebrated twice a day, in the morning and in the evening, and the rosary is prayed in the afternoon. The prayer intention is one and only: “For the war to stop.”

“The only weapon we have to defend ourselves is prayer. Prayer gives us the light to look forward with confidence.

– explains Sister Nabila. In the midst of the rubble of this war, which is very different from previous wars, faith helps us to resist. There have never been so many deaths, never so much destruction. Half of Gaza has been wiped out. Thousands of innocent people have lost their lives. And it’s not over yet. This is not justice. The people of Gaza are not asking for war, they are asking for peace. Only Pope Francis hears our cry. He calls us every day, and for all of us in the parish, this call is a date with hope.”

Israele e Hamas. Nella parrocchia latina di Gaza dove non scende mai il buio della notte

Sab, 18/11/2023 - 09:25

“L’alba a Gaza arriva prima che altrove” perché, dicono gli sfollati cristiani nella parrocchia latina della Sacra Famiglia, “qui non scende mai il buio della notte. Il frastuono e i bagliori delle bombe e dei proiettili, il sibilo dei razzi, i fuochi delle esplosioni, infatti, illuminano ogni momento della notte, fanno paura e ci non ci danno un attimo di tregua”.

Sfollati nella Parrocchia latina di Gaza (Foto Parrocchia latina)

Nonostante ciò materassi, cuscini e coperte, al mattino, vengono ordinatamente risistemati lungo le pareti della piccola chiesa, nell’abside della quale campeggia una grande immagine della Sacra Famiglia. Il compound parrocchiale ospita oltre 700 sfollati cristiani e la vita al suo interno non è semplice. Dal 7 ottobre, quando è scoppiata “questa maledetta guerra – dice al Sir suor Nabila Saleh – quasi tutti i cristiani di Gaza, poco più di 1.000 persone, hanno avuto la casa danneggiata o distrutta e oggi hanno solo la parrocchia dove poter stare e vivere con un minimo di dignità”.

Messa a Gaza (foto parrocchia latina)

Sono tanti i fedeli che hanno scelto di dormire dentro la chiesa perché, spiega la religiosa della congregazione delle Suore del Rosario di Gerusalemme, “hanno paura di trascorrere la notte nelle strutture parrocchiali contigue alle strade e quindi più esposte alle bombe. Se dobbiamo morire preferiamo farlo stando il più vicino possibile a Gesù, vicino all’altare. Da qui non ce ne andiamo, questa è la nostra casa e qui rimaniamo”. Il passaggio dal materasso al banco della chiesa per i tanti bambini che affollano la parrocchia è diventato quasi un gioco. Molti restano in pigiama per partecipare alla messa, poi un po’ di colazione e via di corsa a giocare, in cortile se le condizioni di sicurezza lo permettono, o in qualche sala interna. “Cerchiamo di animare la loro giornata – racconta madre Maria del Pilar, dell’Istituto del Verbo Incarnato (Ive), missionaria a Gaza – di regalare scampoli di normalità e magari anche suscitare un sorriso. Papa Francesco nelle sue telefonate quotidiane ci dice sempre di custodire e proteggere i più piccoli”.

La storia di Elì. Piccoli come Elì. La sua storia è quella di tanti bambini della Striscia, sottolinea suor Nabila: “Elì era con la sua famiglia nel centro culturale ortodosso bombardato da Israele. È stato tratto in salvo dalle macerie e adesso vive qui in parrocchia con i genitori e i fratelli. Ogni volta che sente gli aerei e le bombe si porta le mani sulla testa e urla:

‘Adesso moriamo, adesso moriamo’.

Allora si rifugia in chiesa e per tranquillizzarsi comincia a recitare il rosario”.

Parrocchia Gaza (Foto Latin Parish)

Morti innocenti. Le giornate trascorrono lente mentre le notizie di ciò che accade all’esterno si rincorrono senza sosta suscitando ancora più timori per il futuro. Donne e uomini si danno da fare per preparare i pasti, per tenere puliti e in ordine gli ambienti di vita comune, per mantenere efficiente la macchina della solidarietà che non lascia indietro nessuno. Acqua, cibo, carburante sono attentamente razionati. Acquistarli, infatti, vuole dire un enorme esborso di denaro. “Alcuni prodotti ormai si trovano solo al mercato nero e a prezzi triplicati. Ma la Provvidenza non ci ha mai abbandonato”, afferma suor Nabila. Chi può cerca di aiutare le suore della carità di Madre Teresa che accudiscono alcune decine di bambini disabili gravi e di anziani allettati. Quando c’è energia elettrica si mettono in carica gli smartphone. Ma spesso ciò che manca, dicono dalla parrocchia, è “la connessione internet. L’esercito di Israele oscura le comunicazioni ed è impossibile parlare con amici e familiari. Sapere come stanno e dove si trovano è importante per mantenere i legami tra di noi, soprattutto adesso che metà della popolazione è stata costretta da Israele a evacuare verso sud dove però ci sono sempre scontri. Solo pochi giorni fa – ricorda suor Nabila – l’esercito israeliano ha diffuso dei volantini in alcuni villaggi dell’area di Khan Younis dove si sono rifugiate migliaia di persone in fuga dal nord per ordinare una nuova evacuazione. Prima sono stati costretti a lasciare le loro case a nord per venire a sud, ora devono lasciare il sud per andare dove? A Gaza nessun posto è sicuro. Questo non è umano. Mi chiedo dove siano finiti tutti quei governi, specialmente europei, che si dicono difensori dei diritti umani. Nessuno dice nulla, nessuno parla di questa ingiustizia! E la gente innocente muore. Qui manca tutto, cibo, acqua, medicine. Nei negozi rimasti aperti la merce scarseggia. Quanto potremo resistere? Siamo stanchi.

Ogni giorno a Gaza si muore di paura e per le armi”.

La casa dei disabili delle suore di Madre Teresa a Gaza (Archivio Foto Sir)

Tra due fuochi. Intanto “dal compound non esce praticamente nessuno poiché è molto pericoloso – dice George Anton, direttore amministrativo di Caritas Jerusalem a Gaza –. Usciamo solo per esigenze improrogabili, come visite mediche particolari o per trovare cibo, medicine, acqua di cui abbiamo effettivo bisogno”. E ribadisce: “Nonostante ci manchi tutto, nonostante le notti orribili e insonni, i giorni devastanti che stiamo vivendo, siamo rimasti, non ce ne siamo andati e non lo faremo. Anche a costo della vita”. Nei giorni scorsi una anziana donna cristiana, Elham Farah, è stata uccisa poco dopo essere uscita dalla parrocchia: “Aveva 84 anni ed era una insegnante di musica in pensione – dicono fonti locali riportando al Sir le parole dei parenti della donna –, è stata colpita da cecchini alle gambe finendo sotto un carro armato israeliano. Per diversi giorni è stato impossibile recuperarne il corpo che alla fine è stato portato all’ospedale al-Shifa e sepolto insieme ad altri cadaveri. Non siamo riusciti a riportarla in parrocchia per darle una degna sepoltura. La sua unica colpa è stata quella di voler tornare nella sua abitazione distrutta per poter recuperare qualche oggetto a lei caro. Tutte le strade di Gaza sono piene di cadaveri”. “La situazione peggiora di ora in ora – aggiunge suor Nabila – i carri armati israeliani sono nella nostra zona, stazionano davanti all’ospedale battista al-Ahli. Ieri pomeriggio è stata bombardata una casa, proprio di fronte alla parrocchia, e tre persone sono rimaste ferite. Ci troviamo in mezzo a due fuochi. Nessuno sa cosa può davvero accadere da un momento all’altro”.

(Foto Parrocchia latina Gaza)

Appuntamento con la speranza. Così il grande portone carrabile della parrocchia è praticamente sempre chiuso mentre “sempre aperto” è quello della chiesa perché la gente possa accorrere quando sente i bombardamenti. La vita all’interno della parrocchia è scandita dalla preghiera, due messe, una al mattino e una alla sera, nel pomeriggio la recita del rosario. L’intenzione è sempre e solo una: “Perché la guerra finisca”.

“L’unica arma che abbiamo per difenderci è la preghiera che ci dona la luce per guardare avanti con fiducia”

– spiega suor Nabila –. La fede ci aiuta a resistere tra le macerie di questa guerra che è molto diversa da quelle precedenti. Mai così tanti morti, mai così tanta distruzione. Gaza è stata cancellata per metà. Migliaia di innocenti hanno perso la vita e non è ancora finita. Questa non è giustizia. Il popolo di Gaza non vuole la guerra ma la pace. Solo Papa Francesco ascolta il nostro grido. Ci telefona ogni giorno e per tutti noi della parrocchia questa chiamata è un appuntamento con la speranza”.

L’economia frena in Italia e in Europa. Gentiloni: “Il peso grava su famiglie e imprese”

Sab, 18/11/2023 - 09:10

L’economia europea perde slancio e l’Italia non fa eccezione. Incertezza internazionale (guerre), inflazione e conti pubblici in sofferenza moltiplicano gli interrogativi sul futuro, mentre un dato positivo non manca: la disoccupazione nei Paesi Ue è ai minimi.

I numeri. Le Previsioni economiche, diffuse dalla Commissione europea nei giorni scorsi, dunque non vedono rosa. L’anno in corso dovrebbe chiudere con un Pil a +0,6% sia per l’Ue27 sia per l’Eurozona. Nel 2024 si prevede che la crescita del Pil Ue27 si attesterà all’1,3% (1,2 nell’area della moneta unica, con 20 Paesi). Si tratta di una revisione leggermente al ribasso dall’estate scorsa. Nel 2025, con l’attenuarsi dell’inflazione e del freno derivante dalla stretta monetaria, la crescita dovrebbe rafforzarsi all’1,7% per l’Ue27 e all’1,6% per l’area euro. Sorprendono i dati sulla Germania, in recessione, e anche economie forti come Francia e Paesi Bassi non brillano.

Prospettive offuscate. “Ci stiamo avvicinando alla fine di un anno difficile per l’economia dell’Ue”, il commento del commissario all’economia, Paolo Gentiloni. “Le forti pressioni sui prezzi e la stretta monetaria necessaria per contenerle, così come la debole domanda globale, hanno messo a dura prova famiglie e imprese”. “Guardando al 2024, ci aspettiamo un modesto aumento della crescita in un contesto in cui l’inflazione si allenta ulteriormente e il mercato del lavoro rimane resiliente”. Grazie in parte al Recovery and Resilience Facility, “gli investimenti sono destinati ad aumentare. Si prevede che il debito pubblico e i deficit continuino a diminuire, anche se in modo più graduale”. Gentiloni specifica: il conflitto in Medio Oriente “ha avuto finora un impatto economico limitato al di fuori della regione, ma l’acuirsi delle tensioni geopolitiche ha ulteriormente aumentato l’incertezza e i rischi offuscano le prospettive”.

Prezzi, moneta, domanda interna. A Bruxelles la lettura del momento è piuttosto netta: “Dopo una un’espansione economica solida durante quasi tutto il 2022, il Pil ha registrato una contrazione verso la fine dell’anno e una crescita appena percettibile nei primi tre trimestri del 2023. Un’inflazione tuttora elevata, per quanto in discesa, e un inasprimento della politica monetaria, oltre a una debole domanda esterna, hanno pesato più del previsto”. Eppure la Commissione non rinuncia a qualche elemento positivo: “Secondo le previsioni l’attività economica aumenterà in modo graduale in un contesto di grande solidità del mercato del lavoro, crescita sostenuta dei salari e discesa costante dell’inflazione”. Nonostante un inasprimento della politica monetaria, si prevede che gli investimenti “continueranno ad aumentare sostenuti da una generale solidità dei bilanci delle imprese e dal dispositivo per la ripresa e la resilienza”. Buone anche le notizie dal mercato del lavoro: in settembre il tasso di disoccupazione in Europa è rimasto al 6% della forza lavoro, vicino ai minimi storici.

Il peso dei conflitti. L’incertezza e i rischi di revisione al ribasso delle prospettive economiche sono aumentati negli ultimi mesi “in un contesto caratterizzato dal protrarsi della guerra di aggressione della Russia all’Ucraina e dal conflitto in Medio Oriente”. Benché ad oggi l’impatto di tale conflitto sui mercati dell’energia sia stato contenuto, vi è tuttavia il rischio – sostengono gli esperti della Commissione – di un’interruzione dell’approvvigionamento energetico che “potrebbe avere un impatto significativo sui prezzi dell’energia, sulla produzione a livello mondiale e sul livello generale dei prezzi”. L’andamento dell’economia nei principali Paesi partner dell’Ue, soprattutto la Cina, potrebbe comportare rischi.

Situazione in Italia. “La crescita economica in Italia ha rallentato quest’anno, con i consumi che sono stati schiacciati dall’elevata inflazione e gli investimenti che hanno iniziato a contrarsi dopo l’espansione post-pandemia”, dice la Commissione europea sull’Italia. “Dopo una crescita modesta dello 0,7% quest’anno, si prevede una accelerazione moderata allo 0,9% nel 2024, per passare all’1,2% nel 2025, supportata anche dagli investimenti finanziati dal Dispositivo per la ripresa e la resilienza”. Il commissario Paolo Gentiloni osserva: “L’attuazione del Pnrr è fondamentale per sostenere la crescita e per mantenere le prospettive di crescita che, per quanto limitate, esistono nelle nostre proiezioni”. Tornando ai numeri, l’inflazione in Italia nel 2023 si dovrebbe collocare al 6,1%, per scendere il prossimo anno al 2,7%. Disoccupazione: dal 7,6% di quest’anno si passerebbe al 7,4 del 2024. Il debito pubblico rimarrebbe drammaticamente elevato, attorno al 140% sul Pil.

Mamma e papà, parlateci di Dio

Sab, 18/11/2023 - 09:02

Papa Francesco è dal 2013 che richiama il ruolo delle mamme e delle nonne nella trasmissione della fede, ma anche il metodo semplice fatto di un linguaggio dialettale e di una testimonianza concreta. Se ci volgiamo indietro riemergono, in tanti di noi, fotogrammi fatti di ricordi scanditi e dai cristiani consigli: la preghiera del mattino, della sera, il segno della croce a tavola, il rosario e il mese di maggio e poi la messa della domenica, primo appuntamento del giorno festivo. Riemergono così pagine di quella eredità spirituale, di quel patrimonio valoriale, illuminate da esortazioni alle piccole opere buone, alla solidarietà, alla condivisione o allo spezzare il pane e la propria merenda con il compagno di giochi.

È questa, non altro, “la vita buona del Vangelo”.

Nelle parrocchie è ripreso come ogni anno il catechismo, con un po’ di stanchezza e forse con qualche cruccio in più su effetti e obiettivi. Ci sono nuove frontiere da indicare e indagare: dal Creato alla carità fino ad un culto libero da devozionismi e sacramenti sganciati da tradizioni. Frontiere che richiedono accompagnamento, ritmo fatto di passi lenti, ponderati e sinfonici, che devono trovare nella sintonia tra famiglia e parrocchia la vera armonia. Si può cambiare libro, si può innovare il metodo, ma se crolla il polmone della famiglia la fede non si fa vita; proprio in questo sta il valore aggiunto e l’incarnazione di quei concetti che rischiano di restare solo vocaboli dell’ecclesialese: mensa, perdono, discepolato, obbedienza, preghiera, paternità, provvidenza, sacrificio… La catechesi incontra la vita sul terreno del primo annuncio: il suo habitat naturale è la famiglia, luogo delle relazioni vere e del vissuto reale. Le famiglie devono tornare ad essere i cantieri sinodali dove vivere quell’esperienza di fede alimentata in parrocchia, nel gruppo o nella associazione. E saranno i cantieri di Nazareth.

Dall’amicizia tra la venerabile Enrichetta Beltrame Quattrocchi e Maria Vittoria Casa la fratellanza

Sab, 18/11/2023 - 09:00

Questo piccolo testo vuole essere un luogo vitale, uno spazio fraterno in cui incontrare e fare esperienza di un autentico rapporto di amicizia, uno “stile alto di comportamento”, come scrive il card. Crescenzio Sepe nella prefazione, quello tra la venerabile Enrichetta Beltrame Quattrocchi e Maria Vittoria Casa, che attraverso gesti, momenti, incontri la vivono, la testimoniano e la consegnano a noi. Dunque, vuole essere un abbraccio, volendo utilizzare una cara e suggestiva immagine del filosofo di stirpe rabbinica Martin Buber, che scrisse: “Il mondo non è comprensibile, ma è abbracciabile”.

(Foto: copertina libro padre Noviello)

È questo, dunque, il compito narrativo del saggio che oggi, 18 novembre, viene presentato a Roma presso la “Casa Giovanni Paolo II”, in via della Camilluccia: l’accadere di un incontro vero che, per noi battezzati, diventa veicolo di incontro con Colui che è in esso significato, poiché il senso e il legame dell’amicizia non sono altro che l’eco di quel legame più profondo con Dio stesso.

“Deus amicitia est” (Aelredo di Rievaulx).

L’amicizia è la via che ci fa prossimi a Dio. Un’amicizia quella della signora Maria Vittoria con la venerabile Enrichetta – due figure di donne italiane del dopoguerra – che è sorta spontaneamente e che sfugge a qualsiasi criterio umanamente catalogabile. Se si domanda infatti a due amici perché sono tali, l’unica risposta è il racconto di un incontro, dello sviluppo di una relazione duratura, fatta di episodi significativi, lieti e anche dolorosi. Dunque, si narra sempre una storia. È nella storia che si riconosce la fedeltà di Dio! La vita accade, noi siamo storie, nessuno si salva da solo. Non abbiamo scelto la vita da cui veniamo, ma abbiamo la responsabilità – per noi e per le persone che ci stanno intorno – di costruire la felicità per la vita che abbiamo davanti.

La vita di queste due donne unitamente ad altre, lanciatesi con entusiasmo nell’avventura dell’associazionismo cattolico, come le Damine di San Vincenzo, adoperandosi nelle zone più degradate di Roma, come la Montagnola e il Trastevere, ne è una testimonianza faconda; ci si stimolava reciprocamente, vivendo di un arricchimento vicendevole, un mosaico di attenzioni, prestando somma applicazione al dettaglio. Si resta edificati dalle numerose testimonianze relative al servizio prestato. In queste donne c’era competenza e desiderio di lavorare insieme per il bene di tutti: la distribuzione dei pacchi alimentari, l’incontrarsi in casa Beltrame per pianificare strategie di vicinanza, le iniziative prese con fantasia di carità e poi quel continuo confrontarsi con la venerabile Enrichetta e le altre amiche, il cui fine era sempre quello di servire meglio e di più i poveri, considerati come fratelli e sorelle. Oggi, come ieri, siamo chiamati a non allentare il contatto con le domande che provengono dalla vita concreta, dalle aspirazioni delle donne e degli uomini della nostra epoca che troverebbero in Cristo la loro chiave di volta, ma non ne sanno riconoscere il volto.

L’ascolto vero e profondo (autentico) – attitudine essenziale al processo sinodale che stiamo vivendo – le ha portate a infrangere i muri di competenza e di appartenenza che solitamente realizzano cammini paralleli e non convergenti, contribuendo così a immettere una direzione diversa nella società e a far riscoprire nella Chiesa l’urgenza della fratellanza di cui parla Papa Francesco. Ecco perché nei loro incontri relazionali i dialoghi erano esercizi di speranza, che provocano le differenze ad ascoltarsi, divenendo così esercizi di sinodalità reale.

L’amicizia tra queste due donne è una lezione di grande umanità e perciò è annuncio dell’avvenimento di Cristo, realizzabile oggi, un avvenimento che ha la forma di un un’amicizia umana, un aspetto della vita così naturale, e per questo dato per scontato, che raramente ci si ferma a riflettervi, eppure è questa la logica dell’incarnazione, un Dio che ancora non si stanca di entrare nel mondo, come una realtà incontrabile, frequentabile. È meraviglioso! È questo il “metodo” che Dio ha scelto per rispondere all’anelito dell’uomo, per salvarlo.

* Postulatore delle cause dei santi

Giovanni, “Casco bianco” dalla Toscana alle Filippine: “Quando tornerò, non sarò lo stesso di quando sono partito”

Sab, 18/11/2023 - 08:50

In un mondo sempre più interconnesso, dove le sfide globali richiedono soluzioni condivise, la solidarietà internazionale assume un ruolo fondamentale nel contribuire a instillare speranza e supporto negli Stati afflitti da situazioni di crisi.
In questa cornice di altruismo e dedizione, Caritas italiana, in collaborazione con le Caritas diocesane, offre ai giovani volontari dai 18 ai 28 anni, l’opportunità di prendere parte all’esperienza di servizio civile all’estero attraverso il “Progetto Caschi bianchi” che vede la partecipazione, oltre a Caritas italiana, di altri tre enti: Comunità Papa Giovanni XXIII, Focsiv e Gavci.
A metà strada tra un’avventura personale e un atto di dedizione al bene comune, il servizio civile all’estero rappresenta una forma di volontariato internazionale che permette ai ragazzi una via d’accesso privilegiata alla promozione della pace, dello sviluppo, dell’educazione alla mondialità, dell’intercultura e della cooperazione internazionale.

La grande ricchezza di tutto ciò si manifesta delle parole e nei sorrisi di chi vive o ha vissuto questa esperienza, come quelli di Giovanni Antoci, che il 25 maggio scorso ha intrapreso questo percorso attraverso il servizio civile con Caritas italiana presso la diocesi di Capiz, nelle Filippine.

“Sono Giovanni, ho 26 anni e vengo da Incisa Valdarno, in provincia di Firenze – ci racconta -. Sono laureato in Sviluppo economico e Cooperazione internazionale e sto concludendo una laurea magistrale in Economia dello sviluppo, presso l’Università di Firenze”.

Giovanni, quali sono state le motivazioni che ti hanno spinto a intraprendere questo viaggio?
Ho chiesto al mio relatore, Mario Biggeri, se ci fosse un modo di vivere un’esperienza, in un contesto di sviluppo, su cui basare la mia tesi di laurea che riguarda gli approcci allo sviluppo su base comunitaria: è lui che mi ha consigliato di partecipare al bando di Servizio civile universale. Non ho vissuto molto bene gli anni universitari; penso che studiare sia inevitabilmente un atto di fiducia, ma in più momenti ho davvero faticato a capire il senso di quello che stavo facendo. Ho capito che chiudermi in biblioteca a scrivere la mia tesi non sarebbe stata la cosa migliore per me e ho deciso di fare un’esperienza che fosse una vera rottura con il passato.

Come mai hai scelto questo progetto di Caritas italiana nelle Filippine?
Avendo fatto il Servizio civile regionale con Caritas a Firenze ed essendomi trovato molto bene, ho guardato con particolare attenzione ai progetti di Caritas italiana. Tra i tanti, quello a Capiz, nelle Filippine, mi ha colpito per la varietà dei temi trattati: l’inclusione di minoranze indigene, la prevenzione e la risposta ai disastri ambientali, la tutela di minori vulnerabili. Non avendo le idee chiare sul percorso da intraprendere in futuro, ho pensato che il progetto fosse un’ottima opportunità per esplorare varie tematiche sociali. Non nascondo inoltre il fascino per un Paese così distante geograficamente e culturalmente.

Qual è il tuo ruolo all’interno del progetto?
Il nostro ruolo all’interno dei progetti non è ben definito. Senza dubbio i primi mesi sono dedicati a un’attenta osservazione: si tratta di un contesto molto particolare ed è necessario del tempo per comprenderne le dinamiche e capire come poter essere di aiuto, in base alle competenze e attitudini di ciascuno.

Come sono strutturate le vostre giornate?
È molto difficile parlare di una giornata tipo, ogni giorno è una sorpresa. All’interno dell’ufficio lavorano vari colleghi che si occupano di progetti diversi. Io e la mia collega Erica siamo di supporto a tutti loro e li seguiamo nei vari progetti, per quanto siamo focalizzati principalmente nel progetto con la comunità indigena.

Ci puoi descrivere la comunità e l’ambiente che hai trovato in questi primi mesi?
Ho interagito con varie comunità molto diverse tra loro e si potrebbe scrivere un libro su ciascuna di esse. Le caratteristiche che ho riscontrato in tutte sono l’ospitalità e la pazienza, una grande passione per il cibo e per la musica. L’ambiente è teatro di uno scontro tra una natura ancora dominante e le azioni distruttive dell’uomo: le Filippine hanno un primato in termini di biodiversità, ma anche per consumo di plastica.

A tal proposito, si fa qualcosa per arginare il problema dell’eccessivo consumo di plastica? Ci sono iniziative per sensibilizzare i temi dell’emergenza ambientale?
Gli eventi di sensibilizzazione sull’ambiente e le attività di tree planting che spesso li accompagnano sono piuttosto frequenti, proprio in un’ottica di contrasto al cambiamento climatico. Il nostro ufficio ha anche da poco iniziato un progetto per la creazione di una foresta di bambù. Per quanto riguarda la plastica la questione è più complessa, se ne parla molto ma l’abuso nel suo uso è talmente radicato che sembra sia quasi una battaglia persa. Non è raro vedere centinaia di bottiglie di plastica durante eventi di stampo ambientalista, sembra mancare ancora una visione chiara di un’alternativa.

Quali erano le tue aspettative prima di iniziare questa nuova avventura? E quali sono, invece, adesso a distanza di qualche mese?
Durante la formazione iniziale di Caritas italiana hanno molto insistito sull’importanza di partire senza aspettative. Non nego di averne avute alcune, in modo particolare riguardo all’incontro con una cultura così diversa dalla mia e alla possibilità di portare il mio aiuto agli ultimi. La prima aspettativa è stata del tutto soddisfatta, la seconda dà inizio a una questione molto più complessa; il mio referente ci ricorda spesso che “tutti possono essere utili, ma nessuno è indispensabile”. Questo è particolarmente vero in un contesto che non si conosce, con varie difficoltà, prima tra tutte la barriera linguistica. Quello che è certo è che l’esperienza avrà un impatto fortissimo su di me, e quando tornerò non sarò la stessa persona di quando sono partito.

Che consiglio daresti a un giovane che vuole fare un’esperienza del genere?
Il consiglio più importante che mi sento di dare è di aprirsi realmente al diverso e di prepararsi a mettere tutto in discussione, incluse le proprie convinzioni su cosa è giusto e cos’è sbagliato. Ci si trova a vivere in un contesto regolato da meccanismi che non si comprendono perché non ci appartengono. Le situazioni che si presentano durante un’esperienza di questo tipo pongono questioni che spesso non hanno una soluzione; è fondamentale accogliere la complessità.

In conclusione, il Servizio civile all’estero non solo appare come un riflesso del nostro desiderio di un mondo migliore, ma si rivela come un eloquente tributo al potere della gentilezza umana. Ogni persona, indipendentemente dalla sua posizione, è destinataria di sostegno, crescita e condivisione – un messaggio che va oltre le convenzionali definizioni di chi può essere considerate beneficiario.
Attraverso la compassione, la determinazione e il coraggio, piccolo gesti diventano veri e propri atti rivoluzionari, dimostrando che l’umanità è intrinsecamente capace di compiere azioni ammirevoli.

*precedentemente pubblicato su “Toscana Oggi”

Tutela dei minori e buone pratiche nelle diocesi: una cultura della cura e della protezione nella Chiesa

Ven, 17/11/2023 - 15:49

“Fare rete è la chiave per poter portare avanti questa missione che ci ha affidato il Papa di creare una cultura della cura e della protezione dentro la Chiesa. Innanzitutto, grazie di cuore per il vostro lavoro!”. Padre Andrew Small, segretario della Pontificia Commissione per la tutela dei minori, ha aperto i lavori del primo incontro nazionale dei referenti territoriali del Servizio nazionale Cei per la tutela dei minori e degli adulti vulnerabili. Oltre 150 referenti territoriali si sono riuniti nel Cento congressi Augustinianum di Roma, per una giornata di lavori guidata da Emanuela Vinai, coordinatrice del Servizio. Alla tavola rotonda che ha aperto la mattinata è intervenuto mons. Giuseppe Baturi, arcivescovo di Cagliari e segretario generale della Cei: “Non possiamo tollerare che i bambini soffrano a causa nostra e in ambienti che dovrebbero essere sicuri e accoglienti. Anche un solo caso è troppo”. Per il vescovo, “non è possibile dire seriamente una parola sui bambini senza ascoltare il loro grido” e “la Chiesa oggi deve ascoltare il grido di chi spesso non ha neanche la fiducia per esprimerlo, liberando da una sofferenza ingiusta che impedisce la possibilità della felicità”. Quindi mons. Lorenzo Ghizzoni, arcivescovo di Ravenna e presidente del Servizio, ha ricordato che “non operiamo nella periferia della Chiesa per riparare danni esterni, ma lavoriamo al cuore della nostra vita ecclesiale, dove si sono prodotte ferite che le persone si portano dentro”. “La Chiesa universale si sta muovendo per ripensare se stessa in senso sinodale e forse ci si aspetta che alcune strutture cambino in un’ottica più missionaria. Dentro questo cambiamento ci siamo noi – ha precisato mons. Ghizzoni -, con un ministero che sta cambiando la vita e il volto della Chiesa a poco a poco e partendo dal basso”.

All’incontro ha partecipato anche Gianfranco Costanzo, capo del Dipartimento delle politiche per la famiglia della Presidenza del Consiglio dei ministri, che ha sottolineato la “centralità della prevenzione” e il “costante impegno di tutti coloro che sono coinvolti nella tutela dei minori”. Costanzo ha presentato l’attività dell’Osservatorio per il contrasto della pedofilia e della pornografia minorile e il nuovo Piano nazionale orientato alla realizzazione di interventi funzionali a rispondere agli obiettivi connessi alla prevenzione, protezione e promozione: “I più piccole e vulnerabili si affidano e si fidano di noi. Abbiamo una grande responsabilità”. Un messaggio è stato inviato anche da Carla Garlatti, autorità garante per l’infanzia e la adolescenza: “Ascoltare diventa ancora più importante per noi adulti, per poter tutelare e prevenire. Non solo attraverso i centri di ascolto, che restano comunque uno spazio importante per la raccolta di segnalazioni e l’attivazione delle conseguenti tutele, ma anche realizzando interventi che pongano al centro il minore permettendogli di esprimersi in contesti protetti e ricettivi, con personale formato, in grado di cogliere gli indicatori di eventuali situazioni di abuso o vulnerabilità e di intervenire per fornire il necessario supporto e assistenza”.

Dopo la presentazione della seconda rilevazione sulle attività dei Servizi territoriali di tutela minori e adulti vulnerabili promossa dalla Cei, è stata la volta di due buone pratiche. La prima è un percorso di formazione umana dedicato ai sacerdoti e alle religiose della Toscana nei primi dieci anni di ordinazione o consacrazione. Realizzato in collaborazione con Scuola di alta formazione in Antropologia Medica della Facoltà Teologica dell’Italia Centrale il percorso, la cui prima edizione si è svolta da maggio a novembre, ha come obiettivo quello di riflettere su alcune aree del vissuto e aspetti della pastorale che hanno bisogno di particolare cura e attenzione. “La priorità è stata prendersi cura delle singole persone, della loro formazione per una crescita di maturità. Altrimenti si rischia di passare i contenuti che poggiano su strutture umane profondamente immature”, ha spiegato la responsabile del progetto suor Tosca Ferrante, coordinatrice del Servizio regionale per la tutela dei minori e degli adulti vulnerabili. Nei quattro appuntamenti che hanno scandito il percorso si è parlato di diritti e doveri dei sacerdoti e delle religiose, di solitudine e dipendenze, di consapevolezza e della sua gestione, dei nuovi legami familiari. Hanno partecipato oltre 150 persone, con un’età media di 35/40 anni: “C’erano molti parroci e sacerdoti impegnati in parrocchie, ma anche le religiose che operano nelle strutture educative. Tanti preti e suore giovani si sentono sopraffatti dai messaggi che veicolano i media, un’accusa generalizzata nei confronti della Chiesa. Quasi che tutti fossero abusatori. Abbiamo creato una alleanza educativa, spiegando che la cura della nostra vocazione personale è una responsabilità verso le persone che serviamo. E i vescovi della Toscana sono molto soddisfatti questo percorso, che vogliamo riproporre”.

Dall’Abruzzo, invece, è arrivata la testimonianza di una buona prassi interistituzionale con la presentazione di un protocollo d’intesa promosso dalla diocesi di Sulmona-Valva con il Servizio sociale territoriale, le Forze dell’Ordine, i Servizi sanitari, gli enti del Terzo settore e la realtà scolastica. Il protocollo mira a creare una rete di coordinamento in tema di maltrattamento e abuso a danno dei minori tra i diversi attori presenti sul territorio, promuovendo interventi finalizzati a prevenire, rimuovere e monitorare tale fenomeno, formando gli operatori dei servizi presenti sul territorio sulle tematiche inerenti l’abuso e il maltrattamento dei minori e favorendo iniziative di sensibilizzazione sulla problematica rivolte alla cittadinanza. “Abbiamo avviato un progetto interno alla diocesi, coinvolgendo gli uffici pastorali, che fosse anche aperto alle istanze del territorio – racconta Lucia Colalancia, psicoterapeuta e referente del Servizio diocesano per la tutela dei minori -. Siamo da sempre radicati nella vita della società civile, dunque è stato naturale stringere rapporti con le istituzioni del territorio. Mancava un collegamento, una prassi consolidata rispetto alla tutela dei minori in caso di abuso. Ognuno si muoveva autonomamente, non c’era una rete. Abbiamo voluto mettere in circolo le tante risorse. Le lentezze burocratiche e la carenza di personale pubblico ha rallentato l’attuazione del protocollo. Ma siamo pronti a partire”.

Politica. Cdm, approvato pacchetto sicurezza con giro di vite su occupazioni abusive, truffe ad anziani, borseggi, baby accattonaggio

Ven, 17/11/2023 - 12:30

Il Governo torna sui problemi della sicurezza con una serie di norme contenute in tre disegni di legge varati dall’ultimo Consiglio dei ministri. Una riunione che tra tanti temi ha toccato anche la materia dell’attuazione della riforma fiscale con una nuova versione del cosiddetto adempimento collaborativo.

Vediamo alcuni dei punti salienti del “pacchetto sicurezza”, relativi soprattutto a comportamenti che provocano un particolare allarme sociale. Viene introdotto il nuovo reato di “occupazione arbitraria di immobile destinato a domicilio altrui”, perseguibile a querela della persona offesa, che punisce con la reclusione da 2 a 7 anni chi, mediante violenza o minaccia, occupa un immobile destinato a domicilio altrui o impedisce il rientro nel medesimo immobile da parte del proprietario o di colui che lo detiene legittimamente. Viene inoltre individuata “una procedura volta a consentire a chi ne ha titolo – spiega la nota di Palazzo Chigi – il rapido rientro in possesso dell’immobile occupato, con provvedimento del giudice nei casi ordinari e, quando l’immobile sia l’unica abitazione del denunciante, con intervento immediato della polizia giudiziaria, successivamente convalidato dall’autorità giudiziaria”.

Sanzioni più severe e l’arresto obbligatorio in flagranza vengono introdotti per i casi di “truffa aggravata” compiuta da chi ha approfittato delle condizioni di fragilità delle vittime. Contro i borseggiatori viene ampliata la possibilità dei questori di disporre il “Daspo urbano”, previsto in origine per le manifestazioni sportive, così da poter “ vietare l’accesso alle aree di infrastrutture e pertinenze del trasporto pubblico ai soggetti denunciati o condannati per reati contro la persona o il patrimonio”. Viene estesa alle ferrovie “la fattispecie di illecito amministrativo che punisce chiunque impedisce la libera circolazione su strada ordinaria e si prevede la trasformazione dell’illecito amministrativo in reato quando il fatto è commesso da più persone riunite”. Un riferimento che fa pensare a certe manifestazioni di matrice ambientalista.

Fanno già discutere le norme che rendono non più obbligatorio ma facoltativo il rinvio dell’esecuzione della pena comminata a donne incinte o madri di bambini fino a un anno di età, così come peraltro è già previsto nel caso di figli da uno a tre anni. La pena sarà eventualmente scontata negli istituti a “custodia attenuata” per detenute madri. Per quanto riguarda lo sfruttamento dell’accattonaggio da parte di minori, si introduce l’induzione tra le condotte penalmente perseguibili, oltre ovviamente alle violenze e alle minacce, e si innalza da 14 a 16 anni il limite di età.

Per una maggiore tutela delle forze dell’ordine vengono aggravate le pene nelle ipotesi in cui “la violenza, minaccia o resistenza a un pubblico ufficiale siano poste in essere nei confronti di un ufficiale o di agenti di pubblica sicurezza o di polizia giudiziaria”. Aumentano anche le sanzioni per chi imbratta o deturpa beni mobili e immobili con funzioni pubbliche “qualora il fatto sia commesso con la finalità di ledere l’onore, il prestigio o il decoro dell’istituzione cui il bene appartiene”. Si autorizzano altresì gli agenti di pubblica sicurezza “a portare senza licenza un’arma diversa da quella di ordinanza quando non sono in servizio”. Il “pacchetto” sicurezza comprende anche pene più severe per chi organizza o partecipa a rivolte nelle carceri e nei Cpr per migranti.

Quanto al fisco, il Consiglio dei ministri sta continuando a emanare i decreti legislativi destinati ad attuare la legge delega per la riforma del settore. I due provvedimenti licenziati nell’ultima riunione riguardano un potenziamento della digitalizzazione e l’allargamento del regime dell’adempimento collaborativo, attualmente riservato alle imprese con un volume d’affari superiore al miliardo e che sarà gradualmente esteso fino al limite dei 100 milioni di euro nel 2028. Per chi aderisce a questa forma di dialogo preventivo con il fisco e al ricorrere di “specifici presupposti” sono previsti “effetti premiali” come “esclusione o riduzione delle sanzioni amministrative tributarie; esclusione della punibilità del delitto di dichiarazione infedele; riduzione dei termini di decadenza per l’attività di accertamento”.

Società. Caritas: “In Italia 5,6 milioni di poveri assoluti (+357mila). Più povertà croniche, senza dimora e working poor”

Ven, 17/11/2023 - 12:00

Chi in Italia nasce povero probabilmente lo rimarrà anche da adulto. E avere un lavoro non è più sufficiente per vivere una vita dignitosa. È l’impietoso ritratto contenuto nel Rapporto su povertà ed esclusione sociale in Italia 2023 “Tutto da perdere” di Caritas italiana, presentato oggi a Roma. A quasi trent’anni dalla prima uscita del volume aumenta ancora la povertà: nel 2022 si stimano oltre 5,6 milioni di poveri assoluti, pari al 9,7% della popolazione (erano il 9,1% nel 2021), ossia un residente su dieci. Sono scivolati nella povertà assoluta altre 357mila persone.  Si tratta di 2 milioni 187mila famiglie, a fronte di 2 milioni 22mila famiglie del 2021 (+165mila nuclei). Tra loro, vi è la cifra enorme di 1,2 milioni di minori in condizione di indigenza, il cui futuro sarà indubbiamente compromesso. Gli stranieri, pur rappresentando solo l’8,7% della popolazione, costituiscono il 30% dei poveri assoluti. I lavoratori poveri che si rivolgono alla Caritas sono il 22,8% dell’utenza, di cui il 64,9% sono stranieri. Secondo la Caritas, anche a causa dei conflitti in Medio Oriente e Ucraina,

“i recenti fatti internazionali potranno avere pesanti conseguenze in termini economici che si andranno a innestare su un tessuto economico globale in frenata”.

Sono 2,7 milioni i “working poor” in Italia (l’11,5% degli occupati rispetto a una media europea dell’8,9%). Il 47% dei nuclei in povertà assoluta risulta infatti avere il capofamiglia occupato. Tra le famiglie povere di soli stranieri la percentuale sale addirittura all’81,1%. Ai working poor il volume dedica un focus specifico, con una indagine nazionale di tipo partecipativo.

In Europa il 21,8% a rischio povertà, in Italia il 24,4%. Oggi in Europa vivono in una condizione di rischio povertà e/o esclusione sociale oltre 95 milioni di persone, il 21,8% della popolazione (nel pre-pandemia l’incidenza si attestava al 20,7%). In Italia l’indicatore raggiunge il 24,4% per un totale di 14 milioni 304mila persone a rischio.

Caritas: 3,4 milioni di interventi nel 2022, aiutate 255.957 persone. La Caritas, con il suo lavoro capillare radicato nei territori, è un osservatorio privilegiato dove osservare la situazione e i cambiamenti.  Nel 2022 gli interventi di aiuto sono stati complessivamente 3,4 milioni, per una media di 13,5 prestazioni per assistito/nucleo (la media del 2021 era di 6,5). Nei centri di ascolto e servizi informatizzati (complessivamente 2.855) sono state supportate 255.957 persone, ossia l’11,7% delle famiglie in povertà assoluta, l’1% delle famiglie residenti. Gli stranieri sono il 59,6%, con punte che arrivano al 68,5% e al 66,4% nel Nord-Ovest e nel Nord-Est. L’età media è 53 anni per gli italiani e 40 anni per gli stranieri. Il 52,1% sono donne, il 47,9% uomini. Gli utenti sono accomunati da un basso livello di istruzione (il 66,5% ha la licenza di scuola media inferiore) e fragilità occupazionale. Il 48% è in condizioni di disoccupazione e di “lavoro povero” (22,8%).

I lavoratori poveri che si rivolgono alla Caritas sono il 22,8% dell’utenza, di cui il 64,9% sono stranieri. L’età è compresa fra i 35 e i 55 anni, il 53,7% sono coniugati, il 75,9% ha figli, il 76,7% vive in case in affitto. Lavorano come colf, badanti, addetti alle pulizie, operai, manovali, impiegati nella ristorazione e nel commercio.

Le nuove povertà pesano per il 45,3% tra gli utenti Caritas ma sono ancora moltissime le persone che faticano a risollevarsi: il 24,4% è seguito da cinque anni e più, il 21% da 1-2 anni, il 9,3% da 3-4 anni. Ci si rivolge alla rete Caritas soprattutto per problemi economici (il 78,5%), occupazionali (45,7%) e abitativi (23,1%), disagi legati all’immigrazione (24,2%), problemi familiari (13%), di salute (11,6%), legati all’istruzione (7,8%), alle dipendenze (3,1%), alla detenzione e giustizia (3,1%) o all’ handicap/disabilità (2,9%).

Le novità: calano assistiti (-2,3%) ma aumentano persone sole, povertà croniche e senza dimora. Da un confronto tra i dati Caritas del primo semestre 2023 rispetto al primo semestre 2022 emerge un calo del numero di assistiti del 2,3%; si irrobustiscono le povertà croniche (+9,6% delle persone in carico da molti anni), mentre risulta in calo il numero dei nuovi ascolti (-7,2% delle persone ascoltate per la prima volta nel 2023); si abbassa la quota dei nuclei familiari (-5,4%) e sale invece quello delle persone sole (+5,4%) e dei divorziati (+ 3,2%); torna a rafforzarsi la grave esclusione sociale e abitativa: le persone senza dimora in soli dodici mesi aumentano del +12,3%;  dal 2022 al 2023 tende ad aumentare la quota di persone con problemi abitativi (mancanza di casa, accoglienza provvisoria, abitazione precaria/inadeguata) e connessi allo stato di salute.

Al Sud e nei piccoli comuni va peggio. I dati nazionali evidenziano ancora lo svantaggio del Mezzogiorno e dei piccoli comuni con meno di 50mila abitanti: 8,8% di persone in povertà assoluta a fronte del 7,7% delle aree metropolitane. Da un anno all’altro peggiora la condizione dei piccoli comuni del Nord Italia (dal 6,9% all’8,1%).

La povertà dei bambini. Secondo l’Istat nel 2022 sono 1 milione 270mila i minori che vivono in povertà assoluta (13,4% in Italia, 15,9% nel Sud). Il 7,5% dei minori è in condizioni di grave deprivazione abitativa, con tassi di sovraffollamento che sfiorano il 50% nel caso delle famiglie mono-genitoriali. Positivo è però il calo della dispersione scolastica: 11,5% nel 2022 (era il 16,8% nel 2013). I giovani Neet rappresentano quasi il 20% di tutti i 15-29enni (1,7 milioni), oltre 7 punti percentuali in più della media europea (11,7%).

La povertà energetica in Italia, ossia la difficoltà a pagare le bollette delle utenze domestiche o poter scaldare la propria casa, colpisce il 9,9% della popolazione (dato Istat/Eurostat), con una tendenza all’aumento negli ultimi 10 anni. Nel 2022 il 19,1% degli assistiti Caritas ha ricevuto un sussidio economico (86mila sussidi), il 45% è stato a supporto di “bisogni energetici”.

Reddito di cittadinanza. Nei primi sette mesi del 2023 i nuclei familiari che hanno fatto affidamento sul RdC sono stati 1 milione e 331 mila (Inps, 2023), per un totale di più di 2,8 milioni di persone coinvolte. Nel 2021 erano quasi 4 milioni di persone.

 

 

Neonati fragili. Spagnolo (Gemelli): “Coinvolgere sempre i genitori in una pianificazione condivisa delle cure”

Ven, 17/11/2023 - 11:36

Negli ultimi decenni la consulenza di etica clinica (Cec) ha assunto un ruolo importante in ambito clinico-assistenziale, non solo come supporto nell’identificare le questioni etiche implicate nella storia clinica del paziente, ma anche per facilitare il processo decisionale. Un ambito particolare è la Terapia intensiva neonatale (Tin) che richiede un’opportuna considerazione dei valori in gioco per il perseguimento del bene del neonato, nella presa in carico della sua condizione clinica e della famiglia. Antonio G. Spagnolo, responsabile del Servizio di consulenza di etica clinica presso la Fondazione Policlinico Gemelli Irccs di Roma, ci parla dell’esperienza di questo Servizio all’interno della Tin dell’ospedale e sottolinea l’importanza di coinvolgere a pieno titolo i genitori in una pianificazione condivisa delle cure.

Professore, in che cosa consiste, in concreto, l’attività del vostro Servizio?
La consulenza di etica clinica è un servizio fornito da un singolo consulente o da un gruppo di esperti, finalizzato ad affrontare le questioni etiche che emergono in uno specifico caso clinico, con lo scopo di contribuire ad una migliore qualità della cura dei malati sia nelle modalità sia nei risultati, facilitando l’identificazione dei valori in gioco al fine di giungere alla migliore decisione per il paziente, tra le diverse opzioni possibili di intervento. Concretamente svolgiamo la consulenza etica accanto al letto del malato e con il malato, la sua famiglia e l’équipe curante, cioè il luogo dove sorgono i problemi etici e dove occorre prendere decisioni critiche per la vita del malato. Diamo attuazione cioè a quella pianificazione condivisa delle cure (di cui si parla anche nella legge 2019/2017) che ha lo scopo di procedere in sintonia con tutti i protagonisti, anche al fine di evitare conflittualità.

Il recente caso della bimba inglese Indi Gregory, ad esempio, ci conferma nella convinzione che migliorare la condivisione delle scelte terapeutiche all’interno di una idonea consulenza etica, facilitando la comunicazione, possa far evitare l’odioso ricorso ai giudici che di fatto non possono che esercitare la loro funzione distanti dal caso clinico e basandosi sulle “carte”.

In che modo aiutate medici e infermieri?
In particolare, nella Terapia intensiva neonatale (Tin) dove sono ricoverati i pazienti più piccoli e fragili, i medici e gli infermieri sono posti di fronte ad un “distress morale” in relazione alle delicate decisioni che devo essere prese. Il continuo progresso nella tecnologia e nella ricerca cui si è giunti in campo neonatologico, infatti, consente oggi la sopravvivenza di neonati estremamente prematuri o critici, ma la complessità della loro assistenza può far emergere interrogativi etici rispetto al riconoscimento del limite dei trattamenti. Pertanto,

medici e infermieri si trovano di fronte a scenari a cavallo tra il sostenere con tutti i mezzi la vita appena nata, e la decisione di accettare l’inevitabilità della fine della vita di una malattia inguaribile.

L’incertezza diagnostica e prognostica nonché il coinvolgimento dei genitori rendono la Tin un luogo nel quale non è sempre semplice l’individuazione dell’intervento di volta in volta più adeguato, da un punto di vista sia clinico sia etico.

Quindi che tipo di aiuto potete offrire?
L’aiuto che la consulenza etica può dare a questi operatori può essere duplice. Anzitutto la facilitazione etica della decisione – di cui rimane sempre deontologicamente responsabile il neonatologo – attraverso l’analisi dei valori in gioco, esplicitando in modo coerente come quei valori si applicano nel caso concreto, sostenendo e confermando gli operatori sanitari nelle decisioni che spesso, alla luce della loro esperienza e sensibilità etica, hanno già in pectore. La consulenza etica rimane scritta in cartella e rappresenta un documento ufficiale accanto alle altre consulenze specialistiche. Il secondo punto riguarda l’elaborazione di un documento condiviso di orientamento assistenziale  alla cui redazione contribuiscono tutti coloro che a vario titolo sono coinvolti nel caso, neonatologi, infermieri, psicologi, assistenti sociali, e gli stessi genitori, al fine di arrivare alla definizione di una condotta, ipotizzando gli scenari clinici che potrebbero determinarsi, calibrando le decisioni in relazione alle mutate condizioni cliniche che potrebbero, ad esempio, far rimodulare  un trattamento iniziato in condizioni di incertezza ma che successivamente diventa futile, sproporzionato e gravoso, e che rischia di essere abusivo, decidendo di desistere e andando verso la  direzione di una terapia palliativa di conforto che possa accompagnare il neonato verso la sua fase finale di vita.

A quali domande siete chiamati a rispondere o ad offrire un contributo di riflessione?
Nel lavoro che abbiamo appena pubblicato sulla nostra rivista internazionale di Bioetica, Medicina e Morale, l’analisi retrospettiva delle consulenze etiche che abbiamo effettuato presso la Tin della Fondazione Policlinico Gemelli Irccs dal 2016 al 2022 mette inevidenza che i quesiti etici emergenti nell’assistenza di un neonato in condizioni critiche, e che sono motivo di richiesta di consulenza, ruotano principalmente attorno al concetto di proporzionalità terapeutica. Infatti, tra le problematiche etico-cliniche più rilevanti nell’ambito della pratica neonatologica ed in particolare nella terapia intensiva neonatale vi è senz’altro quella del

rischio dell’accanimento clinico o ostinazione irragionevole nei trattamenti,

rischio legato alle situazioni assistenziali che in questo ambito vengono affrontate e che rendono non semplice l’individuazione dell’intervento di volta in volta più adeguato, da un punto di vista etico-clinico. In questo campo, infatti, il carattere “straordinario” degli atti sanitari che vengono eseguiti costituisce l’“ordinarietà” degli interventi in neonatologia, interventi che hanno reso possibile oggi la sopravvivenza di tanti neonati. È importante comunque, seguendo le indicazioni della Samaritanus bonus, che anche qualora vengano sospese le terapie farmacologiche o di altra natura, volte a contrastare la patologia di cui soffre il bambino – in quanto non più appropriate alla sua deteriorata condizione clinica e valutate come futili o eccessivamente gravose per lui, in quanto causa di ulteriore sofferenza –

non deve però mai venire meno la cura integrale della persona del piccolo malato, nelle sue diverse dimensioni fisiologiche, psicologiche, affettive-relazionali e spirituali.

Qual è il vostro rapporto con i familiari di questi neonati?
Il rapporto con i genitori dei neonati è decisivo al fine di giungere ad un documento condiviso di orientamento etico-clinico-assistenziale. Il genitore, che vive la malattia del neonato con comprensibile angoscia e trepidazione, può essere sostenuto oltre che da tutto il personale medico-infermieristico e dall’aiuto dello psicologo anche dal consulente etico che rappresenta una parte terza in cui possono trovare conferma e conforto circa l’orientamento clinico dei medici riguardo ai trattamenti per il loro bambino. La loro partecipazione alla redazione di un documento condiviso di cui prendono visione, con il loro nome riportato insieme a quello dei medici e di tutta l’equipe diventa occasione per sentirsi co-protagonisti delle decisioni, non di subirle, ma di poter esprimere da genitori quello che ritengono sia meglio per il loro bambino. Questo non vuol dire scaricare su di loro la responsabilità delle decisioni ma, alla luce dei valori etici che il consulente può prospettare, possono meglio comprendere il significato di certe scelte che il neonatologo riterrebbe di dover fare. Anche questo documento condiviso è formalmente inserito nella documentazione clinica ed è uno strumento utile che i genitori possono esibire quando, per motivi diversi, dovessero aver bisogno di altre strutture per l’emergere di eventi critici dei loro bambini, per i quali sia stata decisa la domiciliazione non essendo più la terapia intensiva il luogo idoneo per la loro cura.

 

Tutela dei minori. P. Sabbarese (referente Vaticano): “Cresce sul territorio la cultura della prevenzione”

Ven, 17/11/2023 - 09:49

“Cresce sul territorio la cultura della prevenzione e della tutela di quanti frequentano i nostri ambienti ecclesiali, specie se minori e vulnerabili e, grazie alla presenza di equipé di esperti in grado di garantire interventi qualificati ed efficaci, le iniziative di informazione e formazione, di sensibilizzazione e intervento”. Padre Luigi Sabbarese, referente per la tutela dei minori in Vaticano, presenta così la seconda rilevazione sulla rete territoriale sulla tutela dei minori e degli adulti vulnerabili, promossa dalla Conferenza episcopale italiana (Servizio nazionale per la tutela dei minori). “I risultati variano da regione a regione – prosegue Sabbarese –, ma sostanzialmente si conferma una crescente sensibilizzazione sul fenomeno e una maggiore consapevolezza sull’ascolto delle segnalazioni”.

A quasi un anno dalla sua nomina come referente per la tutela dei minori presso il Vaticano, come ha sviluppato il cammino di lavoro in questi mesi?
Anzitutto è importante ricordare che il referente, ufficio ecclesiastico istituito, come in ogni diocesi della Chiesa Cattolica, con il motu proprio di Papa Francesco “Vos estis lux mundi”, ha il compito di coordinare attività di prevenzione e di formazione affinché gli operatori pastorali del vicariato sappiano come comportarsi nei confronti di segnalazioni o denunce che riguardano minori o adulti vulnerabili. Per quanto mi riguarda, in questi mesi ho cercato di avvicinarmi alle realtà pastorali presenti nel vicariato. A breve organizzeremo un primo incontro per sensibilizzare anzitutto i parroci e gli assistenti spirituali. L’obiettivo è ascoltare quanti hanno diretta responsabilità pastorale, formare chi ha incarichi pastorali e quanti collaborano con i parroci e i sacerdoti presenti sia nella basilica di San Pietro sia nelle parrocchie rispetto alla cultura della prevenzione e della tutela di quanti frequentano i nostri ambienti ecclesiali. In un secondo momento provvederemo a fare proposte operative che coinvolgano quanti operano all’interno del vicariato della Città del Vaticano. È necessario e importante verificare l’applicazione delle Linee guida e delle buone prassi nelle comunità e avviare, come si sta facendo ormai in ogni diocesi, iniziative di sensibilizzazione e prevenzione ma anche di promozione e formazione degli operatori pastorali.

Cosa emerge a suo avviso dalla seconda rilevazione?
Anzitutto la conferma di un deciso radicamento e di una diffusa operatività dei servizi e dei centri a servizio delle comunità. Risultano infatti in crescita le iniziative di informazione e formazione, di sensibilizzazione e intervento; crescono e si qualificano le equipé di esperti in grado di garantire interventi efficaci.

Naturalmente ciò varia da diocesi a diocesi e da regione a regione, ma sostanzialmente si conferma una crescente sensibilizzazione sul fenomeno e una maggiore consapevolezza sull’ascolto delle segnalazioni.

Tra i punti di forza, ad esempio, dei servizi diocesani, vengono indicati la sensibilità di educatori e catechisti nei confronti del tema degli abusi sui minori e la gestione delle relazioni a livello diocesano con gli uffici pastorali diocesani e con i sacerdoti.

Cosa bisogna sviluppare?
Un aspetto da implementare riguarda i rapporti tra servizi ed enti non ecclesiastici, ancora scarsi e bisognosi di essere rafforzati in vista di un sistema integrato di tutela dei minori contro gli abusi di ogni tipo, anche attraverso il miglioramento dei flussi comunicativi.

Nei servizi diocesani e interdiocesani sono presenti qualificate religiose e religiosi che prestano la loro opera di ascolto, di accompagnamento e di intervento ad ogni livello.

Per il futuro, però, credo sia importante incrementare la collaborazione tra ordinari, soprattutto per evitare che vi siano negligenze negli interventi a seguito di segnalazioni e/o denunce.

E, forse, anche gli Istituti religiosi dovrebbero rendere più visibili servizi qualificati, oltre a quelli già presenti nell’organizzazione diocesana.

Usmi e Cism, in collaborazione con il Servizio nazionale Cei per la tutela dei minori, hanno attivato lo scorso anno uno specifico percorso di formazione. Quanto è importante la formazione in questo ambito e a che necessità risponde?
Il corso ha evidenziato una necessità: informare per formare. Si è volutamente scelto di partire dall’ascolto delle persone ferite per poi tornare a mettere a fuoco, durante gli altri incontri, le varie manifestazioni delle diverse forme di abuso suggerendo elementi sia per il riconoscimento degli atti e delle situazioni relazionali abusanti, sia per la prevenzione. Ogni incontro ha avuto due fasi di proposta tematica, ognuna con un tipo distinto di uditore: i formatori/formatrici, e i/le giovani in formazione. Ciò ha permesso ai relatori di differenziare la proposta e ai partecipanti di recepire i contenuti in maniera personalizzata e di condividerli in un clima di dialogo e libertà. Più che presumere di trattare in modo esaustivo problematiche così complesse (e sulle quali non disponiamo ancora di sintesi definitive), si è cercato di proporre uno stile di approccio alle stesse, cercando di mettere insieme l’analisi riflessiva con il cammino che ognuno/a deve fare, a livello individuale e di gruppo, per consacrarsi a Dio con cuore libero da ogni ansia di possesso e dominio dell’altro. Un cammino aperto alla relazione, nel rispetto del mistero e della dignità di ogni persona, a partire dai più piccoli. Certamente quanto fatto è solo l’inizio d’un cammino che dovrà proseguire.

Si parla molto di abusi fisici e poco di abusi di potere, coscienza, spirituali. Cosa li favorisce?
Alla base di tutto c’è sempre l’abuso di potere. L’abuso di coscienza e spirituale si può più facilmente verificare nell’accompagnamento spirituale, quando ad esempio la relazione di accompagnamento pone al primo posto l’io e l’educatore diventa seduttore. In questo caso, il comportamento abusivo il più delle volte rimane nascosto nella relazione personale tra abusante e abusato. Sotto questo aspetto vi sono ancora poche denunce, mentre quelle di abuso sessuale sono di più e per questo si è sviluppata una più precisa legislazione canonica.

Tra sole e nuvole: un seme che cresce

Ven, 17/11/2023 - 09:41

La seconda rilevazione presentata in questi giorni ad Assisi offre non solo nuovi dati significativi sul piano della rilevazione statistica, ma apre a piste di potenziamento e revisione dell’azione promossa dalla Chiesa Italiana in questo ambito.

La rilevazione, è bene ricordarlo, si colloca dentro l’approccio globale propositivo e proattivo, inaugurato con le Linee Guida e consolidato con l’approvazione delle cinque vie di azione da parte dell’Assemblea generale dei vescovi del maggio 2022. Lo stesso Papa Francesco aveva proposto alla Pontificia Commissione la necessità e l’importanza di un rapporto annuale sulle attività di tutela portate avanti dalla Chiesa a livello mondiale (29 aprile 2022, udienza alla Pontificia Commissione tutela minori e adulti vulnerabili). Non si tratta quindi di un’indagine storica ma di uno strumento di trasparenza e rendicontazione sui passi avviati mediante l’adozione delle Linee Guida del 2019. Sono stati approntati tre strumenti di rilevazione per ciascuno dei tre punti chiave della rete territoriale: il servizio diocesano o interdiocesano, il servizio regionale, il centro di ascolto, ciascuno dei quali connesso agli altri ma anche capace di vivere una tale peculiarità di azione da contraddistinguerlo dagli altri due.

La continuità tra formazione e sensibilizzazione così come quella tra segnalazione e reazione, sono gli elementi che devono caratterizzare una buona politica di tutela per i minori e gli adulti vulnerabili. In particolare, la segnalazione risulta favorita laddove vi sia sensibilizzazione e trasparenza sulle procedure. In tal senso appare evidente la connessione tra la crescita esponenziale delle persone sia informate che formate a livello ecclesiale (7706 nel 2020 23188 nel 2022), dovuto sicuramente anche all’aumento del numero di incontri salito dai 272 del 2020 ai 901 del 2022. In crescita anche il numero delle richieste di contatto pervenute presso i centri di ascolto (48 nel 2021 374 nel 2022, mentre cambia radicalmente la natura del motivo del contatto che rispetto al passato, nel 2022, rivela una netta prevalenza di richiesta di informazioni. Riconoscendo che tale dato in futuro andrà certamente meglio indagato, per una sua migliore definizione, tuttavia segnala come il centro di ascolto rappresenti un punto importante sotto il profilo dell’accoglienza – magari rispetto a richieste concernenti altri ambienti oltre quelli ecclesiali –, dove dare inizio a un percorso di segnalazione o prevenzione che necessita tempi più dilatati di accompagnamento sia verso una eventuale denuncia sia nel trovare il modo migliore per mettere in sicurezza un eventuale contesto problematico. Un punto di crescita quindi, in termini di notorietà, del Centro di ascolto il cui numero passa dai 24 del 2021 ai 39 del 2022, ma anche di capillarità rispetto alla stessa adesione dei Centri alla rilevazione, a testimonianza della loro presenza sul territorio come luogo di ascolto e accoglienza (90 nel biennio 2020-2021, 108 nel 2022).

Guardano poi ai dati sui casi, sono 32 quelli segnalati come tali nel 2022. Essi si riferiscono in quasi egual misura al passato e al presente. Le presunte vittime sono prevalentemente pre-adolescenti e adolescenti, i presunti autori sono equamente distribuiti tra sacerdoti, religiosi e laici. Sarà necessario in futuro rafforzare gli accompagnamenti offerti sia alle vittime che ai contesti nei quali si sono verificati e, per quanto possibile, bisognerà rendere più trasparenti i passi successivi alla segnalazione.

Infine, da segnalare che, la partecipazione attiva di tutti i membri del popolo di Dio, risulta il dato trasversale ai tre punti della rete indagati, che altro non è che l’attuazione di ciò che Papa Francesco ritiene presupposto necessario per contrastare e prevenire il fenomeno degli abusi nella Chiesa.

La rilevazione del 2022, che raggiunge il 92% delle diocesi italiane e la totalità delle regioni ecclesiastiche, conferma questa partecipazione. Una partecipazione competente viste le professionalità in gioco (prevalenti quelle psicologiche, educative e giuridiche) capace di rilevare con obiettività le criticità ancora esistenti per una revisione in tempo reale del processo avviato.

Una partecipazione sinodale di laici, sacerdoti e religiosi/e dimostratisi capaci di lavorare insieme (i laici nelle equipe sono 70.4%, nei centri di ascolto i laici ne sono i responsabili nel 76% dei casi) con una prevalenza dell’elemento femminile, soprattutto nei centri di ascolto dove le donne risultano responsabili nei due terzi dei casi.

La seconda rilevazione sia quindi occasione per sostenere con cura quanto seminato e dissodare con decisione ciò che ancora ostacola una crescita feconda.

Storie di pace a confronto. Card. Zuppi: “Sono le mille, incalcolabili sfumature del bene e dell’amore”

Ven, 17/11/2023 - 09:28

“La guerra porta divisione, malattia, odio, muri, inimicizie. Per dire pace abbiamo bisogno di un intero vocabolario che fa emergere le mille, incalcolabili sfumature del bene e dell’amore”. E, “se questo è vero, la pace non è solo compito della politica ma si costruisce e si sperimenta nei campi quotidiani della famiglia, del lavoro, dell’economia, della società”. Con queste parole del card. Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna e presidente della Cei, si è aperto ieri sera a Roma, nella sala della Protomoteca del Campidoglio, l’incontro – dal titolo “A 60 anni dalla Pacem in terris: non c’è pace senza perdono” – organizzato da Caritas italiana, Ufficio nazionale per i problemi sociali e il lavoro della Cei, Azione cattolica italiana, Acli, Agesci, Cnal, Frati francescani d’Assisi, Movimento Focolari Italia e Pax Christi. Hanno preso la parola testimoni e operatori di pace in varie parti del mondo e in diversi conflitti ancora in corso. Ad ascoltarli una platea gremita, soprattutto giovani, anche alcuni studenti. L’incontro di Roma è però solo la prima tappa di un cammino che avrà al centro la 56ª Marcia nazionale per la pace che si terrà a Gorizia il 31 dicembre e proseguirà a livello locale con iniziative, in costante aggiornamento, che verranno promosse nelle diocesi dal “popolo della pace” con preghiere, marce, incontri culturali, momenti di animazione. “La pace non è mai un protagonismo di qualcuno”, ha concluso Zuppi. “Queste esperienze molto diverse tra di loro dimostrano come la pace raccolga una infinità di aspetti, di itinerari, percorsi, storie e situazioni”. Perché se “la pace è il destino”, come tale “richiede il coinvolgimento, il lavoro e lo sforzo di ognuno e di tutti”.

(Foto sir)

La prima storia è quella di Daoud Nassar, palestinese cristiano, fondatore del progetto “Tent of Nations”. Per motivi di sicurezza, Nassar non ha potuto partecipare al convegno come relatore. È stato rappresentato da Laura Munari, referente italiana di Tent of Nations. Siamo in Cisgiordania, nel West Bank in Area C, su una collina situata tra Betlemme ed Hebron. Attorniata dagli insediamenti israeliani e dal muro di separazione, si trova la fattoria della famiglia Nassar, agricoltori cristiani. Più volte aggrediti e attaccati, la risposta dei Nassar all’ingiustizia dell’occupazione non è la violenza. Il lavoro dei campi, la fattoria didattica, il Summer camp che ogni anno viene proposta ai ragazzi, l’accoglienza dei pellegrini rispondono ad un unico slogan: “We refuse to be enemies” (Ci rifiutiamo di essere nemici). Lo fanno anche oggi. Nonostante dallo scorso 7 ottobre la fattoria è vuota, i volontari sono tornati a casa, animali e piantagioni non stanno ricevendo nutrimento, la vendemmia e la raccolta delle olive si sono interrotte. “Questo è il tempo dell’attesa, della preghiera e della speranza”, scrivono in un messaggio che campeggia sul sito internet del progetto. “La vendetta non ha senso”. “La realizzazione di questo può avvenire solo se il Diritto internazionale viene rispettato, anche con la mediazione costruttiva dei Paesi politicamente ed economicamente coinvolti. I miracoli accadono”.

(Foto Sir)

Ha portato la sua testimonianza anche Giovanni Bachelet, figlio del giurista Vittorio Bachelet, assassinato il 12 febbraio 1980 dalle Brigate Rosse. Il giorno del funerale di suo papà, il giovane Giovanni ebbe il coraggio di pregare così: “Vogliamo pregare anche per quelli che hanno colpito il mio papà perché, senza nulla togliere alla giustizia che deve trionfare, sulle nostre bocche ci sia sempre il perdono e mai la vendetta, sempre la vita e mai la richiesta della morte degli altri”. Ha scelto di non rimanere vittima dell’odio anche Sharizan Shinkuba, ex studentessa della “World House” di Rondine Città della pace, proveniente dall’ Abkhazia. È un contesto diverso ma la dinamica è la stessa, a prova che la parola pace – come diceva il card. Zuppi – si declina in infiniti modi.  Siamo nella zona del Sud Caucaso, teatro di una guerra scoppiata con la Georgia nel 1992 e i cui effetti sono ancora vivi e presenti nella società. “Quando sono nata, per me il nemico già esisteva”, ha detto Sharizan raccontando la sua storia. “Ho imparato presto a capire che l’odio era per noi un senso di appartenenza, un sentimento che ci univa tutti”. Poi con il tempo, la ragazza ha cominciato a porsi degli interrogativi, a domandarsi perché e se volesse anche lei continuare ad odiare. Poi l’incontro con Rondine che – ha raccontato – “mi ha regalato un fratello. Era un ragazzo georgiano. Ci siamo ritrovati a condividere gli stessi spazi che ci hanno obbligato a confrontare le nostre storie e i nostri dolori. Una esperienza che mi ha aiutato a capire che il mio dolore non era diverso dal suo”.

Silvia De Munari è appena arrivata dalla Colombia, dove da 8 anni vive. È volontaria del corpo civile di pace della Comunità Papa Giovanni XXIII. Il Paese da 60 anni vive in uno stato di guerra civile che ha seminato centinaia di migliaia di morti, desaparecidos, 8 milioni di sfollati interni. In questo contesto di violenza, nel 1997 nasce la “Comunità di Pace” di San José de Apartadò dove i contadini che la abitano e la animano (circa 500) rifiutano l’uso delle armi e aderiscono ad una economia alternativa che vieta l’uso delle armi e la coltivazione della coca. Una scelta pagata anche con il sangue. Silvia ha raccontato la sua vita di operatrice. Ha spiegato anche che ci sono regole di sicurezza da seguire, come indossare magliette arancioni per farsi riconoscere o comunicare la propria presenza alle forze armate. Questo “camminare” a fianco dei contadini locali ha permesso ad oggi ai volontari di “salvare vite umane”. E ha aggiunto: “Ho l’onore di vivere con queste persone, uomini e donne che hanno il coraggio di resistere al male della violenza, di non rimanere coinvolte nel conflitto ma di voler costruire relazioni positive”.

Assemblea Cei. Card. Zuppi: “Nella Chiesa non c’è prescrizione per gli abusi”

Gio, 16/11/2023 - 15:14

(da Assisi) “Nella Chiesa non c’è prescrizione”. Lo ha ricordato il card. Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna e presidente della Cei, rispondendo alle domande dei giornalisti sugli abusi durane la conferenza stampa di chiusura dell’Assemblea dei vescovi italiani, in cui è stata presentata la seconda Rilevazione sulle attività di tutela dei minori e degli adulti vulnerabili nelle diocesi italiane.

“La prescrizione è un problema, ma nella Chiesa non esiste”,

ha spiegato il cardinale, ricordando che questi tipi di reato vanno sempre perseguiti: “Chiunque denuncia anche a distanza di anni viene ascoltato, e comunque noi facciamo un procedimento interno. In molti casi non c’è un rimando al penale perché prescritto, ma per noi no. Ci sono casi di persone che denunciano solo all’autorità ecclesiastica e non hanno alcuna intenzione di denunciare alle autorità civili, mentre la nostra richiesta è di rivolgersi anche alle autorità civili”. Quanto a presunti episodi di insabbiamento dei casi di abusi da parte dei vescovi, il presidente della Cei ha risposto:

“È difficile che oggi un vescovo insabbi.

È quasi più pericolosa una valutazione non oggettiva. Semmai il rischio è quasi il contrario: che per prudenza si avviino procedimenti giuridici anche soltanto per verificare i fatti”.

Diritto allo sciopero. Tra i temi di attualità, il diritto allo sciopero, dopo la riduzione dello sciopero generale previsto per domani. “È difficile rispondere: c’è un diritto che va difeso, ma c’è anche una limitazione del diritto che va difesa”, ha argomentato Zuppi: “Non voglio fare Pilato”, ha proseguito: “Se dovessi pensare a quello che abbiamo auspicato rispetto alla Costituzione, ma anche più generale, forse ci vuole più incontro, più dialogo, anche nelle scontro politico ci vuole una dialettica, che deve riguardare le sfide presenti”. “Ho l’impressione che su questo siamo ancora un pò lontani”, ha commentato.

Missione di pace in Ucraina. Riguardo allo scenario internazionale, il cardinale ha risposto alle domande dei giornalisti sugli sviluppi della missione di pace in Ucraina portata avanti per incarico di Papa Francesco. “Per completare la missione di pace si farà tutto quello che serve. Continua tutto l’impegno per i bambini e gli altri aspetti umanitari”, ha assicurato Zuppi. “Su richiesta delle autorità ucraine ci siamo concentrati sull’aspetto umanitario”, ha ribadito: “La Chiesa lo fa già in tanti modi, basta pensare all’attività di solidarietà straordinaria della Chiesa greco cattolica”. “Continueremo sicuramente i contatti con le autorità da una parte e dall’altra, in piena collaborazione con la Segreteria di Stato”, ha garantito il presidente della Cei: “C’è una buona collaborazione, tenendo presenti le enormi difficoltà”. In merito al fatto che il conflitto in Ucraina sia stato oscurato dal conflitto in corso tra Israele e Hamas, Zuppi ha risposto: “Per noi no, la Chiesa i riflettori ce l’ha tutti quanti accesi, come per il Sud Sudan o il Nagorno Karabakh”.

“Ratio” sui seminari. Non sono mancate le domande sul tema principale dell’Assemblea, la “Ratio” sui Seminari. “C’è stata un’importante discussione, è stato fatto un bel lavoro sugli emendamenti presentati”, ha riferito il presidente della Cei in merito al documento approvato dai presuli durante i lavori. “Tutto ci è stato richiesto dal Dicastero, e ora presenteremo il documento al Dicastero per la riconferma e l’attuazione”, ha informato il cardinale. Il testo, infatti, emendato secondo le indicazioni dell’Assemblea, sarà ora sottoposto alla conferma da parte del Dicastero per il Clero. “La gestazione è stata abbastanza lunga, il rischio era di arrivare fuori tempo massimo”, ha commentato Zuppi, definendo il nuovo documento, che offre orientamenti comuni e indicazioni condivise perché ogni singola Conferenza episcopale regionale possa costruire il progetto formativo dei propri seminari, un documento “di grande importanza per i preti e la formazione del clero”.

Il futuro prete della Chiesa italiana. Mons. Manetti (Cei): “Un uomo di relazione che cammina con il popolo di Dio”

Gio, 16/11/2023 - 13:03

“Comunione e missione sono l’orizzonte fondamentale della formazione, che non si esaurisce nel periodo del seminario ma è permanente, perché il candidato è un discepolo di Cristo nel momento in cui dice il suo sì al Signore e lo rimane per sempre”. Mons. Stefano Manetti, vescovo di Fiesole e presidente della Commissione Episcopale per il clero e la vita consacrata, commenta la “Ratio formationis sacerdotalis per i Seminari in Italia” esaminata e approvata dalla 78ª Assemblea Generale Straordinaria della Cei, che si è conclusa oggi ad Assisi.

(Foto CEI)

La formazione dei futuri preti è stata al centro dell’Assemblea.
È stato un momento di confronto sincero e aperto. Ora attendiamo la confirmatio da parte del Dicastero per il Clero. La Ratio è il frutto di un’ampia consultazione, a partire dai formatori, dai seminari e dai vescovi. L’essenza è costituita da due momenti fondamentali. Il primo è la formazione spirituale, umana e comunitaria, centrata sulla conoscenza di sé. Questa fase costituisce i primi tre anni, perché

oggi è necessaria una formazione approfondita e seria per costruire una solida vita spirituale e cominciare a gustare la vita fraterna nella comunità del seminario.

E la seconda fase?
Prevede un anno di esperienza pastorale, caritativa o missionaria, da vivere fuori dal seminario. È un tempo che i formatori proporranno al momento opportuno, comunque dopo l’ammissione dei candidati agli ordini. È una sorta di iniziazione al popolo di Dio, la volontà di introdurre gradualmente nella realtà ecclesiale, con lo scopo principale di imparare a conoscere il popolo di Dio, ad amarlo, a servirlo e a camminare insieme. Ci sarà una circolarità tra prassi pastorale, vissuti interiori personali, studio teologico, vita liturgica e comunitaria.

Dunque, la vita nelle comunità è un elemento importante nel percorso di crescita del sacerdote?
Vogliamo dare un ampio spazio alla vita nelle comunità, secondo la creatività dei formatori. È un accompagnamento graduale sempre più intenso, perché l’uscita dal seminario non sia sentita come un salto nell’ignoto, ma il prete novello abbia già una certa esperienza e un amore per la comunità cristiana.

La prima tappa di costruzione del sé interiore avviene più all’interno del seminario; la seconda, invece, prevede il coinvolgimento di tutta la comunità cristiana nella formazione.

In questo abbiamo recepito una richiesta che è venuta dal Cammino sinodale: coinvolgere la comunità cristiana nella formazione dei presbiteri.

Cosa accomuna i seminaristi di oggi?
La necessità di una formazione interiore, di sfidare l’individualismo che segna profondamente la cultura in cui viviamo. Sono ragazzi che hanno grande sete di paternità e la trovano, spesso per la prima volta, nel rapporto educativo in seminario. Sono giovani che apprezzano la vita e, quando la scoprono, apprezzano ancor di più la vita comunitaria. Però devono essere accompagnati. La chiave della Ratio è mettere al centro la persona con la sua storia, la sua indole e i suoi tempi.

Anche per questo si parla di accompagnamento personalizzato, che superi certi automatismi. Si avanza secondo le tappe raggiunte dal candidato, la formazione è alla persona intesa a tutto campo con la sua dimensione umana, spirituale, teologica e pastorale.

(Foto Rocket Social Studio / Centimetri)

C’è preoccupazione per i numeri delle vocazioni al sacerdozio?
È una sfida che ci interpella e, se accettata, ci farà crescere. Ci costringe a elevare la qualità dell’annuncio e della proposta. Dobbiamo puntare sulla qualità. Se ci si ferma alla quantità, si perde il treno. Noi dobbiamo offrire una proposta formativa di qualità, una evangelizzazione di qualità.

Dobbiamo avere il coraggio di annunciare davvero il Vangelo, perché i giovani ce lo chiedono.

Accettare questa realtà è la condizione indispensabile per un percorso autentico di formazione. Se non c’è l’incontro con Cristo, che prevede una conversione vera, se il ragazzo non è raggiunto dalla Parola di Dio, saremo sconfitti. Bisogna dare spazio alla Parola, la Chiesa è chiamata ad accompagnare l’opera di Dio. Non siamo noi che creiamo le vocazioni. La prima verifica del discernimento, infatti, è che ci sia stata una chiamata vera del Signore.

Che prete avrà la Chiesa italiana?
Un uomo di relazione, che viva la prossimità con tutti coloro che il Signore gli affida, che sappia camminare con il popolo di Dio, non venendo meno alle sue responsabilità di essere guida, punto di riferimento, presidente dell’Eucarestia e dell’annuncio, ma capace di rifuggire ogni forma di clericalismo. Quando il seminarista arriva davanti al vescovo per l’Ordinazione, la sfida è che si presenti con fede, cosciente dei propri limiti ma anche fiducioso e consapevole di essere amato da Dio e dalla Chiesa.

Senza l’ansia di essere perfetto?
Non è richiesta la perfezione perché il seminarista sia ordinato, ma che abbia imparato a lasciarsi crescere dalla comunità ecclesiale, da Dio e dalla Chiesa. E poi deve essere un prete missionario.

Comunione e missione sono l’orizzonte fondamentale della formazione,

che non si esaurisce nel periodo del seminario ma è permanente, perché il candidato è un discepolo di Cristo nel momento in cui dice il suo sì al Signore e lo rimane per sempre. Inizia un cammino di formazione che non finisce mai. La formazione iniziale e quella permanente sono un’unica cosa. Dare continuità a questo percorso è la sfida che vogliamo affrontare.

The Italian Church’s future priests. Msgr. Manetti (Italian Bishops’ Conference): “A man of relationships, who walks with the people of God”

Gio, 16/11/2023 - 13:03

“Communion and mission constitute the fundamental horizon of formation, which does not end with the seminary period. It is a lifelong formation: the candidate for the priesthood is a disciple of Christ the moment he says ‘yes’ to the Lord, and remains so forever.” Msgr. Stefano Manetti, Bishop of Fiesole, President of the Bishops’ Commission for the Clergy and the Consecrated Life, comments on the “Ratio formationis sacerdotalis for seminaries in Italy” reviewed and approved by the 78th Extraordinary General Assembly of the Italian Bishops’ Conference, which closes today in Assisi.

The formation of future priests was at the heart of the Assembly.

It was a moment of honest and open discussion. We are now waiting for the approval of the Dicastery for the Clergy. The Ratio is the fruit of a broad consultation, involving formators, seminarians and bishops. In essence, it consists of two fundamental stages. The first is spiritual, human and community formation, centred on self-knowledge. This phase covers the first three years.

Today, a thorough and serious formation is necessary in order to build a solid spiritual life and to begin to enjoy fraternal life in the seminary community.

 And what about the second stage?

It involves a year of pastoral, charitable or missionary experience outside the seminary. The formators will propose it when it is appropriate, and in any case after the candidates have been admitted to the Order. It can be described as a form of initiation into the People of God. It is a gradual introduction into the reality of the Church, with the main purpose of getting to know, love, serve and walk with the People of God. There will be a circular relationship between pastoral practice, interior and personal life, theological study, liturgical and community life.

Is community life an important element in priests’ personal growth?

We plan to give a lot of space to community life, according to the creativity of the formators. The accompaniment will be gradual and increasingly intense, so that leaving the seminary will not be seen as a leap into the unknown. Rather, the new priest will have already gained some experience and affection for the Christian community. While the first stage of formation takes place within the seminary, the second stage involves the whole Christian community in the formation process. This responds to a request coming from the Synodal Way: to involve the Christian community in priestly formation.

What do today’s seminarians have in common?

They all need an inner formation; they need to challenge the highly individualistic attitude that so strongly characterises society in which we live. They are young men thirsting for fatherhood and finding it – often for the first time – in the educational relationship offered in the seminary. They are young men who appreciate life and, when they discover it, appreciate community life even more. But they must be accompanied. The core of the Ratio is to give centre stage to the human person with his history, his temperament and his pace. Also for this we speak of customised accompaniment, which transcends certain automatisms. Progress is made according to the stages reached by the candidate, the formation is for the person as a whole with his human, spiritual, theological and pastoral dimension.

Are there concerns about the numbers of vocations to the priesthood?

It is a challenge we are confronted with and, if embraced, it will make us grow. It compels us to raise the quality of our proclamation and proposal. We must focus on quality. If we stop at quantity, we miss the boat. We must focus on high-quality formation, a high-quality evangelisation.

We must have the courage to truly proclaim the Gospel, because young people are asking us to do so.

Accepting this reality is the necessary condition for an authentic path of formation. Without an encounter with Christ, which entails true conversion, if the young person is not reached by the Word of God, we will be defeated. There must always be room for the Word, the Church is called to accompany the work of God. It is not we who create vocations. The first verification of discernment is to ensure that there is a true calling from the Lord.

Who will be the priest of the Italian Church?

He will be a man of relationships, close to all those whom the Lord has entrusted to his care, who knows how to walk with the People of God, faithful to his responsibilities as a guide, a point of reference, a presider of the Eucharist and of proclamation, but able to avoid all forms of clericalism. When the seminarian comes before the bishop for ordination, the challenge is to present himself in faith, aware of his limitations but confident that he is loved by God and the Church.

 Without the anxiety that he expected to be perfect?

Perfection is not a requirement for the ordination of a seminarian. What is required is that he should have allowed himself to grow in the ecclesial community, in God and in the Church. He must also be a missionary priest.

Communion and mission are the fundamental horizons of formation,

which does not end with the seminary. It is a lifelong formation: the candidate for the priesthood is a disciple of Christ from the moment he says “yes” to the Lord and remains so forever. He begins a journey of formation that never ends. Initial and lifelong formation are one and the same. The challenge before us is to give continuity to this journey.

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