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Servizio Informazione Religiosa
Aggiornato: 4 mesi 1 settimana fa

Fears of migrant invasion are unfounded. As the data shows

Gio, 28/09/2023 - 10:24

The thunderous rhetoric about stopping the flow of refugees arriving in Italy by sea at all costs is based on two widespread assumptions: firstly, that this is an exceptional phenomenon involving huge inflows and, secondly, that there are no de facto alternatives to containing it by resorting to drastic measures, possibly even in violation of human rights. Both assumptions are unfounded.

Let us first look at the numbers.

It may come as a surprise to some, but

The number of immigrants in Italy has been stable for a dozen years,

at around 5.3 million registered residents, plus an estimated 4-500,000 undocumented residents. Inflows have never risen again since the 2008 economic crisis.

In addition, most residents are women, almost half of them are Europeans, and Christianity in its various denominations, notably Orthodox, is the majority religion.

By the end of 2022, there were 340,000 refugees and asylum seekers, 40% of whom were Ukrainian refugees. Now they are likely to be around 400,000: less than a tenth of the total, with a high proportion of Ukrainian refugees. The EU as a whole took in less than 10% of the world’s refugees, apart from the Ukrainians.

Arrivals by sea are a highly visible and dramatic event, but they are not an unprecedented one. In fact, they have been taking place for about 30 years, with some ups and downs, and Lampedusa was even awarded a gold medal for civil valour in the 1990s for its efforts in receiving refugees. Between 2015 and 2017, the number of arrivals by sea remained fairly stable at over 150,000 per year.

Moreover, other EU countries take in many more refugees than does Italy, including those who transit through Italian territory. In 2022, Italy received only 77,000 asylum applications out of 965,000 in the EU as a whole, or about 8% of the total; Germany received more than 200,000, France and Spain more than 100,000.

The emergency therefore lies in our anxiety and fear, in our inability to create a well-organised reception system capable of rapidly emptying the port of Lampedusa and redistributing the immigrants received.

The response to refugees arriving from the southern Mediterranean is in stark contrast to the generous reception of Ukrainian refugees: 4 million in Europe, about 170,000 in Italy.

Alternatives to the current chaotic reception system should be pursued.

The first is the inclusion of eligible refugees in the category of workers, with appropriate training: this would solve both the problem of companies in search of workers and the problem of refugees in search of a dignified life.

The second solution is to strengthen other entry mechanisms such as resettlement, private or community sponsorship, humanitarian corridors. All these options have already been put into practice and continue to be effective at the international level, albeit with limited numbers. They consist of organising, on the basis of a list of priorities, the transfer of people currently living in precarious conditions in refugee camps in the South of the world to other countries willing to receive them. This can and must be done first and foremost by national governments (an average of 100,000 resettlements a year worldwide), but voluntary organisations, religious communities, local authorities and businesses could also play their part. And hopefully partnerships between public and private actors. Over the years, a total of 300,000 people has been welcomed into Canada under these arrangements, including 40,000 Syrian refugees in recent years.

The humanitarian corridors organised by the Catholic and Protestant Churches have given hospitality to 5,000 people in Italy and Europe: a small but promising seed.

It is a question of making it grow, in the face of the megaphones denouncing an emergency that is not in numbers but in our political and spiritual attitudes.

(*) Professor of Sociology of Immigration (University of Milan)

La paura dell’invasione si basa su premesse infondate. E i dati ci spiegano perché

Gio, 28/09/2023 - 10:24

La roboante richiesta di fermare a tutti i costi i flussi di profughi che approdano in Italia via mare si regge su due premesse accettate da gran parte dell’opinione pubblica: che si tratti di un fenomeno eccezionale, tale da comportare numeri enormi d’ingressi, e che non esistano di fatto alternative al suo contenimento, ricorrendo a misure drastiche, eventualmente anche lesive dei diritti umani. Entrambe le premesse sono infondate.

Consideriamo anzitutto i dati.

Potrà stupire qualcuno, ma i numeri dell’immigrazione sono stazionari in Italia da una dozzina d’anni, intorno ai 5,3 milioni di residenti regolari, più 4-500.000 soggiornanti irregolari stimati. I flussi in ingresso non si sono mai ripresi dalla crisi economica del 2008. In più, la maggior parte dei residenti sono donne, quasi la metà sono europei, e la religione nettamente prevalente è quella cristiana nella varie denominazioni, con gli ortodossi in testa. Rifugiati e richiedenti asilo arrivavano a fine 2022 a quota 340.000, compreso un 40% di profughi ucraini. Oggi saranno forse 400.000 o poco più: meno di decimo del totale. Sempre con una robusta componente ucraina. L’Ue, nel complesso accoglie meno del 10% dei rifugiati del mondo, ucraini a parte.

Gli sbarchi dal mare sono un fatto molto visibile e drammatico, ma non sono una novità. Si verificano da una trentina d’anni, con alti e bassi, tanto è vero che già negli anni ’90 Lampedusa ricevette la medaglia d’oro al valor civile per il suo impegno nell’accoglienza. Tra il 2015 e il 2017 gli arrivi dal mare sono stati più o meno in linea con quelli attuali, superando i 150.000 all’anno.

Inoltre, altri Paesi ospitano molti più rifugiati dell’Italia, compresi quelli che transitano attraverso il nostro territorio. Nel 2022, l’Italia ha ricevuto 77.000 domande di asilo su 965.000 in tutta l’Ue, circa l’8%, la Germania più di 200.000, la Francia e la Spagna oltre 100.000.

L’emergenza quindi è nel nostro affanno, nel nostro sguardo carico di apprensione e di paura, nella nostra incapacità di allestire un sistema di accoglienza ordinato, in grado di svuotare rapidamente l’approdo di Lampedusa per redistribuire le persone accolte. Stride la reazione verso i rifugiati in arrivo dal Sud del Mediterraneo con l’accoglienza generosa verso i profughi ucraini: 4 milioni in Europa, circa 170.000 in Italia.

E’ importante poi perseguire delle strade alternative alla caotica accoglienza attuale. La prima consiste nel far transitare nella categoria dei lavoratori i profughi idonei al lavoro, opportunamente formati: si risolverebbe sia il problema delle aziende a caccia dei lavoratori, sia quello dei rifugiati in cerca di una vita dignitosa.

La seconda soluzione riguarda il potenziamento di altri dispositivi di ingresso: reinsediamenti, sponsorizzazioni private o comunitarie, corridoi umanitari. Tutte soluzioni già sperimentate e funzionanti a livello internazionale, ma con numeri ancora insufficienti. Consistono nel far arrivare le persone oggi precariamente ospitate nei campi profughi del Sud del mondo, in altri paesi disponibili ad accoglierli, in base a una lista di priorità. Lo possono e devono fare anzitutto gli Stati, (100.000 reinsediamenti all’anno, in media, a livello mondo), ma potrebbero contribuire anche associazioni, comunità religiose, enti locali, imprese. E auspicabilmente, alleanze tra soggetti pubblici e privati. In Canada con queste formule sono state accolte nel tempo 300.000 persone, tra cui negli scorsi anni 40.000 profughi siriani. I corridoi umanitari organizzati dalle Chiese cattolica e protestante hanno accolto in Italia e in Europa 5.000 persone: un seme ancora piccolo, ma promettente. Si tratta di farlo crescere, contrastando i megafoni di un’emergenza che non c’è nei numeri, ma nei nostri atteggiamenti politici e mentali.

(*) docente di Sociologia delle migrazioni (Università degli Studi di Milano)

Dl Migranti: individuare soluzioni condivise e rispettose dei diritti umani

Gio, 28/09/2023 - 10:23

Stiamo assistendo da alcuni mesi ad una ricca produzione normativa sul tema dei migranti da parte del Governo italiano che, in occasione delle varie emergenze susseguitesi da Cutro a Lampedusa, ha ritenuto di dover intervenire su più fronti, tutti animati dalla comune volontà di contenere e scoraggiare gli arrivi, rendendo complicata ai nuovi venuti la permanenza sul territorio nazionale.

Già in occasione dell’accordo con la Tunisia, avevamo avuto modo di sottolineare che i “bilaterali” con i Paesi di transito non hanno portato tanta fortuna ai vari Governi susseguitisi in questi anni. Mai previsione è stata più azzeccata: dalla firma dell’accordo con il presidente Sayed ad oggi gli sbarchi sono aumentati vertiginosamente.

Un errore tattico che rischia di mettere in discussione la strategia complessiva del Governo che per questo è stato costretto a rispolverare negli ultimi giorni la formula del blocco navale. È evidente la difficoltà nella gestione degli arrivi che devono fare i conti con un sistema cronicamente sottodimensionato, sul quale non si intende investire. E allora si cercano strade alternative, più convincenti sul piano comunicativo, a partire dal noto richiamo alla responsabilità dell’Europa affinché si implementi una redistribuzione dei migranti. Anche questa è una vecchia formula che si scontra ogni volta con i soliti paesi riluttanti, a partire dall’Ungheria. Stessa cosa dicasi per il regolamento di Dublino che oggi nessuno degli altri paesi vuole ridiscutere.

Di fronte ad un quadro così scoraggiante, non rimane che intervenire a livello nazionale con una batteria di provvedimenti, alcuni dei quali già adottati nel passato, sostanzialmente inefficaci oltre che lesivi dei diritti dei migranti.

Innanzitutto la previsione circa l’allungamento dei tempi di trattenimento nei Cpr dei cittadini stranieri destinatari di un decreto di espulsione. Nei fatti si tratta di un provvedimento che riguarderà un numero residuale di coloro che giungono sulle nostre coste. Anche il decreto del ministro Piantedosi circa la garanzia di 5.000 euro da parte del migrante irregolare che proviene da Paesi sicuri per evitare il trattenimento, sa un po’ di beffa. Quanti potranno permetterselo e soprattutto in che misura un provvedimento di questo tipo può contribuire efficacemente alla politica migratoria di un Paese? Ieri si è discusso in Consiglio dei Ministri di un ennesimo provvedimento che stavolta riguarderà i sedicenni che giungono sul nostro territorio. Il Governo ha proposto una norma per cui in caso di momentanea indisponibilità di strutture ricettive temporanee dedicate, il prefetto possa disporre il provvisorio inserimento del minore – che ad una prima analisi appare di età superiore ai sedici anni – in una specifica “sezione dedicata” dei centri per adulti. Inoltre si prevede che in taluni casi l’autorità di pubblica sicurezza possa disporre immediatamente lo svolgimento di rilievi a volti all’individuazione dell’età. Si tratta di importanti deroghe alla normativa vigente che aprono scenari preoccupanti nella misura in cui incidono profondamente sulla condizione dei migranti. Si rischia di prendere una china molto pericolosa. Per questo ci attendiamo un confronto aperto, anche e soprattutto con la società civile per individuare soluzioni condivise e rispettose dei diritti umani. Diversamente, come ha ricordato il presidente della Cei, cardinale Zuppi, si rischia di “politicizzare il fenomeno migratorio, anche condizionati dal consenso e dalle paure”.

(*) responsabile dell’Ufficio politiche migratorie e protezione internazionale di Caritas Italiana

Immigration Decree: identifying shared solutions respectful of human rights

Gio, 28/09/2023 - 10:23

In recent months, a plethora of regulations on the subject of migrants has been drawn up by the Italian government, which, on the occasion of the various emergencies – from the one in Cutro to that on the island of Lampedusa – has found it necessary to intervene in various ways, driven by a general willingness to limit and discourage arrivals, making it difficult for newly arrived migrants to remain in Italy.

As pointed out at the time of the deal with Tunisia, it is worth noting that ‘bilateral’ agreements with transit countries haven’t exactly been a recipe for happiness for successive governments over the past few years. And in fact, never has a prediction been more accurate: since the signing of the agreement with President Sayed, the number of arrivals has soared.

This tactical error threatens to undermine the government’s overall strategy, which has forced it to revive the naval blockade formula in the last few days. The difficulties in handling new arrivals, given a structurally under-resourced centralised system in which there is no intention of investing, are self-evident. Alternative, more convincing ways of communicating are thus being sought. Starting with the familiar appeal to Europe’s responsibility to implement a redistribution of migrants. This, too, is the same old recipe that always collides with the same reluctant countries, starting with Hungary. The same goes for the Dublin Regulation, which no country is willing to reconsider today.

Faced with such a discouraging scenario, only one option is seen as feasible: to intervene at national level with a package of measures, some of which have already been adopted in the past and which are essentially ineffective as well as detrimental to the rights of migrants.

The first of these is a new measure extending the period of detention in pre-removal detention centres (CPRs), where third-country nationals who have received an expulsion order are held. In fact, this measure will only affect a small number of immigrants arriving on Italian shores. Minister Piantedosi’s decree requiring asylum seekers from safe countries to pay €5,000 to avoid detention also sounds like a joke. How many people will be able to afford it and, above all, to what extent can such a measure effectively contribute to a country’s migration policy? Yesterday the Council of Ministers discussed another measure, this time concerning 16-year-old migrants arriving on Italian soil. The government has proposed a regulation according to which, in the event of the temporary unavailability of specific temporary accommodation facilities, the Prefect can order the temporary placement of the minor – who, at first glance, appears to be over sixteen – in a specific ‘special section’ of the centres for adults. In addition, it is envisaged that in certain cases, law enforcement authorities could make an immediate request to carry out an age check. These are significant derogations to existing legislation, which open up worrying scenarios as they have a profound impact on the plight of migrants. There is a risk of going down a very dangerous slippery slope. We therefore look forward to an open debate, including and above all with civil society, in order to find common solutions that respect human rights. Otherwise, as the President of the Italian Bishops’ Conference, Cardinal Zuppi, reminded us, there is a risk of “politicising the phenomenon of migration, also based on a climate of consensus and fear.”

 

(*) Head of the Migration Policy and International Protection Office of Caritas Italy

Comunicazione. Le associazioni cattoliche puntano ai bandi per “progetti ad alto impatto sociale”

Mer, 27/09/2023 - 19:54

“Vorrei tutta la partecipazione di questa mattina che nasce dalle associazioni”. Questa è la risposta in estrema sintesi che Stefano Di Battista, presidente del Copercom, ci ha lasciato alla fine della giornata di riflessione che si è svolta oggi a Roma nella sede delle Acli. Il tema era “Occupazione, la nuova questione giovanile” ma anche la possibilità di fare il punto sul corso di progettazione sociale che si è da poco concluso e che ha visto molte delle realtà associate al Copercom rispondere alle sollecitazioni della Cei perché il mondo associativo da esso coordinato avesse gli strumenti per un salto di qualità, quello nel Registro del Terzo Settore. “Il Copercom non è un ente di rappresentanza, io non sono il presidente di presidenti, non è una associazione che sta sopra le altre associazioni, noi cerchiamo di coordinarle nel rispetto dei loro bisogni”.

“In un catalogo dei bisogni oggi ne sono usciti due: un comitato scientifico e un ufficio progettazione che fanno seguito alle cose che avevamo cominciato con il corso di progettazione sociale”.

Queste due proposte infatti sono emerse nel corso della mattinata come il punto di caduta di una serie di sollecitazioni nate proprio nell’ambito del corso e dalla riflessione che riguarda anche l’allargamento del perimetro stesso del Copercom. Per essere efficaci e lavorare meglio insieme c’è chi chiede un coordinamento più forte anche a livello progettuale e operativo, da un lato con un Comitato Scientifico che possa rappresentare nelle sedi istituzionali il Copercom e i suoi valori, dall’altro un ufficio che possa aiutare anche le realtà più piccole nella progettazione dei bandi sociali relativi al Terzo Settore.

“È con questo spirito che dobbiamo andare avanti, sapendo che le associazioni sono un tesoro da valorizzare fatta di risorse, di volontariato, di esperienza che però in un mondo così diverso come quello attuale non possono dare il meglio di sé da soli, nessuno ce la fa da solo, e allora il Copercom viene in aiuto per fare questa rete, senza mai voler cancellare le identità di nessuno”.

Come hanno sottolineato i relatori come Mussi Bollini del Med (Associazione Italiana per l’Educazione ai Media e alla Comunicazione) è “importante, per poter partecipare ai bandi, essere una aps e far parte dell’elenco del terzo settore. È essenziale che le associazioni possano collaborare tra di loro anche grazie al coordinamento del Copercom, permettendo anche a chi non è iscritto al Runts (Registro Unico Nazionale del Terzo Settore) di partecipare evitando duplicazioni nelle richieste e soprattutto nelle offerte dei progetti”. “Occorre restituire un senso di appartenenza ai nostro associati e lavorare per le sfide comuni che la comunicazione dei nostri valori, come parte della Chiesa, ci impongono nel tempo presente” spiega Maria Elisa Scarcello dell’Aiart (Associazione Cittadini Mediali). “La sfida – prosegue Scarcello – è ricostruire modelli di reintermediazione nella società per superare il crescente individualismo”. “Come Ucsi, anche noi abbiamo deciso di iscriverci al Runts” spiega Vincenzo Varagona, presidente dell’Unione Cattolica Stampa Italiana “Questa scelta è il frutto di una riflessione interna alla nostra associazione che ha avuto bisogno dei suoi tempi ma che è arrivata a maturazione. Con un esercizio di sinodalità abbiamo chiesto che il corso di formazione in progettazione sociale fosse un lavoro comune di quelle associazioni del Copercom che hanno voluto aderire, che fosse quindi un modo per ampliare lo sguardo e gli scenari per tutte quelle realtà che fanno parte della Chiesa italiana”. “I bandi possono portare a buon fine dei progetti ad alto impatto sociale – spiega ancora Varagona – se costruiti con criteri scientifici, che però necessitano di un salto di qualità logistico a cui il Copercom può provvedere. Lavorare insieme tra realtà associative con diverse esperienze è una sfida ma anche una occasione, quella di collaborare per costruire percorsi migliori anche in vista delle minori risorse che la Cei metterà a disposizione nei prossimi anni”.

Minori. Garlatti: “Lo scontro politico non fa bene ai diritti dell’infanzia e dell’adolescenza”

Mer, 27/09/2023 - 15:54

“L’Italia deve mettere i diritti di bambini e ragazzi al centro delle politiche pubbliche. Deve farlo in maniera strutturale e con una programmazione adeguata, senza rincorrere le emergenze e senza trasformarli in terreno di contrapposizione tra diversi schieramenti. Lo scontro politico non fa bene ai diritti dell’infanzia e dell’adolescenza. Inoltre, le scelte che riguardano i ragazzi vanno fatte coinvolgendoli direttamente; invece oggi i minorenni non si sentono ascoltati: serve una legge che preveda la loro partecipazione all’iter di ogni provvedimento che li riguardi. Vanno infine introdotti sistemi di valutazione d’impatto e di verifica degli effetti che le politiche producono sui diritti dell’infanzia”.

(Foto: ANSA/SIR)

È questo, in sintesi, il messaggio che l’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza (Agia), Carla Garlatti, ha consegnato oggi al Paese in occasione dell’illustrazione della Relazione al Parlamento sulle attività svolte nel 2022”, scaricabile dal sito www.garanteinfanzia.org. L’evento si è tenuto nella Sala della Regina della Camera dei deputati, alla presenza del presidente della Camera Lorenzo Fontana e di numerose personalità istituzionali.

L’Autorità garante si esprime in un momento in cui è stata l’attualità a richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica e della politica sui minorenni. A proposito infatti di criminalità minorile Garlatti ha ribadito che, accanto a interventi di tipo sanzionatorio e repressivo,

“è fondamentale investire nella prevenzione e nel recupero”.

Un accento particolare è stato posto sull’“importanza degli interventi per il contrasto alla dispersione scolastica”, che di recente hanno preso la direzione da tempo indicata dall’Autorità garante.

Quanto ai minori stranieri non accompagnati la garante ha sottolineato la necessità che sia rispettato il principio di presunzione di minore età all’arrivo in Italia: “È difficile e costoso procurarsi i documenti e per i rifugiati addirittura impossibile”. A questi ragazzi va inoltre assicurato nel più breve tempo possibile il primo colloquio. Servono poi strutture ad hoc, differenti da quelle degli adulti, e tutori volontari.Garlatti ha proposto una valorizzazione del ruolo dell’Autorità garante, assieme a quello della Bicamerale infanzia e di tutte le istituzioni di amministrazione attiva che si occupano di bambini e ragazzi, primo fra tutti il Dipartimento per le politiche della famiglia. Ha inoltre posto l’accento sugli ambiti di intervento prioritario, già segnalati al Governo Meloni sin dal suo insediamento: povertà minorile, dispersione scolastica, salute mentale, ambiente digitale e partecipazione.

Tra le proposte che l’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza Carla Garlatti rivolge a Parlamento e Governo nell’introduzione della Relazione annuale 2022 tre sono nate da una riflessione attenta sulle risposte date dagli oltre 6.500 adolescenti che hanno partecipato alla consultazione pubblica “Il futuro che vorrei”. La prima proposta riguarda la rimozione delle diseguaglianze, sociali e territoriali. Si tratta di una questione che coinvolge anche la discussione in tema di autonomia differenziata. “Perché l’autonomia dei territori non si risolva in un incremento dei divari, ma al contrario possa diventare un’occasione per colmarli – secondo Garlatti – è indispensabile definire, una volta per tutte, i livelli essenziali delle prestazioni per l’esercizio dei diritti civili e sociali (Lep). L’Autorità garante ha formulato già in passato alcune proposte in materia di salute mentale, parchi gioco inclusivi, banche dati sulla disabilità, asili nido e mense scolastiche. Come Autorità abbiamo appena avviato un nuovo studio per individuarne di altre: il Paese ne ha urgente bisogno”.

“Questo è poi il momento giusto – prosegue Garlatti, formulando la seconda proposta – per aprire una discussione seria in Parlamento che porti all’introduzione di una legge che preveda la consultazione delle persone di minore età quale passaggio obbligatorio dell’iter di adozione di atti amministrativi o normativi che li riguardino, direttamente o indirettamente”. Secondo Garlatti ascoltare non basta, occorre prendere in considerazione ciò che i giovani ci dicono e, nel caso le loro richieste non vengano accolte, spiegare loro perché.

“Infine, e non mi stancherò mai di dirlo – afferma Garlatti con la terza proposta –, è indispensabile che venga inserito nel nostro sistema normativo il principio secondo il quale prima di assumere una decisione politica o amministrativa si prenda in considerazione l’impatto, diretto o indiretto, che quella decisione può produrre sui diritti dei minorenni. È una valutazione che serve a correggere e migliorare le misure da adottare per assicurare che l’azione istituzionale si muova nella direzione di produrre effetti positivi sulla vita presente e sul futuro di bambini e ragazzi”.

L’Autorità garante, comunque, avverte: “Tuttavia,

non ha senso parlare di futuro senza l’impegno di tutti gli adulti ad assicurare a ogni minorenne un presente libero da abusi, violenza, discriminazioni, differenze economiche e sociali, disagio e povertà.

Quando pensiamo al futuro tendiamo a pensare al domani e a rinviare. Il futuro invece è adesso: è oggi che ci dobbiamo dare fare. Ciascuno di noi deve sentirsi investito in prima persona, come componente di una comunità che sa mettersi in ascolto e che non si volta dall’altra parte. Solo così potremo parlare seriamente di futuro”. Questa sollecitazione è stata sottolineata anche grazie alla lettura, al termine dell’evento, de “La bambola di pezza” dello scrittore Maurizio De Giovanni, in una versione del racconto interpretata dall’attore Vincenzo Ferrera. Il testo rappresenta un monito per ogni adulto a sentirsi responsabile dei diritti di ciascun bambino. La relazione di Garlatti, trasmessa da Rai Parlamento in diretta su Rai 3, è stata aperta e chiusa dal Coro delle voci bianche dell’Accademia di Santa Cecilia di Roma.

Pope Francis: “Europe needs to retrieve passion and enthusiasm”

Mer, 27/09/2023 - 10:39

“The Mediterranean is the cradle of civilization and a cradle is for life! It is not tolerable that it become a tomb, neither should it be a place of conflict”, said Pope Francis, who dedicated the catechesis of today’s general audience in Saint Peter’s Square to the recent apostolic journey in Marseille, where he participated in the conclusion of the Rencontres Méditerranéennes (Mediterranean Meetings). “This is the dream, this is the challenge” – Francis said – “that the Mediterranean might recover its vocation, that of being a laboratory of civilization and peace.” “The Mediterranean Sea is the complete opposite of the clash between civilizations, war, human trafficking”, the Pope’s thesis: “It is the exact opposite because the Mediterranean is a means of communication between Africa, Asia, and Europe; between the north and the south, the east and the west, persons and cultures, peoples and tongues, philosophies and religions.” “Of course, the sea is always an abyss to overcome in some way, and it can even become dangerous”, the Pope remarked: “But its waters safeguard treasures of life; its waves and its winds carry vessels of all types. From its eastern shore, two thousand years ago, the Gospel of Jesus Christ departed. Of course, this [the proclamation of the Gospel] does not happen magically, neither is it accomplished once and for all. It is the fruit of a journey in which each generation is called to travel a piece, reading the signs of the times in which it lives.”

From the Marseille event “came out an outlook on the Mediterranean that I would call simply human, not ideological, not strategic, not politically correct nor instrumental; no, human, that is, capable of referring everything to the primary value of the human person and his or her inviolable dignity”,

Francis said. “Then, at the same time, a hopeful outlook came out”, continued the Holy Father: “Today, this is surprising– when you hear testimonies from those who have lived through inhuman situations, or who have shared them, and they themselves give you a profession of hope. And also a fraternal outlook.” The meeting in Marseille, the Pope pointed out, comes after similar meetings that took place in Bari in 2020, and in Florence last year.

“It was not an isolated event, but a step forward on the itinerary that began with the Mediterranean Colloquia organized by Giorgio La Pira, the Mayor of Florence, at the end of the 1950s. It is a step forward to respond today to the appeal launched by Saint Paul VI in his Encyclical Populorum progressio, to promote ‘a more humane world community, where all can give and receive, and where the progress of some is not bought at the expense of others.’”

“The Mediterranean must be a message of hope”, Francis reiterated in unscripted remarks: “this hope must not ‘evaporate’; no, rather, it needs to be organized, concretized through long, medium and short-term actions” – Francis’ appeal:

“So that people, in complete dignity, can choose to emigrate or not to emigrate.”

“Hope needs to be restored to our European societies, especially to the new generations”, is the Pope’s second invitation. In fact, he said, “how can we welcome others if we ourselves do not first have a horizon open to the future? How can young people, who are poor in hope, closed in on their private lives, worried about managing their own precariousness, open themselves to meeting others and to sharing?” “Our societies, many times sickened by individualism, by consumerism and by empty escapism, need to open themselves, their souls and spirits need to be oxygenized, and then they will be able to read the crisis as an opportunity and deal with it positively”, the Pope’s analysis:

“Europe needs to retrieve passion and enthusiasm,

And I can say that I found passion and enthusiasm in Marseille: in its Pastor, Cardinal Aveline; in the priests and consecrated persons; in the faithful laity dedicated to charity, to education; in the People of God who showed great warmth during the Mass in the Vélodrome Stadium.” “thank all of them and the President of the Republic, whose presence testified that all of France was paying attention to the event in Marseille”, the Pope’s homage to Macron: “May Our Lady, whom the people of Marseille venerate as Notre Dame de la Garde, accompany the journey of the peoples of the Mediterranean so that this region might become what it has always been called to be – a mosaic of civilization and hope.”

“Remember your brothers and sisters in Ukraine,

forced to leave their war-torn homeland, seeking help, refuge and the benevolence of your country. Demonstrate to them the welcoming spirit of the Gospel”, the Pope said in his greeting to Polish-speaking faithful at the end of the general audience. “Today’s liturgical commemoration of Saint Vincent de Paul reminds us of the central importance of love of neighbour”, Francis said addressing the Italian-speaking faithful.

Papa Francesco: “l’Europa ha bisogno di ritrovare passione ed entusiasmo”

Mer, 27/09/2023 - 10:39

“Il Mediterraneo è culla di civiltà, e una culla è per la vita! Non è tollerabile che diventi una tomba, e nemmeno un luogo di conflitto”. Lo ha detto Papa Francesco, che ha dedicato la catechesi dell’udienza di oggi, in piazza San Pietro, al recente viaggio apostolico a Marsiglia, per partecipare alla conclusione dei Rencontres Méditerranéennes. “Questo è il sogno, questa è la sfida”, ha spiegato: “che il Mediterraneo recuperi la sua vocazione, di essere laboratorio di civiltà e di pace”.  “Il Mare Mediterraneo è quanto di più opposto ci sia allo scontro tra civiltà, alla guerra, alla tratta di esseri umani”, la tesi del Papa: “È l’esatto opposto, perché il Mediterraneo mette in comunicazione l’Africa, l’Asia e l’Europa; il nord e il sud, l’oriente e l’occidente; le persone e le culture, i popoli e le lingue, le filosofie e le religioni”. “Certo, il mare è sempre in qualche modo un abisso da superare, e può anche diventare pericoloso”, ha ammesso Francesco: “Ma le sue acque custodiscono tesori di vita, le sue onde e i suoi venti portano imbarcazioni di ogni tipo. Dalla sua sponda orientale, duemila anni fa, è partito il Vangelo di Gesù Cristo. Questo naturalmente non avviene per magia e non si realizza una volta per tutte. È il frutto di un cammino in cui ogni generazione è chiamata a percorrere un tratto, leggendo i segni dei tempi in cui vive”.

Dall’evento di Marsiglia “è uscito uno sguardo sul Mediterraneo che definirei semplicemente umano, non ideologico, non strategico, non politicamente corretto né strumentale, no, umano, cioè capace di riferire ogni cosa al valore primario della persona umana e della sua inviolabile dignità”,

il bilancio del Papa. “E nello stesso tempo è uscito uno sguardo di speranza”, ha proseguito Francesco: “Questo è oggi molto sorprendente: quando ascolti i testimoni che hanno attraversato situazioni disumane o che le hanno condivise, e proprio da loro ricevi una professione di speranza, e anche uno sguardo di fraternità”. L’incontro di Marsiglia, ha ricordato il Papa, è venuto dopo quelli simili svoltisi a Bari nel 2020 e di e a Firenze l’anno scorso:

“Non è stato un evento isolato, ma il passo in avanti di un itinerario, che ebbe i suoi inizi nei Colloqui Mediterranei organizzati dal Sindaco Giorgio La Pira, a Firenze, alla fine degli anni ’50 del secolo scorso. Un passo avanti per rispondere, oggi, all’appello lanciato da San Paolo VI nella sua Enciclica Populorum progressio, a promuovere ‘un mondo più umano per tutti, un mondo nel quale tutti abbiano qualcosa da dare e da ricevere, senza che il progresso degli uni costituisca un ostacolo allo sviluppo degli altri’” .

“Il Mediterraneo deve essere un messaggio di speranza”, ha ribadito Francesco a braccio: “Questa speranza non può e non deve volatilizzarsi, no, al contrario deve organizzarsi, concretizzarsi in azioni a lungo, medio e breve termine”, l’appello di Francesco:

“perché le persone, in piena dignità, possano scegliere di emigrare o di non emigrare”.

“Occorre ridare speranza alle nostre società europee, specialmente alle nuove generazioni”, l’altro invito del Papa: “come possiamo accogliere altri, se non abbiamo noi per primi un orizzonte aperto al futuro? Dei giovani poveri di speranza, chiusi nel privato, preoccupati di gestire la loro precarietà, come possono aprirsi all’incontro e alla condivisione?”. “Le nostre società tante volte ammalate di individualismo, di consumismo, di vuote evasioni hanno bisogno di aprirsi, di ossigenare l’anima e lo spirito, e allora potranno leggere la crisi come opportunità e affrontarla in maniera positiva”, l’analisi:

“L’Europa ha bisogno di ritrovare passione ed entusiasmo,

e a Marsiglia posso dire che li ho trovati: nel suo pastore, il cardinale Aveline, nei preti e nei consacrati, nei fedeli laici impegnati nella carità, nell’educazione, nel popolo di Dio che ha dimostrato grande calore nella Messa allo Stadio Vélodrome. “Ringrazio tutti loro e il presidente della Repubblica, che con la sua presenza ha testimoniato l’attenzione della Francia intera all’evento di Marsiglia”, l’omaggio a Macron: “Possa la Madonna, che i marsigliesi venerano come Notre Dame de la Garde, accompagnare il cammino dei popoli del Mediterraneo, perché questa regione diventi ciò che da sempre è chiamata a essere: un mosaico di civiltà e di speranza”.

“Ricordatevi dei vostri fratelli e sorelle dell’Ucraina,

costretti a lasciare la propria patria, afflitta dalla guerra, che cercano l’aiuto, il rifugio e la benevolenza nel vostro Paese. Manifestate loro l’accoglienza evangelica”, l’invito ai fedeli polacchi, nei saluti al termine dell’udienza.  “L’odierna memoria liturgica di San Vincenzo de’ Paoli ci ricorda la centralità dell’amore del prossimo”, il saluto ai fedeli di lingua italiana.

Decreto energia: le novità per le famiglie con i bonus benzina e riscaldamento

Mar, 26/09/2023 - 11:35

Palazzo Chigi lo definisce “un decreto-legge che introduce misure urgenti in materia di energia, interventi per sostenere il potere di acquisto e a tutela del risparmio”. Un primo pacchetto da 1,3 miliardi di euro, varato dal Consiglio dei ministri con la consapevolezza che si tratta di un intervento non adeguato e che a breve saranno necessarie nuove misure. In evidenza la proroga dei bonus per energia e carburanti (con un occhio di riguardo alle famiglie con almeno 4 figli), mentre ha fatto discutere già alla vigilia una sorta di mini-condono per gli esercizi commerciali, ben 50 mila dei quali secondo l’esecutivo sarebbero a rischio chiusura in assenza di agevolazioni fiscali per scontrini e fatture.

Ma vediamo i punti principali così come presentati dal governo.

Vengono prorogati per il quarto trimestre e dunque sino alla fine dell’anno, “la riduzione delle bollette dell’energia elettrica e del gas a favore dei nuclei familiari economicamente più disagiati (con Isee fino a 15mila euro o fino a 30mila euro se con 4 figli) o con componenti in condizioni di salute gravi, in modo tale che i livelli obiettivo di riduzione della spesa siano pari al 30% sull’energia elettrica e del 15% sul gas”; “l’azzeramento degli oneri di sistema relativi al gas naturale”; “la riduzione dell’aliquota Iva al 5% per le somministrazioni di gas metano usato per combustione per usi civili e industriali e per le forniture di servizi di teleriscaldamento e per le somministrazioni di energia termica”.

A queste misure si aggiunge “un contributo straordinario alle spese di riscaldamento per i mesi di ottobre, novembre e dicembre 2023 e si consente l’uso della social card (oggi utilizzata per l’acquisto di generi alimentari dai nuclei familiari con Isee fino a 15 mila euro) anche per l’acquisto di carburanti”. Con questa finalità lo stanziamento destinato alla “card” viene aumentato di ulteriori 100 milioni.

Il bonus trasporti per i redditi fino a 20 mila euro (nel 2022) viene incrementato di 12 milioni. Altri 7,5 milioni vanno a potenziare il fondo per le borse di studio degli studenti universitari. Aggiornate anche le regole per le agevolazioni alle imprese con un elevato consumo di energia elettrica.

Per quanto riguarda gli esercizi commerciali – spiega la nota di Palazzo Chigi – “le nuove norme consentono di esercitare, entro il 15 dicembre 2023, il ravvedimento operoso per la violazione di alcuni obblighi in materia di certificazione dei corrispettivi – avvenuta tra il 1° gennaio 2022 e il 30 giugno 2023 – regolarizzando la posizione con il pagamento previsto dalla legge ed evitando di incorrere nelle sanzioni accessorie della sospensione della licenza o dell’attività”.

Il decreto interviene anche con norme interpretative per disinnescare il contenzioso relativo all’operazione Alitalia-Ita, esplicitando la discontinuità tra le due aziende, e per consentire che vada a buon fine il salvataggio della compagnia assicurativa Eurovita.

Come vogliamo vivere quest’anno?

Mar, 26/09/2023 - 09:51

Immaginiamo la nostra vita che si snoda su una strada. Se analizziamo il nostro comportamento, ci accorgiamo che spesso camminiamo distratti e non ci poniamo delle domande. Solo quando rientriamo in noi stessi, siamo capaci di chiederci dove stiamo andando e dove ci porta il cammino.
Incominciando ad ascoltare il profondo, possiamo trovarci sulla soglia del Mistero ed accogliere le domande che interrogano la nostra esistenza. Allora avvertiamo l’urgenza di prendere la vita tra le nostre mani per qualificarla, per darle un senso. Scopriamo, lungo il cammino, che di tanto in tanto bisogna fermarsi, riguardare le coordinate geografiche del nostro esistere per confermare, rettificare o addirittura cambiare strada e chiederci se la via imbroccata è quella che ci permette di raggiungere la pienezza di vita.
Noi che facciamo parte dell’oggi di Dio e dell’umanità, siamo chiamati ogni momento a scegliere se vivere per noi stessi o secondo il Vangelo di Gesù Cristo. Se prendiamo la vita sul serio, non possiamo arrenderci di fronte ad una mentalità corrente che propone di far lievitare il nostro io a dismisura, di vivere uno sradicamento relazionale umano che ci permette di navigare da un luogo all’altro, senza avere un contatto reale con gli altri, con la terra.
Se Papa Francesco, rivolto ai giovani a Panama, afferma che “è impossibile che uno cresca se non ha radici forti che aiutino a stare bene in piedi e attaccato alla terra e che è facile “volare via” quando non si ha dove attaccarsi, dove fissarsi”, domandiamoci quali sono le nostre radici.

Consumare il presente, senza un obiettivo da raggiungere, è non percepire la bellezza della vita che scorre nel qui e ora. Il rischio di collocare in uno spazio il proprio io, e non la persona, ci porta pian piano a diventare padroni di tutto ciò che incontriamo, di identificarci con il potere che consente di controllare nell’area ogni mossa percepita.

Quale significato ha per noi cristiani l’affermazione di Papa Francesco riguardo al tempo che è superiore allo spazio (EG 222-225)?
Vivere la propria esistenza nel tempo è immettersi nelle coordinate nell’infinto di Dio e ciò richiede fede, fiducia e abbandono. La fede è riporre la nostra vita nel cuore di Qualcuno che ci ama di amore eterno. La fiducia fa sentire sulla pelle che possiamo fidarci di Dio, poiché in tanti momenti ci ha fatto sperimentare la sua reale vicinanza, anche quando non abbiamo capito gli eventi. L’abbandono è lasciarsi guidare costantemente dal Signore che ha progetti di pace e veglia sempre sul nostro cammino.
La sosta è importate per ritrovare il senso della propria vita e raddrizzare l’orientamento esistenziale alla presenza di Dio. É la condizione per rimanere in relazione con il Figlio suo e con tutti, incarnando il Vangelo ovunque.
Tenendo lo sguardo fisso su Gesù, ci accorgiamo del superfluo che rallenta il nostro percorso, di ciò che ci rende incapaci di silenzio, di attenzione, di ascolto, di contemplazione, di stupore, di relazioni.

L’accumulo di tesori fatui non ci fa cogliere la bellezza nel creato, né ci rende consapevoli dei nostri isolamenti abitudinari che abbrutiscono la condizione umana, della nostra indifferenza verso gli altri e soprattutto della vita che ci sfugge dalle mani…

Dedicando del tempo alla riflessione, scegliamo di liberarci di tutto ciò che non consente di vivere per Qualcuno, senso delle relazioni e motivo trainante per custodire il bene comune.
Spesso anche noi cristiani viviamo secondo il pensiero fluido. Siamo alla ricerca della realizzazione individuale, di chi ci conferma, di chi ci applaude. Tutto parte da noi e tutto finisce con noi: chi non appartiene alla schiera idolatrante viene rifiutato come scarto.
Facciamo fatica a camminare con gli altri per aprire insieme dei processi che consentono non solo di vivere il Vangelo, ma anche di portare ovunque la prossimità, la fratellanza, la gioia, la giustizia e la pace…Spesso stiamo a guardare e non ci sporchiamo le mani per amore!
In questa tempo anche per noi credenti spesso non c’è posto per Dio: viviamo di religiosità e non riusciamo più ad integrare la fede con la vita.
È giunto il momento propizio per fermarci per capire dove ci troviamo. La sosta ci permetterà di scoprire che non siamo soli nel cammino della vita, perché, come i discepoli di Emmaus, siamo accompagnati da Gesù, anche quando non ci accorgiamo. Egli ci fa cogliere la presenza degli altri, ci spinge a chiedere loro di camminare insieme, per colmare di bene i vuoti che possiamo incontrare lungo la via, scoprendoci fratelli e sorelle a servizio di un mondo che ha fame e sete di umanità, di Dio.
Il Signore ci apre continuamente la strada: sta a noi scoprirla e percorrerla.

Scuola. Cittadinanzattiva: “61 crolli in un anno. Fondi Pnrr insufficienti per messa in sicurezza”

Mar, 26/09/2023 - 09:36

Tra settembre 2022 e agosto 2023 si sono registrati 61 episodi di crolli e distacchi di intonaco nelle scuole del nostro Paese – numero mai raggiunto in questi ultimi 6 anni – di cui 24 nelle regioni del Sud e nelle Isole (39%), 23 nel Nord (38%), 14 nelle regioni del Centro (23%). Nel dettaglio: 9 in Lombardia, 5 in Piemonte, 3 in Liguria e in Emilia-Romagna, 2 in Veneto, 1 in Friuli-Venezia Giulia; 8 in Campania, 7 in Sicilia, 5 in Sardegna, 1 in Puglia, Calabria, Abruzzo, Basilicata, Umbria; 8 nel Lazio, 5 in Toscana. L’ultimo episodio, che ha tristemente inaugurato il nuovo anno, è quello avvenuto all’Istituto professionale Marconi di San Giovanni Valdarno (AR), dove lo scorso 14 settembre è crollato il solaio e il controsoffitto di un’aula. E’ quanto emerge dal XXI Rapporto Osservatorio civico sulla sicurezza a scuola, presentato il 23 settembre a Bologna da Cittadinanzattiva nell’ambito della VIII edizione del Festival della partecipazione.

infografica Cittadinanzattiva

Feriti sei studenti, un’insegnante e una collaboratrice scolastica; danni ad ambienti e arredi, interruzione della didattica, ingenti disagi e paura per gli studenti e le loro famiglie. Crolli le cui cause sono in gran parte ravvisabili nella vetustà degli edifici e dei materiali utilizzati, nell’assenza/carenza di manutenzione, nella riduzione degli investimenti relativi a indagini e interventi su controsoffitti, solai, tetti, nella mancanza di tempestività nell’intervenire.

Aule sovraffollate. Più di 27 studenti in cinque classi su cento delle superiori nonostante il calo demografico che già nel 2022-2023 ha fatto registrare complessivamente 121mila studenti in meno rispetto all’anno precedente. Sono 40.133 gli istituti che l’anno scorso hanno accolto 7.286.151 studenti, dei quali più di 795mila (11%) privi di cittadinanza italiana. Circa 290mila gli alunni con disabilità (4%), eppure due scuole su tre hanno ancora barriere architettoniche; soltanto il 17% ha segnalazioni visive per studenti con sordità o ipoacusia, e l’1,5% ha mappe a rilievo e percorsi tattili.

Infografica Cittadinanzattiva

Aumentano edifici antisismici. Gli istituti costruiti prima del 1976 sono il 47%; su appena il 3% sono stati effettuati interventi di adeguamento e miglioramento sismici. In aumento il numero di edifici progettati secondo la normativa antisismica.

Un terzo dei 588 docenti e dirigenti intervistati ha segnalato situazioni di inadeguatezza rispetto alla sicurezza della propria scuola:

tracce di umidità (42%) e infiltrazioni di acqua (33%), insieme a distacchi di intonaco (36%) e addirittura crepe (23%).

Atenei più sicuri. Nonostante distacchi di intonaco, umidità e altri segni di fatiscenza soprattutto su pareti e soffitti dei corridoi e, in misura minore, in alcuni bagni e aule, il monitoraggio pilota di Cittadinanzattiva su un campione di 18 sedi universitarie di Bologna, Cagliari, Napoli, Roma, presentato nell’ambito del XXI Rapporto sulla sicurezza a scuola, mostra che gli atenei presentano mediamente migliori condizioni di sicurezza rispetto agli altri edifici scolastici. Sul fronte dell’accessibilità il percorso risulta praticabile in 17 strutture, mentre in un terzo sono assenti posti auto riservati alle persone con disabilità nel cortile o nel parcheggio. “È un’azione civica con la quale vogliamo sopperire alla mancanza di informazioni sugli edifici che ospitano sedi universitarie”, spiega Adriana Bizzarri, coordinatrice nazionale scuola di Cittadinanzattiva, auspicando che il ministero dell’Università avvii “un censimento puntuale per conoscerne le condizioni dal punto di vista strutturale, manutentivo e di sicurezza interna”. Nel frattempo, gli studenti possono segnalare le condizioni dell’università che frequentano compilando il questionario a questo link.

Insufficienti i 12,66 miliardi di euro destinati dal Pnrr all’edilizia scolastica e alle aule 4.0.

Per Anna Lisa Mandorino, segretaria generale di Cittadinanzattiva, i benefici saranno infatti “esigui rispetto a quelli auspicabili: alcuni progetti previsti per la messa in sicurezza e riqualificazione delle scuole rischiano di saltare dopo la rimodulazione del Piano annunciata a luglio”. Scendendo nel dettaglio delle singole missioni, secondo l’esperta i fondi non basteranno e sarà necessario prolungare gli investimenti negli anni a venire. Su mense e palestre, afferma, “gli interventi finanziati sono davvero pochi rispetto al reale fabbisogno”, soprattutto in considerazione del “ruolo importante che tali servizi svolgono rispetto al benessere psicofisico dei ragazzi”.

foto Cittadinanzattiva

Alcuni numeri. Per la messa in sicurezza e riqualificazione delle scuole, si legge nel Rapporto, “nella programmazione iniziale erano previsti 3.400 progetti già in essere e 500 nuovi, per un impegno di spesa complessivo di 3,900 miliardi. Ma per questo intervento il documento del Governo dello scorso 27 luglio segnala che a causa dell’incremento dei prezzi delle materie prime verrà diminuito il numero previsto di edifici”. Anche rispetto al numero di 212 nuove scuole approvate, “le domande pervenute sono state più del doppio, ossia 543”, con il rischio, secondo Cittadinanzattiva, che “la reintroduzione dell’appalto integrato rischi di snaturare parte dei progetti innovativi inizialmente presentati”. Per Mandorino servono

chiarezza su quali e quanti progetti rischiano di non vedere la luce” e “una programmazione almeno triennale degli investimenti anche dopo il Piano”.

Card. Zuppi: “la società italiana non è in pace, ma la Chiesa è una casa dalle porte aperte”

Lun, 25/09/2023 - 18:46

“La società italiana non è in pace”, ma la Chiesa “è una casa dalle porte aperte”. Si è incentrata su questi due binari l’introduzione del card. Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna e presidente della Cei, che in apertura del Consiglio permanente dei vescovi italiani, in corso a Roma fino al 27 settembre,  ha tracciato un’ampia analisi dello scenario italiano ed internazionale, trattando temi come la guerra e la pace, le migrazioni, la crescita della violenza tra i giovani, la sessualità, i femminicidi, la povertà e la denatalità, i “working poor” e le morti sul lavoro. “Non si può pensare all’Italia isolata dall’Europa e dal resto del mondo”, ha esordito il cardinale subito dopo l’omaggio al presidente Napolitano, di cui domani si celebrano i funerali in forma laica. “Non siamo una minoranza residuale ma una minoranza creativa”, l’identikit sulla scorta di Benedetto XVI: “La Chiesa in Italia è una Chiesa di popolo”.

“Il nostro mondo ha bisogno di pace e unità”,

il riferimento allo scenario internazionale: la guerra in Ucraina è “un dramma alle porte dell’Europa che ci riguarda tutti, come uomini e donne di questo tempo, prima ancora che come cittadini europei. L’azione del Santo Padre per la pace, oltre alle sue parole, ci ricorda che tutti dobbiamo agire e pregare per la pace”. “Ci ricordiamo sempre degli ucraini e continuiamo a sostenerli in Ucraina o in Italia, esuli dalla loro terra”, ha ribadito il cardinale ringraziando “le tante famiglie che hanno dato disponibilità per accogliere i bambini ucraini”. “È tempo che le armi cessino. È tempo di tornare al dialogo, alla diplomazia. È tempo che cessino i disegni di conquista e di aggressione militare”, l’appello prendendo in prestito le parole di Papa Francesco.  Nella parte centrale dell’introduzione, il tema delle migrazioni:

“Le guerre, il degrado ambientale, l’insicurezza, la miseria, il fallimento di non pochi Stati sono all’origine dei flussi di rifugiati e migranti. Si tratta di gestire con umanità e intelligenza un vasto fenomeno epocale”.

Secondo Zuppi, “l’errore – non da oggi – è stato politicizzare il fenomeno migratorio, anche condizionati dal consenso e dalle paure”. La questione migratoria, invece, “dovrebbe essere trattata come una grande questione nazionale, che richiede la cooperazione e il contribuito di tutte le forze politiche”, la proposta in sintonia con l’auspicio di Bergoglio a Marsiglia, “in piena continuità” con le tappe di Bari e di Firenze. Come ha detto il Papa, “siamo di fronte a un bivio: o scegliamo la cultura della fraternità o la cultura dell’indifferenza”. Di qui la necessità di “una concertazione tra le forze politiche e sociali indispensabile per creare un sistema di accoglienza che sia tale, non opportunistico, non solo di sicurezza perché la vera sfida è governare un fenomeno di dimensioni epocali e renderlo un’opportunità così come esso è”. Grazie all’iniziativa della Cei “Liberi di partire, liberi di restare” e ai corridoi umanitari, “è stata possibile l’apertura del primo canale legale di ingresso per minori stranieri non accompagnati attraverso un permesso di studio (progetto Pagelle in tasca) dal Niger all’Italia, specificatamente in Piemonte.

L’aumento dei femminicidi, dei suicidi e delle violenze tra i giovani, amplificati dal tam tam dei social, sono uno dei segnali che indicano come “la società italiana non è in pace”:

“Tutto avviene diversamente dal passato in pubblico: nella ‘fornace’ dei social, spietati e agonistici”, ha osservato il cardinale: “Nessuna generazione prima ha conosciuto quest’esperienza: ci si deve autodefinire, si deve mettere il volto e il corpo in mostra, si misurano quanti ti seguono. È facile sui social sbagliare e finire alla gogna, segnati dall’ansia, alimentata dalla crisi dei grandi sogni collettivi e da reti educative e relazionali molto più fragili”. Per questo è necessario riflettere sul tema dell’educazione, che “non è un’emergenza ma è la quotidianità della vita della Chiesa”.

“Forse è tempo perché anche noi credenti troviamo il coraggio di parlare di sessualità senza infingimenti, nella prospettiva dell’integrazione tra vita umana e vita spirituale”,

il suggerimento per l’educazione affettiva dei giovani. Tra i segnali positivi, la coscienza che la Chiesa è “una famiglia tra le famiglie, una casa con le porte aperte”, e l’oceano di giovani che ha affollato la Gmg di Lisbona, dove le 65mila presenze italiane sono state “una sorpresa rispetto alle previsioni”.

Nella Chiesa, “sono tristi e sterili le polarizzazioni”,

ha denunciato Zuppi menzionando, in particolare, le “troppe resistenze” verso Papa Francesco e il suo messaggio, “spesso espresse in uno spirito di contrapposizione, favorito dai social”. Sinodalità, al contrario – il riferimento al Sinodo ormai imminente – “vuol dire rimettere in discussione le arroccate solitudini ecclesiali nell’incontro, nella comunione, nell’ascolto, nell’impegno missionario enorme che ci attende confrontandoci con la folla e le sue sofferenze. Mai senza l’altro!”. Per il presidente della Cei, “il processo sinodale è una grande occasione di rinnovamento e affratellamento”.

 “La povertà in Italia può dirsi ormai un fenomeno strutturale, visto che tocca quasi una persona su dieci”,

ha osservato infine Zuppi sul versante della politica interna. Tra i problemi più urgenti, quello della casa e del rincaro affitti, per affrontare il quale “vanno sollecitati interventi pubblici”. Per contrastare la denatalità occorrono inoltre “servizi integrati sul territorio a sostegno delle famiglie, non solo aiuti materiali”. Altri fenomeni di cui tener conto, quello degli “working poor”, del lavoro nero e delle dimissioni dal lavoro, soprattutto tra i giovani. Senza contare le vittime degli incidenti sul lavoro, che me ha detto il presidente Mattarella sono un “oltraggio alla convivenza civile”.

Card. Zuppi: “Italian society is not at peace, but the Church is a home with open doors”

Lun, 25/09/2023 - 18:46

“Italian society is not at peace,” but the Church “is a house with open doors.” These two threads were the focus of the introduction by Card. Matteo Zuppi, archbishop of Bologna and president of the Italian Episcopal Conference, who at the opening of the Italian bishops’ permanent council, underway in Rome until Sept. 27, gave a wide-ranging analysis of the Italian and international scenario, dealing with issues such as war and peace, migration, the growth of violence among young people, sexuality, feminicides, poverty and decreasing birth rates, the “working poor” and workplace deaths. “Italy cannot be viewed in isolation from Europe and the rest of the world,” the Cardinal began immediately after the tribute to President Napolitano, whose funeral will be celebrated tomorrow in secular form. “We are not a residual minority but a creative minority,” he summarized in the wake of Benedict XVI: “The Church in Italy is a Church of the people.”

“Our world needs peace and unity”,

he continued, referring to the international scenario: the war in Ukraine is “a drama at Europe’s doorstep that concerns us all, as men and women of this time, before being European citizens. The Holy Father’s action for peace, in addition to his words, reminds us that we must all act and pray for peace”. “We always remember the Ukrainians and we continue to support them in the Ukraine or in Italy, exiled from their land”, the Cardinal continued, thanking “the many families who have made themselves available to take in Ukrainian children”. “The time has come to lay down the weapons. It is time to return to dialogue, to diplomacy. It is time for the plans of conquest and military aggression to be put away”, he appealed, borrowing Pope Francis’ words. In the central part of the introduction, he touched upon the theme of migrations:

“Wars, environmental degradation, insecurity, poverty, and the failure of quite a few states are at the root of refugee and migrant flows. We must manage a vast epochal phenomenon with humanity and intelligence.”

According to Zuppi, “the mistake – not since today – has been to politicize the phenomenon of migration, also conditioned by consensus and fears.” Instead, migration “should be viewed as a great national question, which requires the cooperation and input from all political forces”, he suggested, in harmony with Bergoglio’s auspice in Marseille, “in full continuity” with the Bari and Florence legs. As the Pope said, “we are at a crossroads: we can choose the culture of fraternity or the culture of indifference”. It is therefore necessary to find a “collaboration between political and social forces that is essential to create a system that is welcoming, not opportunistic, not just about security because the real challenge is to govern a phenomenon of epochal dimensions and turn it into an opportunity, which it is.” Thanks to the CEI’s “Free to leave, free to stay” initiative and to humanitarian corridors, “it has been possible to open the first legal channel of entry for unaccompanied minors from Niger to the Italian region of Piedmont through study permits (Pagelle in tasca project)”.

The increase in feminicides, suicides, and violence among young people, amplified by social network hype, are one of the signs that “Italian society is not at peace.”

“In public, everything is happening differently than in the past: in the ‘furnace’ of social media, which are ruthless and competitive,” the Cardinal noted. “No previous generation has experienced this: you have to self-define yourself, you have to put your face and body on display, you measure how many people follow you. On social media it is easy to make mistakes and end up in disgrace, scarred by anxiety, fueled by the crisis of great collective dreams and much more fragile educational and relational networks.” This is why it is necessary to reflect on the issue of education, which “is not an emergency but is the everyday life of the Church.”

“Perhaps it is time for us believers, too, to find the courage to speak about sexuality without pretenses, from the perspective of the integration of human life and spiritual life.”

is his suggestion for the emotional education of young people. Positive signs include the awareness that the Church is “a family among families, a house with open doors,” and the river of young people who flocked to the WYD in Lisbon, where the 65,000 Italian attendees were “a surprise compared to the forecasts.”

In the Church, “polarizations are sad and sterile.”

lamented Zuppi, mentioning, in particular, the “too many resistances” toward Pope Francis and his message, “often expressed in a spirit of opposition, favored by social media.” Synodality, on the contrary – in reference to the now imminent Synod – “means questioning the entrenched ecclesial solitudes in getting together, in communion, in listening, in the tremendous missionary commitment that awaits us by confronting the crowd and its sufferings. Never without the other!” For the IEC president, “the synodal process is a great opportunity for renewal and brotherhood.”

“Poverty in Italy can now be said to be a structural phenomenon, since it touches almost one in ten people,”

Zuppi finally noted, turning to domestic policy. Among the most urgent problems are housing and rising rents, for which “public interventions must be urged.” To counteract decreasing birth rates we also need “integrated services on the ground to support families, not just material aid.” Other phenomena to be taken into account include that of the “working poor,” moonlighting and people quitting their jobs, especially among young people. Not to mention the victims of accidents at work, which as President Mattarella said are an “outrage to civil coexistence.”

The Mexican Church at the forefront of the network of dialogue. The objective: to build an agenda of peace

Lun, 25/09/2023 - 11:22

The message is loud and clear: in Mexico “it is time to act”, and to create a “national Network for peace”. This is the solemn commitment made by the promoters and participants of the national dialogue for peace, which closed after a three-day session on Saturday 23 September at the Latin American University of Puebla, with 1300 delegates in attendance.

The final document reads: “With deep love for Mexico, the Bishops of the Mexican Episcopal Conference and all those invited to this meeting are convinced that it is possible to build peace, to overcome the dynamics of violence and the destruction of the social fabric, knowing that there are no easy solutions.

Peace is a joint effort at many levels, involving all sectors of society.

It requires the sum of wills, the coordination of efforts, and the generosity of all to overcome the fear that seizes us in the face of the inertia and ineffectiveness of the authorities, which have not taken care of the primary task of building peace.”

The commitments of the Peace Agenda.

The Dialogue initiative was taken by the Mexican Church through various entities: the Bishops’ Conference, the Conference of Religious Men and Women, the Society of Jesus, and the pastoral care of the laity.

The goal was to honor the five million victims and the more than 500,000 dead or desaparecidos produced by the violence of Mexican criminal groups, and to elaborate a real “Peace Agenda,” which is in fact contained in the final appeal. Twenty-four reflections, proposals and concrete commitments taken by the promoters and proposed to Mexican societies and institutions. Noting that the current situation of violence in the country “has become intolerable,” the promoters set themselves specific goals: “to move from a culture of violence to a culture of care and peace; to respect the dignity of all people without distinction; to privilege the ethics of dialogue, collaboration and the ‘culture of encounter’; to be ‘artisans of peace’; to make young people protagonists of the future; and to seek to influence public policies and legislative processes.”

Some specific commitments follow: “Build the National Peace Network; participate in inclusive leadership and engagement; promote inter-institutional articulation, creating mechanisms for dialogue and collaboration; promote the implementation of the National Peace Agenda in the different sectors of society; present the National Peace Agenda to all candidates for elected office, whether municipal, state or federal; and build digital spaces that allow us to meet, connect, share experiences and join forces.”

Finally, the calls “to join the Network; to prioritize dialogue; to eradicate indifference and violence; to adopt the principles of the culture of caring, respect for the dignity of every human being, and the ethics of dialogue and collaboration; to take ownership of the National Agenda for Peace and to promote actions that enable its implementation in families, schools, communities, institutions, businesses, universities and other settings; to seek links that foster sustained peace-building efforts; and to demand that governments play their role effectively and transparently.”

The whole of society is called to participate. Among the main promoters of this initiative, which has been in preparation for months, are the Mexican Jesuits. More than a year ago, in June 2022, two of their confreres, Father Javier Campos and Father Joaquín Mora, along with two lay people, were slaughtered in a church in Cerocahui, in the middle of the Sierra Tarahumara in the northern state of Chihuahua. The incident sparked a strong reaction and mobilization effort within the Society of Jesus, as confirmed to SIR by Father Jorge Atilano González, coordinator of Jesuit social programs, who played an important liaison role in the Puebla event:

“This painful event aroused great indignation, our confreres were murdered at the altar. From this came the proposal for a renewed commitment”.

The Jesuits, the Episcopal Conference and the Conference of Religious began to prepare for the meeting in Puebla and to “prepare the ground” with a series of symbolic and prayerful initiatives in parishes and associations. This led to the National Dialogue. “They were very fruitful days,” continued Father Atilano. “Experts, university professors, businessmen and many social actors were present. The first day focused on the many cases of violence perpetrated by criminal groups operating in the country; on the second day, we focused on some of the good practices that already exist and also gave voice to police officers, witnesses and people who have been able to initiate courageous processes of peace and dialogue. Finally, the third day was dedicated to the drafting of the agenda. Forty bishops were present, the participation was very strong.”

It is certainly something new that a unanimous movement is making its way in Mexico, with the Church taking the lead.

“The next step now,” the Jesuit continued, “is to realize that peace requires an integral vision, that it must begin with the family, with schools, that all sectors of society are called to do their part: politics, certainly, but also the Church, businessmen, the police, judges, men of culture. A broad agenda is needed.”

Of course, there is no lack of awareness that the road will be long and difficult, and that violence in the country is entrenched and powerful, with strong ramifications in places of power: “Violence comes from all sides, especially in some parts of the country. Therefore, it will be important to take the Agenda to the state and local levels, to talk to the candidates in the upcoming 2024 elections, to accompany the implementation of the Agenda and the network we are building at the local level, and to set up technical tables.”

 

*journalist for “La vita del popolo”

La Chiesa messicana capofila della rete di dialogo. Obiettivo: costruire un’agenda di pace

Lun, 25/09/2023 - 11:22

Il messaggio è forte e chiaro: in Messico, “è il momento di agire”, e di dare vita a una “Rete nazionale per la pace”. È il solenne impegno preso dai promotori e partecipanti del Dialogo nazionale per la pace, che si è concluso sabato 23 settembre, dopo tre giorni di lavori all’Università Iberoamericana di Puebla, alla presenza di milletrecento delegati.

Si legge nel documento finale: “Con un profondo amore per il Messico, i vescovi della Conferenza episcopale messicana e tutti coloro che sono stati invitati a questo incontro sono convinti che sia possibile costruire la pace, che si possano superare le dinamiche della violenza e della distruzione del tessuto sociale, sapendo che non esistono soluzioni facili. La pace è uno sforzo congiunto a diversi livelli e con tutti i settori sociali. Implica la somma delle volontà, il coordinamento degli sforzi e la generosità di tutti per superare la paura che ci attanaglia di fronte all’indolenza e all’inefficacia delle autorità, che non si sono occupate del loro compito principale di procurare la pace”.

Gli impegni dell’Agenda di pace. L’iniziativa del Dialogo è stata presa dalla Chiesa messicana attraverso varie articolazioni: la Conferenza episcopale, la Conferenza dei religiosi e religiose, la Compagnia di Gesù, la pastorale dei laici. L’obiettivo era quello onorare i cinque milioni di vittime, e gli oltre 500 mila morti o desaparecidos prodotti dalla violenza dei gruppi criminali messicani, e di elaborare una vera e propria “Agenda di pace”, contenuta, appunto, nell’appello finale. Ventiquattro tra considerazioni, proposte e impegni concreti, presi dai promotori e proposti alle società e alle Istituzioni messicane. Nel prendere atto che l’attuale situazione di violenza nel Paese “si è fatta intollerabile”, i promotori si danno degli obiettivi precisi: “passare da una cultura della violenza a una cultura della cura e della pace; il rispetto della dignità di tutte le persone senza distinzioni; privilegiare l’etica del dialogo, della collaborazione e della ‘cultura dell’incontro’; essere ‘artigiani di pace’; rendere i giovani protagonisti del futuro; cercare di influenzare le politiche pubbliche e i processi legislativi.

Seguono alcuni impegni concreti: “Costruire la Rete nazionale per la pace; partecipare alla leadership e all’impegno inclusivo; promuovere l’articolazione interistituzionale, creando meccanismi di dialogo e collaborazione; promuovere l’attuazione dell’Agenda nazionale per la pace nei diversi settori della società; presentare l’Agenda nazionale per la pace a tutti i candidati alle cariche elettive, siano esse comunali, statali o federali; costruire spazi digitali che ci permettano di incontrarci, collegarci, condividere esperienze e unire le forze”.

Infine, gli inviti “a far parte della Rete; a privilegiare il dialogo; a sradicare l’indifferenza e la violenza, ad adottare i principi della cultura dell’attenzione, del rispetto della dignità di ogni essere umano e dell’etica del dialogo e della collaborazione; ad appropriarsi dell’Agenda nazionale per la pace e a promuovere azioni che ne permettano l’attuazione nelle famiglie, nelle scuole, nelle comunità, nelle istituzioni, nelle imprese, nelle università e in altri ambiti; a cercare legami che favoriscano gli sforzi sostenuti per la costruzione della pace; a pretendere che i Governi svolgano il loro ruolo in modo efficace e trasparente”.

Tutta la società è interpellata. Tra i maggiori promotori di questa iniziativa, preparata per mesi, ci sono i gesuiti messicani. Oltre un anno fa, nel giugno 2022, due loro confratelli, padre Javier Campos e padre Joaquín Mora, oltre a due laici, erano stati trucidati in chiesa a Cerocahui, in mezzo alla Sierra Tarahumara, nello Stato settentrionale di Chihuahua. Il fatto ha suscitato una forte reazione e capacità di mobilitazione nella Compagnia di Gesù, come conferma al Sir padre Jorge Atilano González, coordinatore dei programmi sociali dei gesuiti, che ha avuto un importante ruolo di raccordo nell’evento di Puebla: “Quel fatto doloroso ha suscitato una grande indignazione, i nostri confratelli sono stati assassinati sull’altare. Da lì è partita la proposta di un rinnovato impegno”. Gesuiti, la Conferenza episcopale, la Conferenza dei religiosi hanno iniziato a preparare l’appuntamento di Puebla, e, insieme, a “dissodare il terreno”, con una serie di iniziativa simboliche e di preghiera nelle parrocchie e tra le associazioni. Si è giunti, così, al Dialogo nazionale. “Sono stati giorni molto fruttuosi – prosegue padre Atilano -. Erano presenti esperti, docenti universitari, imprenditori, numerosi attori sociali. Il primo giorno sono state messe a tema le tante situazioni di violenza messe in atto dai gruppi criminali che operano nel Paese; il secondo giorno abbiamo dato spazio ad alcune buone pratiche già esistenti, dando voce anche ad agenti di polizia, a testimoni, a popolazioni che hanno saputo avviare coraggiosi processi di pace e dialogo. Infine, il terzo giorno è stato dedicato alla stesura dell’Agenda. Sono stati presenti quaranta vescovi, c’è stata molta partecipazione”.

È certamente un fatto nuovo che in Messico si stia facendo strada un movimento corale, rispetto al quale la Chiesa ha assunto un ruolo di guida. “Il passo, ora – prosegue il gesuita – è rendersi conto che rispetto alla pace serve una visione integrale, che si deve iniziare dalla famiglia, dalla scuola, che tutti i settori della società sono chiamati a fare la propria parte: certamente la politica, ma anche la Chiesa, gli imprenditori, la polizia, i magistrati, gli uomini di cultura. Serve un’agenda ampia”.

Certo, non manca la consapevolezza che il cammino sarà lungo e difficile, e che la violenza nel Paese è radicata e potente, con forti ramificazioni nei luoghi di potere: “La violenza arriva da tutti i lati, soprattutto in alcune zone del Paese. Per questo, sarà importante calare l’agenda nei contesti statali e locali, parlare con i candidati alle prossime elezioni del 2024, accompagnare a livello locale l’implementazione dell’Agenda e della Rete che stiamo costituendo, istituire tavoli tecnici”

*giornalista de “La vita del popolo”

Com’è possibile arrivare a tanto? Messina Denaro e le domande che scandalizzano

Lun, 25/09/2023 - 11:14

Tutto passa. Dopo Bontade, Buscetta, Provenzano, Riina, è passato anche lui, Matteo Messina Denaro. Accompagnato dalle maledizioni di tanta gente, consumato dal cancro, se n’è andato in questo fresco inizio d’autunno, l’ultimo mafioso vecchio stile.

Con lui termina un’epoca. Ha voluto fare il duro fino alla fine. Poveraccio, era tutto quel che gli rimaneva. “Il coraggio uno non se lo può dare” fece dire il Manzoni a don Abbondio. Il coraggio di dire: “Ho sbagliato tutto. Chiedo perdono a Dio e voi, fratelli in umanità. E, per quanto posso, vi aiuto a fare luce su questo tratto di storia italiana che ho collaborato a insozzare”. Niente di tutto questo. Silenzio assoluto. Quasi a voler dare una parvenza di sciocca ideologia a una vita scellerata, senza sapore, senza colore, vissuta all’insegna del più bieco egoismo. Assatanato dal potere e dal denaro, mai sazio di sangue umano. Illuso fino alla morte, ha ingannato ed è rimasto ingannato. Non ha avuto il coraggio di ammettere che la sua esistenza è stato un fallimento. Ma – e ci metterei la mano sul fuoco – il verme invisibile che consuma lentamente gli rodeva dentro, fino al midollo delle ossa. Non sempre ciò che traspare all’esterno è lo specchio di quel che passa nel cuore. Ha avuto modo di sperimentare in questi mesi di prigionia e di malattia il volto più bello della nostra democrazia. Gli uomini che ha odiato e rinnegato lo hanno assistito e curato fino alla fine. Hanno fatto di tutto per lenire le sofferenze e strapparlo alla morte. Chissà quante volte, sentendosi umiliato per tanta immeritata cortesia, avrà pensato: “Perché lo fanno? Per paura?”. Sarebbe stato importante per il suo stupido orgoglio dire a sé stesso: “Faccio ancora paura…”. Ma sapeva bene che così non era. “E allora perché lo fanno?”.

Perché l’Italia che ha provveduto a insanguinare è più bella e civile di quanto gli italiani stessi possono credere. Perché anche quando non se ne accorgono, o addirittura, le rinnegano, le sue radici affondano nel Vangelo della giustizia e della solidarietà. Perché, nonostante tutto, non hanno mai smesso di credere di poter riaccendere in lui la fiamma smorta della sua sprecata umanità. Non è successo. Dispiace. Addolora. Sconforta. Non è successo e lui, Matteo Messina Denaro, ha perso l’ultima occasione per morire con un pizzico di dignità. Dispiace. Per lui.

Le sue confessioni, è vero, avrebbero gettato un po’ di luce in più sui tanti misteri che hanno segnato le pagine più buie della nostra storia. Avrebbe potuto fare un regalo a sua figlia – spero che non accetti niente, ma proprio niente, della sua eredità – alla quale ha fatto tanto male. Un uomo che muore – chiunque sia – merita rispetto, le sue parole diventano importanti. E lui che le ha dato un pessimo esempio, avrebbe potuto, dal letto di morte, mostrarle per quale via vale la pena consumare questi pochi decenni di vita che abbiamo a disposizione.

La storia di quest’italiano è conosciuta. Per chi avesse voglia di approfondirla c’è solo l’imbarazzo della scelta tra i tanti libri che raccontano la disumana e illogica avventura della mafia siciliana e dei suoi intrecci con la politica e la massoneria dal Dopoguerra a oggi. Per quanto mi riguarda, dei mafiosi, degli stupratori, di chi scatena guerre insulse e criminali, uccidendo e dilaniando centinaia di migliaia di esseri umani, m’intriga sempre scendere nei meandri delle loro menti, dei loro sentimenti, dei loro cuori. Che cosa è successo nei cuori dei mafiosi? Come hanno potuto guardare negli occhi i loro bambini? Come hanno fatto a dormire la notte? Ero a Palermo per i funerali di fratel Biagio Conte la mattina del suo arresto. Come tutti gli italiani onesti, esultai alla notizia che, finalmente, lo avessero beccato.

Il pensiero – allora come adesso – corse al piccolo Giuseppe Di Matteo. Sono certo che il fantasma di questo ragazzino non gli ha dato tregua. Almeno voglio sperarlo. La decisione di farlo rapire per costringere suo padre, ex mafioso e collaboratore di giustizia, a ritornare sui propri passi, la prese lui insieme ai fratelli Graviano e a Giovanni Brusca. Fu una vera infamia. Lo tennero segregato in piccoli covi per 779 lunghi giorni e altrettanti insopportabili notti. Un martirio lento, infinito, devastante. Due interminabili anni senza vedere un volto umano, se non quello dell’aguzzino che gli portava da mangiare, ma anche quello coperto da un passamontagna. Due orribili anni prima di farlo strangolare e sciogliere nell’acido il suo corpicino martoriato. Com’è stato possibile arrivare a tanto? Questa domanda che tormenta, angoscia e scandalizza me e tanti italiani, spero – e prego – che abbia tormentato, negli ultimi giorni, anche Matteo Messina Denaro. Per portarlo, almeno nel segreto del cuore, a chiedere perdono a questo piccolo innocente. E a Dio, semmai abbia creduto in lui.

(*) Avvenire

Papa a Marsiglia. Mons. Baturi (Cei): “Salvare vite umane vuol dire anche libertà di non migrare”

Lun, 25/09/2023 - 10:37

Al rientro da Marsiglia, e dopo l’omaggio del Papa, durante l’Angelus di ieri, alla Chiesa italiana per come accoglie i migranti, mons. Giuseppe Baturi, arcivescovo di Cagliari e segretario generale della Cei, traccia per il Sir un bilancio e indica una prospettiva: collaborare con le autorità civili per offrire ai migranti un futuro felice, a partire dalla libertà di scelta tra migrare o restare.

Dopo Bari e Firenze, qual è il messaggio che Papa Francesco ha voluto lanciare da Marsiglia?
Dopo Bari e Firenze, da Marsiglia il Santo Padre ha ribadito l’importanza e la centralità della questione del Mediterraneo, attorno alle cui sponde vivono popoli, culture e religioni diverse, eppure si scaricano le tensioni di tutto il mondo: basti pensare alla questione migratoria, energetica, climatica ed etnica.

Quella indicateci da Papa Francesco a Marsiglia è una vocazione stimolante: rendere questo crocevia di popoli, religioni e culture un luogo in cui nasca una vocazione di bene, di pace, per il Mediterraneo e per il mondo.

Del resto è questa la vocazione inscritta nella condizione geografica e storica del Mediterraneo. La questione delle migrazioni, in particolare, interroga profondamente anzitutto il nostro livello di attenzione alle persone e alle loro condizioni di vita. Ognuno di noi dovrebbe chiedersi, a tutti i livelli, cosa possa fare per accogliere, proteggere, promuovere ed proteggere  e integrare questi nostri fratelli.

Uno dei temi su cui ha più insistito il Papa è quello del soccorso in mare,  dovere a cui adempiere per scongiurare quelli che si configurano come veri e propri crimini contro l’umanità. L’Italia è in prima linea con Lampedusa, e non solo…
Anche da Marsiglia il Santo Padre ha voluto attirare l’attenzione sulla necessità dell’accoglienza, per salvare vite umane: non a caso Papa Francesco parla dei nostri fratelli e sorelle migranti, che sulle sponde del mare Nostrum cercano vita.

Salvare vite umane vuol dire anche libertà di non migrare, collaborare con i Paesi di origine e dare il nostro fattivo contributo per evitare le crisi climatiche, le guerre e la crisi alimentare. Per questo è urgente legalizzare i tragitti, incentivare i canali e i legami comunitari, favorire l’integrazione che – come non si stanca di ripetere il Papa – non è mai assimilazione, ma fare in modo che non vengano mai meno le peculiarità culturali e identitarie dei Paesi da cui provengono i migranti, che vanno aiutati ad essere protagonisti del proprio riscatto per poter dare il proprio fattivo contributo al futuro della nostra nazione.

Al Palais du Pharo e all’Angelus di ieri il Papa ha parlato delle migrazioni come diritto umano, che comprende sia il diritto di emigrare che quello  di restare nella propria terra. La Cei è stata una antesignana con la campagna “Liberi di partire, liberi di restare”. Qual è la situazione nel nostro Paese, e quali passi avanti sono possibili?
Il Messaggio per la 109ma Giornata mondiale del Migrante e del rifugiato è centrato proprio sulla libertà di scelta, per i migranti, se partire o restare, ed è questa la volontà che la Cei ha espresso con l’iniziativa “Liberi di partire, liberi di restare”. Libertà significa scegliere il proprio destino partendo da una necessità di vita: ai migranti devono poter essere garantiti luoghi e relazioni per un loro possibile sviluppo. Offrire speranza per il futuro comporta infatti non solo un investimento economico, ma in termini di amicizia, di rapporti caldi e fraterni con le comunità locali. Questo è un punto decisivo:

non esiste una codificazione di un diritto a rimanere, ma è nelle cose, appartiene alle relazioni parentali, culturali, popolari che si intessono lungo il proprio itinerario personale.

In quest’ottica, salvare vite umane vuol dire proteggere la libertà di stare dentro le relazioni, facendo di tutto perché ci sia anche per i migranti una vita felice.

Tutto ciò comporta anche il dovere di interlocuzione e collaborazione con le autorità civili e politiche?
Certamente,  perché è dal dialogo tra la Chiesa e la società che si possono trovare insieme soluzioni concrete a questioni, come quella delle migrazioni, ormai non più emergenziali ma strutturali. Già a Firenze abbiamo sperimentato questa modalità: fa parte della vocazione storica del Mediterraneo poter coinvolgere i responsabili del bene comune.

Occorre sviluppare un dialogo con le autorità civili, altrimenti non è possibile tramutare la crisi migratoria in una opportunità di sviluppo.

Ci vuole un sussulto di umanità e di coscienza per impedire un naufragio di civiltà, l’appello di Francesco al Velodrome. Deve essere questo l’obiettivo della “teologia del Mediterraneo” e della Conferenza dei vescovi del Mediterraneo, già auspicata a Bari e a Firenze?
A Marsiglia il Santo Padre ha esortato a trasformare la commozione per la sorte dei migranti in azione operativa, in un linguaggio di amicizia e sostegno reciproco. Papa Francesco è tornato a chiedere una forma di collegamento permanente tra chiese che vivono situazioni diverse, ma costellate di tante difficoltà, soprattutto nella sponda Sud del Mediterraneo, come vediamo nei Balcani, in Siria e Libano.

L’idea di una teologia del Mediterraneo implica la necessità di un discernimento comunitario su una situazione storica: sta a noi accogliere questo invito, che è un appello alla responsabilità. Solo conoscendoci tra noi all’insegna della fraternità, come è avvenuto a Bari e Firenze, si può condividere la realtà di ciascuno ed interrogarsi sulle forme concrete di un aiuto vicendevole.  Siamo alla vigilia del Sinodo della Chiesa universale sulla sinodalità. I tempi sono maturi anche per un Sinodo sul Mediterraneo?
La richiesta del Papa di un’assemblea ecclesiale per il Mediterraneo è un ulteriore invito ad adottare un’ottica sinodale, uno stile di confronto e di discernimento per individuare eventi strutturali capaci di esprimere il convenire e il camminare insieme verso le soluzioni.  Dobbiamo aiutarci a leggere questo appello che lo Spirito rivolge alla nostra libertà. È il soffio di Dio che passa, entra nella nostra storia e continua a passare sulle nostre coste, come i migranti in cerca di salvezza.

The Pope in Marseille. Msgr. Baturi (CEI): “Saving human lives entails the freedom not to migrate”

Lun, 25/09/2023 - 10:37

Upon his return from Marseille, and after the Pope’s words of appreciation during yesterday’s Angelus for the Italian Church’s welcome to migrants, Monsignor Giuseppe Baturi, Archbishop of Cagliari and Secretary General of the Italian Episcopal Conference, offers SIR an overview and a perspective: working with civil authorities to offer migrants a better future, starting with the freedom to choose between migrating or staying.

After Bari and Florence, what message did Pope Francis want to send from Marseilles?

After Bari and Florence, in Marseille the Holy Father reaffirmed the importance and centrality of the Mediterranean region, which is surrounded by a multitude of peoples, cultures and religions, but is also where the tensions of the world are unleashed: let is suffice to mention the problems of migration, energy, climate and ethnicities.

What Pope Francis has proposed in Marseille is an inspiring vocation: to transform this crossroads of peoples, religions and cultures into a cradle of goodness and peace for the Mediterranean and for the world

It is also a vocation inherent in the geographical and historical context of the Mediterranean. Migration, in particular, challenges our concern for peoples and for their living conditions. We should all ask ourselves, at every level, what we can do to welcome, protect, promote and integrate these brothers and sisters of ours.

 One of the issues highlighted by the Pope is rescue at sea, a duty to be fulfilled in order to prevent crimes against humanity. Italy, with the island of Lampedusa, is in the front line, and not only…

From Marseille, the Holy Father wanted to draw attention to the need for hospitality in order to save human lives: it is no coincidence that Pope Francis speaks of our migrant brothers and sisters who cross the Mare Nostrum in search of life.

Saving lives also involves the freedom not to migrate, cooperating with the countries of departure and actively contributing to the prevention of climate hazards, wars and food crises. To this end, it is necessary to legalise routes, to promote community channels and bonds, and to support integration – which, as the Pope never tires of repeating, does not mean assimilation, but rather ensuring that the cultural and identity characteristics of the countries of origin are never lost, helping migrants to become the protagonists of their own liberation, and thus make a significant contribution to the future of our nation.

At the Palais du Pharo and during the Angelus prayer yesterday, the Pope referred to migration as a human right, which includes both the right to emigrate and the right to remain in one’s homeland. The Italian Episcopal Conference has led the way with its campaign ‘Free to leave, free to stay.’ What is the situation in Italy and what steps can be taken?

The Message for the 109th World Day of Migrants and Refugees focuses on the freedom of migrants to choose whether to leave or to stay. This is what the Italian Bishops’ Conference has given voice to with the initiative ‘Free to leave, free to stay’. Freedom means choosing one’s destiny, starting from a vital necessity: migrants must be guaranteed opportunities and relationships for their potential development. Offering hope for the future means not only investing financially, but also investing in friendly, warm and fraternal relations with local communities. This is a crucial point:

the right to stay is not legally defined, but it is inherent, it relates to the personal, cultural and social relationships that are interwoven along one’s personal path.

From this perspective, saving lives means protecting the freedom to remain within relationships, doing everything possible to ensure that migrants can lead a happy life.

 Does this include a commitment to promote dialogue and cooperation with civil and political authorities?

Yes, because the concrete solutions to problems such as migration, which are no longer emergencies but structural problems, can be found together through a dialogue between the Church and society. We have already experimented this approach in Florence. Part of the historic vocation of the Mediterranean is the ability to involve those responsible for the common good.

Dialogue with civil authorities needs to be developed, otherwise it won’t be possible to transform the migratory crisis into an opportunity for development

We need an awakening of humanity and conscience to prevent the collapse of civilisation, Francis said at the Velodrome. Should this be the aim of the ‘Theology of the Mediterranean’ and of the Conference of Bishops of the Mediterranean, already called for in Bari and Florence?

In Marseille, the Holy Father said that the concern for the fate of migrants must be translated into concrete action, in a language of friendship and mutual support. Pope Francis reiterated his call for a permanent dialogue between Churches experiencing different situations and difficulties, especially on the southern shores of the Mediterranean, as we have seen in the Balkans, Syria and Lebanon.

The idea of a theology of the Mediterranean implies the need for discernment of a historical situation together: it is up to us to accept this invitation, which is a call to responsibility. We can only share our reality and discuss the concrete forms of mutual support by getting to know each other in the name of fraternity, as happened in Bari and Florence.

The Synod of the universal Church on the theme of synodality is drawing near. Has the time come for a Synod for the Mediterranean region as well?

The Pope’s call for an ecclesial assembly for the Mediterranean region is a further invitation to adopt a synodal perspective, a style of dialogue and discernment that is capable of identifying the structural events that will lead to agreement and common progress towards solutions.  We must help each other to interpret this appeal of the Holy Spirit to our freedom. It is the breath of God that flows, enters our history and continues to cross our shores like migrants in search of salvation.

Mons. Crociata (Comece): “Sul bivio di civiltà, si gioca il futuro stesso dell’Unione”

Lun, 25/09/2023 - 10:36

Mettere al centro sempre e in ogni scelta sociale e politica la persona umana altrimenti “la nostra umanità è in pericolo” e l’Europa si trova davvero alla “fine della civiltà”. Appena tornato da Marsiglia, mons. Mariano Crociata, presidente della Commissione degli episcopati dell’Unione europea (Comece), traccia un bilancio su quanto emerso agli Incontri del Mediterraneo. Dal 17 al 24 settembre, 70  vescovi e 70 giovani si sono confrontati – separatamente e insieme – sulle grandi sfide che attraversano le cinque sponde del mare: dai temi delle migrazioni a quelle del cambiamento ambientale, ma anche pace ed educazione dei giovani. A concludere i lavori è stato papa Francesco che prima di recarsi alla sessione finale al Palais du Pharo, si è chinato, insieme con i leader delle religioni, in un momento di raccoglimento e preghiera per i migranti dispersi in mare, pronunciando parole forti, rivolgendosi anche all’Europa.

Il Papa a Marsiglia ha detto che ci troviamo oggi di fronte ad un “bivio di civiltà”: “Da una parte la fraternità, che feconda di bene la comunità umana; dall’altra l’indifferenza, che insanguina il Mediterraneo”. Mons. Crociata, verso dove sta andando l’Europa?
Il bivio di civiltà di cui ha parlato il Papa a Marsiglia è lo stesso di fronte al quale si trova ancora una volta l’Unione Europea e in qualche modo tutta l’Europa.

È un bivio in cui è in gioco anche il futuro dell’Unione stessa.

Sebbene sia difficile pensare che essa possa dissolversi, tuttavia non si intravede quale futuro la attenda senza passi avanti concreti verso una maggiore unità. Una unità possibile a condizione di scegliere la via della civiltà. Il Papa l’ha indicata nella via della fraternità. Il punto è davvero cruciale, come ha evidenziato il momento di preghiera per i marinai e i migranti morti in mare che si è svolto al santuario di Notre Dame de la Garde. Qui si è potuto percepire con lucidità estrema che la questione, per tutti noi e per i Paesi europei, è se la persona umana rimane davvero il principio su cui regolare ogni scelta sociale e politica, oppure no. In questo senso siamo dinanzi a un bivio di civiltà. Se non si comprende questo, la nostra umanità è in pericolo. Perché vorrà dire che si apre un futuro nel quale le persone potranno essere usate o ignorate o semplicemente cancellate a seconda della convenienza del momento. Ma questo sarà il segno (e la realtà) della fine della civiltà.

Lei ha partecipato agli Incontri del Mediterraneo. Quale sguardo, quali preoccupazioni, quali sfide sono emerse?
Le situazioni dei Paesi che si affacciano sul Mediterraneo sono molto diverse tra loro, sia dal punto vista sociale, economico e politico, sia dal punto di vista religioso. Le preoccupazioni sono dunque davvero tante; basti tenere conto dei temi principali che sono stati toccati nel corso del dibattito: la libertà di coscienza e la libertà religiosa; l’accesso al lavoro, le condizioni sociali e i flussi migratori; il problema ecologico che con questi ultimi si connette in maniera drammatica; la questione educativa; i conflitti di ogni genere fino a quelli propriamente bellici. Le sfide sono davvero grandi. E tuttavia non mancano segni di speranza. Uno di essi è emerso nel corso degli Incontri grazie alla presenza di circa 60 giovani di tutti i Paesi del Mediterraneo. Si fa avanti una nuova generazione che non si accontenta più di subire un andazzo di sconfitta e di disperazione, una generazione che sa costruire legami, fare progetti, guardare al futuro. Si tratta di dare forza a una speranza che è fondata e che chiede che i cuori si aprano ai suoi segni e alle sue prospettive.

Che cosa chiedono i vescovi e i giovani del Mediterraneo all’Unione Europea e ai suoi Stati membri?
Ad essere interpellate sono tutte le istituzioni e le organizzazioni internazionali e in qualche misura tutti i Paesi, poiché attorno al Mediterraneo si intrecciano un po’ tutte le questioni inerenti la geopolitica globale. Oggettivamente i temi di cui si è parlato, interpellano in maniera singolare l’Unione europea. A cominciare dalle migrazioni. A tale riguardo è la situazione a interpellare le istituzioni europee, dal momento che le iniziative messe in campo non hanno incidenza sui flussi migratori, che proseguono in un crescendo incontrollabile, almeno stando alle misure finora adottate. C’è bisogno di concordia e di visione insieme per trovare una strategia che componga interventi che incidano nelle varie fasi del processo migratorio, fino ai Paesi di partenza. L’esigenza di razionalizzare e mettere ordine va soddisfatta tutelando l’integrità e la dignità delle persone, programmando l’accoglienza e l’inserimento nella misura oggettivamente sostenibile per il Paese di accoglienza e stabilendo un rapporto responsabile con il Paese di partenza degli immigrati. A questo proposito, l’Unione Europea fin dai suoi inizi si ritrova il compito di instaurare rapporti strutturali con i Paesi dell’Africa. Ora più che mai la questione migratoria si potrà affrontare solo con un quadro organico di riferimento e scelte il più possibile condivise.

Il Papa ha usato parole molto forti per denunciare le morti in mare definendoli “crimini di umanità”. Ha parlato anche delle difficoltà che ci sono nei soccorsi in mare, dicendo: “Sono i gesti di odio verso il fratello travestiti da equilibrio”. L’Europa è all’altezza oggi di rispondere a questa emergenza? E concretamente, come fare?
Non manca una istanza politica volta ad affrontare le grandi questioni che assillano oggi i popoli dell’area mediterranea, ma il disaccordo di alcuni talora di altri rallenta fino a paralizzare l’azione di tutti. L’Ue è più che mai in grado di affrontare la sfida, ma potrà farlo con un’altra forza di partecipazione e con tutt’altra capacità di visione e di iniziativa. Il caso delle migrazioni chiede uno scatto d’orgoglio nel voler affrontare coerentemente il problema in tutte le sue spinose sfaccettature. Bisognerebbe ricordarsi che non c’è solo il giudizio degli elettori da affrontare ma quello di chi, in un domani non troppo lontano, dovrà constatare con amarezza che tutta una generazione non ha avuto la lucidità e la forza di decisione di cogliere la portata di un problema e di cercarvi una soluzione organica. Il rischio è che tutta una classe politica e un’intera opinione pubblica risultino non all’altezza del compito che la storia oggi affida a tutti noi.

Il Papa ha lanciato l’idea di “una Conferenza dei vescovi del Mediterraneo”, che permetta ulteriori possibilità di scambio e dia maggiore “rappresentatività ecclesiale alla regione”. Lei cosa ne pensa e quale vocazione hanno oggi le Chiese dei Paesi mediterranei per l’Europa e per il mondo che disperatamente bussa alle sue porte?
La questione dell’immigrazione è quella che più drammaticamente segnala una sfida di questo tempo ai nostri Paesi che abbraccia tutti i temi caldi dell’attualità sociale e politica.

La chiesa non è una osservatrice neutrale di un processo che non la tocchi, ma vi è dentro con in più la responsabilità del vangelo e la coscienza che la fede le consegna. Le nostre chiese sono chiamate a trovare unità di giudizio e sforzo di immaginazione oltre che capacità di iniziativa sui temi che travagliano il Mediterraneo. Esse sanno che è la stessa fede a richiederlo, e quindi l’esigenza in ultimo di una fedeltà a se stessi. Esse devono anticipare nel loro scambio spirituale e pastorale quel movimento di coscienza collettiva e di unità che è richiesto ai Paesi rivieraschi.  L’iniziativa di Marsiglia, che segue quelle di Bari e Firenze, è la conferma che le chiese del Mediterraneo sono chiamate ad un compito storico di servizio alla fede e ai loro popoli. E le due cose non possono essere separate. L’idea di uno strumento stabile di ascolto e preghiera, riflessione ed elaborazione di iniziative comuni si impone naturalmente all’attenzione di chi ha percepito il significato e il valore di queste giornate. Organismi ecclesiali europei come la Commissione degli episcopati dell’Unione europea (Comece) non intendono stare a guardare, per quanto di loro competenza e può essere richiesto, per non mancare l’appuntamento della storia.

Msgr. Crociata (COMECE): “The Union’s future is being played out at the crossroads of civilisations”

Lun, 25/09/2023 - 10:36

The human person must always be at the centre of every social and political decision, otherwise “our humanity will be in danger” and Europe will be facing the “end of civilisation.” Monsignor Mariano Crociata, President of the Commission of the Bishops’ Conferences of the European Union (COMECE), who has just returned from Marseille, reflects on the outcomes of the Mediterranean meetings. From 17 to 24 September, a total of 70 bishops and 70 young people discussed – separately and together – the major challenges facing the five shores of the Mediterranean basin, ranging from migration to climate change, peace and education for young people. The conference was brought to a close by Pope Francis, who knelt with the religious leaders for a moment of remembrance and prayer for the migrants lost at sea before the final session in the Palais du Pharo, with strong words also for Europe.

In Marseille, the Pope said that today we are at a “crossroads of civilisation”: “on the one hand, there is fraternity, which makes the human community flourish with goodness; on the other, indifference, which bloodies the Mediterranean.” Monsignor Crociata, where is Europe headed?

The crossroads of civilisation that the Pope referred to in Marseilles is the same crossroads that the European Union, and in some ways the whole of Europe, is facing yet again.

It is a crossroads where the very future of the EU is at stake.

While it is hard to imagine that it will collapse, there is no glimpse of the future that awaits it without concrete steps towards greater unity. Unity is possible provided we choose the path of civilisation. The Pope has shown it in the path of fraternity. The point is indeed crucial, as evidenced during the moment of prayer for the sailors and migrants who died at sea held at the shrine of Notre Dame de la Garde. Here it was perceivable with great clarity that for us all, and for European countries, the question is whether or not the human person remains the guiding principle behind every social and political decision. In this respect, we are facing a crossroads of civilisation. If this is not understood, our humanity will be in danger. Because it will mean that we are entering a future where people can be used or ignored or simply erased depending on the whim of the moment. But that will be the sign (and the reality) of the end of civilisation.

You have attended the Mediterranean meetings. What perspectives, concerns and challenges have emerged?

The Mediterranean countries are very different in terms of their social, economic, political and religious situations. Suffice it to recall the main issues raised during the debate: freedom of conscience and religious freedom; access to employment, social conditions and migratory flows; the environmental problem, which is dramatically linked to the latter; the challenge of education; conflicts of all kinds, including war. The challenges are indeed great. Nevertheless, there are signs of hope. One of these emerged during the meetings, thanks to the presence of some 60 young people from all the Mediterranean countries.

A new generation is emerging, one that knows how to build bonds, make plans and look to the future, one that is no longer content to endure a state of defeat and despair. It is a question of strengthening a grounded hope that asks hearts to open up to its signs and prospects.

What are the bishops and young people of the Mediterranean countries asking of the European Union and its Member States?

All international institutions and organisations, and to some extent all countries, are concerned, because all global geopolitical issues are to some extent connected with the Mediterranean region. The issues that have been discussed, to be precise, call into question the European Union in particular. Starting with migration. This is a challenge for the European institutions, because the initiatives taken so far have had no impact on the migratory flows, which are increasing uncontrollably, at least under the measures taken so far.

Consensus and a common vision are needed to define a strategy that includes effective measures at the various stages of the migration process, up to the countries of departure.

The need for rationalisation and order must be met by protecting the integrity and dignity of people, by planning reception and integration to an extent that is objectively sustainable for the host country, and by establishing a responsible relationship with the migrants’ country of origin. In this regard, since its creation, the European Union has had the task of establishing structural relations with African countries. Today, more than ever before, the issue of migration can only be addressed if there is an organic framework of reference and a broad consensus on decisions.

The Pope denounced deaths at sea, which he called “crimes against humanity”, in very strong terms. He also spoke of the difficulties involved in rescues at sea. He said: “These are acts of hatred against our brothers and sisters under the guise of ‘balance’.” Can Europe rise to the challenge of this emergency today? And how, in concrete terms?

There are many political initiatives to address the major problems facing the peoples of the Mediterranean today, but the disagreement of a few sometimes slows down action to the point of paralysing it. The EU is more capable than ever of meeting the challenge, but it will be able to do so with a different participatory force and a different capacity for vision and initiative. Dealing with migration requires a determination to tackle it head on and to act decisively. It should be remembered that it is not only the electorate’s verdict that is at stake, but also the verdict of those who, in the not-too-distant future, will bitterly note that a whole generation lacked the clarity and determination to grasp the scale of the problem and to seek an organic solution.

There is a danger that an entire political class and public opinion will prove inadequate to meet the challenge that history has placed before all of us today.

The Pope has put forward the proposal of a “Conference of Bishops of the Mediterranean”, which would provide further opportunities for exchange and give greater “ecclesial representativeness to the region”. What do you think about this, and what is the mission of the Churches of the Mediterranean today in relation to Europe and to the world that is knocking desperately at its doors?

The issue of immigration is the one that most dramatically marks a contemporary challenge for our countries, encompassing all the thorny social and political issues of our time.

The Church is not a neutral observer of a process that does not concern her; on the contrary, she is part of it with the responsibility of the Gospel and the conscience given to her by faith.

Our Churches are called, in addition to their capacity for initiative, to develop a common vision along with a spirit of initiative and an effort of imagination on the worrying issues that trouble the Mediterranean region.

They know that it is inherent in the faith, and so it is ultimately a requirement of being true to oneself. In their spiritual and pastoral sharing, they must anticipate the collective awareness and unity required of the Mediterranean countries.  The Marseille initiative, following those of Bari and Florence, confirms that the Churches of the Mediterranean are called to an historic task of service to the faith and to their peoples. And the two cannot be separated. The idea of a permanent instrument for listening and prayer, for reflection and the elaboration of common initiatives, naturally attracts the attention of those who have perceived the importance and the value of these days. European ecclesial bodies, such as the Commission of the Bishops’ Conferences of the European Union (COMECE), do not intend to remain inactive, within the limits of their competence and where necessary, in order not to miss this appointment with history.

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