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Servizio Informazione Religiosa
Aggiornato: 4 mesi 1 settimana fa

Il tema della libertà religiosa in Europa e nel Mediterraneo al centro di un rapporto del Ministero degli Esteri

Mer, 18/10/2023 - 14:08

“La Turchia è il primo paese per numero di violazioni della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, un primato che non riguarda solo il discorso delle minoranze religiose perché contempla anche tutto un problema di repressione o limitazione di ogni opinione eterodossa e di ogni manifestazione identitaria eterodossa”. Lo ha detto Rossella Bottoni, professore associato alla Facoltà di Giurisprudenza di Trento dove insegna “Diritto e Religione” e “Introduzione al diritto islamico” alla presentazione del rapporto “Religious Minorities in the Euro-mediterranean Space” (ReMinEm), legato al progetto “Atlas of Religious or Belief Minorities”, di cui è anche curatrice. Un’iniziativa finanziata dal Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale (Maeci). Un progetto di analisi che ha coinvolto numerosi studiosi italiani e stranieri, inclusi giuristi e sociologi, la cui missione consiste nel mappare e valutare il grado di rispetto e promozione dei diritti delle minoranze nell’Unione europea. Attualmente, il progetto copre circa un terzo dei paesi dell’Ue e affronta diverse aree tematiche. Il report appena uscito, che si concentra sull’analisi di Francia, Croazia, Cipro Algeria e Turchia, affronta tematiche cruciali come libertà di insegnamento e quelle legate al diritto di famiglia nei paesi in esame.

(Foto: Opam)

Dalla ricerca emerge la conferma della difficoltà nella vita di tutti i giorni per le minoranze religiose in un paese tecnicamente candidato all’ingresso in Ue come la Turchia, tristemente nota per numerose violazioni dei diritti umani e, dopo l’uscita della Russia dal Consiglio d’Europa, divenuto un caso particolarmente critico. Nel rapporto attuale, la Francia è inclusa come esempio di paese che fa della laicità la sua religione civile, mentre la Croazia, scelta anch’essa come realtà capace di favorire il confronto, può vantare un modello giuridico avanzato di promozione delle minoranze. Cipro, con la sua particolare storia di divisione su base religiosa offre un contesto particolarmente interessante in cui le residue influenze giuridiche ottomane si riflettono nella Costituzione. E infine l’Algeria assurta a paese di interesse per l’aumento della sua importanza in virtù del suo ruolo di fornitore di gas all’Italia.

Conoscere al meglio i paesi delle due sponde del Mediterraneo, essendo tutti candidati a diventare partner del nostro Paese per ragioni storiche e commerciali, diventa per l’Italia cruciale e questo spiega l’interesse delle istituzioni in questo tipo di approfondimenti. Ma l’estrema diversità di contesti e situazioni spesso sfuggono alla conoscenza reciproca e quindi è bene capire cosa succede in questi paesi. Un esempio per quello che riguarda le difficili condizioni delle minoranze religiose nel paese nordafricano riguardano le questioni inerenti al diritto di famiglia. “C’è un diritto civile modellato sul diritto islamico – prosegue la professoressa Bottoni – per cui ci sono tutta una serie di problemi. Pensiamo a una cosa banalissima come il desiderio di una coppia cattolica di adottare un figlio, quindi non parliamo – almeno dal punto di vista occidentale – di esigenze che possono compromettere la stabilità dell’ordinamento giuridico, ma di un desiderio di genitorialità. Ecco, questo in Algeria non è possibile perché l’adozione, essendo proibita dal diritto islamico, non è disciplinata dal sistema giuridico nazionale. Una cosa che è emersa nel corso di questo progetto è che per lo Stato democratico è molto più facile proteggere le minoranze etniche, culturali e linguistiche che quelle religiose”.

Questo perché “le minoranze religiose fanno affidamento su norme giuridiche percepite come esterne rispetto al legislatore umano, superiori allo Stato, quindi pongono in essere un diritto che mette in discussione o confligge con il diritto statale” spiega ancora la Bottoni “la vera sfida secondo me è non tanto quindi sul fronte del diritto di famiglia quanto su quello della libertà di educazione da un lato e della conoscenza del fatto religioso, perché sempre di più noi saremo una società plurale e bisogna conoscerci l’un l’altro un pochino meglio”, punto cruciale per superare pregiudizi e paure.

Un dibattito – quello sul multiculturalismo – che emerge anche quando si esamina la situazione di Israele leggendo la stampa di quel paese che prima degli attacchi aveva visto una profonda mobilitazione democratica e che da anni discute al proprio interno sul tipo di società che vuole essere, con continue tensioni tra laici e religiosi, e dove al centro dell’agenda politica c’è anche il tema (complesso) dell’identità ebraica e dei suoi risvolti giuridici. Basti pensare al tema della cosiddetta “Legge del Ritorno” che (in teoria) concede automaticamente accesso alla cittadinanza a tutti gli ebrei, non solo di nascita ma anche per conversione. Sfide accentuate dalle evoluzioni storiche come ad esempio dalla diaspora post-sovietica, dalla difficile integrazione dell’ebraismo di origine etiope nella società israeliana, con la volontà degli ebrei più ortodossi – gli haredim – di accentuare il carattere “religioso” dello Stato a svantaggio di una identità nazionale basata sull’essere “israeliano” piuttosto che “ebreo”.

Pope Francis: “May weapons be silenced. War cancels out the future”

Mer, 18/10/2023 - 11:42

“Today too, our thoughts turn to Palestine and Israel,” Pope Francis said in the greetings to the Italian-speaking faithful at the end of today’s general audience in St. Peter’s Square. “The number of victims is rising and the situation in Gaza is desperate”, Pope Francis’ appeal: “Please, let everything possible be done to avoid a humanitarian disaster. The possible widening of the conflict is disturbing, while so many war fronts are already open in the world. May weapons be silenced, and let us heed the cry for peace of the poor, the people, the children… war does not solve any problem: it sows only death and destruction, foments hate, proliferates revenge.” I have decided to call for a day of fasting and prayer on Friday 27 October, a day of penance to implore peace in this world.”

War cancels out the future, it cancels out the future. I urge believers to take just one side in this conflict: that of peace. But not in words – in prayer, with total dedication.”

“Let us continue to pray for peace in the world, and let us not forget to pray for the martyred Ukraine”, the final appeal: “There is no mention of it now, but the tragedy lingers on.”

“The first step in evangelizing is to have Jesus inside one’s heart, it is to ‘fall head over heels’ for him”, the Pope said in the opening lines of the catechesis, dedicated to Saint Charles de Foucauld, “a man who made Jesus and his poorest brothers the passion of his life, who “drawing upon his intense experience of God, made a journey of transformation towards feeling a brother to all”. “If this does not happen, we can hardly show it with our lives”, Francis remarked. “Instead, we risk talking about ourselves, the group to which we belong, a morality or, even worse, a set of rules, but not about Jesus, his love, his mercy.” “I see this in some new movements that are emerging”, the Pope went on in unscripted remarks: “hey talk about many things, about organization, about spiritual journeys, but they do not know how to talk about Jesus. I think that today it would be good for each one of us to ask him- or herself: “Do I have Jesus at the centre of my heart? Have I ‘lost my head’ a bit for Jesus?”.

“Our whole existence must cry out the Gospel”,

Charles de Foucauld used to write. “And very often our existence calls out worldliness, it calls out many stupid things, strange things, and he says: ‘No, all our existence must shout out the Gospel’, Francis exclaimed again departing from the written text.  “We have lost the sense of adoration”, he denounced: “we must regain it, starting with us consecrated persons, bishops, priests, nuns and all consecrated persons.”

“There need to be laypeople close to priests, to see what the priest does not see, who evangelize with a proximity of charity, with goodness for everyone, with affection always ready to be given.”

With this phrase, Charles de Foucauld “foreshadows the times of Vatican Council II; he intuits the importance of the laity and understands that the proclamation of the Gospel is up to the entire people of God.”

“The saintly laypeople, not climbers”, the Pope said off text, “but those who love Jesus, make the priest understand that he is not a functionary, he is a mediator.” “How we priests need to have beside us those laypeople who truly believe, and who teach us the way by their witness”,

Francis exclaimed, and asked: “how can we increase this participation? The way Charles de Foucauld did: by kneeling and welcoming the action of the Spirit, who always inspires new ways to engage, meet, listen and dialogue, always in collaboration and trust, always in communion with the Church and pastors.”

“Saint Charles de Foucauld, a figure who is a prophecy for our time, bore witness to the beauty of communicating the Gospel through the apostolate of meekness”, the Pope said. He reiterated in unscripted remarks: “Let us not forget that God’s style is summarized in three words: proximity, compassion and tenderness. And Christian witness must take this road. And this is how he was, meek and tender. He wanted everyone he met to see, through his goodness, the goodness of Jesus. Indeed, he used to say that he was a ‘servant to someone much better than me’. Living Jesus’ goodness led him to forge fraternal friendships with the bonds of friendship with the poor, with the Tuareg, with those furthest from his mentality. Gradually these bonds generated fraternity, inclusion, appreciation of the other’s culture.” “Goodness is simple and asks us to be simple people, who are not afraid to offer a smile”, Francis concluded: “And with his smile, with his simplicity, Brother Charles bore witness to the Gospel. Never by proselytism, never: by witness. One does not evangelize by proselytism, but by witness, by attraction. So finally, let us ask ourselves whether we bring Christian joy, Christian meekness, Christian tenderness, Christian compassion, Christian proximity.”

Papa Francesco: “Tacciano le armi, la guerra cancella il futuro”

Mer, 18/10/2023 - 11:42

“Anche oggi il pensiero va in Palestina, in Israele”. Lo ha detto Papa Francesco, al termine dell’udienza generale di oggi in piazza San Pietro, durante i saluti ai fedeli di lingua italiana. “Le vittime aumentano e la situazione a Gaza è disperata”, l’appello di Francesco: “Si faccia, per favore, tutto il possibile per evitare una catastrofe umanitaria. Inquieta il possibile allargamento del conflitto, mentre nel mondo tanti fronti bellici sono già aperti. Tacciano le armi, si ascolti il grido per la pace dei poveri, della gente, dei bambini. La guerra non risolve alcun problema, semina solo morte e distruzione, aumenta l’odio, moltiplica la vendetta”. Il 27 ottobre, ha annunciato il Santo Padre ai fedeli, “ho deciso di indire una Giornata di digiuno, preghiera e penitenza per implorare la pace nel mondo”.

La guerra cancella il futuro, cancella il futuro. Esorto i credenti a prendere in questo conflitto una sola parte, quella della pace, ma non a parole, ma con la preghiera, con la dedizione totale”.

Continuiamo a pregare per la pace nel mondo, e non dimentichiamo di pregare per la martoriata Ucraina”, l’invito finale: “Adesso non se ne parla, ma il dramma continua”.

“Il primo passo per evangelizzare è aver Gesù al centro del cuore, è perdere la testa per lui”, l’esordio della catechesi, dedicata a san Charles de Foucauld, “un uomo che ha fatto di Gesù e dei fratelli più poveri la passione della sua vita, che “a patire dalla sua intensa esperienza di Dio, ha compiuto un cammino di trasformazione fino a sentirsi fratello di tutti”. “Se ciò non avviene, difficilmente riusciamo a mostrarlo con la vita”, il monito di Francesco: “Rischiamo invece di parlare di noi stessi, del nostro gruppo di appartenenza, di una morale o, peggio ancora, di un insieme di regole, ma non di Gesù, del suo amore, della sua misericordia”. “Questo io lo vedo in qualche nuovo movimento che sta sorgendo”, ha proseguito il Papa a braccio: “parlano della propria visione dell’umanità, della loro spiritualità, e loro si sentono in una strada nuova. Parlano di tante cose, di organismi, di cammini spirituali, ma non sanno parlare di Gesù. Sarebbe bello che si domandino: ‘io ho Gesù al centro del cuore, ho perso un po’ la testa per Lui?’”.

“Tutta la nostra esistenza deve gridare il Vangelo”,

scriveva Charles de Foucauld. “E tante volte la nostra esistenza grida mondanità, grida tante cose stupide, tante cose strane, e lui dice no, tutta nostra esistenza deve gridare il Vangelo”, il monito di Francesco ancora fuori testo. “Abbiamo perso il senso dell’adorazione”, la denuncia a braccio: “dobbiamo riprenderlo, cominciando da noi consacrati, vescovi, sacerdoti, suore: perdere il tempo davanti al tabernacolo, riprendere il senso dell’adorazione”.

“Vicino ai preti ci vogliono dei laici che vedono quello che il prete non vede, che evangelizzano con una vicinanza di carità, con una bontà per tutti, con un affetto sempre pronto a donarsi”.

Con questa frase, Charles de Foucauld “anticipa in questo modo i tempi del Concilio Vaticano II, intuisce l’importanza dei laici e comprende che l’annuncio del Vangelo spetta all’intero popolo di Dio”.

“I laici santi, non arrampicatori”, ha precisato il Papa a braccio: “quelli innamorati di Gesù fanno capire al prete che lui non è un funzionario, è un mediatore”. “Quanto bisogno abbiamo di avere accanto a noi laici che credono sul serio, e con la loro testimonianza ci indicano la strada”,

ha esclamato Francesco, che si è chiesto: “come possiamo accrescere questa partecipazione? Come ha fatto Charles: mettendoci in ginocchio e accogliendo l’azione dello Spirito, che sempre suscita modi nuovi per coinvolgere, incontrare, ascoltare e dialogare, sempre nella collaborazione e nella fiducia, sempre in comunione con la Chiesa e con i pastori”.

”San Charles de Foucauld, figura che è profezia per il nostro tempo, ha testimoniato la bellezza di comunicare il Vangelo attraverso l’apostolato della mitezza”, il ritratto finale del Papa, che ha ribadito a braccio: “Non dimentichiamo che lo stile di Dio sono tre parole: vicinanza, compassione e tenerezza. E la testimonianza cristiana deve andare per questa strada. E lui era così, mite e tenero, desiderava che chiunque lo incontrasse vedesse, attraverso la sua bontà, la bontà di Gesù. Diceva di essere, infatti, servitore di uno che è molto più buono di me. Vivere la bontà di Gesù lo portava a stringere legami fraterni e di amicizia con i poveri, con i Tuareg, con i più lontani dalla sua mentalità. Pian piano questi legami generavano fraternità, inclusione, valorizzazione della cultura dell’altro”. “La bontà è semplice e chiede di essere persone semplici, che non hanno paura di donare un sorriso”, ha concluso Francesco: “Col sorriso, con la sua semplicità, fratel Carlo faceva testimonianza del Vangelo: mai proselitismo, testimonianza! L’evangelizzazione non si fa per proselitismo, ma per testimonianza, per attrazione. Chiediamoci allora infine se portiamo in noi e agli altri la gioia cristiana, la tenerezza cristiana, la compassione cristiana, la vicinanza cristiana”

Fidei donum: “La lente con cui guardo al mondo è il Vangelo”

Mer, 18/10/2023 - 09:41

La missione non ha età; a volte, invece, è un accumularsi di anni e di esperienze. È il caso della diocesi di Reggio Emilia che invia fidei donum in Madagascar dal 1961. Le ultime ad essere rientrate, tra il dicembre 2022 e il gennaio 2023, sono Anna Maria Borghi, Camilla Lugli e Giada Tirelli: tre laiche con storie diverse, accomunate dalla consapevolezza dell’importanza di partire in gruppo.
Per Anna Maria Borghi, per esempio, è stato “un modo per confrontarsi e per superare insieme le difficoltà”. Classe 1956, ha insegnato per 40 anni nella scuola primaria. All’inizio, non è stato facile in Madagascar. “L’acqua salata che usciva dai rubinetti era un disagio, ma poi sono stata io a portarmi a casa un grande senso di mia povertà. Perché ci si scontra con un mondo di bisogni e di fatiche, distante dal nostro, e ci si accorge che non siamo supereroi con tutte le soluzioni”.
A Manakara, nella diocesi di Farafangana, zona bellissima e degradata del Sud del Madagascar, infatti, “conscia del proprio poco poter fare, capisci che la missione non è regalare cose”.
Più di ogni altra cosa, tuttavia, si è sentita “mamma e nonna; parte di un mondo dove si respira energia; membro di una Chiesa che è casa di tutti, in cui la messa è il grande momento della settimana per far festa ed esprimere la gioia di un’appartenenza”.
Insieme a lei ha vissuto Camilla Lugli, 28 anni, che a Manakara ha prestato servizio nel villaggio di Ambokala presso l’ospedale psichiatrico e nell’oratorio parrocchiale. “Le parole che mi risuonano dentro sono: essenzialità, sorrisi, soglia della sofferenza alta, ritmo e musicalità, fatica e gratitudine”, ricorda Camilla, che fin da piccola sognava di andare in missione.
Rientrata, è ora impegnata con il Servizio civile: “non sono più disorientata come i primi mesi, ma continuano a mancarmi le persone, il paesaggio, i canti, le feste, i pellegrinaggi e, infine, il gruppo di volontari con background diversi che univa più punti di vista”. Soprattutto, Camilla non smette di sentirsi privilegiata per i suoi 13 mesi da fidei donum e non esclude altre partenze per il futuro.

Chi è già partita di nuovo, invece, è Giada Tirelli, quasi 25 anni, infermiera, che attualmente è in Albania, in cammino con le suore Carmelitane Minori della Carità con cui ha condiviso l’anno in Madagascar. Lei, alla Fondation Médicale di Ampasimanjeva, nella diocesi di Fianarantsoa, ci è arrivata dopo “una breve esperienza in Brasile, desiderosa di mettere a servizio della missione” le sue competenze e di “sperimentare la fraternità universale a cui siamo chiamati”. Ma non si è limitata ad affiancare il personale locale perché “in quel contesto, tutto è cura”.
Come per le sue compagne di viaggio, anche per Giada la ricchezza dell’esperienza in Madagascar è stata “la compresenza di vocazioni, provenienze ed età molto diverse, quindi la pluralità di sguardi e carismi”. A ciò si aggiunge la “forte sensibilità missionaria della diocesi di Reggio che negli anni ha generato un prezioso scambio di doni” con presenze anche in Brasile, India, Albania. “Ecco perché fidei donum. Perché la lente con cui guardo al mondo è il Vangelo, incarnato attraverso la concretezza di un servizio e di una comunità”. In un Paese segnato da povertà, incuria e corruzione, la gente è rimasta loro nel cuore, divenendo famiglia.

Educazione sanitaria all’ospedale di Ampasimanjeva, nella diocesi di Fianarantsoa (Foto Missio)

Aiuti in ogni angolo del pianeta. Gli esempi di Isole Salomone, Sud Sudan e Myanmar

Mer, 18/10/2023 - 09:26

Non è immediato immaginare che l’azione missionaria passa anche dall’acquisto di carburante per le imbarcazioni, di apparecchiature radio, o dall’installazione di un impianto fotovoltaico su un tetto. Ma leggendo la descrizione dei progetti finanziati con le offerte raccolte durante la Giornata missionaria mondiale (Gmm) 2023, è facile convincersene. A documentare tutto ciò è il sito della Fondazione Missio (www.missioitalia.it), organismo pastorale della Cei, che rappresenta le Pontificie opere missionarie (Pom) nella Chiesa italiana.
Dal 1926, anno in cui fu istituita la prima Giornata missionaria mondiale nella penultima domenica di ottobre, le Pontificie opere missionarie in tutte le comunità cattoliche del mondo si fanno promotrici della Giornata di preghiera e solidarietà universale tra Chiese sorelle.
La raccolta di offerte che si attua in questa Giornata va in aiuto alle giovani Chiese di missione, in particolare a quelle in situazioni di maggiore necessità. Con quali fini? Formazione di seminaristi, sacerdoti, religiosi o religiose, catechisti locali; costruzione e mantenimento dei luoghi di culto, dei seminari e delle strutture parrocchiali; sostegno alle tv, radio e stampa cattolica locale; fornitura dei mezzi di trasporto ai missionari (vetture, moto, biciclette, barche); sostegno all’istruzione, all’educazione e alla formazione cristiana dei bambini e dei ragazzi…
Ecco allora che, ad esempio, nella diocesi di Gizo (Isole Salomone) diventa indispensabile poter comprare il carburante per le due imbarcazioni necessarie ai missionari per spostarsi da un’isola all’altra e visitare le 16mila persone che vivono nei villaggi. Oppure nella diocesi di Malakal (Sud Sudan) è importante acquistare una strumentazione audio per evitare che Radio Saut al-Mahabba (emittente che produce contenuti spirituali di qualità e assicura la trasmissione in diretta della messa domenicale) vada fuori onda. Ma in contesti particolarmente disagiati, come in Myanmar nella diocesi di Hpa-an, è fondamentale anche l’installazione di un impianto solare che produca energia là dove manca l’elettricità e le suore della congregazione Serve di Maria sono costrette ad usare candele e torce.
Questi sono solo alcuni esempi di aiuti finanziati con il denaro raccolto durante la Gmm 2023. Per un giorno all’anno – ricorda la direzione nazionale italiana delle Pom – non c’è posto per distinzioni e particolarismi: ogni comunità è chiamata a sostenere con la preghiera e la solidarietà la missione universale, ovvero tutti i missionari, raggiungendo così quelle realtà che non hanno altri modi di ricevere aiuti, perché prive di particolari legami con parrocchie o diocesi sostenitrici, e senza collegamenti con specifici istituti o associazioni. Insomma, per un giorno all’anno, la missione universale sia al centro del cuore di tutti.

Uno dei progetti Pom sostenuti nel 2022 ha contribuito alla ristrutturazione del campo da basket del seminario Vianney Bhavan di Gopalpur-On-Sea di Berhampur (India): insieme alla formazione intellettuale e spirituale, i seminaristi hanno infatti bisogno anche di prendersi cura della loro forma fisica e di mantenersi in salute

 

Striscia di Gaza: strage all’ospedale anglicano Al-Ahli Arabi. Wcc: “Crimine di guerra. Attacco punizione collettiva”

Mar, 17/10/2023 - 23:40

Sarebbero circa 300, ma alcune fonti parlano di 500, le vittime di un attacco che, secondo un portavoce del ministero della Sanità di Hamas, stasera ha colpito l’ospedale battista Al-Ahli Arabi nel centro di Gaza City. Sotto le macerie ci sarebbero ancora molte persone, riferisce Al Jazeera attraverso reporter sul campo. Il nosocomio ospitava al suo interno un migliaio di sfollati, ha spiegato alla Bbc il canonico Richard Sewell, uno dei maggiori esponenti a Gerusalemme della Chiesa anglicana, che finanzia l’ospedale, totalmente indipendente da ogni fazione di Gaza. Alla fine della settimana scorsa, è il suo racconto, circa seimila abitanti di Gaza, quasi tutte famiglie, si erano rifugiati nel cortile dell’ospedale che il 14 ottobre è stato colpito una prima volta, provocando il ferimento di quattro persone. Dopo questo attacco aereo la maggior parte degli sfollati ha lasciato l’ospedale, ma mille persone sono rimaste. Molti dei feriti sono donne e bambini.

La versione di Israele. Pronta la smentita dell’Esercito israeliano (Idf) di fronte alle accuse rivoltegli da Hamas, riportata dalla Bbc: “L’ospedale non era un edificio sensibile e non era un obiettivo dell’esercito. L’Idf sta indagando sulla fonte dell’esplosione e, come sempre, dà la priorità, all’accuratezza e l’affidabilità. Esortiamo tutti a procedere con cautela nel riferire affermazioni non verificate di una organizzazione terroristica”. A questo primo comunicato ne ha fatto seguito un altro che attribuisce la totale responsabilità della strage a un razzo della Jihad islamica. Sulla base di “informazioni di intelligence, la causa dell’esplosione all’ospedale di Gaza è un fallito lancio di un razzo della Jihad Islamica”, sostiene l’Idf che precisa: “L’analisi dei sistemi operativi dell’Idf mostra che uno sbarramento di razzi nemici è stato lanciato verso Israele, passando vicino ad un ospedale, che è stato colpito. Secondo le informazioni d’intelligence, provenienti da diverse fonti, la Jihad Islamica palestinese è responsabile del fallito lancio che ha colpito l’ospedale”.

Reazioni. La strage all’ospedale Al-Ahli Arabi giunge a poche ore dall’arrivo in Israele del presidente degli Stati Uniti, Joe Biden. Un viaggio che lo porterà dopo solo poche ore ad Amman per colloqui con il re di Giordania Abdullah, il presidente egiziano Abdel Fatah al-Sisi e il presidente dell’Autorità palestinese Mahmoud Abbas. Quest’ultimo avrebbe annullato il suo incontro con Biden dopo la notizia dell’attacco al nosocomio di Gaza e indetto tre giorni di lutto nazionale. Al centro delle visite l’accordo con il governo di Benjamin Netanyahu sulla fornitura di aiuti umanitari e aree sicure agli oltre 2 milioni di persone di Gaza che sono sotto il fuoco nemico e che hanno urgente bisogno di acqua, cibo e assistenza medica. Proteste sono scoppiate ad Amman davanti l’ambasciata di Israele e a Ramallah contro il presidente palestinese Abu Mazen. Forti le reazioni internazionali per la strage all’ospedale: di “attacco barbarico” parla il ministero degli Esteri turco. Dello stesso tenore il commento iraniano che stigmatizza: “un feroce crimine di guerra”. Il ministero degli Esteri del Qatar afferma: “L’espansione degli attacchi israeliani sulla Striscia di Gaza per includere ospedali, scuole e altri centri abitati è una pericolosa escalation”. Per il premier canadese Justin Trudeau “Le notizie che arrivano da Gaza sono orribili e assolutamente inaccettabili… il diritto internazionale deve essere rispettato in questo e in tutti i casi. Ci sono delle regole sulle guerre e non è accettabile colpire un ospedale”. Da Egitto e Giordania la condanna dell’attacco “nei termini più forti possibili”. Russia e Emirati Arabi Uniti hanno chiesto una riunione urgente e aperta del Consiglio di Sicurezza dell’Onu per il 18 ottobre mattina. Secondo il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel il raid “non è in linea con il diritto internazionale”. Interpellata sullo stesso tema, la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, ha declinato ogni commento in attesa di “conferme”.

La reazione delle Chiese. “Si tratta di una perdita spaventosa e devastante di vite innocenti”. Così l’arcivescovo di Canterbury Justin Welby commenta da Londra la strage avvenuta questa sera a Gaza all’al-Ahli Arab Hospital. In una dichiarazione su X che la Lambeth Palace ha fatto giungere al Sir, l’arcivescovo scrive: “L’ospedale Ahli è gestito dalla Chiesa anglicana. Piango con i nostri fratelli e sorelle: per favore pregate per loro. Rinnovo il mio appello affinché i civili siano protetti in questa guerra devastante. Che il Signore Dio abbia pietà”. I media locali e inglesi parlano di centinaia tra morti e feriti. Proprio oggi alla Lambeth Palace – cuore della Comunione Anglicana – l’imam di Leicester, sheikh Ibrahim Mogra e il rabbino della New North London Synagogue Jonathan Wittenberg si sono uniti all’arcivescovo di Canterbury per la preghiera per la pace. “Non possiamo permettere che i semi dell’odio e del pregiudizio vengano seminati di nuovo nelle nostre comunità”, ha detto Welby. Durissima condanna del Consiglio Mondiale delle Chiese (Wcc) che ha espresso “indignazione e shock” per la notizia dell’attacco all’ospedale Al-Ahli a Gaza. “Migliaia di palestinesi che avevano già perso la casa si stavano rifugiando nell’ospedale, gestito dalla Chiesa anglicana”, afferma il segretario generale del Wcc, Jerry Pillay. “L’attacco equivale a una punizione collettiva, che è un crimine di guerra secondo la legge internazionale”. In una dichiarazione giunta al Sir, Pillay ha aggiunto che “la comunità internazionale deve ritenere Israele responsabile dei crimini commessi contro i civili”. “L’attacco – prosegue il segretario generale – è anche contrario a tutto ciò che i nostri valori monoteistici ci richiedono; vale a dire la difesa della giustizia, la promozione della pace e della dignità umana di tutti coloro che sono stati creati da Dio e a Sua immagine. L’attacco non ha senso, dal momento che era diretto contro un ospedale, proprietà della chiesa, contro pazienti e famiglie che cercavano rifugio dagli incessanti bombardamenti di Israele”. Pillay ricorda inoltre che l’attacco è avvenuto lo stesso giorno in cui i leader delle chiese di Gerusalemme hanno organizzato una giornata di preghiera per la pace. “Poiché è prevista una visita del presidente degli Stati Uniti Joe Biden in Israele, lo invitiamo a condannare questo atroce attacco contro l’ospedale e a chiedere al governo israeliano di fermare il violento bombardamento di Gaza e di aprire un corridoio umanitario”, afferma Pillay. “In questo momento di dolore, preghiamo – conclude Pillay – affinché le persone uccise nell’ospedale Al-Ahli e tutti coloro che hanno perso la vita in questo conflitto possano riposare in pace. Inviamo le nostre condoglianze alle famiglie in lutto e i migliori auguri di pronta guarigione a coloro che sono rimasti feriti”.

I cristiani di Gaza. La notizia della strage all’ospedale anglicano ha suscitato “sgomento” all’interno della piccola comunità cristiana gazawa, in larga parte rifugiata nella parrocchia latina della Sacra Famiglia. A riassumere al Sir lo stato d’animo dei cristiani locali e suor Nabila Saleh: “In questo momento non riesco a non pensare alla sofferenza delle persone colpite. Si spendono miliardi per i missili e le armi mentre nel mondo c’è gente che muore di fame e di sete. Le cosiddette democrazie parlano di diritti umani ma questi vivono solo sulla carta. La nostra terra gronda sangue. Non abbiamo nessun luogo dove andare a chiedere pace. Non abbiamo nessuno, solo Te. In Te riponiamo speranza e giustizia”.

Gaza Strip: Massacre at Al-Ahli Arabi Anglican hospital. WCC: “War Crimes. Massive punitive attack”

Mar, 17/10/2023 - 23:40

Nearly 300 people – but some sources say as many as 500 – were killed in an attack on the Al-Ahli Arabi Baptist Hospital in central Gaza City this evening, according to a spokesman for the Hamas health ministry. Many people are believed to be still under the rubble, Al Jazeera News reported from journalists on the scene. Canon Richard Sewell, a senior representative of the Anglican Church in Jerusalem, which funds the hospital that is completely independent of any faction in Gaza, told the BBC that the hospital was sheltering around a thousand displaced people. He said that by the end of last week some six thousand Gazans, most of them families, had taken refuge in the courtyard of the hospital, which was first hit on 14 October, injuring four people. After the latest air strike, most of the displaced people left the hospital, but a thousand people remained. Many of the wounded are women and children.

Israel’s version. In a statement reported by the BBC, a spokesperson for the Israel Defence Forces (IDF) promptly rejected the accusations made by Hamas: “A hospital is a highly sensitive building and is not an IDF target. The IDF is investigating the source of the explosion and as always is prioritising accuracy and reliability. We urge everyone to proceed with caution when reporting unverified claims of a terrorist organisation.” This initial communiqué was followed by another that blames the massacre entirely on an Islamic Jihad rocket. Based on “intelligence information, the blast at the Gaza hospital was caused by rockets misfired by the Islamic Jihad,” claims the IDF, adding: “From the analysis of the operational systems of the IDF, an enemy rocket barrage was carried out towards Israel, which passed through the vicinity of the hospital when it was hit.”

Reactions. The massacre at Al-Ahli Arabi hospital came just hours before US President Joe Biden arrived in Israel. He is scheduled to travel to Amman within hours for talks with Jordan’s King Abdullah, Egyptian President Abdel Fatah al-Sisi and Palestinian Authority President Mahmoud Abbas. The latter reportedly cancelled his meeting with Biden after the news of the Gaza hospital attack and called for three days of national mourning. The focus of the visits was an agreement with Benjamin Netanyahu’s government on the delivery of humanitarian aid and safe areas for Gaza’s more than 2 million residents, who are under enemy fire and in urgent need of water, food and medical assistance. Protests erupted in Amman in front of the Israeli embassy and in Ramallah against Palestinian President Abu Mazen. The hospital massacre drew strong international reactions, with the Turkish Foreign Ministry calling it a “barbaric attack.” Iran also condemned the attack as a “heinous war crime.” The Qatari Foreign Ministry said: “The expansion of the Israeli attacks on Gaza to include hospitals, schools and other populated settlements is a dangerous escalation.” For Canadian Prime Minister Justin Trudeau, “the news coming out of Gaza is appalling and absolutely unacceptable… international law must be respected in this and all cases. There are rules about war and it is not acceptable to hit a hospital.” Egypt and Jordan condemned the attack “in the strongest terms.” Russia and the United Arab Emirates called for an emergency meeting of the UN Security Council on the morning of October 18. The President of the European Council, Charles Michel, said the attack was “not in line with international law.” On the same subject, the President of the European Commission, Ursula von der Leyen, declined to comment pending “confirmation.”

The Churches’ reactions. From London, the Archbishop of Canterbury, Justin Welby, has condemned the “appalling loss of innocent lives”, referring to the massacre that took place in Gaza last night at the al-Ahli Arab Hospital. In a statement on X sent to SIR by Lambeth Palace, the Archbishop writes: “The Ahli Hospital is run by the Anglican Church. I mourn with our brothers and sisters – please pray for them. I renew my appeal for civilians to be protected in this devastating war. May the Lord have mercy.” Local and British media have reported hundreds of deaths and casualties. This morning at Lambeth Palace – the heart of the Anglican Communion – the Imam of Leicester, Sheikh Ibrahim Mogra, and the Rabbi of the New North London Synagogue, Jonathan Wittenberg, joined the Archbishop of Canterbury in a prayer for peace. “We cannot allow the seeds of hatred and prejudice to be sown again in our communities,” said Welby. The World Council of Churches (WCC) expressed “outrage and shock” at news of the attack on the Al-Ahli hospital in Gaza. “Thousands of Palestinians who had lost their homes already were taking refuge at the hospital, run by the Anglican Church,” said WCC general secretary Rev. Jerry Pillay. “The attack amounts to collective punishment, which is a war crime under International Law.” In a statement submitted to SIR, Pillay added that “the international community must hold Israel accountable for the crimes committed against civilians.” “The attack -continues the general secretary – stands also contrary to everything our monotheistic values demand from us; namely to stand up for justice, make peace, and protect the human dignity of all those created by God and in His image.  The attack makes no sense, since it was directed against a hospital, church property, patients, and families who were seeking refuge from relentless bombardment by Israel.” Pillay points out that the attack came on the same day when church leaders in Jerusalem organized a day of prayer for peace.  “As president of the United States Joe Biden is scheduled to visit Israel, we call upon him to condemn this heinous attack against the hospital, and to ask the Government of Israel to stop the violent bombardment of Gaza and to open a humanitarian corridor”, Pillay said. “At this moment of pain, we pray that those killed at the Al-Ahli Hospital, and all those who lost their lives in this conflict, may rest in peace” – he concluded.  “We send our condolences to the bereaved families, and best wishes for a speedy recovery to those who were injured.”

The Christians of Gaza. News of the massacre at the Anglican hospital caused “consternation” among Gaza’s small Christian community, mostly refugees in the Holy Family Catholic parish. Sister Nabila Saleh voiced the feelings of local Christians to SIR: “At this moment I cannot help but think of the suffering of the people affected. Billions are spent on missiles and weapons, while people in the world are dying of hunger and thirst. The so-called democratic countries are talking about human rights, but these rights only exist on paper. Our land drips with blood. We have nowhere to go for peace. We have no one, only You. In You we place our hope and our justice.”

Sinodo: card. López Romero, “divergenze, ma mai scontri”

Mar, 17/10/2023 - 17:01

“Ci sono divergenze, ma non c’è mai uno scontro l’uno contro l’altro”. Lo ha detto il card. Cristóbal López Romero, arcivescovo di Rabat (Marocco), rispondendo alle domande dei giornalisti nel briefing odierno sul Sinodo sulla sinodalità, in corso in Aula Paolo VI fino al 29 ottobre. “Grazie al metodo della conversazione nello Spirito – ha testimoniato il vescovo – non ci sono scontri l’uno contro l’altro, così frequenti in un Parlamento.

Ci sono divergenze, ma è molto di più ciò che ci unisce rispetto a quello che ci separa. L’organizzazione stessa del Sinodo ci ha chiesto di porre in evidenza le divergenze, e non di occultarle”.

“Molti hanno un’immagine della Chiesa molto autoreferenziale”, ha spiegato Lopez: “Io penso il contrario, la Chiesa non vive per se stessa ma per Cristo e il suo Regno, che è la missione della Chiesa. Il Sinodo ci aiuta ad aprire gli occhi e a scoprire che l’ascolto dell’esperienza dell’altro può aiutarci a modificare la nostra e viceversa”.  “Le convergenze e le divergenze sono parte del processo sinodale, anzi sono la base per creare qualcosa di nuovo”, ha confermato p. Agbonkhianmeghe Emmanuel Orobator, teologo africano: “Nessuna voce sovrasta l’altra”. “Sono un fanatico della sinodalità, la mia impressione del Sinodo è fondamentalmente positiva”, ha reso noto Lopez, ricordando che “quello che stiamo vivendo a Roma non è il Sinodo, è la prima Assemblea generale del Sinodo, convocato da Papa Francesco nell’ottobre del 2021. Da allora, si sono svolte centinaia di riunioni ed esperienze in tutte le parti del mondo: se anche domani dovessimo interrompere, sarebbe la tappa di un Sinodo che durerà almeno tre anni. E’ un evento ampio con un obiettivo chiaro: vuole lasciare alla Chiesa un modus operandi concreto, quello della sinodalità. E’ questo, infatti, il tema del Sinodo, non qualche altra cosa: come fare in modo che la Chiesa funzioni sinodalmente, come estendere a tutta la comunità ecclesiale questa modalità. Non ci aspettiamo risoluzioni o soluzioni in questa tappa: bisognerà lavorare nelle parrocchie e nelle diocesi per poi tornare  a riunirci tra un anno per affrontare i vari temi e arrivare ad una conclusione. Ora è il tempo della condivisione delle esperienze e delle sensibilità”.

“E’ il mio primo Sinodo, ma non la mia prima esperienza di sinodalità”, ha rivelato mons. Antony Randazzo, vescovo di Broken Bay, della Federazione dei vescovi cattolici dell’Oceania: “In Australia abbiamo avviato un processo di consultazione, comunicazione e discernimento in piccoli gruppi. L’Oceania è un continente circondato dall’acqua, e più che come camminare dobbiamo chiederci come navigare: in territori lontani mille miglia l’uno dall’altro, la comunicazione è una sfida, anche in un mondo digitale”. “Sedersi intorno ad un tavolo e confrontarsi con persone di tutto il mondo è la ricchezza di questo Sinodo”, la risonanza del vescovo, che si è soffermato sulla diversità dello stile di vita europeo, “dove alzarsi per prendersi un caffè insieme è normale”, rispetto a quello dei “fratelli e sorelle delle altri parti del mondo”: “è una profonda questione che riguarda il modo in cui parliamo, agiamo e coinvolgiamo le persone nella Chiesa e nella società”.  “I miei genitori sono italiani e dopo la guerra sono emigrati in Australia”, ha raccontato Randazzo: “la comunità ecclesiale locale li ha accettati, ha camminato e lottato con loro, per una piena partecipazione alla Chiesa e alla società. Tutto questo è molto sinodale. Il genio di Papa Francesco ha riflettuto su questo e ha pensato di coinvolgere l’intera comunità ecclesiale, in tutte le sue componenti.  per interrogarsi su come vivere e proclamare la fede oggi. E’ veramente arricchente ascoltare persone con esperienze differenti dalla mia, per vivere la fede nella Chiesa e dare il nostro contributo nel mondo”.

“C’è troppa enfasi sulla questione del sacerdozio femminile”. Lo ha detto Renée Ryan, professoressa proveniente dall’Oceania e testimone del processo sinodale, che rispondendo alle domande dei giornalisti  ha messo l’accento sull’importanza di “non lasciarsi distrarre dalle singole questioni, ma di chiedersi cosa le donne vogliono realmente, come ad esempio un maggior sostegno alla famiglia, anche economico, per non dover essere costrette a dover scegliere tra la famiglia e il lavoro. L’ordinazione sacerdotale delle donne non è certo il loro primo problema”. “L’uguaglianza nella Chiesa è unità nella diversità”, ha ricordato la testimone del processo sinodale a proposito di uno dei temi presenti nell’assise in corso in Aula Paolo VI.

All’undicesima Congregazione generale, svoltasi stamattina, hanno partecipato 345 persone, ha reso noto Paolo Ruffini, prefetto del Dicastero per la comunicazione della Santa Sede e presidente della Commissione per l’informazione, mentre a quella di ieri pomeriggio 330. “Il Sinodo si unisce oggi alla Giornata di digiuno e di preghiera per il Medio Oriente proposta dal cardinale Pizzaballa”, ha detto Ruffini, “contrapponendo la preghiera alla forza diabolica dell’odio, del terrorismo e della guerra”. A tutti i partecipanti al Sinodo è stata data in omaggio una copia dell’esortazione apostolica “C’est la confiance” di Papa Francesco, dedicata a Santa Teresa di Lisieux e pubblicata domenica scorsa. Tra i temi trattati tra ieri e oggi, ha riferito il prefetto: come superare i modelli clericali che ostacolano la comunione; alcune possibili revisioni del Diritto canonico, ad esempio sostituendo la parola “cooperazione” con “corresponsabilità”; il possibile ripristino del diaconato femminile, per il quale, secondo alcuni “occorrerebbe prima rivedere prima la natura stessa del diaconato”; una maggiore attenzione al ruolo delle donne e al linguaggio inclusivo della liturgia,  valutando la possibilità per le donne di tenere le omelie;  il rapporto tra la leadership e il servizio; il ruolo della parrocchia non come “stazione di servizio”; la ministerialità non come “tappabuchi per la mancanza di preti”; il ruolo del vescovo e la necessità di una maggiore attenzione per i sacerdoti, che “vanno ringraziati per loro servizio”.

 

 

Papa Francesco: il 6 novembre incontra 6mila bambini per “imparare da loro”

Mar, 17/10/2023 - 14:26

Saranno 6mila i bambini, provenienti da 56 nazioni, che il 6 novembre affolleranno l’Aula Paolo VI per l’evento “I bambini incontrano il Papa”, annunciato il 1° ottobre scorso dallo stesso Papa Francesco al termine dell’Angelus, insieme a cinque bambini che si sono affacciati alla finestra con lui in rappresentanza dei cinque continenti. “Tornare ad avere sentimenti puri come i bambini”, l’invito del Papa: “Ci insegnano la limpidezza delle relazioni, l’accoglienza spontanea di chi è forestiero e il rispetto per tutto il creato”. “Sarà in incontro per manifestare il sogno di tutti, riprendendo i concetti espressi dal Santo Padre al Circo Massimo, nella veglia con i giovani dell’ 11 agosto 2018”, ha spiegato il card. José Tolentino de Mendonça, perfetto del Dicastero per la cultura e l’educazione, che promuove l’evento, in collaborazione con la famiglia francescana, la Comunità di Sant’Egidio, la Cooperativa Auxilium e la Federazione italiana gioco calcio (Figc).

“In un mondo tragicamente piagato da drammi la cui portata è devastante, i conflitti e le guerre che sembrano non avere fine richiedono da tutti noi il coraggio di sognare la pace e la  forza d’animo per conquistare l’armonia e la fraternità”,

ha proseguito il cardinale, durante la conferenza di presentazione in sala stampa vaticana: “Con il dolore e l’angoscia per quello che sta succedendo in tante parti martoriate del nostro mondo, lo spirito è quello contenuto nelle parole di Papa Francesco: ‘Vi aspetto tutti per imparare anch’io da voi”. “Il collante dell’appuntamento del 6 novembre è la fraternità, il volersi bene”, ha spiegato padre Enzo Fortunato, precisando che saranno due i momenti preparatori all’evento, nella settimana precedente: la presentazione di alcuni testi legati ai bambini e, il 5 sera, l’accoglienza di tutte le delegazioni estere nella basilica dei Santi Apostoli, dove è previsto il saluto del Ministro generale dei francescani. Molto cospicua la partecipazione italiana, con il supporto di Trenitalia, che metterà a disposizione – ha reso noto Maria Luisa Grilletta – 8 treni  dedicati, oltre a diverse carrozze su treni normali commerciali, prenotati e messi da parte per i piccoli ospiti speciali, che partiranno al mattino e rientreranno entro mezzanotte. Tutti i treni arriveranno a Roma San Pietro, e uno di essi, con 600 bambini a bordo in rappresentanza di tutti i continenti, entrerà dentro la stazione vaticana. Il 6 novembre, in mattinata, i bambini saranno accolti nella basilica di San Pietro, dove ci sarà un momento di catechesi con una preghiera tomba S. Pietro. Alle 14.30 ci si sposterà in Aula Paolo VI, dove fino all’arrivo del Papa – previsto alle 15.30 – si alterneranno diversi gruppi di bambini, tra cui alcuni provenienti dal Vietnam, dall’Australia, dal Brasile, dal Benin, e anche da Israele e dalla Palestina. “Saranno loro a dirci delle cose, con la massima libertà”, ha spiegato padre Fortunato, annunciando anche la presenza del Coro dello Zecchino d’oro e dell’Antoniano. Il Papa sarà salutato da 5 bambini, in rappresentanza dei cinque continenti, poi terrà un breve intervento a cui seguiranno le domande dei bambini e le sue risposte.  Dopo un invito alla pace e un canto, Francesco consegnerà a 10 bambini, due per ogni continente, un mappamondo. Parteciperà, con una canzone, anche Mr. Rain, “molto amato dai bambini”.  Quella della Comunità di S. Egidio, ha detto il presidente, Marco Impagliazzo, sarà una delegazione internazionale, “con bambini provenienti da ogni parte del mondo, soprattutto bambini nuovi italiani, cioè figli di immigrati giunti nel nostro Paese per lavorare e avere futuro migliore, ma anche bambini profughi fuggiti dalle guerre, arrivati con i corridoi umanitari e già inseriti nelle scuole della pace”. “Abbiamo imparato dai bambini qual è loro più grande aspirazione: vivere in pace”, la testimonianza di Impagliazzo a proposito delle scuole della pace. Sant’Egidio, in vista del 6 novembre, promuove inoltre in Aula Nervi una mostra “Facciamo pace?!”, che “illustra la voce dei bambini sulla guerra, il loro ‘no’ esplicito perché proveniente dai piccoli autori che l’hanno sperimentata. Parlano della guerra di oggi e delle guerre che abbiamo dimenticato”. “Oggi in tutte le nostre suole della pace ogni bambino sta preparando la risposta da una domanda: ‘cosa vorresti chiedere a Papa Francesco?’”, ha annunciato Impagliazzo:

Sono domande diverse, ma con una profondità che va presa sul serio. Per i bambini il Santo Padre è un padre che li ascolta, che accoglie le loro richieste di vita buona e umana, che risponde senza temere di dire loro come dovrebbero vivere e crescere. C’è grande attenzione e attesa per questo incontro: sarà un momento fortemente educativo, il Papa darà l’ esempio a tutti noi adulti di come si ascoltano i bambini e come accogliere loro richiesta mondo migliore, anche attraverso un nuovo patto tra le generazioni”.   

“Ci ha travolto l’entusiasmo da tanti parti del mondo”, ha affermato Angelo Chiolazzo, fondatore della Cooperativa Auxilium: “Come  ci ripete spesso il Papa, la civiltà di una società si percepisce da come vengono trattati i bambini e gli anziani. Il 6 novembre non sarà solo una festa, ma un momento forte per imparare che i bambini sono il futuro e la ricchezza dell’umanità”. Secondo Flavio Lotti, della Fondazione Perugia-Assisi, l’incontro a cui Bergoglio ha convocato i bambini “si inserisce nel grande percorso che Papa Francesco sta cercando di espandere: la formazione di nuove generazioni costruttori e costruttrici di pace.  Concentrare l’attenzione sui più piccoli vuol dire rispondere a tanto dolore, alle tante angosce che ci perseguitano con un gesto concreto: investire sull’ascolto e sula formazione. L’evento del 6 novembre si concluderà con un abbraccio fraterno: da oggi lo vogliamo estendere a tutti i bambini e le bambine che non avranno il privilegio di essere con noi perché magari stanno sotto le bombe o il giogo della fame”.

Bruxelles: una sera carica di tensione e dolore nel racconto di don Claudio Visconti

Mar, 17/10/2023 - 14:24

“Ieri ho vissuto una serata come mai prima nella mia vita e che non auguro a nessuno”. Don Claudio Visconti, prete bergamasco, è responsabile della comunità cattolica italiana a Bruxelles e animatore del Foyer Catholique Européen. Nelle ore del tragico assalto che ha portato alla morte di due cittadini svedesi era fuori casa. “Di solito passo le mie serate al Foyer Catholique – racconta oggi al Sir – dove si svolgono gli incontri pastorali e culturali della nostra comunità italiana di Bruxelles e di altre comunità che fanno riferimento alle istituzioni europee. Oppure, quando non ho impegni particolari, vado a cenare da qualche famiglia per i più diversi motivi: amicizia, preparare un battesimo, fare due chiacchere… Di abitudine esco in macchina, ma ieri sera, a causa delle code sempre più lunghe sulle strade di Bruxelles e dell’impossibilità di parcheggiare in alcuni luoghi della città, mi ero spostato con i mezzi pubblici”.
Don Visconti prosegue: “ho vissuto una bella serata in casa di una famiglia. Verso la fine della cena, alle 20.15, sono stato raggiunto da un messaggio di un’amica che mi chiedeva in che zona di Bruxelles fossi perché era in corso un attentato”. “Abbiamo subito letto i social: raccontavano di un attentatore che un’ora prima circa aveva ucciso due persone svedesi, probabilmente arrivate in città per la partita di qualificazione europea, Belgio contro Svezia. L’attentatore era sfuggito alla polizia, secondo le prime parziali notizie, e su una moto si aggirava, non si sa bene dove, con mitra in spalla. Pronto, magari, a sparare su chi avesse incontrato”.
A quel punto gli amici consigliano al sacerdote di uscire subito e dirigersi verso casa. “Ovviamente ho accolto l’invito. Sono sceso in strada e mi sono incamminato velocemente verso il tram che mi avrebbe riportato a casa”. Ma, “appena sceso, ho colto nell’aria una forte tensione; evidentemente la notizia era già passata sui telegiornali che a quell’ora sono in onda nel palinsesto televisivo: quasi nessuno per strada, e chi incontravo si allontanava da me, come del resto io da loro, per il sospetto dell’uno verso l’altro, tutti impugnando il cellulare, quasi come un mezzo di salvezza se qualcuno ci avesse aggredito. In realtà mi sono poi reso conto che… non sarebbe servito a nulla”.
La paura latente, l’incertezza, qualche ombra per la strada. Tutto si fa, improvvisamente, minaccioso. “Tanti pensieri in quel momento mi affollavano la mente. Bastava un minimo rumore per mettermi in allerta, nella speranza che non fosse nulla”. Così, con prudenza e circospezione, don Claudio arriva alla fermata del tram: “ma era in ritardo e mi chiedevo se sarebbe arrivato, avendo saputo che erano state fermate alcune linee della metropolitana. Mi trovavo davanti alla pensilina della fermata, assolutamente solo. A quel punto ho deciso di incamminarmi verso casa, a circa 30 minuti di strada da dove mi trovavo”. Passo veloce e un po’ di ansia “perché comunque la strada era insolitamente vuota, a causa – l’ho capito poi – dell’avviso delle autorità di ritirarsi nelle proprie abitazioni”.
“Ho percorso il tragitto con la massima attenzione, incrociando pochi sguardi che esprimevano le mie stesse emozioni. Dalle poche persone che incontravo quasi istintivamente mi allontanavo; lo stesso facevano loro, quasi fossimo tutti potenziali terroristi, l’uno contro l’altro”.Il sacerdote ora s’interroga a voce alta: “perché da subito si genera in noi questo senso di sfiducia nell’altro? Perché quegli sguardi, tra la paura e lo smarrimento? D’altro canto pensavo a Israele, alla Palestina, all’Ucraina, dove sono stato recentemente, dove insiste la guerra. E poi la Nigeria, il Sudan… Come vivono quelle popolazioni nel terrore quotidiano, con il rischio di essere colpiti, di vedere uccisi i propri cari? Come può essere l’esistenza quotidiana nel dubitare del proprio oggi e del proprio domani?”.
Don Visconti conclude: “tutti abbiamo sentito parlare delle guerre; anche solo per televisione avviamo visto i disastri che creano, le sofferenze, gli esili. Tuttavia sembra, come mi diceva un caro amico, che gli uomini sono sempre uguali, incapaci di imparare dal loro passato e perciò incapaci di progettarsi un futuro di pace, insieme. Ma sarà proprio così? La tanto richiamata guerra mondiale a pezzi di Papa Francesco ci insegnerà qualcosa?”.

Giovani e droga a Roma: quei “vuoti di senso” che le organizzazioni criminali occupano con le sostanze

Mar, 17/10/2023 - 12:05

Roma capitale del narcotraffico con zone di spaccio spudorato, il consumo di stupefacenti in costante aumento e l’Mdma-ecstasy la “droga epidemica tra giovanissimi”. Sembrerebbero titoli sensazionalistici, ma è la cruda realtà emersa dal convegno “Giovani e droga a Roma” organizzato dalla diocesi, nell’aula magna del Dipartimento di Scienze della Formazione dell’Università Roma Tre. Spaccato di una piaga sociale che fa affiorare il vuoto di senso che vivono i giovani, i quali credono di trovare in uno spinello la carica necessaria per affrontare la giornata di scuola, o in una pasticca la spinta utile per sentirsi leader del gruppo in discoteca.
Giovani con i quali ilprofessor Fabio Cannatà, dirigente scolastico dell’istituto superiore Ambrosoli di Centocelle, si relaziona tutti i giorni. Ha lavorato a Tor Bella Monaca, a San Basilio, quartieri noti per lo spaccio. Eppure dice che ciò che tutte le mattine lo stupisce a Centocelle “è vedere spudoratamente girare le sostanze già alle 7.15 del mattino” quando esce dalla metropolitana. Per il preside bisogna colmare quei “vuoti di senso” che i ragazzi avvertono e che le organizzazioni criminali sono pronte a riempire con le loro sostanze. Vorrebbe che “i giovani avessero un altro luogo dove poter trascorrere le ore pomeridiane – ha affermato -. Un luogo che dialoghi con la scuola e che a casa i genitori si sentano supportati”. Se avesse più personale ausiliario a disposizione vorrebbe anche una “scuola aperta fino al tardo pomeriggio” per offrire un’alternativa alla piazza perché “nessuno può farcela da solo”.
Della mancanza di luoghi di aggregazione ha parlato anche don Antonio Coluccia, vice parroco di San Filippo Apostolo, da anni impegnato nella lotta contro la criminalità organizzata.

“A Roma – ha affermato – il narcotraffico è qualcosa di spaventoso. Per questo sono tante le piazze di spaccio, specie dove ci sono sacche di povertà abbandonate dallo Stato. Persone che non hanno nulla e che sono completamente assoggettate alle organizzazioni criminali. Mancano le alternative, manca una cultura della bellezza”.

Passiamo ai dati forniti da Antonio Bolognese, dell’Ordine dei Medici e degli Odontoiatri di Roma e Provincia, responsabile scientifico del gruppo multidisciplinare di lavoro per la prevenzione, valutazione e divulgazione delle conseguenze prodotte dalla dipendenza di sostanze psicotrope. Il trend di consumo di sostanze che provocano dipendenze tra i giovani è “drammaticamente aumentato”, ha affermato analizzando i dati della relazione annuale presentata a giugno al Parlamento dal dipartimento delle politiche antidroga.
Tra il 2021 e il 2022, l’uso di cannabis nella fascia d’età tra i 15 e i 19 anni è aumentata dal 18,7 al 27,9%. Gli esperti stanno avviando una campagna di sensibilizzazione anche tra gli alunni delle 4° e 5° elementari. “Le organizzazioni che vogliono creare dipendenze si rivolgono a una fascia d’età sempre più giovane”, ha spiegato prima di sfatare i falsi miti sorti intorno ai cannabinoidi. Nell’incontro, moderato dalla giornalista Rai Francesca Ronchin, Bolognese ha infatti affermato che a differenza di quanto si pensi fanno parte delle droghe pesanti (rispetto agli anni ‘90 il livello del principio attivo Thc è cresciuto dal 3-5% al 20-25%), creano dipendenze e disturbi della personalità, compromettono la salute, anche quella mentale. Oltre a fumare gli spinelli i giovani fanno uso di pasticche. “A Roma l’Mdma-ecstasy è una droga epidemica tra giovanissimi”, ha rivelato Alessandro Vento, psichiatra dell’Asl Roma 2 e responsabile dell’osservatorio sulle dipendenze. Una droga, questa, che crea danni gravissimi e irreversibili sulla salute e solo se “la rete scientifica si associa con la scuola e la diocesi è possibile fare un grande lavoro di prevenzione”.

Il convegno è servito per “mettersi in ascolto di una situazione che conoscevamo per sommi capi – ha detto al termine dell’incontro il vescovo vicegerente Baldo Reina della diocesi di Roma -. La risposta della diocesi di Roma non è una risposta magica ma di attenzione a quello che accade intorno a noi”.

“Insisteremo sulla prevenzione, chiederemo ai nostri oratori e aggregazioni giovanili di fare in modo che i dati circolino perché i giovani hanno il diritto di crescere sani e di sapere cosa accade quando fumano uno spinello”.

Un primo passo è stato fatto già ieri, lunedì 16 ottobre. I promotori del convegno si sono incontrati per stabilire le attività da mettere in campo coinvolgendo “i prefetti di settore, i parroci, i formatori, le associazioni sportive – ha concluso il vescovo -. È l’inizio di un cammino che ci auspichiamo sia proficuo”. All’incontro, svoltosi nell’aula magna del Dipartimento di Scienze della Formazione dell’Università Roma Tre, hanno partecipato anche i vescovi ausiliari Benoni Ambarus, Dario Gervasi e Daniele Libanori. In quattro aule del dipartimento erano stati allestiti quattro stand informativi sulle attività operative già presenti sul territorio. Come la campagna di peer education, ossia educazione tra pari, promossa nei circoli sportivi e nelle scuole dal gruppo di lavoro scientifico dedicato alla prevenzione, alla valutazione e alla divulgazione delle conseguenze dell’uso della cannabis sulla salute mentale dei giovani. Statistiche e dati forniti ai giovani da altri giovani, loro pari appunto, con un linguaggio semplice e diretto. Anche perché i ragazzi vogliono essere più coinvolti e motivati. Lo ha detto Andrea, 19 anni, studente di un liceo musicale romano, il quale ha lamentato la mancanza di coinvolgimento a scuola: “I professori non sempre ci motivano o si preoccupano di destare il nostro interesse”.

Bruxelles ferita torna a vivere. Scuole e negozi aperti, ma resta l’allerta

Mar, 17/10/2023 - 11:18

Sgomento dinanzi alla violenza cieca. Dinamiche e fatti ancora da chiarire. Interrogativi senza vere risposte, finora. Paura, ma non resa. Bruxelles vive ore di tensione dopo l’attentato di ieri sera, in una zona residenziale, dove un uomo – poi identificato come Abdesalem Lassoued, 45enne tunisino – ha aperto il fuoco con un’arma pesante, uccidendo due persone di nazionalità svedese, giunte in Belgio per la partita di calcio tra i Belgian Red Devils e la nazionale scandinava. Mentre le forze dell’ordine, gli inquirenti e l’intelligence sono al lavoro (questa mattina Lassoued, presunto attentatore, è stato identificato e ucciso in un breve scontro a fuoco nel quartiere di Schaerbeek), la capitale e il Paese mitteleuropeo sono tornati alla vita (quasi) consueta. Le scuole rimangono aperte, mentre l’allerta sicurezza è salito a livello 4.

La città continua la vita. È stato lo stesso premier, Alexander De Croo, durante una conferenza stampa odierna a dichiarare che, “secondo l’analisi fatta dall’organismo di coordinamento e analisi” della sicurezza, “non c’è alcuna minaccia specifica per le scuole”. Bruxelles ha già visto varie volte in passato scatenarsi la violenza nelle sue strade. L’ultimo grave attentato (con 32 morti e decine di feriti) era stato nel 2016, con le bombe scoppiate all’aeroporto di Zaventem e in una fermata della metropolitana. Ma oggi la città vuole continuare a vivere. Negozi aperti, automobili e biciclette per le strade, mezzi pubblici in funzione.

“Restiamo uniti”. Nelle scorse ore si sono registrate prese di posizione delle autorità belghe e di quelle europee. La presidente del Parlamento europeo, Roberta Metsola, si è detta ”inorridita dagli omicidi avvenuti nel cuore di Bruxelles”. Per poi sottolineare, in un messaggio diffuso in rete: “il terrore e l’estremismo non possono infiltrarsi nelle nostre società. Le persone devono sentirsi al sicuro. L’odio non vincerà”. Il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, già premier belga, che oggi guiderà il summit straordinario on line dei 27 leader europei sui fatti della Terra Santa, ha affermato: “il cuore dell’Europa è colpito dalla violenza. Il mio pensiero va alle famiglie delle vittime dell’attentato mortale nel centro di Bruxelles. Il mio sostegno alle autorità belghe e ai servizi di sicurezza che monitorano la situazione”. Ursula von der Leyen, presidente della Commissione Ue, dal canto suo ha sottolineato: “il mio pensiero va alle famiglie delle due vittime dello spregevole attentato di Bruxelles”. “Insieme restiamo uniti contro il terrorismo”.

Persona sospetta. Intanto emergono nuovi aspetti sulla figura del sospetto attentatore. Nel 2019 aveva avanzato domanda di asilo in Belgio, ma gli era stata rifiutata. Il ministro della Giustizia, Vincent Van Quickenborne, ha sottolineato che Lassoued sarebbe stato “noto per atti sospetti: tratta di esseri umani, soggiorno illegale e pericolo per la sicurezza dello Stato”. Eppure, evidentemente, non era stato assicurato alla giustizia. La ministra degli Interni del Belgio, Annelies Verlinden, ha invece sostenuto che non si esclude che l’attentatore abbia agito con dei complici.

Il Consiglio islamico. Tra le prese di posizione più significative, si registra oggi quella del Consiglio islamico del Belgio, organismo rappresentativo dei musulmani, che condanna l’attentato. Il Consiglio si rivolge alle autorità, invitandole a mostrare “la massima fermezza per proteggere la nostra comunità nazionale e a far luce il più rapidamente possibile” sui fatti di cronaca e la loro origine. “Il Consiglio islamico e i ministri della religione musulmana raddoppieranno i loro sforzi, da parte loro, per contrastare questa ideologia mortale e il suo impatto devastante”.

Caritas/Migrantes: 5 milioni i cittadini stranieri in Italia. In calo i nuovi nati (-28,7% in quasi 10 anni)

Mar, 17/10/2023 - 10:00

Sono 5.050.257 i cittadini stranieri residenti in Italia al 1° gennaio 2023. Una cifra in lieve aumento rispetto all’anno precedente (erano 5.030.716) ma tutto sommato stabile. Dopo i picchi di crescita nel primo decennio del 2000 continuano a diminuire i nuovi nati stranieri: erano 80.000 nel 2012, sono diventati meno di 57.000 nel 2021, con un calo del 28,7%. Le donne straniere si stanno dunque adeguando agli stili di vita italiani, per cui invecchiamento e calo del numero di figli saranno le dinamiche del futuro che caratterizzeranno l’Italia. Nel mondo sono invece 281 milioni i migranti (dati 2021), ossia il 3,6% della popolazione mondiale, in aumento rispetto al 2019 (erano 272 milioni). I due terzi si sono spostati per motivi di lavoro. Aumenta anche il numero globale di sfollati interni, anche a causa della guerra in Ucraina, raggiungendo la cifra record di 28,3 milioni, di cui il 60% sono ucraini. Sono alcuni dei dati contenuti nel XXXII Rapporto Immigrazione 2023 curato da Caritas italiana e Fondazione Migrantes. Il volume è stato presentato oggi a Roma.

Nell’Unione europea, su una popolazione di 447 milioni, nel 2021 sono stati rilasciati 2,95 milioni di primi permessi di soggiorno (rispetto ai 2,3 milioni del 2020) e sono 37,5 milioni le persone nate fuori dall’Ue (8,4%). Con la guerra in Ucraina è salito a 108,4 milioni il numero complessivo di profughi e sfollati (di cui il 40% minori). A fine maggio 2023 erano 8,3 milioni gli ucraini fuggiti in Europa: di questi, poco più di 5 milioni hanno ricevuto la protezione temporanea. Quasi un terzo ha ottenuto protezione in Polonia (1,6 milioni, pari al 31% del totale). In Italia, i profughi ucraini sono 175 mila.

In Italia gli immigrati vivono soprattutto al Nord (59,1% dei residenti totali): nelle regioni occidentali risiede il 34,3% e in quelle orientali il 24,8%; seguono Centro (24,5%), Sud (11,7%) e Isole (4,6%). La Lombardia si conferma la regione più attrattiva: da sola conta il 23,1% della popolazione straniera residente in Italia; seguono Lazio (12,2%), Emilia-Romagna (10,9%), Veneto (9,8%) e Piemonte (8,2%).

Sul podio delle nazionalità sono sempre i cittadini rumeni, che rappresentano 1 straniero su 5 fra i residenti in Italia. A seguire marocchini e albanesi (8,4% e 8,3% del totale). Calano tunisini, senegalesi, nigeriani, cinesi e filippini mentre bangladesi e pakistani, arrivati più di recente, stanno consolidando il loro percorso migratorio in Italia. Anche il maggior numero di nuovi nati è rumeno (19,4%), poi marocchini (13,3%) e albanesi (11,8%).

Calano le acquisizioni di cittadinanza. Le acquisizioni di cittadinanza, pur avendo raggiunto la soglia del milione negli ultimi 6 anni, sono in progressiva diminuzione: fra il 2020 e il 2021 sono scese del 7,5%. Un’acquisizione su cinque è appannaggio dell’Albania, seguita dal Marocco. Significativa è la terza posizione occupata dal Bangladesh (il 4,7% delle acquisizioni totali), mentre in quarta e quinta troviamo India e Pakistan.

Lavoro: in un mercato occupazionale in ripresa i lavoratori stranieri non-Ue registrano un tasso di occupazione leggermente inferiore alla media (59,2% contro il 60,1%) mentre il tasso di disoccupazione si allinea, nella flessione, alla media complessiva. L’aumento occupazionale più marcato si è avuto nel settore Turismo e ristorazione (+16,8% e +35,7% per i lavoratori non Ue) e nelle Costruzioni (+8,4%, che sale al +13,8% per i lavoratori non-Ue);

la maggiore incidenza di lavoratori stranieri nel 2022 si registra nel settore dell’Agricoltura (39,2% del totale), seguita dalle Costruzioni (30,1%) e dall’Industria (22,1%).

L’87% degli occupati stranieri è un lavoratore dipendente, il 12,9% ha un contratto di lavoro autonomo. Le nazionalità che hanno conosciuto un aumento occupazionale più sostenuto fra il 2021 e il 2022 sono state l’albanese, la marocchina e la cinese (fra il +17,7% e il +7,1%). Il 75,2% degli occupati non-Ue svolge la professione di operaio (contro il 31,6% degli italiani); mentre solo 1 su 10 è un impiegato e appena lo 0,1% è dirigente. Quanto al livello d’istruzione, la forza lavoro straniera risulta mediamente meno istruita rispetto all’autoctona, prevalendo quelli con un livello “secondario inferiore”; mentre i laureati sono appena il 10,6% del relativo totale (è il 25,8% per gli italiani). Nell’anno 2022 il numero di imprese individuali che hanno come titolare un cittadino non comunitario sono diminuite di 3 mila unità (0,8%) rispetto al 2021: sono complessivamente 390.511, pari al 12,8% del totale.

1 milione e 600 mila stranieri residenti in povertà assoluta. In Italia, secondo l’Istat, vivono in uno stato di povertà assoluta 1 milione e 600 mila stranieri residenti, per un totale di oltre 614 mila nuclei familiari. Le famiglie immigrate in povertà costituiscono circa un terzo delle famiglie povere in Italia, pur rappresentando solo il 9% di quelle residenti. La percentuale di chi non ha accesso a un livello di vita dignitoso risulta essere tra gli stranieri cinque volte superiore di quella registrata tra i nuclei di italiani.

L’incidenza della povertà tra le famiglie di stranieri con minorenni è drammatica: il 36,2%, più di 4 volte la media delle famiglie italiane con minori (8,3%).

Nel 2022 le persone straniere incontrate nei soli Centri di ascolto e servizi informatizzati Caritas sono state 145.292, su un totale di 255.957 individui), conferma per il 2022 una prevalenza delle difficoltà di ordine materiale.

Scuola: stabili gli alunni stranieri, in aumento nelle università. Il totale degli alunni con cittadinanza non italiana nell’anno scolastico 2021/2022, è di 872.360. Si tratta di poco meno di 7 mila alunni in più rispetto all’anno precedente (+0,8%). Sono soprattutto in Lombardia (222.364), Emilia-Romagna (106.280) e Veneto (96.856). La maggior parte è originaria dell’Europa: 384.333, il 44,1% del totale. Nelle università la percentuale degli studenti con cittadinanza straniera iscritti all’anno accademico 2021/2022 è del 6%. In 10 anni il numero di studenti internazionali è aumentato del +65,5%, mentre quello degli universitari di cittadinanza straniera, ma con diploma conseguito in Italia del +67,5%.

Criminalità e discriminazioni. Nel 2022 la componente straniera è rimasta in linea con il 2021, con 17.683 detenuti stranieri su 56.196, pari al 31,4% della popolazione carceraria complessiva. Di questi 16.961 sono uomini e 722 donne. Il 53% dei detenuti sono africani. In particolare, i nordafricani ingrossano le fila dell’area geografica: Marocco (3.577) e Tunisia (1.797) rappresentano da soli il 56% della componente africana. Spiccano i reati contro il patrimonio (8.951 detenuti) e quelli contro la persona (7.609). A seguire, i reati in materia di stupefacenti (5.811) e quelli contro la pubblica amministrazione (3.466).Rispetto all’anno precedente, si è invece assistito ad un consistente

aumento degli ingressi di minori in carcere, sia italiani sia stranieri: 1.016 ingressi nel 2022, di cui 496 italiani e 520 stranieri.

Un fenomeno, almeno in parte, connesso alle gang giovanili. Totalmente assente dal dibattito pubblico la condizione dello straniero come persona offesa da un reato, anche se denunciano decine di migliaia di furti, danneggiamenti, truffe e frodi informatiche, lesioni dolose, minacce, violenza sessuale e discriminazioni di vario genere.

Appartenenza religiosa. Al 1° gennaio 2023 i cristiani confermano la propria posizione di maggioranza assoluta, sono il 53,5% (erano il 53 nel 2022). La componente ortodossa da sola rappresenta il 29,9% del fenomeno migratorio in Italia (era il nel 28,9% ad inizio 2022). Al contrario,

i cattolici scendono al 16,8% ad inizio 2023, contro il 17,2% del 1° gennaio 2022.

Tra le altre confessioni religiose, aumentano i musulmani (il 29,8% al 1° gennaio 2023, a fronte del 29,5% nel 2022). Conteggiando anche i minorenni al 1° gennaio 2023 si contano poco più di un milione e mezzo di ortodossi stranieri in Italia e poco meno della medesima cifra di musulmani, seguiti da circa 844 mila cattolici. Vi sono poi 156 mila buddisti, 136 mila evangelici, 126 mila cristiani “altri” (non ortodossi né cattolici né evangelici né copti), 104 mila induisti, 85 mila sikh, 81 mila copti e 20 mila fedeli di altre religioni, oltre a 478 mila atei o agnostici.

“Pace, pace, pace!”: dal Sermig il grido di Olivero per un mondo nuovo

Mar, 17/10/2023 - 09:55

“Pace, pace, pace!”. La voce di Ernesto Olivero arriva dal Sermig come sempre: pacata, quasi timida, eppure forte, fortissima. E decisa. “Quanto sta accadendo tra Israele e Hamas è qualcosa di indicibile. Non riesco a darmi pace. È tutto orribile e inumano. Eppure accade. Il mondo deve davvero guardarsi allo specchio e ritrovare la sua umanità. Nessuno deve essere nemico”.
Poi c’è la preghiera e la sua potenza. La Cei ha proclamato il 17 ottobre come Giornata nazionale di digiuno, preghiera e astinenza per la pace e la riconciliazione.
“La preghiera è determinante. Ed è bellissima l’intenzione adottata per le Messe di domenica 15 ottobre nel passaggio in cui si dice ‘Padre misericordioso e forte: tu non sei un Dio di disordine, ma di pace’.Non disordine, non odio, non guerra, ma pace a partire da ognuno di noi”.

Olivero, lei parla da un luogo che era una fabbrica di armi e che dal 1983 è fabbrica di pace. Voi qui ogni giorno fabbricate per davvero la pace. Eppure, il mondo continua ad essere in guerra.
È una contraddizione solo in apparenza. Proprio perché il mondo continua ad essere in guerra, noi vogliamo continuare a difendere le ragioni della pace. Non significa essere dei sognatori, delle persone di belle speranze, ma fare di tutto perché si aprano dei canali di dialogo e di incontro per costruire una nuova mentalità.

È un’utopia?
No, è qualcosa che si può fare, ma non a parole. Serve mettersi in gioco con le proprie scelte di vita, con i propri ideali, con la propria passione ostinata. All’Arsenale cerchiamo di fare così. Tutto è nato dall’incontro con Giorgio La Pira e la profezia di Isaia. L’annuncio di un tempo in cui le armi non sarebbero state più costruite ci cambiò la vita. Ci siamo detti: perché no? Qualcosa è avvenuto. Non siamo gli unici a desiderare un mondo così, molti ci credono e si impegnano in prima persona. Forse fanno meno rumore di chi investe sulla guerra, ma sono profezia di una pace possibile.

Torniamo a quanto sta accadendo tra Israele e Hamas.
La situazione è complicatissima e non ci sono soluzioni facili e immediate. Dico solo che ha ragione Papa Francesco: in quella terra, che ricordiamoci è la Terra Santa, non c’è bisogno di guerra ma di pace, di una pace costruita sulla giustizia, sul dialogo e sul coraggio di dirsi e sentirsi fratelli.

Ma come fare quando i fratelli si sentono nemici?
Credo che la chiave di tutto sia riconoscere nell’altro il proprio volto, pronti a dire no in modo molto chiaro al terrorismo e alla violenza, ma anche ad ogni violazione dei diritti umani. Nella nostra esperienza abbiamo capito che l’amicizia e la condivisione della sofferenza possono essere un terreno di incontro. All’Arsenale della Pace arrivano continuamente persone che hanno provato sulla loro pelle la tragicità della guerra e della violenza. Sperimentiamo ogni giorno quanto il male faccia male. Ognuno è accolto, rispettato, ma a tutti è chiesto di rispettarsi a vicenda, di rispettare ognuno il dolore dell’altro, di mettere al centro la vita umana e la sua sacralità. Quando questo avviene, anche un nemico si disarma.

È difficile applicare tutto questo in situazioni in cui a parlare prima di tutto sono le armi.
Certo che è difficile, ma occorre provarci, dobbiamo ostinatamente cercare la pace. Da sempre sappiamo che il cammino della riconciliazione è complesso, ma va sostenuto e incoraggiato, richiede tempo e dedizione. Credo che il ruolo delle organizzazioni internazionali diventi ancora più importante: è necessario raggiungere la pace garantendo il dialogo, i diritti di tutti, senza prevaricazioni, senza violenze. Con un sogno a cui tendere: un mondo in cui le armi non saranno più costruite.

Prima Russia e Ucraina, adesso Israele e Hamas, in mezzo altre tragedie. La pace sembra allontanarsi.
Per questo dobbiamo costruirla con più forza di prima. La pace deve essere una scelta del cuore e dell’intelligenza, non è scontata, richiede impegno. Perché la pace non è una parola da gridare nelle piazze, ma un fatto che deriva dalle opere di giustizia. Un mondo di pace è un mondo che accoglie ogni uomo e donna di qualsiasi origine e religione perché tutti hanno diritto a cibo, casa, lavoro, cure, dignità, istruzione. È un mondo in cui giovani e adulti sono pronti a fare della propria onestà la chiave per costruire il bene comune. È il comprendere che il bene che posso fare io non lo può fare nessun altro, perché è la parte di bene che tocca a me, è la mia responsabilità.

Insomma, la pace è per tutti ed è di tutti, ma tutti devono contribuirvi.
Esattamente questo, la pace non si delega e nasce dalla bontà che disarma. Al di là delle differenze ogni uomo e donna può fare un po’ di bene. Un mondo nuovo sarà di chi amerà di più. Vale per tutti: cristiani, ebrei, musulmani, per i credenti di ogni religione e anche per chi non crede.

Dal Sermig che messaggio può arrivare nei luoghi in cui si combatte?
Vorrei che tutti potessimo ascoltare il grido di una anziana donna palestinese tra le macerie della sua casa distrutta dalle bombe. Piangendo davanti alla telecamera di un giornalista ha gridato: basta morte, basta distruzione. Che questa guerra finisca. Pace per noi e anche per Israele. Faccio mie le parole credibili di questa donna che ha avuto il coraggio di dire che il dolore provocato dalla guerra è dolore per tutti, amici e nemici e fa male a tutti. Vorremmo poter alleviare il dolore di tutti, da una parte e dall’altra e ci sentiamo impotenti. Cerchiamo, fin da ora, di metterci a fianco della gente che soffre da una parte e dall’altra della linea di divisione, ripartendo dal silenzio, dalla preghiera, dal digiuno, ed essere così strumenti di umanità buona e accogliente. Anche nella tragedia, nel dolore più atroce, è possibile coltivare una speranza. Con una consapevolezza: può essere flebile, debolissima, appena accennata, ma solo la luce annulla il buio. Ognuno di noi può esserlo, facendosi promotore e strumento di pace.

Giornata di digiuno e preghiera per la pace: il canto incessante dei cristiani di Gaza

Mar, 17/10/2023 - 09:53

Oggi è il giorno della preghiera, del digiuno e dell’astinenza per la pace in Terra Santa voluto dal patriarca latino di Gerusalemme, card. Pierbattista Pizzaballa, annunciato lo scorso 11 ottobre in una nota, a nome dell’assemblea degli Ordinari cattolici di Terra Santa, in cui si leggeva: “Ancora una volta ci ritroviamo nel mezzo di una crisi politica e militare. Tutto sembra parlare di morte. Ma in questo momento di dolore e di sgomento, non vogliamo restare inermi. Sentiamo il bisogno di pregare, di rivolgere il nostro cuore a Dio Padre”. Da qui l’invito a tutti i fedeli della diocesi patriarcale, che si estende in Israele, Palestina, Giordania e Cipro ad aderire, oggi martedì 17 ottobre, alla Giornata. Un’esortazione raccolta subito dalla Presidenza Cei che ha rivolto analogo appello alle sue diocesi che oggi saranno in comunione con quelle del Patriarcato latino “per consegnare a Dio Padre la nostra sete di pace, di giustizia e di riconciliazione”.

Gaza, fedeli in preghiera (Foto parrocchia latina)

Da Gaza preghiera incessante… Chi da giorni è impegnata in un’incessante preghiera per la pace è la piccola comunità cristiana della Striscia di Gaza, poco più di 1000 cristiani (dei quali un centinaio cattolici, ndr.) su 2,3 milioni di abitanti. Hanno deciso di restare e di non andare via, verso il Sud della Striscia, come intimato dall’Esercito di Israele, che starebbe preparando l’offensiva di terra. Sono tutti riuniti nella parrocchia latina della Sacra Famiglia, nel quartiere di al-Zaytoun, dove sono ospitati almeno 500 sfollati, e in quella greco-ortodossa di San Porfirio. “La notte appena trascorsa è stata piuttosto tranquilla – dichiara al Sir il parroco di Gaza, padre Gabriel Romanelli -. Ho sentito poco fa padre Yusuf che mi ha detto che nella parrocchia stanno tutti bene. I nostri fedeli parteciperanno anche da Gaza a questa Giornata offrendo la loro sofferenza causata dalla guerra e quel poco che hanno a disposizione”. Da Betlemme, dove è bloccato a causa della guerra e ansioso di riabbracciare i suoi fedeli, padre Romanelli ha inviato un suo messaggio per questa Giornata di preghiera dove ricorda che

“il digiuno, l’astinenza e la preghiera sono molto importanti perché ci donano la possibilità di elevare uniti la nostra implorazione di pace e il nostro grido contro la guerra”.

Il parroco chiede inoltre “l’apertura dei corridoi umanitari necessari per il bene delle migliaia di civili, lo stop ai bombardamenti su Gaza, la libertà per i prigionieri e le cure per le migliaia di feriti. Chiediamo con coraggio pace su Gaza, su tutta la Palestina e su Israele, che si apra uno spiraglio di speranza per tutti i nostri popoli”. “La notte è trascorsa piuttosto tranquilla. Ieri era stato diramato un avviso che avvertiva di bombardamenti israeliani qui nella zona – conferma al Sir suor Maria del Pilar -. Qui in parrocchia abbiamo sentito il frastuono delle bombe ma grazie a Dio non abbiamo avuto problemi. Tutti stanno bene e abbiamo cominciato questa giornata pregando per la pace come ci esorta il nostro patriarca, il card. Pizzaballa”.

Gaza, fedeli in preghiera (foto parrocchia latina)

“I fedeli – dice al Sir suor Nabila Saleh, della Congregazione delle suore del Rosario di Gerusalemme – ogni giorno si presentano in chiesa per partecipare alla Messa, recitare il Rosario, adorare il Santissimo, tutti con un’unica intenzione: la fine della violenza, la fine dei bombardamenti, la pace. Un canto continuo di pace”. Ancora ieri sera, erano le 21 circa locali, le 20 in Italia, mentre era in atto un bombardamento nella zona intorno alla parrocchia la religiosa diceva: “Stanno bombardando e stiamo andando in chiesa a pregare. Solo lì ci sentiamo al sicuro, vicino a Gesù”. Parole ripetute spesso in questi giorni di guerra.

(Foto AFP/SIR)

Ed echi di guerra… Intorno alla parrocchia la guerra continua ad infuriare: Israele ha sferrato 200 attacchi nelle ultime 24 ore contro obiettivi terroristici appartenenti ad Hamas e alla Jihad islamica. Le incursioni, ha riferito l’esercito, sono partite anche da navi della Marina, che hanno colpito 250 centri di comando e depositi di munizioni di Hamas. Almeno 70 i morti, decine i feriti. L’esercito ha poi annunciato che è stato ucciso Osama Mazini, capo del Consiglio della Shura (direzione politico religiosa del movimento) di Hamas, responsabile dei prigionieri dell’organizzazione e che ha diretto attività terroristiche contro i civili israeliani. Dopo 11 ore di pausa, sono ripresi anche i lanci di razzi da Gaza verso le comunità nel sud di Israele al ridosso della Striscia. Nel frattempo si muove anche la diplomazia: il presidente Usa Biden sarà domani in Israele da Netanyahu. Allo studio un piano d’aiuti umanitari per Gaza, secondo il Segretario di Stato, Blinken. Biden andrà anche in Giordania, dove incontrerà Abu Mazen. Colloqui tra Netanyahu e Putin che è arrivato in Cina. Il presidente russo ieri ha sentito i paesi arabi e chiesto un cessate il fuoco in Medio Oriente.

Pace e coraggio di scelte nuove

Mar, 17/10/2023 - 09:52

“Chiedete pace per Gerusalemme: vivano sicuri quelli che ti amano” (Salmo 122, 6). I Salmi sempre esprimono le domande vere, profonde, drammatiche, esaltanti della nostra vita, di “questa stupenda e drammatica scena temporale e terrena”, della nostra terra “dolorosa, drammatica e magnifica” (Paolo VI, Testamento) nella quale possiamo sempre vedere il “riflesso della prima e unica Luce” (Paolo VI, Pensiero alla morte). È la richiesta angosciosa espressa dalle vittime: “Eccoli: avanzano, mi circondano, puntano gli occhi per gettarmi a terra, simili a un leone che brama la preda, un leoncello che si apposta in agguato” (Salmo 17, 11-12).

Sono le parole dei nostri fratelli ebrei, sorelle, figli, padri, madri – perché sono nostri fratelli, tutti! –, uccisi da una mano assassina che ha colpito il loro corpo, vigliaccamente, follia omicida, disumana, tradimento di ogni legittima aspirazione, bestemmia della fede. Chiediamo assieme pace per Gerusalemme, uniti dalla fame e dalla sete di pace e giustizia, che Gesù ci indica come via di beatitudine.

Pace! È quello che chiediamo e che diventa impegno e responsabilità, perché non si chiede pace se nel cuore vi sono sentimenti di odio, di violenza, e non si chiede quello che non vogliamo vivere a partire da noi. Tanti “artigiani di pace” aiuteranno gli attuali, troppo pochi, “architetti” di pace, cioè chi costruisce ponti e non muri, alleanze e non conflitti. Cerchiamo pace, perché non c’è futuro con la violenza e con la spada.

Ci accordiamo con i cristiani della Terra Santa, ma nel profondo con tutti i credenti che lì abitano e devono poter abitare assieme. Alziamo le nostre mani e scegliamo di digiunare perché, come ricorda Gesù, certi spiriti si combattono solo con la preghiera e il digiuno.

Con il digiuno e la preghiera prendiamo più coscienza della situazione in cui vivono tanti nostri fratelli. Privandoci di qualcosa mostriamo concretamente che il prossimo in difficoltà è al centro delle nostre preoccupazioni. Se il male appare così pervasivo, distruttivo, terribile, da riempire di sgomento e da togliere il respiro pensando alla fragilità di chi è ostaggio, di chi oggi è in pericolo, non ci lasciamo intimidire e imploriamo con l’insistenza della povera vedova, debolissima, forte solo del suo desiderio di giustizia, la pace per Gerusalemme, per tutta la Terra Santa. La preghiera è sempre una vera ribellione al male e ci aiuta a ritrovare l’umanità. Facciamo nostro il pianto inconsolabile di Rachele che non vuole essere consolata perché i suoi figli non sono più (Ger 31,15). E qualunque madre pianga suo figlio oggi è Rachele. Chiediamo che gli ostaggi siano liberati, che ci sia giustizia per i responsabili di quella barbarie, che si rispettino i civili e sia sempre protetta la vita di innocenti che finiscono doppiamente vittime.

Il grande saggio ebreo rabbi Nachman, nel suo commento a quel passo del Libro di Zaccaria (8,19) che propone un’astinenza capace di tramutarsi in gioia, spiega così questo sorprendente rovesciamento: “Quando non c’è pace ma discordia, allora digiuno, e in virtù del digiuno si compie la pace”.

Il digiuno ci aiuta a pregare con consapevolezza, a concentrarci sull’essenziale. Digiuniamo dalla passività, dall’abitudine alla violenza, dai pregiudizi, da qualsiasi connivenza con i semi mai sconfitti dell’antisemitismo, e scegliamo di essere artigiani di pace. Digiuniamo perché, come dice il profeta Isaia, “allora la tua luce sorgerà come l’aurora, la tua ferita si rimarginerà presto. Davanti a te camminerà la tua giustizia, la gloria del Signore ti seguirà” (Is 58,8). E la gloria di Dio sono sempre i fratelli che si ritrovano insieme.

Il testo per la preghiera che la Cei propone a tutti si apre con queste parole: “Fratelli e sorelle carissimi, con il cuore pieno di sgomento per gli orrori dell’odio, della violenza e della guerra che feriscono la Terra Santa, eleviamo la nostra supplica a Dio, Re della pace, affinché israeliani e palestinesi possano trovare la strada del dialogo”. Sentiamo quasi fisicamente il bisogno di stringerci alle sorelle e ai fratelli della Terra Santa perché il Dio della pace ispiri il coraggio di scelte nuove, che sappiano trarre dal colpevole scempio una forza nuova di pace. La preghiera è piangere con chi piange, asciugare con il Signore le lacrime di donne, uomini, anziani e bambini costretti a scappare, a vivere l’orrore dei bombardamenti e della violenza. Rendiamo preghiera le parole del Papa: “Per favore, non si versi altro sangue innocente, né in Terra Santa, né in Ucraina o in qualsiasi altro luogo! Basta! Le guerre sono sempre una sconfitta, sempre!”. La preghiera apre alla vita e, viceversa, questa nutre la preghiera. L’Infinito chiede ospitalità al finito, cioè alla persona con i suoi tratti, dentro la storia, in quei segni dei tempi nei quali il cristiano vive e che deve scorgere e dai quali lasciarsi interrogare per scegliere.

La preghiera, come ha ricordato il Papa domenica, “è la forza mite e santa da opporre alla forza diabolica dell’odio, del terrorismo e della guerra”.

Trova la pace in te e migliaia la troveranno attorno a te, diceva san Serafino di Sarov. Bisogna curare gli animi dall’odio perché questo rende ciechi e genera violenza. La preghiera aiuti a pensare l’impensato e a compiere scelte coraggiose perché un male così grande possa trasformarsi in un impegno per rispondere alle legittime aspirazioni di sicurezza e di pace.

(*) arcivescovo di Bologna e presidente della Conferenza episcopale italiana (pubblicato su Avvenire)

Consiglio dei ministri: via libera a una manovra economica intorno ai 24 miliardi

Lun, 16/10/2023 - 17:54

Il Consiglio dei ministri ha dato il via libera a una manovra economica che per il prossimo anno si aggira intorno ai 24 miliardi. A Palazzo Chigi sono stati esaminati a questo scopo il disegno di legge di bilancio, due decreti-legge, due decreti legislativi che attuano i primi moduli della delega fiscale e il Documento programmatico di bilancio, con la sintesi della manovra destinata alla Commissione europea. A parte quest’ultimo testo, si tratta di “schemi”, come si legge nell’ordine del giorno del Cdm, e quindi bisognerà attendere ancora prima di avere in mano i provvedimenti nel dettaglio, quelli che – dopo il passaggio al Quirinale – saranno sottoposti all’esame del Parlamento. Non prima del 26-27 ottobre, secondo le previsioni più accreditate.

La parte principale della manovra – che vale sostanzialmente il maggior deficit di circa 15 miliardi – è data dalla conferma per un anno del taglio al cuneo fiscale e dall’accorpamento delle prime due aliquote Irpef. Questo il quadro che risulta in rapporto agli scaglioni di reddito: fino a 28.000 euro, 23%; oltre 28.000 euro e fino a 50.000 euro, 35%; oltre 50.000 euro, 43%. La soglia della cosiddetta no tax area per i redditi da lavoro dipendente viene portata a 8.500 euro, parificandola così a quella già prevista per i pensionati. Le detrazioni saranno riviste in maniera restrittiva per i redditi più elevati: un modo per recuperare risorse e anche per compensare in parte la minore progressività del prelievo dovuta alla riduzione delle aliquote. Sopra quota 50.000 il taglio sarà di 260 euro. Alla sanità vengono destinati finanziamenti aggiuntivi per circa 3 miliardi e altri 5 sono stanziati per il rinnovo dei contratti pubblici. Con un miliardo per le spese indifferibili (come le missioni militari) si arriva a 24 miliardi, sempre che nel testo definitivo non compaiano delle novità. Questa l’ossatura della manovra che comprende anche interventi per favorire le assunzioni soprattutto di giovani e donne (ma anche di ex percettori del reddito di cittadinanza) e la rivalutazione delle pensioni minime degli over 75. Ape sociale e Opzione donna vengono sostituiti da un unico fondo per la “flessibilità in uscita”. Quota 103 sembra messa in soffitta da un innalzamento del requisito anagrafico anche se, ha spiegato il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, “non è quota 104 piena perché ci sono incentivi a rimanere a lavoro”. Quanto alle politiche di sostegno alla famiglia, ha detto in conferenza stampa il presidente del Consiglio Giorgia Meloni, “prevediamo che le madri con due figli o più non paghino i contributi a carico del lavoratore” e che a partire dal secondo figlio l’asilo nido sia gratis.

Per la copertura delle misure non finanziate in deficit, il governo conta tra l’altro su almeno 2 miliardi di tagli alle spese e sul contributo che verrà dalla global minum tax, l’imposta minima effettiva a carico delle multinazionali con un fatturato superiore a 750 milioni. Allo stesso tempo è previsto un abbattimento delle imposte pari al 50% per le imprese che avevano delocalizzato i loro impianti all’estero e che ritornano in Italia.

Sinodo. Ruffini: “La benedizione delle coppie omosessuali non è il tema”

Lun, 16/10/2023 - 17:34

“La benedizione delle coppie omosessuali non è il tema del Sinodo”. A precisarlo, rispondendo alle domande dei giornalisti nel briefing odierno in Sala stampa vaticana, è stato Paolo Ruffini,  prefetto del Dicastero per la comunicazione della Santa Sede e presidente della Commissione per l’informazione. “Siamo tutti figli di Dio, la Chiesa è chiamata ad annunciare il Vangelo a tutti, e non soltanto a qualcuno”, ha proseguito Ruffini, spiegando che al Sinodo sulla sinodalità, in corso in Aula Paolo VI fino al 29 ottobre, “ci si sta interrogando sul modo in cui la Chiesa riscopre la comunione e riesce ad essere inclusiva: la sinodalità è il tema centrale”. “In molti tavoli del Sinodo le ferite individuali e collettive sono state ascoltate”, ha testimoniato suor Patricia Murray,  segretaria esecutiva dell’Unione internazionale delle superiore generali (Uisg), interpellata a proposito delle persone Lgbtq. “Al Sinodo tutti sono inclusi”, le ha fatto eco padre Vimal Tirimanna, teologo dello Sri Lanka: “La Chiesa  si rivolge a tutte le persone che soffrono discriminazioni perché vittime, ad esempio, di ingiustizie economiche, come in Africa e in Asia, e non solo alle persone di diverso orientamento sessuale. Al Sinodo c’è lo sforzo di non escludere nessuno: la sfida è quella di creare una cultura di inclusione tramite l’esercizio concreto della sinodalità. L’inclusione è la questione che sta al di là di ogni questione”.

Di un Sinodo “molto equilibrato, in cui sono presenti tutti i dolori del mondo e della Chiesa”, ha parlato mons. Zdenek Wasserbauer, vescovo ausiliare di Praga. Stamattina, ha riferito Ruffini, si è svolta la nona Congregazione generale, a cui hanno partecipato 343 persone, alla presenza del Papa, che dopo il break ha dovuto lasciare l’Aula Paolo VI. I lavori sono cominciati con un grande applauso per l’esortazione apostolica “C’est la confiance” su Santa Teresa di Lisieux, pubblicata ieri. I due esponenti cinesi al Sinodo “partiranno domani, per esigenze pastorali che li richiamano nelle loro diocesi”, ha precisato Ruffini rispondendo alle domande dei giornalisti. Oggi è anche l’anniversario dell’elezione di Giovanni Paolo II, che verrà celebrato con una messa questo pomeriggio nella basilica di San Pietro. I partecipanti al Sinodo si sono inoltre complimentati con Anna Rowlands, che oggi pomeriggio riceverà il Premio Ragione aperta 2023, per iniziativa della Fondazione Ratzinger. Venerdì scorso, ha informato infine il prefetto, c’è stata la riunione dei membri del Consiglio ordinario del Sinodo, “per valutare i frutti a metà percorso del cammino sinodale”.

Un’esperienza di “sinodalità vissuta”.

Così padre Tirimanna ha definito il clima del Sinodo, giunto alla terza settimana di lavoro. “I tavoli rotondi dei 25 Circoli Minori – ha detto il teologo – sono il simbolo dell’ecclesiologia della Lumen Gentium e la testimonianza che il processo sinodale non è un’agenda privata del Papa. È una continuazione del Concilio Vaticano II, incentrata soprattutto su due concetti: il popolo di Dio e il battesimo, in un’ottica circolare e non piramidale”. “Come religiose, abbiamo messo in pratica la sinodalità per oltre trent’anni, mettendo Cristo al centro e ascoltando le voci di tutti. Oggi è una gioia vederla diffusa nella Chiesa universale, partendo dalla comune missione dei battezzati”. È il bilancio del Sinodo, giunto a metà cammino per il 2023 – in attesa della seconda sessione dell’anno prossimo – stilato da suor Murray. “Nel mondo complesso in cui viviamo – ha proseguito la religiosa– vogliamo ascoltare i bisogni della gente, soprattutto degli esclusi e degli emarginati, creare spazi di ascolto e di discernimento reciproco”. Si tratta di un percorso che “non dura solo questo mese”, il riferimento all’anno che intercorre tra la fase attuale e quella conclusiva del Sinodo sulla sinodalità: “La modalità della conversazione dello Spirito ci dà la possibilità di riflettere da differenti prospettive e di andare in profondità nei prossimi mesi, per poi ritornare a riunirci e approfondire le questioni”.  “Ci sono anche tensioni, c’è un lavoro da fare, ma l’importante è il processo: il tempo tra le due assemblee sinodali è un dono.

Imparare ad essere una Chiesa sinodale è un processo che prende tempo e richiede una adeguata formazione: è un processo, una pratica spirituale, dobbiamo imparare dalla nostra libertà.

Non è un esercizio spirituale, ma di cuore”.

“Dopo più di due settimane di Sinodo, incontrando quasi 400 persone ogni giorno, ho una forte percezione che al Sinodo si sono riunite 400 persone che vogliono bene agli altri, che dedicano proprio tempo per aiutare gli altri”. Lo ha testimoniato mons. Wasserbauer, condividendo le sue risonanze sull’esortazione apostolica pubblicata ieri da Papa Francesco su Santa Teresina, che alla fine della sua vita ha cominciato a vivere una notte oscura, molto profonda. Per il presule, “è interessante che Santa Teresa di Lisieux metta questa sua notte in relazione diretta con la dolorosa realtà dell’ateismo, che alla fine dell’Ottocento ha conosciuto la sua età dell’oro”. “Anche io ho vissuto sulla mia pelle la tragedia del comunismo, che ha massacrato le nostre nazioni, culturalmente, spiritualmente”, la testimonianza del vescovo: “Alcuni dicono che anche la Chiesa del terzo millennio sta vivendo una notte. Se ci sono tenebre, se ci sono notti nella vita della Chiesa, ci aiuta a illuminare queste notti e a portare la luce nelle notti e nell’oscurità della Chiesa del terzo millennio”.

Israel and Gaza. Msgr. Baturi (CEI): “We support the efforts of our Christian brothers and sisters, the Church upholds every attempt to engage in dialogue”

Lun, 16/10/2023 - 12:26

“What has happened is unacceptable, it can in no way be excused with some ‘ifs’ or ‘buts’. Of course, the general context should be known, but this can never be a justification,” said Monsignor Giuseppe Baturi, Archbishop of Cagliari and Secretary General of the Italian Bishops’ Conference, speaking on the eve of the Day of Prayer for Peace and Reconciliation in the Holy Land.

Your Excellency, the Churches in Italy are deeply bound to the Christians of the Holy Land. How are you living these dramatic hours?

With much sadness and concern. We cannot and must not be resigned to evil, to violence against children and against the most vulnerable. It is of fundamental importance to recover the capacity to be horrified, to be indignant, to be saddened by what is happening. We must not be content with a mere analysis of the situation. It’s the human aspect that prevails, the horror at the enormous amount of suffering, both physical and emotional. Our thoughts turn to the hostages, to their parents, to the barbarity that does not stop at newborn babies. And, as in Ukraine, it does not stop before the innocent and the prisoners.

Is this a condemnation of the more than 1,300 dead in the attack on Israel on 7 October and the two hundred or so hostages in the hands of Hamas?

These are civilian victims who were hunted down house by house with the aim of harming them.

What happened is unacceptable, it cannot be excused with any “ifs” or “buts”. Of course, the general context should be considered, but that cannot be an excuse.

As the Holy Father and Cardinal Parolin have reminded us, we must work seriously for a peace “built on justice, dialogue and the courage of fraternity.”

Do you fear that the conflict could spill over into other Arab countries and into the hands of those who profit from the war?

There is great concern because we see the powers of the States at play. Instead of mobilising for a just peace, they seem to be moving towards a logic of alignment and power.

Our historical memory is a constant reminder that the world’s worst catastrophes began with a shift of balances, the extent of which was not initially understood. There is great concern, especially as the principle of proportionality of response crumbles in the knowledge that we are living in the age of nuclear weapons.

Even those who advocate using proportionate force must consider the destructive capacity of modern weapons. We must be concerned. Violence needs lies and the concealment of the truth.

The situation in Gaza is tragic. Local health authorities put the death toll at more than 2,500, with an estimated 10,400 wounded. At least 500 displaced people, including several Muslim families, live in the Holy Family Latin Parish. Pope Francis has telephoned the parish priest and the nun who runs the school of the Sisters of the Rosary twice to express his closeness and sympathy…

We support our Christian brothers and sisters in their efforts to show solidarity, closeness and love to those who are suffering.

The Church, and with it the Church in Italy, is always on the side of humanity.

It must therefore intervene to alleviate suffering. But we must also ask that the love of neighbour become a political love, that is, one capable of envisioning future scenarios. After the Angelus yesterday, the Pope called for the protection of human life and for a lasting and credible peace solution.

The Patriarchate’s School of the Sisters of the Rosary can still count on a small amount of electricity every day, thanks also to the solar panels installed with funds from Italy’s ‘8×1000′ taxpayers’ contribution. A National Day of fasting, prayer and abstinence for peace and reconciliation has been promoted by the Italian Episcopal Conference.

The Italian Church, in her love for the Holy Land, has responded to the call of Cardinal Pierbattista Pizzaballa, Catholic Patriarch of Jerusalem, by organising a choral prayer service for tomorrow, October 17, to entrust to the Lord “our desire for peace, justice and reconciliation.” We have a responsibility of closeness, of proximity to humanity, a responsibility to uncover the truth and a responsibility to promote dialogue and reconciliation.

Could the Church play a role in the complex political mediation?

The Church is ready, as Cardinal Parolin said, to use its moral influence, its position of authority with regard to the various actors, in an attempt at mediation and dialogue. The mandate to be “blessed” and to be “peacemakers” is part of our faith, but in order to be peacemakers one must be blessed in the certainty of God’s presence and in the desire to make friends. The authority that the Holy See and the Church have in these contexts and situations translates into an openness to welcome every attempt at dialogue.

Israele e Gaza. Mons. Baturi (Cei): “Sosteniamo lo sforzo dei nostri fratelli cristiani, la Chiesa è disponibile a qualsiasi tentativo di dialogo”

Lun, 16/10/2023 - 12:26

“Quanto avvenuto è inaccettabile, non può essere in alcun modo scusato con qualche ‘se’ o qualche ‘ma’. Certo, bisogna comprendere il contesto ma ciò non può essere una giustificazione”. Mons. Giuseppe Baturi, arcivescovo di Cagliari e segretario generale della Cei, parla alla vigilia della Giornata di preghiera per la pace e la riconciliazione in Terra Santa.

(Foto Siciliani – Gennari/SIR)

Eccellenza, le Chiese in Italia hanno un legame profondo con i cristiani di Terra Santa. Come sta vivendo queste ore drammatiche?
Con grande dolore e preoccupazione. Non possiamo e non dobbiamo rassegnarci al male, alla violenza sui bambini e sulle persone più deboli. È fondamentale recuperare la capacità di inorridire e di indignarsi, nel dolore, per quanto sta avvenendo. Senza limitarsi alle sole analisi. C’è un aspetto umano che prevale: l’orrore del dolore per tanta sofferenza, fisica e morale. Pensiamo agli ostaggi, ai loro genitori, alla barbarie che non si ferma nemmeno davanti ai neonati. E, come in Ucraina, non si arresta di fronte agli innocenti e ai prigionieri.

È una condanna per gli oltre 1.300 morti nell’attacco a Israele del 7 ottobre e i circa duecento ostaggi nelle mani di Hamas?
Sono vittime civili cercate casa per casa con la volontà di fare del male.

Quanto avvenuto è inaccettabile, non può essere in alcun modo scusato con qualche “se” o qualche “ma”. Certo, bisogna comprendere il contesto ma ciò non può essere una giustificazione.

Come hanno ricordato il Santo Padre e il cardinale Parolin: bisogna lavorare con convinzione a una pace “costruita sulla giustizia, sul dialogo e sul coraggio della fraternità”.

Teme il rischio di un allagamento del conflitto con il coinvolgimento di altri Paesi arabi, ma anche di attori interessati a beneficiare della guerra?
La preoccupazione è grandissima perché vediamo all’opera le forze degli Stati. Piuttosto che mobilitarsi in funzione di una pace giusta, sembrano muoversi secondo logiche di schieramento e di potere.

La memoria storica ci ricorda che i grandissimi drammi mondiali sono iniziati per lo spostamento di equilibri di cui all’inizio non si comprendeva la portata. L’apprensione è forte, tanto più che il tema della proporzionalità della reazione salta nella consapevolezza che siamo nell’era nucleare.

Anche i discorsi circa l’uso della forza proporzionata devono tenere conto delle capacità distruttive delle armi moderne. Non può non preoccuparci constatare che la violenza ha bisogno di menzogna e dell’occultamento della verità.

A Gaza la situazione è drammatica: secondo le autorità sanitarie locali, il bilancio dei morti è di oltre 2.500 persone e circa 10.400 feriti. La parrocchia latina della Sacra Famiglia ospita almeno 500 sfollati, comprese diverse famiglie musulmane. Papa Francesco ha già contattato telefonicamente due volte il parroco e la suora che dirige la Scuola delle Suore del Rosario per esprimere vicinanza e partecipazione…
Vogliamo sostenere lo sforzo dei nostri fratelli cristiani a poter esprimere prossimità, vicinanza e amore a coloro che sono provati da una grave sofferenza.

La Chiesa, e con essa la Chiesa in Italia, è sempre dalla parte dell’uomo.

Quindi, non può che intervenire per alleviare le sofferenze. Ma dobbiamo chiedere anche che l’amore per il prossimo diventi un amore politico, cioè capace di immaginare scenari futuri. Per questo il Papa, dopo l’Angelus di ieri, ha chiesto la salvaguardia delle vite umane e una soluzione duratura e credibile di pace.

Se la Scuola patriarcale delle Suore del Rosario può contare ancora su un poco di energia elettrica quotidiana, è anche grazie ai pannelli fotovoltaici installati con i fondi dell’8xmille. E la Presidenza della Cei ha deciso di promuovere una Giornata nazionale di digiuno, preghiera e astinenza per la pace e la riconciliazione.
La Chiesa in Italia ama la Terra Santa e ha riposto all’appello dal cardinale Pierbattista Pizzaballa, patriarca di Gerusalemme dei Latini, promuovendo domani 17 ottobre un tempo di preghiera corale per consegnare al Signore “la nostra sete di pace, di giustizia e di riconciliazione”. Abbiamo una responsabilità di vicinanza, di prossimità all’uomo, di svelamento della verità e di continua esortazione al dialogo e alla riconciliazione.

La Chiesa può essere anche un attore nella difficile mediazione politica?
La Chiesa è pronta, lo ha detto il cardinale Parolin, ad esercitare la propria influenza morale, la propria autorevolezza verso i diversi agenti per tentare una mediazione e cercare il dialogo. Fa parte della nostra fede: l’incarico ad essere “beati” e “operatori di pace”, ma per essere operatori di pace bisogna essere beati perché certi della presenza di Dio e desiderosi di stringere amicizie. L’autorevolezza che hanno la Santa Sede e la Chiesa in quegli ambienti e in quei luoghi si traducono nella disponibilità a qualsiasi tentativo di dialogo.

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