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Servizio Informazione Religiosa
Aggiornato: 4 mesi 1 settimana fa

Sarà “Laudate Deum” il titolo della prossima esortazione apostolica per completare la “Laudato si’”

Mar, 03/10/2023 - 10:15

Laudate Deum”, è questo il titolo della prossima esortazione apostolica di Papa Francesco, che sarà resa pubblica domani 4 ottobre. A rivelarne il titolo è stato lo stesso Francesco ricevendo in udienza i partecipanti ad un incontro di rettori delle università pubbliche e private latinoamericane. In quella occasione il Papa è tornato su temi a lui molto cari come cambiamenti climatici, migrazioni ed esclusione sociale.

Non è stata questa comunque la prima volta in cui il Pontefice ha annunciato a sorpresa di essere al lavoro per un ampliamento e aggiornamento della sua enciclica in materia: Laudato si’, firmata il 24 maggio 2015 e pubblicata il 18 giugno successivo. Ne aveva infatti parlato una prima volta il 21 agosto scorso durante un’udienza privata. “Sto scrivendo una seconda parte della Laudato si’ per aggiornare i problemi attuali” aveva rivelato ricevendo una delegazione di avvocati di Paesi membri del Consiglio d’Europa firmatari dell’Appello di Vienna; e poi il 30 agosto scorso durante l’udienza generale del mercoledì quando, dopo aver ribadito la necessità di “schierarsi al fianco delle vittime delle ingiustizie ambientali e climatiche, sforzandoci di porre fine all’insensata guerra mondiale alla nostra Casa comune” ha annunciato che “per la festa di san Francesco d’Assisi ho intenzione di pubblicare un’esortazione. Una seconda Laudato si’”.Dunque il Papa torna in maniera forte su uno dei temi che più di altri lo allarma e sul quale da tempo ha posto la sua attenzione: la crisi ambientale e climatica. Nella Laudato si’ non è partito da zero. Riprendendo le parole dei suoi predecessori ha esortato il mondo della politica a non avere uno sguardo miope, fermo sul successo immediato senza prospettive a lungo termine e poi ha invitato tutti a liberarsi dall’egoismo, anima delle società consumistiche, cambiando i propri stili di vita.
In questi anni, sappiamo anche che la Laudato si’ ha avuto una forte influenza a livello mondiale suscitando un vastissimo dibattito, non solo in ambito cattolico, sull’atteggiamento verso la salvaguardia del creato. A tal proposito è importante ricordare che fu lo stesso papa Francesco a definirne il carattere liberando la sua terza enciclica da quella “etichetta ambientalista” che molti le hanno attribuito in maniera superficiale.
“Non è un’enciclica verde ma un’enciclica sociale”, diceva infatti nell’aprile 2020 ai membri della Fondazione Centesimus Annus. Un’occasione che permise al Pontefice di ribadire la necessità di puntare sullo “sviluppo di un’ecologia integrale quale priorità a livello internazionale, nazionale e individuale” e di auspicare a “una maggiore sensibilità sui temi ecologici con l’adozione, da parte di molte nazioni, degli Obiettivi di sviluppo sostenibile concordati dalle Nazioni Unite”.
Ciò che ormai appare evidente a tutti, e a Papa Francesco in particolare, è che l’aggravarsi della crisi climatica con le sue conseguenze e i disastri ambientali, uniti ai reiterati ritardi della comunità internazionale sugli accordi per limitare le emissioni di gas serra (fattori questi cui si deve anche l’acutizzarsi delle migrazioni causate dal riscaldamento globale), necessita un aggiornamento nelle linee di indirizzo di intervento, al fine di affrontare, attraverso nuove strategie, le sfide legate ai fenomeni climatici.
Del resto, nel corso del suo pontificato, Francesco non ha mai smesso di invitare tutti, dalle Organizzazioni Internazionali agli Stati fino ai singoli cittadini, a cercare alternative che aiutino a superare la crisi ambientale oltre che ad essere “creativi in queste cose per proteggere la natura e la casa comune”.
Con la nuova esortazione apostolica si arricchisce quindi ulteriormente quella parte del suo magistero dedicato all'”ecologia integrale”, riguardante la cura della casa comune con le sue relative implicazioni sociali e politiche.
Non è ancora chiaro se il documento si tradurrà in una versione aggiornata dell’enciclica già esistente, – fatto questo che rappresenterebbe comunque un inedito -, oppure sarà una nuova enciclica, la quarta eventualmente, del suo pontificato (‘Lumen Fidei’ del 2013 a quattro mani con Benedetto XVI; Laudato si” del 2015 e ‘Fratelli tutti’ del 2020). Ciò che invece sappiamo con certezza che la sua uscita è prevista per la festa di San Francesco d’Assisi, il 4 ottobre, e sarà, a detta dello stesso Francesco, “uno sguardo a quello che è successo e dire cosa bisogna fare”.

3 ottobre 2013 – 3 ottobre 2023: la tragedia continua

Mar, 03/10/2023 - 10:14

Il 3 ottobre di ogni anno riporta il nostro sguardo al Mediterraneo, il Mare nostrum, il mare condiviso da sponde europee, africane e asiatiche, il mare che ci lega e ci abbraccia e per questo segno di fraternità.

Ma il nostro sguardo in questo giorno si carica anzitutto di silenzio, di preghiera e di dolore per il ricordo delle 368 vittime del naufragio al largo di Lampedusa, il 3 ottobre di 10 anni fa, e di migliaia di vittime che da quel giorno si sono aggiunte – 27.000 in dieci anni e oltre 2.000 in questo ultimo anno  – sul fondo di questo splendido Mare Mediterraneo che “è diventato un enorme cimitero, dove molti fratelli e sorelle sono privati persino del diritto di avere una tomba, e a venire seppellita è solo la dignità umana” (Papa Francesco, Marsiglia, 22.9.2023).

La tragedia continua. E si allarga.

Con loro hanno perso la vita lungo il deserto del Sahara, nei lager della Libia o nei boschi della Bosnia e lungo i Balcani molti altri fratelli e sorelle. Sono “volti e storie, vite spezzate e sogni infranti” – ha ripetuto Papa Francesco: una generazione scomparsa tra le onde. Di fronte a queste ripetute tragedie, nate da un contesto internazionale segnato da guerre, miseria e cambiamenti climatici, guardando questo Mare Mediterraneo che “grida giustizia, con le sue sponde che da un lato trasudano di opulenza, mentre dall’altro vi sono povertà e precarietà” (Papa Francesco, Marsiglia, 22.9.2023), ritornano le parole di S. Paolo VI, nell’enciclica Populorum Progressio: “le nazioni sviluppate hanno l’urgentissimo dovere di aiutare le nazioni in via di sviluppo” (n.48).

Il ricordo della tragedia del 3 ottobre deve allargare la responsabilità nei confronti dei Paesi poveri da cui si mettono in cammino uomini e donne come noi, in cerca di sicurezza, di casa, di vita. Abbiamo il dovere della solidarietà, che nasce anche dal dovere di giustizia verso Paesi depredati dal vecchio e dal nuovo colonialismo. “I poveri non si contano, si abbracciano” ha ricordato Papa Francesco citando Don Primo Mazzolari.

La celebrazione del 3 ottobre, di dieci anni di morti nel Mediterraneo, accresca in noi il desiderio di abbracciare e non di respingere questi nostri fratelli e sorelle, i piccoli della terra, insieme alla speranza di un cammino insieme, sinodale, che riporti la solidarietà sulle coste e nel Mare Mediterraneo, ai confini dell’Europa, abbattendo i muri che stanno risalendo non solo con il filo spinato, ma anche con politiche repressive, respingimenti, con scelte culturali che chiudono il cuore e la mente. Consapevoli che “l’impegno delle istituzioni non basta, serve un sussulto di coscienza per dire ‘no’ all’illegalità e ‘si’ alla solidarietà, che non è una goccia nel mare, ma l’elemento indispensabile per purificarne le acque” (Papa Francesco, Marsiglia, 22.9.2023).

(*) arcivescovo di Ferrara-Comacchio, presidente Fondazione Migrantes Cei

Ogni comunicazione autentica nasce dal silenzio

Lun, 02/10/2023 - 15:42

Il testo è tratto dal paragrafo 32 della lettera pastorale “Effatà apriti” scritta nel 1990 dal cardinale arcivescovo di Milano, Carlo Maria Martini, a cui ha fatto riferimento nei giorni scorsi il prefetto Paolo Ruffini nel suo briefing con i giornalisti e pubblicato oggi dall’Osservatore Romano.

 

La comunicazione divina è preparata nel silenzio e nel segreto di Dio.
(…) Le costanti della comunicazione divina ci permettono di considerare ora alcune caratteristiche della comunicazione interumana che possiamo derivare dalla contemplazione del modo con cui Dio si rivela.
Ogni comunicazione autentica nasce dal silenzio. Infatti ogni parlare umano è dire qualcosa a qualcuno: qualcosa che deve anzitutto nascere dentro. Nascere dentro suppone un autoidentificarsi, un autocomprendersi, un cogliere la propria interiore ricchezza. Molte forme di loquela non sono vera comunicazione, perché nascondono un vuoto interiore: sono chiacchiera, sfogo superficiale, esibizionismo… Ogni vera comunicazione esige spazi di silenzio e di raccoglimento. Non è necessaria la moltitudine delle parole per comunicare davvero. Poche parole sincere nate da un distacco contemplativo valgono più di molte parole accumulate senza riflessione.
La comunicazione ha bisogno di tempo. Non si può comunicare tutto d’un colpo, in fretta e senza grazia. Se Dio ha diffuso una comunicazione tanto importante ed essenziale come quella dell’alleanza nell’arco di un lungo tempo storico, vuol dire che anche la comunicazione ha bisogno di tempi e momenti, è un fatto cumulativo, richiede attenzione all’insieme. A questo riguardo noi manchiamo spesso per disattenzione, fretta, superficialità. Occorre saper cogliere i momenti giusti senza bruciare le tappe.
Non bisogna spaventarsi dei momenti di ombra. Luci e ombre sono vicende normali del fatto comunicativo. Chi nel rapporto interpersonale vuole solo e sempre luce, chiarezza, certezza assoluta, dà segno di voler dominare piuttosto che comunicare, cade nella gelosia e si aliena l’altro, anche se in apparenza lo conquista. Dobbiamo accettare la “croce” della comunicazione se vogliamo giungere a quella trasparenza che è possibile in questa vita.
La trasparenza comunicativa raggiungibile quaggiù non è mai assoluta. Il volerla forzare oltre il giusto, oltre la soglia di quello che è il segreto, forse neppure accessibile del tutto a chi lo possiede, fa scadere nella banalità. Mi domando se alcune volte anche nei gruppi religiosi non si pratichi una comunicazione di sé che non rispetta il segreto di ciascuno.

Caritas Armena “adotta” 100 famiglie sfollate. S.B. Minassian, “è rimasta una minoranza, hanno ripulito tutto il territorio”

Lun, 02/10/2023 - 13:28

“Noi come Chiesa cattolica e come Caritas Armena, abbiamo adottato 100 famiglie, ciascuna con 5, 6 addirittura 11 figli. Abbiamo dato loro vitto e alloggio ma anche un’assicurazione e la ricerca di un posto di lavoro. Sono tutte iniziative che mirano ad aiutarli a ricominciare una nuova vita in Armenia”. Si tratta di un “pacchetto di accoglienza previsto al momento per sei mesi per un totale di 100 mila euro”. E’ Sua Beatitudine Raphaël Bedros XXI Minassian, patriarca di Cilicia dei cattolici armeni a fare il “punto” della situazione degli sfollati giunti in Armenia dal Nagorno Karabakh e delle iniziative messe in campo dalla Caritas per aiutarli. Il Patriarca si trova in queste ore a Yerevan dove è arrivato per capire la situazione, parlare con la gente e coordinare gli aiuti. “Allo stesso tempo – aggiunge -, stiamo aiutando anche a dare un supporto immediato ai rifugiati che sono attualmente ospiti in altri centri di accoglienza. Una situazione grave e pensante ma abbiamo il coraggio di farlo e l’appoggio di tanti”.

Ad oggi sono arrivati in Armenia 107 mila persone. Sua Beatitudine conferma al Sir le cifre degli organismi internazionali presenti sul posto. Sono sfollati dalle aree colpite dalle recenti ostilità militari nella regione del Nagorno Karabakh. Era il 19 settembre quando le forze dell’Azerbaigian hanno aperto il fuoco contro le postazioni armene, in quella che è stata definita un’ “operazione antiterrorismo”. Attacchi che non hanno risparmiato la popolazione civile che in massa è fuggita dall’enclave ed ha raggiunto l’Armenia, passando per la città sudorientale di Goris. Fra gli sfollati, l’Unicef stima che 29.000 siano bambini. “Le cifre degli sfollati aumentavano di giorno in giorno”, testimonia Minassian. Se si tiene conto che nell’enclave si contavano 120mila armeni, le cifre degli “sfollati” dimostrano che “dentro” sono rimasti in poche migliaia. “C’è una minoranza che è costretta a rimanere lì”, conferma il Patriarca. “Sono circondati e per vari interessi non li lasciano partire. Hanno ripulito tutto il territorio”.

In questi giorni, il Patriarca ha potuto parlare personalmente con le persone in fuga. Al Sir racconta come li ha trovati psicologicamente. “Hanno perso tutto. Completamente tutto”, dice. “Mi trovo purtroppo a pronunciare ancora una volta la parola genocidio. Queste persone sono vittime di un genocidio. Hanno ucciso e torturato le persone, stanno ripetendo quanto hanno fatto nella storia. Se la prendono anche con gli anziani. E’ una cosa umanamente parlando inaccettabile, inammissibile. Ma nessuno ne parla. Il popolo armeno è un popolo povero, senza un protagonismo forte nel mondo. Quindi è completamente dimenticato da tutti. Siamo stanchi di sentire dichiarazioni di simpatia. L’ho detto già tante volte”. “Non bastano le parole. C’è gente che muore. Gente che ha perso tutto. Hanno preso anche le chiese che su quella terra esistono da secoli. Non si fa. Non c’è rispetto per la dignità dell’uomo e della sua storia”.

Il Papa ieri all’Angelus ha lanciato un appello al dialogo tra Azerbaigian e Armenia. “Seguo in questi giorni la drammatica situazione degli sfollati nel Nagorno-Karabakn”, ha detto. “Rinnovo il mio appello al dialogo tra Azerbaigian e l’Armenia auspicando che i colloqui tra le parti con il sostegno comunità internazionale favoriscano un accordo duraturo che ponga fine alla crisi umanitaria”. Nei giorni scorsi anche il Consiglio di sicurezza dell’Onu ha invitato al dialogo i due paesi nella speranza di risolvere la crisi e il prossimo 5 ottobre sarebbe previsto nella città spagnola di Granada un incontro tra il premier armeno Pashinian e il presidente dell’Azerbaigian Aliyev al quale dovrebbero partecipare anche i leader di Francia e Germania e il Presidente della Commissione europea con lo scopo di discutere la firma di un trattato di pace tra i due Paesi. “Per interessi politici si mettono i popoli gli uni contro gli altri”, commenta il Patriarca che lancia un invito a tutti: “lavorare per la pace non per la produzione delle armi”. E’ quello che attende la gente. “Sono venuto qui per incontrare le persone accolte nei nostri centri e posso testimoniare che sono commossi. Provano un profondo senso di gratitudine per l’affetto ricevuto e per la nostra presenza”. “A loro ho detto solo questo: ‘tu non sei rifugiato, sei membro della mia famiglia, benvenuto a casa’”. “Tutti i nostri organismi si sono messi al servizio di questi fratelli che sono arrivati qui”, assicura Sua Beatitudine. “A loro ho detto: ‘non siete benefattori ma servitori. Questa gente ha perso tutto a causa degli interessi delle grandi potenze mondiali. Voi siete a servizio della dignità della persona che per noi, è al di sopra di tutti i valori della nostra vita”.

Lo straordinario viaggio di Kandhamal: quando la fede supera la persecuzione

Lun, 02/10/2023 - 10:19

Negli ultimi 15 anni, nel remoto distretto di Kandhamal, nello stato indiano dell’Odisha, si assiste quotidianamente al verificarsi di uno straordinario avvenimento capace di trasformare una tragedia in una storia di resilienza e fedeltà al Vangelo. Il distretto, infatti, un tempo teatro della peggiore persecuzione organizzata nella storia del cristianesimo in India, è emerso come simbolo di fede incrollabile e di perdono.
A raccontare questa storia è stato il giornalista Anto Akkara. Intervistato dal sito online “Christian Today” (https://www.christiantoday.com/church), ha raccontato in maniera dettagliata la storia del distretto Kandhamal, da lui visitato 35 volte. Una narrazione stimolante e veritiera sapientemente descritta nel suo nuovo lavoro intitolato “Good News of Kandhamal”, pubblicato nell’agosto scorso proprio per ricordare il 15° anniversario dello spargimento di sangue avvenuto nel 2008 a seguito di una feroce persecuzione nel remoto distretto della giungla di Kandhamal, nell’Odisha. Un racconto inedito e dettagliato da cui emerge il viaggio di Kandhamal, e dei suoi abitanti, passati dalla disperazione alla speranza.
“Quanto accaduto nel distretto di Kandhamal nel 2008  – ha esordito Akkara a Christian Today – è stata una vera catastrofe. Eppure, 15 anni dopo, è davvero  incredibilmente constatare quanto i cristiani, poveri ma valorosi, che hanno vissuto quella tragedia, siano stati capaci di trasformarla in un evento dal quale sono scaturiti frutti straordinari”.
Ripercorriamo la storia. Nell’agosto del 2008, Kandhamal precipitò nel caos in seguito all’omicidio di Swami Lakshmananda Saraswati. Gli estremisti, incolpando i cristiani dell’omicidio, presero di mira la comunità cristiana imponendo loro,  attraverso un ultimatum, di abiurare la propria fede. Ciò che ne seguì fu un’ondata di violenza. Quasi 100 cristiani che persero la vita in modo raccapricciante. In migliaia fuggirono nella giungla per sfuggire ai riti di riconversione forzata. Circa 400 chiese furono distrutte, 6.500 case di cristiani furono date alle fiamme e il paesaggio del distretto fu deturpato dalla devastazione cui fu sottoposto. Inoltre, oltre 40 donne furono vittime di stupri e aggressioni sessuali. Non solo. In seguito alle persecuzioni e alle violenze, a circa 12.000 bambini fu impedito andare a scuola per un periodo prolungato.

Durante questo periodo drammatico, i cristiani di Kandhamal, malgrado le violenze, mostrarono fede e e una resilienza incrollabili. Si può dire che i cristiani di Kandhamal hanno incarnato quanto dice la scrittura e in particolare i seguenti versetti della Bibbia:
“Amate i vostri nemici, fate del bene a coloro che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi maltrattano. A chi ti percuote sulla guancia, porgi anche l’altra” (Luca 6, 27-29).
Tre gli elementi che emergono nel lavoro di Akkara: il potere del perdono, il trionfo dell’amore sull’odio, la resilienza della fede delle comunità perseguitate.
Ma ancora più sorprendente forse, nella storia di Kandhamal, è l’aspetto riguardante il perdono mostrato e offerto dalle vittime delle violenze nei confronti dei loro aguzzini.  “La risposta indulgente dei cristiani di Kandhamal con i loro sorrisi disarmanti – sottolinea Akkara – ha disarmato il nemico, lo ha messo a terra. Un gesto che ha sciolto i cuori degli aggressori fino a tornare sui loro passi e a chiedere scusa per le loro azioni”.

Alcune storie individuali contenute nel lavoro di Akkara mostrano la trasformazione, a livello personale, dei persecutori in seguito al perdono offerto da chi era stato vittima di aggressione. Come ad esempio Hippolitus Nayak, duramente colpito durante le persecuzioni cui sono giunte le scuse inaspettate da parte di uno dei responsabili di quelle violenze. E ancora. Nel racconto di Akkara anche l’esperienza di Junos Digal, tra i persecutori del distretto. Digal aveva attaccato obiettivi cristiani ma di fronte alla risposta pacifica delle sue vittime è divenuto lui stesso un cristiano, meravigliandosi della resilienza e della fede di coloro che un tempo aveva perseguitato.
Akkara cita poi le parole di un anziano della chiesa: “Dici che hanno una fede forte, ma penso che molti di loro torneranno indietro quando la loro sofferenza aumenterà”. Parole cui Akkara ha risposto: “No… posso assicurarti che non torneranno indietro”, sottolineando che “nessuno può comprendere la profondità della straordinaria testimonianza di Kandhamal se non ha sperimentato la peggiore persecuzione della storia indiana”.
Nonostante la terribile povertà e l’isolamento vissuto, i cristiani di Kandhamal hanno scelto di sostenere la loro fede piuttosto che soccombere alla disperazione. “Sono andato a visitare la comunità Kandhamal – ricorda Akkara – con copie del libro ‘Shining Faith’ da condividere con gli eroici cristiani. Sono andato desideroso di proteggere l’identità dei testimoni. Per fare questo avevo l’intenzione di  oscurare i loro volti e di utilizzare nomi anonimi. Ma la loro risposta mi lasciò sbalordito. Sfogliando le pagine del mio testo infatti, con me erano più arrabbiati che felici. “Signore, cosa hai fatto? Perché hai oscurato e nascosto i nostri volti? Non siamo codardi. Mostra i nostri volti. Anche se ci uccidono, non siamo preoccupati’.”
Oltre agli eloquenti libri di denuncia e alla campagna sui social media per Verità e Giustizia che fanno luce sull’incredibile testimonianza dei cristiani di Kandhamal, Akkara ha girato anche sei documentari.
“Kandhamal non è più una tragedia – sottolinea Akkara a “Christian Today”, perché il dolore del 2008 è stato trasformato in un evento glorioso dai coraggiosi cristiani di quel luogo. A cominciare dai bambini che hanno vissuto l’incubo di fuggire nella giungla, vivendo nei campi profughi e nelle baraccopoli, non si sono scoraggiati ma hanno rafforzato la propria fede”,

Il viaggio di Kandhamal, da luogo di tragedia a fertile terreno di vocazioni, testimonia la veridicità del detto: “Il sangue dei martiri è il seme della chiesa”. Come dice giustamente Akkara, “I valorosi cristiani di Kandhamal hanno effettivamente superato a pieni voti la prova della loro fede”. I cristiani di Kandhamal hanno mostrato al mondo che la fede può superare anche la più brutale delle persecuzioni, trasformando il dolore in gioia e l’oscurità in luce.

(*) Christian Today

Zardi (Azione cattolica): “Un problema che non interessa solo gli studenti fuori sede”

Lun, 02/10/2023 - 09:59

“Quella degli studenti fuorisede è una manifestazione più grande e complessa di quel che sembra che deve essere ancora compresa nel nostro Paese, perché evidenzia un problema che non coinvolge solo i ragazzi ma anche i lavoratori, basti pensare ai 5 milioni di lavoratori fuori sede in Italia”. A dirlo al Sir è Lorenzo Zardi, vicepresidente dell’Azione cattolica italiana per il settore giovani e coordinatore del coordinamento giovani del Forum internazionale dell’Azione cattolica. Quella del caro affitti “è una questione che coinvolge l’intero Paese, anche se con particolare accentuazione al Sud, nelle aree interne e in generale nei posti lontani dalle grandi città”.

Più volte negli ultimi giorni gli studenti hanno ribadito il diritto alla casa e diritto allo studio, che, per Zardi, “sembra un po’ paradossale, perché “pone una questione su chi è che ha la possibilità di spostarsi per cercare migliori possibilità di lavoro”. Se gli affitti per una stanza raggiungono i 500/600 euro alcuni dei più meritevoli rischiano di “non raggiungere i più alti gradi di istruzione. È chiaro che viene impedita di fatto la possibilità di seguire i propri interessi, la propria vocazione”.

“Si può certamente dire ‘fai il pendolare’, ma spesso non si tiene conto che uno studente fuori sede non cerca solamente aule universitarie, ma anche tutto spazio in cui vivere, in cui fondare nuove relazioni, nuove situazioni in cui stare bene – l’analisi di Zardi -. Se ciò non avviene, si vengono a creare altri problemi legati al benessere psicologico”.

Per Zardi si può e si deve fare di più, considerando che “solo il 5% della richiesta di alloggio da parte degli studenti viene soddisfatta da alloggi pubblici e quindi il restante 95% degli studenti fuori sede è costretto a affidarsi al mercato privato che chiaramente nella bolla immobiliare in cui siamo ha visto aumentare i prezzi”. Per questo è molto importante raggiungere l’obiettivo del Pnnr, con 100 mila alloggi per studenti entro giugno 2026”, considerando che “

il fenomeno riguarderà sempre più studenti, ma anche sempre più lavoratori perché dopo il diritto a partire c’è anche il diritto a restare, farsi una famiglia, vivere in un contesto nuovo, di avere figli”.

Pertanto le proteste degli studenti a oggi stanno segnalando l’esigenza di una questione che nel nostro Paese dovrebbe interessare un po’ tutti”, ha concluso Zardi.

Per affrontare e dialogare sul problema del “caro affitti” e su altre tematiche riguardanti gli studenti fuori sede l’Azione cattolica ha, tra le diverse iniziative, promosso un podcast dal titolo “Orizzonte fuorisede“.

Papa Francesco: “Il Sinodo purifichi la Chiesa dalle chiacchiere, dalle ideologie e dalle polarizzazioni”

Sab, 30/09/2023 - 18:58

Questa sera 18mila persone hanno pregato in silenzio, per otto minuti, in una piazza San Pietro allestita come un giardino. “In un mondo pieno di rumore non siamo più abituati al silenzio, anzi a volte facciamo fatica a sopportarlo, perché ci mette di fronte a noi stessi. Eppure sta alla base della parola e della vita”, ha detto Papa Francesco davanti agli oltre 4mila giovani che sono arrivati in pellegrinaggio da San Giovanni in Laterano e ai loro coetanei – provenienti anche dall’Ucraina – che hanno animato i cori sulle musiche composte per l’occasione dalla Comunità di Taizé. Subito dopo la preghiera di invocazione del dono dello Spirito Santo per il Sinodo, la meditazione papale sull’importanza del silenzio nella vita del credente, nella vita della Chiesa e nel cammino di unità dei cristiani.

“Il silenzio è essenziale nella vita del credente”,

ha esordito Francesco nella Veglia ecumenica “Together”, alla presenza di 21 leader religiosi, tra cui il patriarca Bartolomeo di Costantinopoli e l’arcivescovo Justin Welby di Canterbury, oltre ai partecipanti al Sinodo dei vescovi sulla sinodalità che comincia il 4 ottobre. “Stasera noi cristiani abbiamo sostato silenziosi davanti al Crocifisso di San Damiano, come discepoli in ascolto dinanzi alla croce, la cattedra del Maestro”, il riferimento al Crocifisso che troneggia sul sagrato di piazza San Pietro, mentre in uno dei due lati del palco papale la vigilanza dell’icona della Madonna “Salus populi romani”, come è avvenuto nella processione iniziale di tutte le componenti del popolo di Dio. Sull’altro lato, con le pagine aperte di fronte ai fedeli, la Bibbia, che viene intronizzata in ogni Sinodo.

#Together – Raduno del popolo di Dio. Veglia di preghiera ecumenica. La testimonianza di Alessia dell’organizzazione pic.twitter.com/8BAW2QpLrg

— SIR (@agensir) September 30, 2023

“Il nostro non è stato un tacere vuoto, ma un momento carico di attesa e di disponibilità”,

il riferimento alla preghiera ecumenica di poco prima. “La verità non ha bisogno, per giungere al cuore degli uomini, di grida violente”, il monito del Papa, che parla al popolo della piazza ma manda messaggi precisi per salvaguardare lo spazio sacro, nutrito appunto di silenzio, dell’appuntamento sinodale ormai imminente:

“Dio non ama i proclami e gli schiamazzi, le chiacchiere e il fragore:

preferisce piuttosto, come ha fatto con Elia, parlare nel sussurro di una brezza leggera, in un filo sonoro di silenzio”. E allora anche noi, come Abramo, come Elia, come Maria abbiamo bisogno di liberarci da tanti rumori per ascoltare la sua voce. Perché solo nel nostro silenzio risuona la sua Parola”.

“Il silenzio è essenziale nella vita della Chiesa”,

perché “rende possibile la comunicazione fraterna, in cui lo Spirito Santo armonizza i punti di vista”, incalza Francesco evocando di nuovo l’appuntamento del 4 ottobre.

“Essere sinodali – spiega – vuol dire accoglierci gli uni gli altri così, nella consapevolezza che tutti abbiamo qualcosa da testimoniare e da imparare, mettendoci insieme in ascolto dello Spirito della verità per conoscere ciò che egli dice alle Chiese”. “E il silenzio permette proprio il discernimento, attraverso l’ascolto attento dei gemiti inesprimibili dello Spirito che riecheggiano, spesso nascosti, nel popolo di Dio”,

la ricetta di Francesco per le varie tappe del percorso sinodale:

“Chiediamo allo Spirito il dono dell’ascolto per i partecipanti al Sinodo: ascolto di Dio, fino a sentire con lui il grido del popolo; ascolto del popolo, fino a respirarvi la volontà a cui Dio ci chiama”.

Senza il silenzio e la preghiera “l’ecumenismo è sterile”, ricorda il Papa citando ancora una volta, mutuandolo dal Vangelo di Giovanni, il comandamento dell’unità coniato da Gesù, che “ha pregato perché i suoi discepoli siano una sola cosa”. “Il silenzio fatto preghiera ci permette di accogliere il dono dell’unità come Cristo la vuole, con i mezzi che lui vuole, non come frutto autonomo dei nostri sforzi e secondo criteri puramente umani”, spiega Francesco, secondo il quale “più ci rivolgiamo insieme al Signore nella preghiera, più sentiamo che è Lui a purificarci e ad unirci al di là delle differenze”. “L’unità dei cristiani cresce in silenzio davanti alla croce, proprio come i semi che riceveremo e che raffigurano i diversi doni elargiti dallo Spirito Santo alle varie tradizioni”, osserva il Papa: “a noi il compito di seminarli, nella certezza che Dio solo dona la crescita. Saranno un segno per noi, chiamati a nostra volta a morire silenziosamente all’egoismo per crescere, attraverso l’azione dello Spirito Santo, nella comunione con Dio e nella fraternità tra di noi”. “Chiediamo, nella preghiera comune, di imparare nuovamente a fare silenzio: per ascoltare la voce del Padre, la chiamata di Gesù e il gemito dello Spirito”, la preghiera finale:

“Chiediamo che il Sinodo sia kairós di fraternità, luogo dove lo Spirito Santo purifichi la Chiesa dalle chiacchiere, dalle ideologie e dalle polarizzazioni”.

#Together – Raduno del popolo di Dio. Veglia di preghiera ecumenica. La testimonianza di Federica da Padova pic.twitter.com/O6ltiaqe7M

— SIR (@agensir) September 30, 2023

In sala “The Palace” di Roman Polański, su Netflix la docuserie “Vasco Rossi. Il Supervissuto”

Sab, 30/09/2023 - 14:51

Vite giocate al massimo. Questo è il filo rosso che lega le due proposte della settimana tra cinema e piattaforma. Anzitutto in sala c’è la commedia grottesca “The Palace” di Roman Polański, presentata fuori Concorso a Venezia80. Con un ricco cast corale, tra cui Oliver Masucci, Fanny Ardant, Luca Barbareschi e Mickey Rourke, il film offre l’istantanea tragicomica di un’umanità buffa e disgraziata che si ritrova a festeggiare il Capodanno del 2000. Con non pochi rimandi all’eccellente “Triangle of Sadness” (2022) e al brillante “C’est la vie. Prendila come viene” (2017), “The Palace” è racconto dall’andamento brioso,  ma non sempre solido e a fuoco. Vera sorpresa della settimana è la docuserie Netflix “Vasco Rossi. Il Supervissuto”, un intenso ritratto del rocker di Zocca che ha accettato di raccontarsi tra palco e vita privata con grande generosità e autenticità, esplorando anche le zone d’ombra del suo vissuto. Cinque episodi grintosi, coinvolgenti, che ripercorrono cronologicamente le tappe di una carriera, di una vita, fuori dal comune. Una docuserie che lascia il segno. Il punto Cnvf-Sir.

“The Palace” (Cinema, 28.09)

Ha da poco compiuto novant’anni il regista polacco Roman Polański, classe 1933, un autore che dimostra di possedere sempre una chiara forza espressiva e narrativa. Sessant’anni di carriera alle spalle, dal folgorante esordio nel 1962 con “Il coltello nell’acqua”, seguito da titoli che ne hanno consolidato talento e consenso come “Chinatown” (1974), “Il pianista” (2002, Oscar miglior regia, attore Adrien Brody e sceneggiatura non originale), senza dimenticare i recenti gioielli come “Carnage” (2011) e “L’ufficiale e la spia” (2019). All’80a Mostra del Cinema della Biennale di Venezia ha presentato fuori Concorso un progetto cui teneva da tempo, ma che rimandava nella realizzazione: è la commedia tagliente “The Palace”, prodotta da Luca Barbareschi e da Rai Cinema. A firmare il copione è lo stesso regista insieme a Jerzy Skolimowski e Ewa Piaskowska.
La storia. Svizzera, 31 dicembre 1999. Nel lussuoso Palace Hotel fervono i preparativi per l’atteso e temuto Capodanno che apre al nuovo Millennio. Il manager della struttura Hansueli (Oliver Masucci), deve fronteggiare nel corso della lunga giornata e dell’animata notte di festeggiamenti una sequela di imprevisti dal sapore tragicomico. Nell’albergo converge infatti un’umanità opulenta, scomposta e sgraziata, in cerca di frivolezze ed evasione, cui si contrappongono gli sforzi senza sosta del personale della struttura…
“Per quasi mezzo secolo – ha raccontato Polański – ho frequentato un luogo in Svizzera dove si trova un hotel di lusso. Ho osservato la vita di questo albergo, dove soggiorna un’élite estremamente ricca e poliglotta, attorno alla quale si muove il proletariato dell’hotel. Questi due mondi sono, a loro modo, esilaranti, a volte persino grotteschi. Tutto li separa, a partire dalle loro opinioni politiche. Li unisce solo la figura del direttore dell’albergo, che si prende cura di tutti e cerca di accontentare tutti”.
Le intenzioni di Roman Polański sono chiare: comporre un quadro sociale esilarante, sguaiato e raggelante. Un’umanità fuori controllo che si presenta all’appuntamento del nuovo Millennio con timore e irriverenza. Di lì a poco il mondo cambierà velocità e passo. In questo ritratto, il regista sembra richiamare il recente successo di Ruben Östlund “Triangle of Sadness” (2022, Palma d’oro a Cannes75) come pure il brillante “C’est la vie. Prendila come viene” (2017) del duo Olivier Nakache e Éric Toledano.
Le qualità della regia di Polański non si discutono: è un grande maestro del cinema europeo. A ben vedere, il suo film “The Palace” non gira perfettamente a livello narrativo: le situazioni e i tanti i personaggi che mette in scena non sempre trovano adeguato approfondimento e incisività. E laddove la storia sembra incedere con difficoltà, sono gli attori a corroborarne intensità e dinamica: in testa Oliver Masucci, Fanny Ardant, Milan Peschel, Bronwyn James, Luca Barbareschi e Mickey Rourke. Nell’insieme, “The Palace” risulta un’opera brillante e godibile con quel suo tono ironico e pungente, una commedia nera che sconfina spesso nel grottesco; una proposta interessante, che però perde smalto e forza nello svolgimento. Complesso, problematico, per dibattiti.

“Vasco Rossi. Il Supervissuto” (Netflix, 27.09)

Che meraviglia la docuserie “Vasco Rossi. Il Supervissuto”, tra i titoli di punta della nuova stagione di Netflix, una produzione Solaris Media e Except. Non si tratta di un semplice racconto biografico di un artista della scena musicale: la docuserie offre un ritratto profondo e dettagliato del rocker italiano, partito da Zocca e arrivato a riempire gli stadi con concerti evento – su tutti Modena Park del 2017, dove tocca il record internazionale di presenze con le oltre 220 mila partecipanti – in quarantacinque anni di carriera, iniziata alla fine degli anni ’70.
Vasco si racconta con onestà, senza filtri, tratto distintivo del suo carattere ma anche del suo stile musicale: si mette in dialogo con la macchina da presa, dunque con lo spettatore, in una conversazione fiume – la docuserie è stata realizzata in due anni, durante la pandemia – tesa a ripercorrere le origini, la comunità di amici di Zocca nel modenese, le ambizioni, i sodalizi musicali (tra i tanti, quello con Gaetano Curreri), il rapporto con la moglie Laura Schmidt – l’unico amore di Vasco, la sua “scelta rivoluzionaria” –, il legame d’amicizia e impegno sociale con don Luigi Ciotti.
Vasco si mette in dialogo su tutti i temi, anche i più scomodi: ripercorre il periodo di uso della droga e l’esperienza del carcere, la depressione, il pensiero della morte, la malattia virale che lo ha costretto a un lungo ricovero, fino al duro impatto con il Covid-19 e l’isolamento sociale. L’artista non si nega, in niente, apre il suo cassetto della memoria e lo scandaglia a fondo.
E ancora, la bellezza della docuserie “Vasco Rossi. Il Supervissuto” risiede proprio in questo flusso di coscienza, di ricordi, che viaggia torrenziale e coinvolgente, capace di ricomprendere anche l’atto creativo di molti suoi brani divenuti poi cult. Il rocker svela come a ispirarlo sia sempre stata la realtà, la vita di tutti i giorni: dall’osservare una corriera dalla sua finestra di casa allo sguardo che si perde su una vallata, alla perdita di un amico caro. La vita, insomma, in tutta la sua forza, bellezza e tragicità. Questo è alla base della vis poetica di Vasco Rossi, che lo ha portato a scrivere canzoni sempreverdi come: “Albachiara”, “Bollicine”, “C’è chi dice no”, “Gli angeli”, “Sally”, “Siamo soli”, “Un senso”, “Eh… già”, “Una canzone d’amore buttata via”, sino all’inedito “Gli sbagli che fai”.
La docuserie, diretta da Pepsy Romanoff (Giuseppe Romano) e scritta dallo stesso regista insieme a Igor Artibani e Guglielmo Ariè, è un racconto che nelle cinque puntate mantiene un andamento compatto, cronologico, puntellato da una grafica fresca e da un montaggio equilibrato, sapiente, che mescola materiale di repertorio, immagini private e sequenze dell’intervista che Vasco Rossi ha rilasciato per il progetto. Entrano poi in campo, qua e là, anche i volti cari del mondo del rocker: dalla moglie Laura al figlio Luca, al sodale Gaetano Curreri; ancora don Luigi Ciotti, Valentino Rossi, gli amici di infanzia e i membri del team musicale del “Blasco”.
Al di là se si ami o meno lo stile e il repertorio del rocker modenese, la docuserie “Vasco Rossi. Il Supervissuto” risulta un racconto bellissimo, denso e arioso, che esplora la grandezza dell’artista, il suo fermento poetico-creativo, ma anche le tante fragilità dell’uomo. Un ritratto sfaccettato, dalla confezione forse un po’ “patinata” ma di certo dall’anima sincera, lontano dal banale. Una docuserie da vedere, e sì anche da canticchiare. Consigliabile, problematica, per dibattiti.

La supplica alla Madonna di Pompei: una preghiera di pace

Sab, 30/09/2023 - 14:47

“O Augusta Regina delle Vittorie, o Sovrana del Cielo e della Terra, al cui nome si rallegrano i cieli e tremano gli abissi”. Sono i primi versi della celebre Supplica alla Regina del Santo Rosario di Pompei, che domani, a Pompei, è presieduta da mons. Giuseppe Baturi, arcivescovo di Cagliari e segretario generale della Conferenza episcopale italiana, accolto dall’arcivescovo della Città mariana, mons. Tommaso Caputo. La preghiera si recita infatti, solennemente, in due giorni all’anno: l’8 maggio e la prima domenica di ottobre. A comporla, nel 1883, fu il beato Bartolo Longo, fondatore del Santuario, delle Opere di carità e della stessa nuova Città di Pompei. Nel mese di settembre di quell’anno, Papa Leone XIII aveva pubblicato la lettera enciclica “Supremi Apostolatus Officio” e Longo era entusiasta di quel documento pontificio che gli sembrava un implicito imprimatur a tutta la sua attività. Erano gli anni in cui il Beato continuava a guidare la costruzione del Santuario di Pompei e dare tutto se stesso per la propagazione del Santo Rosario e della devozione mariana.

Leone XIII chiedeva ai cattolici un deciso impegno spirituale nel fronteggiare i mali della società e indicava la preghiera del Rosario come strumento sicuro per il bene della comunità umana e della Chiesa, travagliata da “gravi calamità”.

La “Supplica alla potente Regina del Santissimo Rosario” fu recitata la prima volta il 14 ottobre 1883. Il primo pontefice a recitarla, insieme ai dignitari vaticani, fu, alle 12 dell’8 maggio 1915, nella Cappella Paolina, Papa Benedetto XV, che tanto apprezzava lo zelo del fondatore e il bene compiuto nella Valle pompeiana. Questa bella tradizione proseguì con i pontefici successivi e Papa Francesco, all’Angelus o nell’udienza generale del mercoledì, ha sempre un pensiero per Pompei, unendosi spiritualmente alla recita della Supplica. Bartolo Longo definì la preghiera “l’Ora del mondo”, un’espressione efficacissima per far comprendere la sua capillare diffusione. Tradotta in decine di lingue, dall’inglese al russo, dall’armeno al cinese, dall’urdu al maltese e al tamil, è un’orazione universale recitata da milioni di persone da New York a Buenos Aires, da Toronto a Sydney, da Johannesburg a Caracas.

E, nel difficile contesto storico nel quale viviamo, non va dimenticato che la Supplica fu considerata, sin dagli inizi, una preghiera di pace.

Non erano tempi facili neanche quelli del fondatore del Santuario, che da un lato vedeva il diffondersi di teorie contrarie alla fede cattolica e, dall’altro, l’iniziale germe della divisione tra gli Stati che porterà all’immane tragedia della Prima Guerra mondiale. Nel testo Longo implorava pietà per le “nazioni traviate” e chiedeva che la Vergine, “Regina di pace e di perdono”, concedesse “pace all’umana società”. La Supplica è recitata abitualmente dinanzi alla Facciata del Santuario, inaugurata il 5 maggio 1901 dallo stesso Longo. In cima fu posta una statua, realizzata dallo scultore Gaetano Chiaromonte, raffigurante la Madonna del Rosario ai cui piedi fu posta, quasi come un’invocazione silenziosa, l’inscrizione “Pax” a caratteri cubitali. Descrivendo la Vergine raffigurata nel simulacro, il Beato scrisse: “Con la sinistra vi porge l’arma della Pace che soggioga il mondo, il Rosario, arma di fratellanza, unione dei cuori, amore che conquide il mondo”.

21 nuovi cardinali per la Chiesa: la gioia in Piazza San Pietro

Sab, 30/09/2023 - 14:35

Piazza San Pietro caleidoscopio di colori dove predominante è il porpora del collegio cardinalizio da oggi arricchito di 21 nuovi principi della Chiesa. Papa Francesco ha infatti presieduto alle 10 di oggi, sabato 30 settembre, il suo nono Concistoro durante il quale ha imposto la berretta cardinalizia a 21 nuovi porporati: 18 elettori e 3 non elettori. Presenti alla liturgia 12 delegazioni ufficiali da Spagna, Francia, Polonia, Portogallo, Colombia, Argentina, Giordania, Palestina, Sud Sudan, Ordine di Malta e Santo Sepolcro. Per l’Italia era presente il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi. In piazza anche il presidente della Camera dei Deputati Lorenzo Fontana e Romano Prodi. Tra i 12mila fedeli tanti familiari e amici dei nuovi porporati che con lunghi applausi hanno manifestato la loro gioia nel momento in cui Bergoglio imponeva a ciascuno lo zuccotto e la berretta prima di consegnare l’anello e assegnare il titolo cardinalizio.

In fila per le visite di cortesia c’è anche il sindaco di Andria, Giovanna Bruno, che non vede l’ora di congratularsi personalmente con padre Ángel Fernández Artime, rettor Maggiore della Congregazione Salesiana e X Successore di Don Bosco. Ex allieva dei salesiani e amica del cardinale Bruno, accompagnata dalla famiglia, è arrivata a Roma nella serata di ieri.

“Quando il Papa ha scandito il nome di padre Angel ho provato un’emozione grandissima – afferma -. Ha un carisma eccezionale e non ci sono parole per descrivere quello che provo nel sapere che è tra quelli ai quali il Papa ha affidato la Chiesa del futuro inviandoli ad essere incarnazione del Vangelo”. Le fa eco Luciana secondo la quale padre Angel “incarna la spiritualità e il metodo educativo di don Bosco. Con i ragazzi ha una capacità unica di rapportarsi. Un amico sincero che sa essere severo se serve”.

Ida si commuove ripensando al momento in cui ha visto il neo cardinale Protase Rugambwa inginocchiato davanti a Francesco. È arrivata con la famiglia da Sessa Aurunca, provincia di Caserta.

“Lo conosciamo da anni – ricorda -, non era ancora sacerdote. È un pastore eccezionale siamo davvero molto felici per lui”. Giovanni descrive il nuovo cardinale come un sacerdote “umile, sempre disponibile all’ascolto, accogliente. Per la Chiesa è una grande ricchezza”. Angela è invece “in festa” per il patriarca di Gerusalemme dei Latini Pierbattista Pizzaballa.
“La sua grande capacità di dialogo ecumenico mi ha sempre affascinato – dice -. La creazione a cardinale credo darà una spinta ulteriore al grande lavoro che sta facendo a Gerusalemme”.

Papa Francesco ai nuovi cardinali: “Evangelizzatori ed evangelizzati, non funzionari”

Sab, 30/09/2023 - 12:03

“Evangelizzatori ed evangelizzati, e non funzionari!”. Con questo invito a braccio, dal sagrato di piazza San Pietro, Papa Francesco ha sintetizzato il compito delle 21 nuove porpore – tutti presenti in piazza tranne il card. Louis Pascual Dri, assente per motivi di salute – da lui create nel suo nono Concistoro. Alla vigilia del Sinodo, prima di consegnare la berretta, l’anello e il titolo o la diaconia a ciascun neocardinale, Bergoglio nell’omelia ha chiesto al Collegio cardinalizio di “assomigliare a un’orchestra sinfonica, che rappresenta la sinfonicità e la sinodalità della Chiesa”. Con le 21 nuove porpore il Collegio Cardinalizio è composto di 242 cardinali, di cui 137 elettori e 105 non elettori. 142 i cardinali creati da Francesco dall’inizio del pontificato.

“Riscoprire con stupore il dono di aver ricevuto il Vangelo nelle nostre lingue. Ripensare con gratitudine al dono di essere stati evangelizzati

e di essere stati tratti da popoli che, ciascuno a suo tempo, hanno ricevuto il Kerygma, l’annuncio del mistero di salvezza, e accogliendolo sono stati battezzati nello Spirito Santo e sono entrati a far parte della Chiesa. La Chiesa Madre, che parla in tutte le lingue, che è una ed è cattolica”. E’ il primo invito del Papa nell’omelia del Concistoro, in cui Francesco – sulla scorta del brano evangelico della Pentecoste – ha affermato che,

“prima di essere apostoli, prima di essere sacerdoti, vescovi, cardinali, siamo ‘Parti, Medi, Elamiti’

eccetera eccetera. E questo dovrebbe risvegliare in noi lo stupore e la riconoscenza per aver ricevuto la grazia del Vangelo nei nostri rispettivi popoli di origine”. Per Francesco, questa lezione è “molto importante e da non dimenticare”: “Perché lì, nella storia del nostro popolo, direi nella carne del nostro popolo, lo Spirito Santo ha operato il prodigio della comunicazione del mistero di Gesù Cristo morto e risorto. Ed è arrivato a noi nelle nostre lingue, sulle labbra e nei gesti dei nostri nonni e dei nostri genitori, dei catechisti, dei sacerdoti, dei religiosi… Ognuno di noi può ricordare voci e volti concreti”.

“La fede viene trasmessa in dialetto, dalle mamme e dalle nonne:

“non dimenticatevi questo, la fede viene trasmessa in dialetto, cioè, dalle mamme e dalle nonne”, ha ribadito il Papa, secondo il quale “siamo evangelizzatori nella misura in cui conserviamo nel cuore lo stupore e la gratitudine di essere stati evangelizzati. Anzi, di essere evangelizzati, perché in realtà si tratta di un dono sempre attuale, che chiede di essere continuamente rinnovato nella memoria e nella fede”.

“La Chiesa non vive di rendita, e tanto meno di un patrimonio archeologico, per quanto prezioso e nobile”,

il monito di Francesco: “La Chiesa, e ogni battezzato, vive dell’oggi di Dio, per l’azione dello Spirito Santo”. La Pentecoste – come il Battesimo di ciascuno di noi – “non è un fatto del passato, è un atto creativo che Dio rinnova continuamente”. ”Anche l’atto che stiamo compiendo qui adesso, ha senso se lo viviamo in questa prospettiva di fede”, ha proseguito Francesco riferendosi alla creazione dei 21 nuovi cardinali: “E oggi, alla luce della Parola, possiamo cogliere questa realtà: voi neocardinali siete venuti da diverse parti del mondo e lo stesso Spirito che fecondò l’evangelizzazione dei vostri popoli, ora rinnova in voi la vostra vocazione e missione nella Chiesa e per la Chiesa”. L’immagine scelta dal Papa è quella dell’orchestra:

“il Collegio Cardinalizio è chiamato ad assomigliare a un’orchestra sinfonica, che rappresenta la sinfonicità e la sinodalità della Chiesa”.

“Dico anche la ‘sinodalità, non solo perché siamo alla vigilia della prima Assemblea del Sinodo che ha proprio questo tema, ma perché mi pare che la metafora dell’orchestra possa illuminare bene il carattere sinodale della Chiesa”, ha precisato Francesco: “Una sinfonia vive della sapiente composizione dei timbri dei diversi strumenti: ognuno dà il suo apporto, a volte da solo, a volte unito a qualcun altro, a volte con tutto l’insieme”. “La diversità è necessaria, è indispensabile. Ma ogni suono deve concorrere al disegno comune”, la raccomandazione del Papa che suona in chiave sinodale: “E per questo è fondamentale l’ascolto reciproco: ogni musicista deve ascoltare gli altri. Se uno ascoltasse solo sé stesso, per quanto sublime possa essere il suo suono, non gioverà alla sinfonia; e lo stesso avverrebbe se una sezione dell’orchestra non ascoltasse le altre, ma suonasse come se fosse da sola, come se fosse il tutto”. “E il direttore dell’orchestra è al servizio di questa specie di miracolo che ogni volta è l’esecuzione di una sinfonia”, ha spiegato Francesco: “Deve ascoltare più di tutti gli altri, e nello stesso tempo il suo compito è aiutare ciascuno e tutta l’orchestra a sviluppare al massimo la fedeltà creativa, fedeltà all’opera che si sta eseguendo, ma creativa, capace di dare un’anima a quello spartito, di farlo risuonare nel qui e ora in maniera unica”.

“Ci fa bene rispecchiarci nell’immagine dell’orchestra, per imparare sempre meglio ad essere Chiesa sinfonica e sinodale”,

la proposta ai membri del Collegio cardinalizio, “nella consolante fiducia che abbiamo come maestro lo Spirito Santo: maestro interiore di ognuno e maestro del camminare insieme. Lui crea la varietà e l’unità, lui è la stessa armonia”. “San Basilio cerca una sintesi quando dice: ‘ipse harmonia est”, l’aggiunta a braccio.

Polonia verso le urne: sovranismo, valori, Europa e guerra in Ucraina

Sab, 30/09/2023 - 10:11

In Polonia più della metà dei giovani e degli adulti tra i 18 e 49 anni (5 milioni di elettori circa) dichiara di non avere l’intenzione di recarsi alle urne il 15 ottobre prossimo. Al contempo, più di 7 milioni di votanti ultracinquantenni sono pronti a recarsi alle urne e, secondo i sondaggi, ad appoggiare il Pis (Diritto e giustizia), l’attuale partito di maggioranza di Jarosław Kaczyński. Così, alcuni sondaggisti temono che la grande “festa della democrazia” polacca assomiglierà piuttosto (con tutto il rispetto) alla… Giornata dei nonni.

Camera e Senato. A giugno di quest’anno, gli elettori erano poco meno di 30 milioni, ai quali si potrebbero aggiungere i circa 15 milioni di potenziali votanti residenti all’estero, i quali anche se parteciperanno alle elezioni, probabilmente non riusciranno a influenzare l’andamento generale del suffragio. Nelle 41 circoscrizioni, assai disuguali dal punto di vista del numero di eletti al Parlamento, composto dalla Camera bassa e dal Senato (ma con il ruolo prevalente della prima), da votare sono 460 seggi per i deputati e 100 quelli senatoriali.

Partiti e sbarramenti. Gli elettori possono scegliere tra 7 liste presenti su tutto il territorio nazionale. Per l’attuale partito di maggioranza relativa Pis, come per altri quattro partiti che si presentano singolarmente, la soglia di sbarramento per eleggere propri rappresentanti al Parlamento è del 5%. I due principali schieramenti dell’opposizione, in quanto coalizioni elettorali (KO – Coalizione civica con Indipendentisti e Verdi, e la coalizione della Polonia 2050 con il partito di agricoltori – Psl) devono invece superare la soglia dell’8%.

Politica, valori, religione. Il partito Diritto e giustizia, guidato da Kaczyński, e al quale appartengono sia l’attuale premier Mateusz Morawiecki che il presidente della Repubblica Andrzej Duda (in carica fino al 2025), alla vigilia del voto ha deciso di abbassare i tassi di interesse bancari e i prezzi della benzina, e promette sempre più aiuti, agevolazioni e sostegni alla popolazione (in parte difficilmente realizzabili). Spera di convincere in tal modo soprattutto pensionati o famiglie con figli. Evocando la sovranità nazionale contro i dettami di Bruxelles, Kaczyński rinforza anche il sentimento nazional popolare e antieuropeista. Rivolgendosi a chi ancora risente il peso della difficile storia dei conflitti del secolo scorso contro la Russia, la Germania, e l’Ucraina, a quasi ottant’anni dalla fine della seconda guerra mondiale, ma in considerazione dell’aggressione della Russia contro l’Ucraina, si richiama allo spirito patriottico dei polacchi e rilancia i valori tradizionali, ricordando la figura di Giovanni Paolo II, e non esitando a fare comizi persino dal celebre santuario mariano di Jasna Góra.

Voto “senza compromessi”. In molte parrocchie, soprattutto rurali, il voto dato al Pis viene promosso come strada più sicura. D’altro canto il “Vademecum dell’elettore cattolico”, pubblicato dal Consiglio per le questioni sociali dell’episcopato polacco, avverte che per quanto concerne “i valori non negoziabili che riguardano l’essenza dell’ordine morale” il cattolico non può “scendere a compromessi”. Elencando le questioni fondamentali come il diritto alla vita, la difesa della famiglia monogama di due persone di sesso opposto, il primato dei genitori nell’educazione dei figli, la libertà di coscienza e quella religiosa, la pace e la contrarietà all’economia “che uccide”, il documento sottolinea la necessaria “ispirazione religiosa” delle scelte elettorali.

Muri verso i migranti. Come racconta il film di Agnieszka Holland “Green border”, premiato a Venezia, la campagna elettorale si riverbera anche sugli immigrati asiatici e mediorientali che – alla ricerca di una vita migliore – varcano la frontiera polacco-bielorussa, e vengono respinti poiché considerati elemento di guerra ibrida, portata avanti dalla Russia e dai suoi alleati, e volta a destabilizzare l’Occidente. Il mantenimento del muro di 5 metri costruito dalla Polonia lungo il confine con la Bielorussia, e raccontato dalla Holland, è l’oggetto di uno dei quattro quesiti referendari che accompagnano il voto parlamentare con l’obiettivo di attirare ai seggi coloro che temono il ricollocamento in Polonia dei migranti africani e asiatici illegalmente arrivati in Europa.

Forze politiche e sondaggi. Come potenziale futuro alleato del Pis viene considerata la Confederazione per la libertà e l’indipendenza (Konfederacja Wolność i Niepodległość) che, sempre stando ai sondaggi, può contare sull’appoggio di oltre il 20% dei giovani, convinti dalla radicalità delle posizioni di ultra destra, così come dalla giovane età dei dirigenti di partito. In gioco c’è anche il partito della Polonia unita (Polska jest jedna) costituito solo nel 2021 ma, con la parola d’ordine “Dio patria e famiglia”, già presente su tutto il territorio nazionale.

Il leader dell’opposizione polacca Donald Tusk (Foto ANSA/SIR)

Tusk guida la Coalizione civica. La Coalizione civica (KO) può contare su un appoggio dei giovani pari al 27% circa. Altrettanti sarebbero i potenziali voti degli elettori ultra 50enni. Tuttavia, oltre a lanciare degli slogan pro europeisti e contestare il programma del Pis, il leader Donald Tusk (che tra il 2007 e il 2014 era stato presidente del Consiglio dei ministri polacco, per poi passare alla guida del Consiglio europeo) non ha saputo finora proporre un piano organico di lavoro del suo eventuale governo. Alcuni osservatori ritengono che non si possa escludere una futura alleanza di KO con il partito della Nuova sinistra.

Varsavia-Bruxelles, partita aperta. Il voto del 15 ottobre in Polonia è sotto la lente di ingrandimento delle istituzioni europee. I rapporti Varsavia-Bruxelles sono spesso tesi. L’Ue contesta all’attuale governo polacco di non rispettare i trattati e lo stato di diritto. Il governo pone dinanzi gli interessi nazionali rispetto a quelli comunitari. La guerra nella vicina Ucraina non facilita certo i rapporti. La partita rimane aperta.

Regno Unito: Enchelmaier (Un. Oxford), “con Brexit la nostra economia è una gomma della bici che si sta sgonfiando”

Sab, 30/09/2023 - 10:11

Il professor Stefan Enchelmaier, docente di Diritto romano e comparato all’Università di Oxford, è appena tornato da una vacanza sulle isole greche e si ritiene molto fortunato. “Molti dei miei colleghi, quest’anno, sono rimasti a casa perché l’aumento dell’interesse sul costo dei mutui, dovuto alla disastrosa politica finanziaria dell’ex premier Liz Truss, li mette a rischio di finire nei debiti e potrebbe costringerli a vendere la casa”. Con il docente approfondiamo la questione…

(Foto Lincoln College Oxford)

Il declino, negli standard di vita, dei professori universitari è una situazione diffusa anche in altri atenei?
Certo. A Oxford siamo molto privilegiati perché la nostra è un’università ricca, con tante proprietà, che garantisce ai suoi professori uno stipendio; mentre, negli atenei meno noti, i docenti sono alla costante ricerca di fondi per autofinanziarsi. Il governo ha fissato un limite di 9.250 sterline all’anno, oltre 10.800 euro, per le tasse che gli studenti britannici devono pagare, una somma ferma da dieci anni e non sufficiente a coprire tutti i costi di un’università.

Che impatto ha avuto la Brexit su questa situazione?
Disastroso. Le università britanniche hanno perso miliardi di fondi per la ricerca provenienti dai programmi europei. Non solo. Gli studenti europei che vogliono venire nel Regno Unito sono diminuiti perché, prima della Brexit pagavano le stesse tasse dei britannici e, adesso, devono sborsare oltre 22.000 sterline, quasi 26,000 euro all’anno. Siamo costretti a dipendere dagli studenti asiatici, cinesi soprattutto, che, spesso, sono riuniti in società che non hanno a cuore la libertà di parola e protestano quando, in una conferenza o un convegno, mettiamo un punto di domanda sui diritti umani in Cina.

La difficile situazione degli atenei sembra rientrare in un quadro più ampio di danni economici provocati dalla Brexit. È d’accordo?
Senza dubbio. Definirei l’economia del Regno Unito, dopo l’uscita dalla Ue, come la gomma di una bicicletta che si sta sgonfiando lentamente. Il nostro Pil è ancora al di sotto dei livelli pre pandemici e destinato a scendere ulteriormente. Le piccole e medie aziende, il motore di un’economia, non commerciano più con l’Europa perché non sono in grado di accollarsi i costi delle formalità burocratiche. Benché i governi Tory abbiano promesso di chiudere le frontiere, le statistiche ci dicono che i livelli di immigrazione sono aumentati nel post Brexit. Ma, ad arrivare, invece della manodopera qualificata europea, sono persone non utili al mercato del lavoro. Siamo tornati indietro di decenni, a quando dovevi aspettare settimane per trovare un idraulico disponibile. I lavoratori, dai medici ai conducenti dei treni, dai postini agli insegnanti, sanno di essere indispensabili. Il loro stipendio non è stato aumentato dal 2008, danneggiato per anni dall’inflazione, e scendono in sciopero, come non succedeva dagli anni Settanta, prima che la Thatcher distruggesse il potere dei sindacati. Le ragioni del declino economico britannico sono anche più profonde della Brexit, ma i politici che hanno portato la Gran Bretagna fuori dalla Ue hanno mentito dando la colpa all’Unione europea.

Vede una possibilità che il Regno Unito rientri in Europa?
Nonostante sia un grande amante della Ue, e vorrei che questo avvenisse, non penso proprio che succederà nei prossimi anni. La Ue non è certo disposta a concedere alla Gran Bretagna tutte le eccezioni pre Brexit, sconti sui contributi al budget europeo, non partecipazione all’euro e alla legislazione sulla giustizia criminale. Farlo vorrebbe dire che qualunque Paese può entrare e uscire dall’Europa come vuole. D’altra parte il partito Tory non può ammettere di aver commesso un gravissimo errore, con il referendum del 23 giugno 2016, perché almeno un terzo dei suoi membri sono fanatici euroscettici. Né il partito laburista è disposto a riaprire questo vaso di Pandora che divide il Paese a metà. Per non parlare del fatto che esiste molta ignoranza, nel Regno Unito, su che cosa sia veramente la Ue e, quando si parla di lasciare o rientrare in Europa, molti non sanno di che cosa stanno parlando.

Un collegio sempre più “bergogliano”: sono 142 i cardinali creati dal Papa dall’inizio del pontificato

Sab, 30/09/2023 - 09:58

Come di consueto, Francesco lo ha annunciato a sorpresa, anche degli interessati. Era infatti domenica 9 luglio quando il Papa annunciava per il 30 settembre un nuovo concistoro e la creazione di 21 nuovi cardinali di Santa Romana Chiesa, 19 dei quali con meno di ottanta anni e quindi abili a partecipare ad un eventuale Conclave. Si tratta del nono concistoro dell’attuale pontefice, quasi uno per ogni anno di pontificato (non ce ne sono stati nel 2013 e nel 2020). Un collegio cardinalizio quindi sempre più “bergogliano”. Dopo quello di oggi infatti, Francesco avrà creato in totale 142 cardinali di cui 137 elettori (99 nominati da Francesco, 29 da Benedetto XVI e 9 da Giovanni Paolo II), che scenderanno già a 136 il giorno successivo il 1° ottobre quando il porporato Patrick D’Rozario del Bangladesh taglierà il traguardo degli 80 anni.

Libero dalle logiche delle cosiddette diocesi cardinalizie, Francesco ha privilegiato, come sempre, nomine ad personam e le sedi periferiche.

“La loro provenienza – ribadiva Francesco all’Angelus del 9 luglio scorso – esprime l’universalità della Chiesa, che continua ad annunciare l’amore misericordioso di Dio a tutti gli uomini della Terra”.

I nuovi porporati infatti provengono in maggioranza dall’Europa (otto); tre ciascuno giungono da Africa, Asia e America latina mentre uno solo arriva dell’America del Nord. Se si considera poi il patriarca di Gerusalemme mons. Pizzaballa in quota asiatica, c’è solo un italiano ad accrescere le fila dei cardinali del nostro Paese che diventeranno 14 su 137 rispetto ai ventotto su centoquindici presenti nel conclave del 2013. Da uno sguardo d’insieme quindi, dopo questo concistoro, l’Europa sarà rappresentata da cinquantadue elettori, l’Asia e l’America latina da ventiquattro ciascuna, l’Africa da diciannove, l’America del Nord da quindici e l’Oceania da tre.

Un nuovo concistoro nuove curiosità.
Anzitutto per la prima volta, la berretta arriva in Sud Sudan (Juba), in Tanzania (Tabora), in Malesia (Penang), in Polonia (Lodz) e nel patriarcato di Gerusalemme dei Latini.

Continuerà ad avere la porpora l’arcivescovo di Bogotà in Colombia, torneranno invece ad averla quelli di Cordoba in Argentina, Cape Town in Sud Africa e il vescovo di Hong Kong.

Altra prima volta riguarda i frati minori conventuali, che avranno ben due cardinali. Salgono a due porpore anche i gesuiti mentre si aggiunge un salesiano tra gli elettori. Nel nuovo Collegio cardinalizio quindi i figli di Sant’Ignazio supereranno quelli di don Bosco di una sola unità (6 a 5) anche se, entro il 2024, saranno nuovamente sorpassati, visto che un paio di gesuiti compiranno 80 anni. Da notare poi che nel nuovo collegio , dopo oltre centovent’anni, torna un agostiniano.

Infine, dopo il concistoro di oggi, Madrid avrà un nuovo cardinale, anche se l’emerito ha meno di 80 anni.

Ecco i 18 nuovi cardinali elettori, che diverranno tali solo dopo il Concistoro del 30 settembre. Dodici hanno meno di 65 anni, in 6 sono cinquantenni:

– Robert Francis Prevost, 68 anni, statunitense, agostiniano, arcivescovo-vescovo emerito di Chiclayo in Perù, dall’aprile 2020 prefetto del Dicastero per i vescovi;
– Claudio Gugerotti, 68 anni, arcivescovo, già nunzio apostolico in Bielorussia, in Ucraina e in Gran Bretagna, dal gennaio scorso Prefetto del Dicastero per le Chiese Orientali;
– Víctor Manuel Fernandez, 61 anni, argentino, arcivescovo emerito di La Plata, lo scorso 1° luglio nominato Prefetto del Dicastero per la Dottrina della Fede;
– Emil Paul Tscherrig, 76 anni, svizzero, arcivescovo, nunzio apostolico in Italia dal 2017 dopo esserlo stato in Argentina dal 2012;
– Christophe Louis Yves Georges Pierre, 77 anni, francese, arcivescovo, nunzio apostolico negli Stati Uniti dal 2016;
– Pierbattista Pizzaballa, 58 anni, frate minore, originario della provincia di Bergamo, dal 2020 Patriarca latino di Gerusalemme dopo essere stato amministratore apostolico dal 2016;
– Stephen Brislin, 67 anni, dal 2009 arcivescovo di Città del Capo (Kaapstad) in Sud Africa;
– Ángel Sixto Rossi, 65 anni, gesuita, dal 2019 arcivescovo di Córdoba in Argentina;
– Luis José Rueda Aparicio, 61 anni, dal 2020 arcivescovo di Bogotá in Colombia;
– Grzegorz Rys, 59 anni, dal 2017 arcivescovo di Łódź in Polonia, esponente di spicco dell’ala più moderata dell’episcopato;
– Stephen Ameyu Martin Mulla, 59 anni, dal 2019 arcivescovo di Juba in Sud Sudan;
– José Cobo Cano, 58 anni, da giugno arcivescovo di Madrid in Spagna;
– Protase Rugambwa, 63 anni, dallo scorso aprile arcivescovo coadiutore di Tabora in Tanzania, dopo essere stato dal 2012 segretario aggiunto e dal 2017 segretario di Propaganda Fide;
– Sebastian Francis, 72 anni a novembre, dal 2012 vescovo di Penang in Malesia;
– Stephen Chow Sau-Yan, 64 anni, gesuita, dal 2021 vescovo di Hong Kong in Cina;
– François-Xavier Bustillo, 55 anni a novembre, frate francescano conventuale, originario di Pamplona in Spagna, ha studiato in Italia e Francia dove ha svolto la sua attività pastorale diventando dal 2021 vescovo di Ajaccio in Corsica, autore di un volume (“Testimoni, non funzionari”) più volte citato ed elogiato dal Papa;
– Américo Manuel Alves Aguiar, 50 anni a dicembre, dal 2019 vescovo ausiliare di Lisbona in Portogallo, presidente della Fondazione Gmg di Lisbona;
– don Ángel Fernandez Artime, 63 anni, spagnolo, dal 2013 Rettor Maggiore dei Salesiani.

Questi invece i tre futuri cardinali ultraottantenni e quindi senza diritto di voto:

– Agostino Marchetto, 83 anni, nunzio apostolico, storico del Concilio Vaticano II;
– Diego Rafael Padron Sanchez, 84 anni, arcivescovo emerito di Cumaná in Venezuela;
– padre Luis Pascual Dri, 96 anni, frate cappuccino, confessore nel Santuario di Nostra Signora di Pompei, Buenos Aires (Argentina): è lui il religioso più volte citato da papa Francesco, che si scusava con Gesù per aver perdonato troppo aggiungendo: “Sei stato Tu a darmi il cattivo esempio!”.

Patto antinflazione. Associazioni: “Primo passo ma dobbiamo pensare anche a case e auto”

Ven, 29/09/2023 - 15:59

È stato battezzato “Patto antinflazione” e avrà lo scopo di abbattere i costi per le famiglie italiane alle prese con il carrello della spesa sempre più oneroso. Si tratta di un protocollo d’intesa, firmato dal governo e dalle associazioni della distribuzione e del commercio, che prenderà il via il primo ottobre e terminerà il 31 dicembre. L’accordo era stato promosso già ad agosto su iniziativa di Adolfo Urso, ministro delle Imprese e del Made in Italy. Dai consumatori arriva il plauso ma non senza delle riserve. “L’accordo è sui beni di più largo consumo, quali ad esempio latte, pane o acqua. Di solito quando pensiamo ai consumi ci viene in mente solo la spesa al supermercato, ma nella spesa rientrano anche i farmaci da banco, cioè i prodotti di uso comune con i quali ogni famiglia approccia almeno una volta al mese”, rammenta Fabrizio Premuti, presidente dell’associazione dei consumatori Konsumer Italia. L’accordo è un’iniziativa di orientamento della spesa secondo Premuti che spera però sia seguito da un intervento della politica più consistente. “Mi auguro – afferma – che il governo prenda atto che i consumatori hanno perso il 22% di potere d’acquisto nel 2022. Un calo che impatta sui costi per le famiglie. Andare a calmierare gli interessi sui mutui sarebbe molto più d’impatto – suggerisce -. Va benissimo l’iniziativa, ma non può essere slegata dalle spese strutturali in capo alle famiglie. Su questo il governo deve intervenire”. E infatti, nella lista delle spese mensili degli italiani, oltre agli alimenti i farmaci e le rate del mutuo c’è anche l’acquisto delle auto che spesso avviene tramite finanziamento. “Anche in questo caso – interviene Premuti – è necessario intervenire. Le famiglie pagano anche il 30% in più sulle rate dei mutui che significa eliminare dal 20 al 40% degli stipendi percepiti dai cittadini. In città come Roma, dove si ventila l’ipotesi di costringere i cittadini a cambiare l’auto senza calmierare l’acquisto, la spesa diventa importante, perciò ribadisco che l’iniziativa è importante e rappresenta una forma di responsabilizzazione ma è un primo passo. Dobbiamo infatti pensare ai beni strutturali, come la casa e l’auto, che determinano un aumento di 300 o 400 euro al mese per le famiglie. Se si tratta di una manovra di facciata lo capiremo presto”.

Sulla bontà dell’accordo si esprime anche Donatella Prampolini, vicepresidente della Confcommercio. “A firmare – dice – sono state 12 associazioni che hanno assunto impegni concreti e raccolto le adesioni. Gli altri che hanno presenziato alla firma del protocollo li ho definiti dei ‘simpatizzanti’. Mi riferisco alla parte della produzione, vale a dire l’industria che ha fatto solo un atto di intenti, diverso da un protocollo d’intesa, e l’artigianato. Non hanno firmato e si sono limitati a dire che l’iniziativa è meritoria”. Le associazioni firmatarie hanno preso l’impegno di raccogliere le adesioni, vale a dire i nominativi delle aziende associate che dal 1° ottobre affiggeranno un bollino antinflazione sulle vetrine. “Abbiamo lasciato liberi gli imprenditori, in base alle scelte commerciali, di fare un blocco prezzi o delle promozioni che cambieranno nell’arco dei tre mesi ma che avranno la caratteristica di avere il bene di largo consumo in promozione. C’è Natale di mezzo perciò l’impegno sarà ancora più importante. Per noi è un costo – sottolinea – perché significherà modificare le campagne per andarle a tarare su prodotti che in questo momento sono più funzionali per rendere il carrello più leggero, come i beni per l’infanzia e per l’igiene personale. È un’iniziativa a costo zero per lo Stato, tutta sulle spalle di noi operatori – precisa -. Se non ci sarà una fattiva collaborazione con l’industria sarà difficile vedere una proroga perché al momento c’è solo un impegno di massima. Dipenderà quindi dagli impegni e dall’impatto economico sulle imprese”.

L’elenco degli esercenti e delle farmacie aderenti all’iniziativa è disponibile sul sito del ministero delle Imprese e del Made in Italy (https://www.mimit.gov.it/it/anti-inflazione/elenco-aderenti#:~:text=Il%20trimestre%20anti%2Dinflazione%20è,a%20prezzi%20bloccati%20o%20scontati).

Father Luis Pascual Dri, the new Cardinal confessor: “Forgiveness breeds forgiveness, it is the only remedy”

Ven, 29/09/2023 - 10:18

Interviewing him almost makes you feel “guilty.” In fact, talking to him means distracting him, even if for a few minutes, from his main activity, the one for which he is known throughout Buenos Aires and now the world: hearing the confessions of the faithful who flock every day to the Nueva Pompeya Shrine, in the southern district of the Argentine capital, run by the Capuchin Franciscans. Father Luis Pascual Dri, 96, has not changed his habits since Pope Francis added his name to the list of cardinals last July 9. In fact, the Holy Father chose him precisely for his tireless work as a confessor, for his ability to make visible the welcoming and merciful face of God. Archbishop Jorge Mario Bergoglio had come to appreciate these qualities during his ministry in Buenos Aires.

The Pope has described him as an “icon of the confessor”,

and it is for this reason that he will be made a Cardinal on Saturday September 30, even though he is not a Bishop. In fact, Father Dri’s curriculum is rich and varied, but it is accurate to say that over the years this has become his “field of expertise.”

He was born on April 17, 1927, in Federación, Entre Rios Province, Argentina, in a family where all but one of the children consecrated themselves to God in religious life. In January 1938, at the age of 11, he entered the Capuchin Seminary, where he completed his primary and secondary studies. He entered the novitiate in the district of Montevideo, Nuevo Paris, Uruguay. He received the Capuchin habit on February 21st 1945. In 1949 he made the profession of perpetual vows. On March 29, 1952, he was ordained a priest in the Cathedral of Montevideo. Since then, he has held many positions, as director of seminaries, master of novices, formator, in many different parts of Argentina, with a short period in Europe, in 1961, to specialise as a formator of novices. He served as parish priest on many occasions and at the beginning of the year 2000 he was transferred to the Shrine of Our Lady of Pompeya in Buenos Aires, where he remained for three years before being transferred to Mar del Plata. In 2007 he made his definitive return to the Buenos Aires Shrine.

Today, at the age of 96, he continues to serve the Lord from the confessional, where he spends many hours each day administering the Sacrament of Reconciliation.

“No, I will not be in Rome, although I would have liked to embrace Pope Francis,” Father Dri told SIR. “My health will not allow it. I will receive the insignia here in Buenos Aires, the Archbishop has called me and there will be a celebration.” The Capuchin priest uses a wheelchair to move around, but his voice is crystal clear, his reasoning sharp, combined with a considerable amount of irony, mixed with empathy and lively cordiality.

Let’s go back to July 9, two and a half months ago. How did you feel when you received the news?

I was taken completely by surprise. When they first told me this, I thought it was a joke. But when I realised it was true, I started crying a lot, I didn’t know what to say and what to do! Now I am calmer, I realise that the Lord had mercy on me with this recognition.

What is your “secret” as a confessor?

Indeed, I consider myself a tireless confessor. There is a great need for this today. There are so many difficult situations in the world that are spreading and affecting people.

People say of you that you are ‘too good’, that you forgive everyone….

I don’t deny it, but I always say to Jesus: “You are the one who forgave too much, who forgave everybody!”

I try to do what he did. Jesus never denied forgiveness to anyone.

I used to know Archbishop Bergoglio very well, and he has also, so to speak, “forgiven” me for this.

Is hearing confession part of your daily life?

It can be described as my job, from the early hours of the morning. I do my best to be welcoming and to be a listening ear for the faithful. These are years of great uncertainty, marked by a widespread lack of peace and tranquility. It is important to share the love of Jesus. He is at the centre of everything! I learned this as a child, from my mother, who taught me to be a believer. My father died when I was four.

What words do you use to communicate this priority?

I try to teach serenity and inner peace. It is important not to hate, not to hold grudges.

Forgiveness breeds forgiveness and that is the only remedy, even in a situation where the air is polluted with hatred,

as is the case in our Argentina. There are many divisions in society, but also in the Church, and we need to change. Conversion has only one name: the person of Jesus. The relationship with Jesus is what is fundamental, more than ‘religion’, more than the content of catechesis. Everything begins from here, from being one with him. In him we must put our trust, he is peace, he is our life.

Is it true that you admire other famous Capuchin saints, great confessors, such as Leopold Mandic and Pius of Pietrelcina?

I certainly do! I have visited the places of St Leopold in Padua. He died during the war, but he was a great man of peace and communion. He dedicated himself to confession, he humbly promoted reconciliation. I met Saint Padre Pio personally in San Giovanni Rotondo. I made my confession to him in 1961, I spoke to him, and then again in 1968. Both of them are a great inspiration for me in the hearing of confessions.

What did the Pope say to you?

When I told him that I could not come to Rome, he said not to worry! After all, I had the opportunity to be with him for a few days in Santa Marta in 2018. On that occasion, too, I saw him as a father who embraces and blesses, but above all as a brother.

Do you have a final message for us?

Through us, the world must know that God is good, that he always forgives, that we must not be afraid.

(*) journalist at “La vita del popolo”

Padre Luis Pascual Dri, il neocardinale confessore: “Il perdono chiama perdono, è l’unico rimedio”

Ven, 29/09/2023 - 10:18

A intervistarlo, quasi ci si sente “in colpa”. Parlare con lui, significa toglierlo, anche se solo per qualche minuto, dalla sua occupazione principale, quella per cui è conosciuto in tutta Buenos Aires, e d’ora in poi in tutto il mondo: confessare i fedeli che affluiscono ogni giorno al santuario di Nueva Pompeya, nella zona meridionale della capitale argentina, gestito dai francescani cappuccini. Padre Luis Pascual Dri, 96 anni, non ha certo cambiato le sue abitudini, da quando, domenica 9 luglio, Papa Francesco ha incluso il suo nome nell’elenco dei nuovi cardinali. Del resto, la scelta del Santo Padre è caduta su di lui proprio per questa instancabile attività di confessore, per la sua capacità di rendere visibile il volto accogliente e misericordioso di Dio, ben conosciuta dall’arcivescovo Jorge Mario Bergoglio, quando era a Buenos Aires. Il Papa lo ha definito “icona del confessore”, e proprio per questo sabato 30 settembre riceverà la porpora, pur non essendo vescovo. In realtà il curriculum di padre Dri è vasto e variegato, ma con gli anni possiamo dire che questa è diventata la sua “specializzazione”.
È nato il 17 aprile 1927 a Federación, provincia di Entre Ríos (Argentina), in una famiglia dove tutti i figli, tranne uno, si sono consacrati a Dio nella vita religiosa. Entrato nel Seminario dei Cappuccini nel gennaio 1938, quando aveva solo 11 anni, ha compiuto gli studi primari e secondari. Nel quartiere montevideano di Nuevo París, in Uruguay, è entrato in noviziato. Ha vestito l’abito cappuccino il 21 febbraio 1945. Nel 1949 ha emesso la professione perpetua. Il 29 marzo 1952 è stato ordinato sacerdote nella cattedrale di Montevideo. Da allora, numerosi incarichi, come direttore di seminari, maestro dei novizi, educatore, in molte località dell’Argentina, con una parentesi in Europa, nel 1961, per specializzarsi come formatore dei novizi. Più volte è stato parroco, e all’inizio del 2000 è stato trasferito con questo incarico al santuario di Nostra Signora di Pompeya, Buenos Aires, dove ha trascorso tre anni; quindi, il trasferimento a Mar del Plata e, a partire dal 2007, il definitivo ritorno al santuario di Buenos Aires. Oggi, all’età di 96 anni, continua a servire il Signore dal confessionale in cui trascorre ore ogni giorno, amministrando il sacramento della riconciliazione.
“No, non sarò a Roma, anche se avrei abbracciato volentieri Papa Francesco – dice al Sir padre Dri -. Le mie condizioni di salute non me lo consentono. Le insegne mi saranno consegnate qui a Buenos Aires, l’arcivescovo mi ha chiamato e ci sarà una celebrazione”. Il religioso cappuccino si muove in sedia a rotelle, ma la sua voce è cristallina, il suo pensiero lucido, unito a una notevole dose di ironia, mescolata a empatia e viva cordialità.

(foto Santuario Nueva Pompeya)

Torniamo al 9 luglio, due mesi e mezzo fa. Cosa ha provato apprendendo la notizia?
Sono stato colto completamente di sorpresa. Hanno cominciato a dirmi questa cosa, ho pensato che mi stessero facendo uno scherzo. Poi, quando mi sono reso conto che era tutto vero, ho pianto a lungo, non sapevo che dire e che fare! Ora sono più tranquillo, mi rendo conto che il Signore ha avuto compassione di me, con questo riconoscimento.

Qual è il suo “segreto”, come confessore?
Sì, mi ritengo un confessore instancabile. Ce n’è tanto bisogno oggi, in un mondo pieno di tante situazioni difficili, che si moltiplicano e coinvolgono le persone.

Dicono che è “troppo buono”, che perdona tutti…
Non lo nego, ma io dico sempre a Gesù: “Sei tu che hai perdonato troppo, che hai perdonato tutti!”. Io cerco di fare come lui. Gesù non ha negato il perdono a nessuno. Conoscevo bene l’arcivescovo Bergoglio, e anche lui, per così dire, “mi assolveva” per questo.

Confessare, oggi, è la sua vita?
Sì, diciamo che è il mio lavoro, fin dalle prime ore del mattino. Cerco di accogliere la gente, di ascoltare. Viviamo anni contrassegnati da grande incertezza, da mancanza di pace e di tranquillità. È importante trasmettere l’amore di Gesù. È lui il centro di tutto! L’ho appreso da bambino, da mia mamma, che mi ha insegnato a essere credente. Mio padre morì quando avevo quattro anni.

Che parole usa per trasmettere questa priorità?
Cerco di infondere tranquillità e pace interiore. È fondamentale che nell’animo non ci sia odio, non ci sia rancore. Il perdono chiama perdono, e questo è l’unico rimedio, anche di fronte a una situazione in cui l’aria è inquinata dall’odio, come sta accadendo anche nella nostra Argentina. Nella società, ma anche nella Chiesa, ci sono molte divisioni, dobbiamo cambiare. E la conversione ha un solo nome: la persona di Gesù. Il rapporto con Gesù è la cosa fondamentale, più della “religione”, dei contenuti della catechesi. Tutto parte da qui, essere tutt’uno con lui. In lui dobbiamo confidare, lui è la pace, la nostra vita.

È vero che apprezza molto altri celebri santi cappuccini, grandi confessori, come Leopoldo Mandic e Pio di Pietrelcina?
Certamente! Ho visitato i luoghi di san Leopoldo, a Padova. È morto in tempo si guerra, ma era un grande uomo di pace e di comunione. Si dedicò alla confessione, con umiltà promosse la riconciliazione. Padre Pio, l’ho conosciuto personalmente, a San Giovanni Rotondo. Nel 1961 mi confessai da lui, ci parlai, e poi ancora nel 1968. Entrambi mi ispirano, nel confessare.

Cosa le ha detto il Papa?
Quando gli ho comunicato che non avrei potuto venire a Roma, ma ha detto di stare tranquillo! Del resto, ho potuto stare con lui, a Santa Marta, nel 2018, per alcuni giorni. L’ho percepito, anche in quella occasione, come un padre che abbraccia e benedice, ma soprattutto come un fratello.

Ci lascia un suo pensiero conclusivo?
Attraverso di noi il mondo deve sapere che Dio è buono, che perdona sempre, non dobbiamo avere paura.

(*) giornalista de “La vita del popolo”

Unitalsi: 120 anni di amore e di servizio

Ven, 29/09/2023 - 09:43

“120 anni: non sono un traguardo ma solo una tappa che ci spinge ad andare avanti nella nostra missione e nel nostro servizio per la Chiesa italiana al fianco delle persone più vulnerabili come i malati, i sofferenti, gli anziani, i disabili. È il tempo di raccogliere quanto è stato fatto fino ad oggi per trovare ulteriore slancio e guardare così al futuro con speranza e impegno”.

foto SIR/Marco Calvarese

Da Lourdes, dove è in corso (dal 25 al 30 settembre) il pellegrinaggio nazionale 2023, a parlare al Sir è Rocco Palese, presidente dell’Unitalsi, (Unione nazionale italiana trasporto ammalati a Lourdes e santuari internazionali). Centoventi anni e non sentirli, verrebbe da dire ascoltando le sue parole di saluto pronunciate nella chiesa Santa Bernadette di Lourdes durante la messa di apertura del pellegrinaggio:

(Foto Unitalsi)

“Quanti volontari, sorelle d’assistenza, barellieri, medici, in 120 anni hanno dato cuore, speranza, ali e gambe alla nostra Unitalsi. Ricorderemo in questi giorni che il Signore opera cose grandi attraverso le persone umili che cariche di fede offrono il loro servizio gratuito per poter dire sempre, siamo servi inutili”.

Stagione di rinascita. A Lourdes sono arrivati in più di 4mila tra ammalati, disabili, sacerdoti e volontari, con 4 treni, 11 aerei e 5 pullman. Nemmeno gli scioperi delle ferrovie francesi li hanno fermati. Palese parla con giusto orgoglio di “stagione di rinascita e di ripresa della nostra vita associativa. In questi 120 anni abbiamo visto profondi cambiamenti nella nostra società. Prima i nostri malati, i nostri anziani erano accuditi in famiglia, erano parte integrante del nucleo familiare. Ora l’attenzione verso di loro sembra essere scemata. La bellezza e la forza interiore di queste persone è stata soppiantata da quella esteriore in voga nelle nostre società. Da parte nostra chiediamo ai nostri volontari di continuare a non guardare alle apparenze ma al cuore delle persone, e poco importa se queste sono malate, sdraiate su un letto o in carrozzina”.

“Chi porta addosso la sofferenza ha una grande voglia di vivere che spesso sembra mancare a chi, invece, è considerato sano”.

Per questi motivi, sottolinea Palese, “vogliamo impegnarci, soprattutto con i nostri volontari più giovani, che sono sempre di più, a servire questi sofferenti. La nostra attenzione deve crescere lì dove non arriva la struttura pubblica chiamata a fornire aiuto e assistenza. Il ‘dopo Covid’ lo si vede bene: chi era sofferente allora oggi soffre ancora di più. Ci affidiamo soprattutto ai nostri giovani perché gridino a gran voce che la persona disabile e malata non deve essere abbandonata”.

Il presidente Rocco Palese (Foto Unitalsi)

Esperienza di carità. Dalla Grotta delle apparizioni di Massabielle, Palese racconta: “Stiamo vivendo il nostro pellegrinaggio nazionale, esperienza di carità, sforzandoci di far vivere ai partecipanti una forte esperienza di fede e di condivisione. Il 28 settembre abbiamo celebrato la Messa nella Grotta con un Atto di affidamento della nostra associazione alla Madonna. Una volta rientrati in Italia – rivela il presidente – inizieremo una ‘peregrinatio Mariae’, portando, fino al periodo pasquale, in tutte le regioni italiane un’immagine della Vergine che ricorda quella portata nella processione aux flambeaux nella spianata del santuario. Partiremo dalla sezione Romana-Laziale. Seminiamo così qualcosa di importante per il futuro”. Significativa, a riguardo, sarà l’udienza concessa da papa Francesco in Vaticano il prossimo 14 dicembre. Alla fine di questo 2023 si calcola in oltre 18mila i pellegrini venuti a Lourdes con l’Unitalsi.

Pellegrinaggio “cuore dell’Unitalsi”. Lourdes con la grotta di Massabielle, in particolare, sono la genesi della storia di carità e di servizio che anima la missione dell’Associazione sin dal 1903. Oltre 115 anni fa, spiegano dall’Unitalsi, il giovane nobile Giovanni Battista Tomassi, affetto da artrite deformante irreversibile, decise di dare vita all’Unitalsi dopo aver preso parte ad un pellegrinaggio a Lourdes e capito, pur non avendo ottenuto alcuna guarigione, l’importanza del messaggio mariano di conforto e speranza per chi soffre. L’intento del giovane Tomassi, infatti, era quello di togliersi la vita nella città mariana qualora non avesse ricevuto alcuna guarigione. Il vero miracolo “fu quello della fede, della speranza, dell’amore, del conforto e della serenità. Gli stessi sentimenti che ancora oggi accompagnano l’animo di chi partecipa ad un pellegrinaggio a Lourdes”.

Nuove norme sui migranti e una Nadef che prevede un maggior deficit

Gio, 28/09/2023 - 12:10

Nuove norme sui migranti, con un forte accento su controlli ed espulsioni, e una Nadef (Nota di aggiornamento del documento di economia e finanza) che prevede un maggior deficit per ricavare le risorse da destinare alla legge di bilancio. Questi i contenuti principali emersi dal Consiglio dei ministri, sostanzialmente in linea con le anticipazioni della vigilia.
Nel decreto-legge sui migranti si stabilisce che per “gravi motivi” di sicurezza possano essere espulsi con provvedimento del prefetto anche gli immigrati “lungo soggiornanti” (il ministro dell’Interno deve darne preventiva notizia al premier e al ministro degli Esteri) e per gli stessi motivi si può vietare il reingresso della persona che abbia presentato ricorso contro l’espulsione nelle more della decisione sul ricorso stesso. Le domande di asilo successive alla prima non bloccheranno il procedimento di espulsione. Nel caso di minori sono previsti controlli più rapidi per verificare l’età anche attraverso controlli “antropometrici” (per esempio radiografie) disposti dalla procura del competente Tribunale dei minori. In caso di dichiarazione falsa la persona può essere condannata per il relativo reato e questo può comportare l’espulsione. Sempre in questo specifico ambito – e si tratta di una delle misure più discusse e controverse – la nota di Palazzo Chigi riferisce che “in caso di momentanea indisponibilità di strutture temporanee, il prefetto potrà disporre il provvisorio inserimento del minore – che ad una prima analisi appaia di età superiore ai sedici anni – per un periodo comunque non superiore a novanta giorni, in una specifica sezione dedicata nei centri e strutture diversi da quelli riservati ai minori”. Il decreto stabilisce inoltre che “l’accesso nelle strutture del Sistema di accoglienza e integrazione” sia previsto per “tutte le donne (non più solo a quelle in stato di gravidanza), in quanto considerate in ogni caso quali soggetti di particolare vulnerabilità”.
Per quanto riguarda la Nadef, il documento che fissa le coordinate entro cui si muoverà la legge di bilancio aggiornando l’analisi del Documento di economia e finanza (Def) dello scorso aprile, il governo ricorrerà a nuovo deficit per finanziare quelle misure che ritiene indispensabili nonostante la congiuntura sfavorevole: dal taglio del cuneo fiscale agli interventi per le famiglie con figli e ai rinnovi contrattuali soprattutto nel campo della sanità. Pesano il rallentamento della crescita (0,8% invece che 1% nel 2023, con il deficit che sale dal 4,5% al 5,3%), gli effetti non previsti del Superbonus edilizio e le ripercussioni dell’aumento dei tassi di interesse, particolarmente onerose per un Paese ad alto debito come il nostro. Si calcola che la maggior spesa per interessi sia quest’anno di 83 miliardi. Il problema è il circolo vizioso che rischia di crearsi perché l’aumento del deficit va a incrementare il debito. Finora è stata paradossalmente l’inflazione a parare in una certa misura il colpo: poiché il dato di riferimento è il rapporto deficit/Pil, il Pil risulta nominalmente “gonfiato” dall’inflazione e quindi, aumentando il denominatore, il valore del rapporto diminuisce. Per il 2024 il deficit “programmatico” è previsto in rialzo al 4,3% (rispetto al 3,7% del Def) e mentre il Pil viene stimato in ribasso all’1,2 (rispetto all’1,5%).

Pubblicità Esselunga: una pesca ci ricorda che il re è nudo

Gio, 28/09/2023 - 10:36

In questi giorni uno spot pubblicitario della Esselunga sta facendo un grande clamore, gratificando l’azienda di attenzioni e menzioni indubbiamente previste. Persino la Presidente del Consiglio è intervenuta, condividendo sui social le impressioni in lei prodotte dal cortometraggio. A un primo sguardo di superficie, tuttavia, sembra inspiegabile la bufera di contestazioni scatenate da certi ambienti, in cui qualcuno è arrivato a insultare con una volgarità e una ferocia inaccettabili la bambina protagonista dello spot. Una rabbia inspiegabile, perché la pubblicità in questione non fa che descrivere la situazione di fatto di un enorme numero di famiglie, che soffrono (inutile nasconderselo, ma proprio qui è il punto…) per la separazione dei coniugi e per tutto il corredo di complicazioni che tale separazione reca con sé per ciascuno dei membri della famiglia.

Fa soffrire o può dispiacere che venga ricordato, ma questa è la vita, oggi, per tante persone. I denigratori dello spot della Esselunga preferirebbero forse tornare ai cliché della “famiglia Mulino Bianco”, tutta sorrisi, messe in piega all’alba e coordinazione acrobatica tra i suoi fulgidi membri? Quella famiglia non esiste, non è mai esistita.

Esistono invece famiglie sfiancate da problemi economici sempre crescenti, famiglie che ogni mattina lottano per rilanciare con progetti che sorridano al domani, famiglie che devono sorreggere la fragilità di qualcuno dei suoi membri, famiglie che tutti i giorni devono ritrovare un equilibrio interno per trovarlo anche all’esterno… ed esistono, naturalmente, famiglie monogenitoriali, e anche (guarda un po’!) famiglie separate, famiglie in cui l’immaturità di qualche tratto o gesto, l’incomunicabilità accumulata, la stanchezza o la rassegnazione hanno vinto, inducendo marito e moglie ad allontanarsi.

E nessuno, di solito, è più felice di prima. A volte sollevato, non di rado temporaneamente (ed egoisticamente) euforico, spesso interiormente silenziato. Ma felice di avere fallito in una scelta importante fatta precedentemente, in una fase più fresca e ottimista della vita? Difficile crederlo. Di certo felici non sono i figli, anche quando, pur di non perdere lo sguardo approvante di mamma o di papà, entrano inconsciamente in alleanza con loro e li supportano in quelle decisioni che pure li straziano, diventando genitori dei loro genitori.

Le anime belle che hanno gridato all’indignazione sono arrabbiate perché è bastata una pubblicità di un supermercato per mostrare che “il re è nudo”, contaminando con il tema della sofferenza il roseo mondo delle scelte egoistiche e autoaffermative spacciate per ricerca di felicità.
E qui è inevitabile una citazione del recentissimo e argutissimo film su Barbie: tutti scintillanti e plastificati ballano come ogni giorno con un sorriso smagliante stampato sui visi perfetti, e a un certo punto Barbie, sempre sorridendo, chiede come nulla fosse: “Avete mai pensato di morire?”. La musica si ferma… e nel mondo di plastica rosa di Barbie inizia a entrare la realtà, guastando la festa.

La sofferenza va assolutamente censurata, perché la sofferenza, specialmente la sofferenza dei più piccoli, rovina il gioco, snuda la verità.
Guai a mostrare come reagisce un feto all’aborto che viene praticato su di lui (o lei): è una violenza (far vedere la reazione, non l’aborto…) che lede i diritti della donna.
Guai a descrivere gli stati emotivi di un figlio che vede il genitore abbandonare il tetto: e che ne è dei diritti dei genitori e della loro felicità?
Quello che la sofferenza degli innocenti snuda, è la durezza di cuore dei presunti adulti, e l’insanabile debolezza che nasconde.

Le lacrime di un bambino, la sua silenziosa malinconia che non parla per non turbare il genitore bisognoso di conferme, il cuoricino che si chiude per non sentire e non far sentire il dolore… tutto questo raggiunge quella parte dei nostri cuori induriti di adulti che non è ancora soffocata dalla maschera delle nostre menzogne, e lo fa risuonare di un’analoga sofferenza – ma la sofferenza, a chi non si fida dell’amore, fa paura, e si arriva a volere zittire prepotentemente chi ce la ricorda, chi, volente o nolente, la risveglia in noi.

Il Libro della Sapienza, scritto in un’epoca tanto simile alla nostra, decadente tanto quanto la nostra, descrive bene l’atteggiamento dei ricchi gaudenti pieni di sentimenti aulici e caduchi, che si scatenano come furie su chi gli ricorda la debolezza da cui vogliono fuggire:

“Dicono fra loro sragionando: ‘La nostra vita è breve e triste; non c’è rimedio quando l’uomo muore, e non si conosce nessuno che liberi dal regno dei morti. Siamo nati per caso e dopo saremo come se non fossimo stati: è un fumo il soffio delle nostre narici, il pensiero è una scintilla nel palpito del nostro cuore, spenta la quale, il corpo diventerà cenere e lo spirito svanirà come aria sottile. […] Venite dunque e godiamo dei beni presenti, gustiamo delle creature come nel tempo della giovinezza! Saziamoci di vino pregiato e di profumi, non ci sfugga alcun fiore di primavera, coroniamoci di boccioli di rosa prima che avvizziscano; nessuno di noi sia escluso dalle nostre dissolutezze. Lasciamo dappertutto i segni del nostro piacere, perché questo ci spetta, questa è la nostra parte. Spadroneggiamo sul giusto, che è povero, non risparmiamo le vedove, né abbiamo rispetto per la canizie di un vecchio attempato. La nostra forza sia legge della giustizia, perché la debolezza risulta inutile. Tendiamo insidie al giusto, che per noi è d’incomodo e si oppone alle nostre azioni; ci rimprovera le colpe contro la legge e ci rinfaccia le trasgressioni contro l’educazione ricevuta. Proclama di possedere la conoscenza di Dio e chiama se stesso figlio del Signore. È diventato per noi una condanna dei nostri pensieri; ci è insopportabile solo al vederlo’”. (Sap 2, 1-3.6-14).

È in questa paura della propria debolezza e fallacità che possiamo rinvenire la radice di tutte le intolleranze odierne che si scatenano contro ogni raffigurazione dell’ovvio e dell’evidente, vista come un’aggressione anche quando si limita a descrivere.

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